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La sostenibilità in ambito sanitario: il ruolo dell’ambiente costruito

Una sanità sostenibile è possibile, ed è realizzabile attraverso interventi che siano parte di una visione ampia e complessiva, che vede gli ospedali come infrastrutture complesse, dove diventa necessario inserire strumenti di valutazione sull’ambiente e non solo sulle qualità organizzative o cliniche.

Questo è uno dei focus delle ricerche e dei tavoli di lavoro emersi durante uno degli ultimi Joint Research Platform Healthcare Infrastractures, piattaforma guidata dal Politecnico di Milano – Dipartimento ABC, dalla Fondazione Politecnico di Milano e dal Design & Health Lab, di cui Andrea Brambilla, architetto, è parte. Durante il tavolo del JRP è emersa l’urgenza di rivedere il tema della sostenibilità a partire anche dal costruito e dall’architettura: ne abbiamo parlato con il dottor Brambilla. 

Ambiente e salute, quale connessione? 

“I temi scientifici che si sviluppano all’interno del JRP vengono gestiti dal nostro gruppo di ricerca multidisciplinare interno, chiamato Design and Lab. Il dipartimento di Architettura ingegneria delle Costruzioni e Ambiente costruito, di cui faccio parte – racconta l’architetto Brambilla – si occupa di tutto ciò che va a comporre il rapporto tra l’ambiente costruito e la salute, ovvero su elementi e tipologie di edifici legati al mondo healthcare”. I temi che diventano il fil rouge del lavoro sono quelli della promozione e protezione della salute, che si collega ad un filone di ricerca interno al Politecnico di Milano di Hospital Design, realizzando uno dei propositi fondamenti del JRP. 

“È un elemento molto importante – continua Brambilla – poiché costituisce il cosiddetto terzo pilastro; oltre alla didattica e alla ricerca, vi è la terza missione: quella di portare le ricerche fuori dall’ambito universitario per calarle nel territorio, verso le persone e il mondo della produzione”. Il JRP quindi “svolge esattamente questo ruolo di ponte, mettendo in correlazione gli elementi di ricerca e analisi con le istituzioni e le imprese”. 

La sostenibilità in ambito sanitario

La sostenibilità è un concetto olistico che al suo interno comprende tematiche ambientali, sociali, energetiche, economiche ed organizzative. In ambito sanitario, come sottolinea anche l’approccio One Health portato avanti dall’UE, coinvolge sicuramente l’accesso alle cure, la digitalizzazione dei processi e la gestione del rischio, ma riguarda anche il rapporto tra l’uomo e l’ambiente sanitario, compreso il punto di vista architettonico. “Analizzare l’ambiente significa favorire l’accesso alle cure e alle strutture per i pazienti, ma anche ripensare gli ambienti che quotidianamente vivono gli operatori sanitari – continua Brambilla – Secondo l’ultimo report AGENAS, c’è stato un aumento dei costi tra il 2021 e il 2022 fino anche al 90% in più per l’utilizzo di energia elettrica, termica o l’accesso ad altre fonti energetiche. Problematiche che trovano terreno in un parco edilizio ospedaliero che risulta abbastanza obsoleto in Italia, così come anche nel resto d’Europa, al netto di problematiche specifiche per ogni Paese”. 

Una grande opportunità è oggi messa in campo dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza: è importante, perciò, mettere in luce quali siano le azioni strategiche, sia a livello gestionale che operativo, dei diversi attori della filiera. 

Sanità sostenibile, la ricerca JRP

Non solo un cambio di cultura e di ragionamento, quindi, ma un intervento concreto. Da questi presupposti è cominciato il progetto di ricerca, “Healthy and Sustainable Hospital Evaluation—A Review of POE Tools for Hospital Assessment in an Evidence-Based Design Framework, coordinato dal professor Stefano Capolongo per evidenziare la necessità di nuovi strumenti di valutazione della qualità ambientale e architettonica degli ambienti sanitari. 

