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PREVENIRE LE CADUTE OSPEDALIERE: IL NUOVO STUDIO DEL POLICLINICO GEMELLI

Un progetto innovativo per prevenire il rischio di cadute dei pazienti e migliorare la gestione del rischio clinico.

L’obiettivo è lo sviluppo di un albero decisionale che si affianchi alla scala di Conley e migliori la capacità di individuare i pazienti a rischio, utilizzando i dati già a disposizione del personale medico-infermieristico. 

Le cadute ospedaliere rappresentano uno dei più frequenti eventi avversi e sono un grave problema sia per la salute dei pazienti che per costi diretti e indiretti che provocano alle strutture: risarcimenti, prolungamento della degenza, preclusione di nuovi ricoveri e danni di immagine. I pazienti anziani e poli patologici sono maggiormente a rischio, così come quelli che provengono dal Pronto Soccorso (anche una volta entrati in degenza nei singoli reparti). 

“Al momento – spiega Vincenzo Maria Grassi, dirigente medico della UOS Risk Management del Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS – il principale strumento di valutazione è la scala di Conley che identifica un paziente come ‘a rischio caduta’ con un punteggio pari o superiore a due, con la Letteratura che segnala una sensibilità del 60-69% e una specificità del 41-61%, valori deponenti per un potere predittivo positivo o negativo sostanzialmente limitato.

Ci siamo chiesti, perciò, se esistesse un modo per migliorare le capacità predittive delle strutture sanitarie, fornendo a medici e infermieri uno strumento più efficace per identificare i pazienti maggiormente a rischio senza, nello stesso tempo, aumentare il loro carico di lavoro.  L’obiettivo, dunque, è stato quello integrare i parametri già raccolti nella nostra cartella clinica digitale per affinare l’indicazione offerta dalla scala di Conley”. 

Da questa premessa è partito uno studio-controllo retrospettivo che ha analizzato la storia clinica di 216 pazienti, 108 con esperienza di caduta e 108 no, valutando i valori di altre tre scale: IDA (l’indice di dipendenza assistenziale); l’indice di Barthel (che misura autonomia della persona nelle attività quotidiane); e il BRASS (Blaylock risk assessment screening score). 

“La domanda fondamentale dello studio è stata: possono i valori di queste tre scale essere utilizzati per affinare la predizione sui pazienti identificati a rischio dalla scala di Conley?

Il risultato dello studio – che è, al momento, in attesa di pubblicazione su una rivista scientifica – è un albero decisionale di 9 livelli con domande dicotomiche che affrontano tutte le possibili variabili. Una valutazione sulla scala di Brass con valore superiore a 2 è un’indicazione generale di rischio, alla quale segue il percorso dell’albero decisionale”. 

“Gli elementi finora raccolti – conclude Grassi – indicano che esistono validi presupposti