“Dopo aver svolto una ampia revisione della letteratura scientifica degli strumenti esistenti, – spiega Brambilla – abbiamo quindi sviluppato uno strumento di valutazione basato sull’analisi multicriteriale, che possa aiutare i decision maker, quindi direttori generali, direttori strategici degli ospedali, ad avere un punteggio sintetico di corrispondenza per i tre ambiti della sostenibilità: quella ambientale, quella sociale e quella organizzativa, confrontando i risultati con benchmark internazionali”. Questa valutazione è passata attraverso una attenta analisi degli strumenti di monitoraggio a disposizione, come ad esempio la prima versione del software “SustHealth” sviluppato dal Politecnico di Milano nel 2015, per arricchirlo e aggiornarlo rispetto alle esigenze contemporanee e soprattutto renderlo più operativo in una versione 2.0, oggi in fase di ulteriore implementazione per in riferimento alle tematiche ESG; ma anche di strumenti più legati al tema della sostenibilità ambientale, per esempio il LEED o il BREEAM, strumenti che servono per certificare anche alcuni sviluppi immobiliari come con una etichetta di sostenibilità che poi, oltre che produrre dei vantaggi in termini ambientali, producono anche dei vantaggi in termini di valorizzazione degli asset di Real estate”.

Ne emerge una grande carenza di attenzione agli strumenti di verifica della qualità dell’ambiente costruito: “Diversi studi di Evidence-Based Design dimostrano come, per esempio, la vista da una finestra su un’area verde rispetto alla vista di una finestra sul muro produce dei miglioramenti importanti nei pazienti, ma anche nello staff, fino a ridurre anche il tempo di degenza; altri riguardano, il tema delle infezioni correlate all’assistenza, nelle differenze tra camere singole o multiple e il rischio di contagi – aggiunge Brambilla – Mancava però uno strumento capace di mettere a sistema questi tre mondi, quello della sostenibilità sociale, ambientale, organizzativa e soprattutto indicare delle modalità operative di valutazione”. 

Il gruppo di lavoro ha quindi “aggiornato tutto l’elenco di circa 200 indicatori con relative variabili di misurazione, coinvolgendo sia progettisti che gestori ospedalieri che medici di direzione sanitaria, che hanno collaborato per dare dei pesi diversi rispetto alle caratteristiche dell’indicatore. Dopodiché lo strumento è stato testato, ottenendo quindi una validazione sul campo, in ospedali italiani e in 15 ospedali in Germania. 

Il progetto, iniziato nel 2019 e tuttora in fase di continua implementazione, ha ricevuto anche riconoscimenti da parte della Regione Lombardia e dalla European Institute for Innovation and Technology, proprio per il suo carattere di innovazione e rilevanza.

One Health: salute umana, animale e ambientale, un approccio integrato al risk management

L’approccio One Health rappresenta una modalità innovativa di affrontare le prossime sfide della salute globale. Questa visione dà il via a un importante cambio di paradigma, e sottolinea quanto l’interconnessione tra la salute umana, quella animale e quella dell’ambiente sia fondamentale. Vediamo in cosa consiste esattamente l’approccio One Health, e perché può essere vincente anche nel risk management. 

Cos’è l’approccio One Health: definizione, principi e storia

Come riporta l’Istituto Superiore di Sanità, One Health è un modello sanitario che si basa sull’integrazione di due principi fondamentali: l‘interconnessione tra salute umana, animale e ambientale, e l’intersezione di più discipline mediche. Il risultato è un metodo olistico che riconosce quanto la salute delle persone, degli animali e della nostra Terra siano strettamente legate: secondo questo approccio, per risolvere in maniera efficace un problema sanitario non è possibile focalizzare l’attenzione esclusivamente su un singolo aspetto ma occorre abbracciare una visione a 360° che contempli ogni elemento coinvolto.

La risoluzione dei problemi di sanità pubblica, quindi, non può prescindere da un’azione coordinata (che comprende anche una corretta interpretazione dei dati a nostra disposizione) e da un impegno collaborativo tra diverse professionalità coinvolte – dai medici ai biologi, dai veterinari agli esperti di alimentazione e agli agronomi. Il suo obiettivo principale è dunque quello di promuovere un’azione sinergica che possa garantire il benessere di tutti gli esseri viventi e dell’ambiente in cui essi vivono.

Le radici di One Health e la sua diffusione

La filosofia alla base dell’approccio One Health affonda le sue radici nel concetto di “one medicine”, un’idea proposta per la prima volta dal veterinario ed epidemiologo Calvin Schwabe negli anni ‘60. Schwabe riteneva che la medicina umana e quella veterinaria dovessero integrarsi per affrontare al meglio i problemi di salute pubblica, in particolare quelli legate alle malattie zoonotiche – ossia le malattie che, tramite il salto di specie, passano dagli animali agli esseri umani.

Negli ultimi decenni, questo concetto è stato ampliato per includere anche la salute ambientale, dando origine al moderno approccio One Health, che riconosce come la salute umana, animale e ambientale siano intimamente connesse.

L’Istituto Superiore di Sanità (ISS), l’ente di riferimento per la sanità pubblica in Italia, ha preso a cuore l’approccio One Health, promuovendolo attivamente nei suoi programmi e nelle sue ricerche, con particolare attenzione alle zoonosi e alla resistenza antimicrobica.

Nel 2017, la Commissione Europea ha lanciato il Piano d’Azione One Health per combattere la resistenza antimicrobica, che rappresenta una grave minaccia per il benessere. Durante il Global Health Summit del 2021 tenutosi a Roma, i leader del G20 e di altri Stati, riuniti insieme ai capi delle organizzazioni internazionali, hanno individuato in One Health l’approccio vincente per affrontare i rischi a cui la sanità globale andrà incontro nei prossimi anni e fare tesoro di quanto appreso durante la pandemia di Covid-19.

Come l’approccio One Health può aiutare il risk management

L’approccio One Health, come abbiamo visto, trova applicazione in un’ampia varietà di settori, puntando alla massima protezione della salute del nostro pianeta e dei suoi abitanti. Riveste, pertanto, un ruolo fondamentale anche nel risk management del futuro. Nell’ambito di One Health, i rischi possono riguardare le malattie zoonotiche, la resistenza antimicrobica, l’inquinamento ambientale, le minacce alla sicurezza alimentare e molteplici altri elementi.

Un approccio di tipo olistico portato avanti anche da Relyens, applicando una metodologia basata su tre pilastri: l’analisi del rischio, la prevenzione e l’assicurazione.

  • Il primo passo del processo di gestione del rischio è sapere in cosa consiste. Relyens dedica grande attenzione all’identificazione e alla valutazione dei rischi potenziali, esaminando il contesto per comprendere meglio la natura e la portata di questi rischi. Tale passaggio preliminare è fondamentale per sviluppare strategie efficaci di gestione.
  • Il secondo pilastro del processo di gestione del rischio è la prevenzione. Dopo aver identificato e valutato i rischi, Relyens mette in atto una serie di misure per ridurne l’incidenza e l’impatto. Queste possono includere formazione, implementazione di protocolli di sicurezza, miglioramento delle pratiche operative, e molto altro ancora.
  • L’ultimo pilastro è l’assicurazione. Nonostante gli sforzi di analisi e prevenzione, può capitare che alcuni rischi rimangano. In tal caso, Relyens fornisce soluzioni di assicurazione personalizzate per coprire questi rischi residui. Queste possono aiutare a proteggere le organizzazioni e le persone da potenziali perdite finanziarie, fornendo una sicurezza finanziaria indispensabile.

Attraverso questo approccio integrato al risk management, Relyens contribuisce non solo a gestire il rischio, ma anche a creare un ambiente più sicuro e sano per tutti. Un modello di gestione immediato e sostenibile nel tempo che rafforza l’importanza del concetto di One Health, la cui implementazione su larga scala richiederà uno sforzo congiunto da parte di tutte le discipline e settori coinvolti, compreso quello del risk management. Le ricompense potenziali – in termini di miglioramento della salute umana, animale e ambientale – sono enormi.

La centralità dei dati e la data literacy nell’era digitale: l’approccio di Relyens 

Nell’era dell’informazione la data literacy, ossia la capacità di leggere, comprendere e comunicare i dati, è diventata un elemento imprescindibile. Stiamo parlando di un nuovo linguaggio fatto di numeri e informazioni, la cui comprensione è necessaria per sfruttare appieno le potenzialità del mercato moderno. Il processo di evoluzione digitale della società è ben riconosciuto e negli ultimi dieci anni ha investito la nostra economia in maniera significativa. Ma cosa significa lavorare nell’ambito del risk management in sanità mettendo al centro i dati?

Il valore della data literacy

Oggi giorno, la data literacy non può più essere considerata una scelta, ma deve essere vista come un vero e proprio obiettivo strategico per rimanere competitivi e sfruttare al meglio le opportunità offerte da un mercato sempre più data-driven.

Fabio Campanini, Data Analyst di Relyens, si riferisce al “dato” come alla chiave per un processo decisionale efficace. “Come tutti i linguaggi, anche la data literacy diviene vettore di comunicazione in grado di includere, connettere e creare sinergie se adeguatamente padroneggiato. Viceversa, di escludere e isolare se non se ne conosce la grammatica,” dice Campanini.
Le compagnie assicurative, che vantano una lunga storia nell’utilizzo degli analytics, si sono gradualmente evolute sfruttando big data e intelligenza artificiale per ottimizzare i loro modelli di business, migliorare le performance e offrire ai propri clienti soluzioni calibrate sulle loro specifiche esigenze.

La Data Literacy nel mondo del Risk Management: gli obiettivi di Relyens

Durante la pandemia, anche il settore sanitario ha visto accelerare esponenzialmente il processo di digitalizzazione. A dispetto della drammaticità del momento e di tutte le difficoltà a cui il settore è andato incontro, è emersa chiaramente la necessità di sfruttare la grande mole di dati generati per ottimizzare la filiera di erogazione delle cure.
Relyens vuole porsi come risk manager di riferimento per gli attori della sanità e del territorio: nel corso della sua trasformazione per raggiungere questo obiettivo l’azienda ha evoluto il tradizionale mestiere dell’assicuratore, investendo in nuovi settori e in un team poliedrico

Ogni collaboratore, attraverso numerose attività formative e un monitoraggio costante delle competenze, viene formato nel linguaggio dei dati: si tratta di un percorso intrapreso coerentemente con l’evoluzione verso un modello aziendale data-driven, con l’ambizione di diffondere questa cultura nell’intero ecosistema sanitario.

“L’alfabetizzazione del dato” sottolinea Campanini “è una sfida imprescindibile che può essere vinta agendo su due piani interconnessi: introduzione di nuovi ruoli specializzati con competenze verticali e aggiornamento continuo e trasversale ai vari livelli aziendali”.

La data literacy è dunque uno strumento importante sia per Relyens – internamente, per ottimizzare la gestione dei sinistri e del rischio – che per i clienti, essendo un ottimo strumento di risk management nella riduzione dei sinistri – e, di conseguenza, nel risparmio.

Perché adottare il linguaggio dei dati?

In un mercato che richiede un approccio sempre più data-driven, la data literacy rappresenta un elemento indispensabile per tutte le aziende che vogliono essere al passo con i tempi. 

Con l’obiettivo di rimanere competitivi, è vitale imparare questo nuovo linguaggio e sfruttare al meglio le opportunità che esso offre. In Relyens vogliamo aprire la strada, investendo in formazione e sviluppando un modello di business centrato sui dati

“La centralità dei dati è ormai indiscutibile e il futuro appartiene a chi è in grado di padroneggiarli” conclude Campanini.

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Legge Gelli Bianco e un sistema sostenibile di responsabilità sanitaria

Un parterre di relatori d’eccezione, provenienti da esperienze e settori di competenza diversi, si è ritrovato in Senato in occasione di un convegno dedicato a raccogliere spunti, riflessioni e proposte di implementazione sulla legge 24/2017, nota come Legge Gelli Bianco che ha introdotto per le strutture sanitarie l’obbligo di assicurazione e quello di dotarsi di servizi di risk management.
“La legge nasce con la più nobile delle intenzioni, ovvero quella di tutelare il danneggiato – ha commentato Diego Ammirabile, Head of Claims Relyens – A sei anni dalla sua introduzione, tuttavia, nella sua applicazione emergono delle lacune e delle problematiche che rischiano di mettere in secondo piano tale intento”.

Cosa è emerso dal convegno

Il convegno, promosso su iniziativa del Senatore Antonio Guidi e in collaborazione con la Società Medico-Giuridica Melchiorre Gioia,  tenutosi presso la Sala Zuccari mercoledì 28 giugno, ha visto la partecipazione di diversi attori coinvolti.

Molti i contributi e le testimonianze in interventi complementari, che hanno restituito una solida e tecnica ricostruzione del quadro normativo che volge a tutelare integralmente sia le strutture sia gli operatori sanitari, tenendo sempre il focus sul risarcimento del danneggiato.

“Il convegno è stato un vero e proprio incubatore di idee, una analisi di diritto costituzionale, tecnica e non politica – ha commentato ancora Ammirabile – Gli interventi, concentrandosi su dati e limiti della legge, hanno sollevato all’unanimità come sia urgente colmare una contraddizione su tutte: se da una parte è necessario avvicinare il rapporto tra vittima, istituzioni e ospedali, è altrettanto urgente ridurre la disparità di trattamento tra strutture auto assicurate e non, che nella realizzazione stride in maniera molto forte con lo spirito e il senso della legge”.

Punti di attenzione della legge Gelli Bianco sulla responsabilità sanitaria

Il sistema misto, infatti, legittima i diversi binari della responsabilità in ambito sanitario: da un lato quella contrattuale, a carico delle strutture sia pubbliche che private, e dei medici, dall’altro l’extracontrattuale, rivolta a chi svolge la professione sanitaria in una struttura o in convenzione con il Servizio Sanitario Nazionale. 

In particolare, a marcare uno squilibrio tra strutture assicurate ed auto assicurate è il Fondo di Garanzia per i danni derivanti dalla responsabilità sanitaria, istituito dalla medesima legge al fine di garantire i risarcimenti laddove venga a mancare la copertura assicurativa, o questa sia inferiore al risarcimento dovuto. Come ha commentato Ammirabile, “sebbene sia estremamente importante la sua presenza poiché tutela la vittima del sinistro, porta inevitabilmente a una disparità di contribuzione”.

“Sarebbe necessario, infatti, – ha aggiunto Delia Roselli, Legal and Compliance Manager di Relyens – che anche le strutture auto assicurate intervenissero al foraggiamento del fondo seppur in maniera proporzionale. Non solo: il rischio ulteriore è che, vista la contribuzione e gli alti livelli di tassazione, i maggiori player di qualità si allontanino dal mercato, e con loro le competenze d’eccellenza”.

Il contributo e la visione di Relyens

Convegni così importanti, che vedono Relyens centrale non solo come attore, ma anche come soggetto di parola sul tema, sottolineano l’importanza di costruire e diffondere una cultura del rischio che diventi veicolo anche di prevenzione. Un percorso in cui l’assicuratore assume un ruolo centrale.

“La figura dell’assicuratore è ancora oggi inquinata da scetticismo e sospetto, oltre che spesso limitata alle garanzie di natura finanziaria – commenta ancora Ammirabile – nella visione di Relyens, si tratta invece di un ruolo centrale che promuove best practice e contribuisce alla gestione ottimale del Risk management, ponendosi a garanzia e tutela di tutti gli attori in campo, al fine non solo di ottenere una risoluzione dei sinistri equa e giusta, ma anche per ridurre complessivamente il rischio del mercato”.

“Promuoviamo sicuramente l’innovazione in termini di linee guida e regolamentazioni quantitative e qualitative sul tema dell’autoassicurazione e della contribuzione al Fondo di Garanzia – ha aggiunto Delia Roselli, Legal and Compliance Manager presso Relyens – Si tratta ancora di un sistema che ha ripreso il modello delle RCA, ma che necessita di integrazioni e migliorie che lo rendano pienamente coerente e adeguato al settore sanitario, in modo da implementare al meglio il sistema della responsabilità civile medica. È una richiesta evidente e che deve essere colmata al prima possibile”.

Partecipare ad incontri di tale livello e spessore conferma l’importaza della creazione di un dialogo tra istituzioni e attori del settore: solo attraverso il confronto con i professionisti del settore è possibile, infatti, intercettare le soluzioni milgiori per potenziare una sanità sempre più sicura e quindi di qualità. Creare sinergie positive e soprattutto costruttive è infatti ciò che guida Relyens da sempre nella creazione di progetti e servizi che contribuiscano a creare una solida cultura del rischio all’interno del nostro Paese.

PREVENIRE LE CADUTE OSPEDALIERE: IL NUOVO STUDIO DEL POLICLINICO GEMELLI

Un progetto innovativo per prevenire il rischio di cadute dei pazienti e migliorare la gestione del rischio clinico. L’obiettivo di uno studio portato avanti dal Policlinico Gemelli di Roma prevede lo sviluppo di un albero decisionale che si affianchi alla scala di Conley e migliori la capacità di individuare i pazienti a rischio, utilizzando i dati già a disposizione del personale medico-infermieristico. Ecco in cosa consiste.

Cadute ospedaliere, cosa dice lo studio del Gemelli

Le cadute ospedaliere rappresentano uno dei più frequenti eventi avversi e sono un grave problema sia per la salute dei pazienti che per costi diretti e indiretti che provocano alle strutture: risarcimenti, prolungamento della degenza, preclusione di nuovi ricoveri e danni di immagine. I pazienti anziani e poli patologici sono maggiormente a rischio, così come quelli che provengono dal Pronto Soccorso (anche una volta entrati in degenza nei singoli reparti). 

“Al momento – spiega Vincenzo Maria Grassi, dirigente medico della UOS Risk Management del Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS – il principale strumento di valutazione è la scala di Conley che identifica un paziente come ‘a rischio caduta’ con un punteggio pari o superiore a due, con la Letteratura che segnala una sensibilità del 60-69% e una specificità del 41-61%, valori deponenti per un potere predittivo positivo o negativo sostanzialmente limitato.

Ci siamo chiesti, perciò, se esistesse un modo per migliorare le capacità predittive delle strutture sanitarie, fornendo a medici e infermieri uno strumento più efficace per identificare i pazienti maggiormente a rischio senza, nello stesso tempo, aumentare il loro carico di lavoro.  L’obiettivo, dunque, è stato quello integrare i parametri già raccolti nella nostra cartella clinica digitale per affinare l’indicazione offerta dalla scala di Conley”. 

Da questa premessa è partito uno studio-controllo retrospettivo che ha analizzato la storia clinica di 216 pazienti, 108 con esperienza di caduta e 108 no, valutando i valori di altre tre scale: IDA (l’indice di dipendenza assistenziale); l’indice di Barthel (che misura autonomia della persona nelle attività quotidiane); e il BRASS (Blaylock risk assessment screening score). 

La domanda fondamentale dello studio è stata: possono i valori di queste tre scale essere utilizzati per affinare la predizione sui pazienti identificati a rischio dalla scala di Conley?

“Il risultato dello studio – che è, al momento, in attesa di pubblicazione su una rivista scientifica – è un albero decisionale di 9 livelli con domande dicotomiche che affrontano tutte le possibili variabili. Una valutazione sulla scala di Brass con valore superiore a 2 è un’indicazione generale di rischio, alla quale segue il percorso dell’albero decisionale”. 

“Gli elementi finora raccolti – conclude Grassi – indicano che esistono validi presupposti per continuare la ricerca e la sperimentazione. Puntiamo nel breve futuro a sviluppare un software capace di processare l’albero decisionale, incrociando i dati nella cartella digitale del Gemelli e offrendo ai clinici una predizione del rischio sempre più precisa”.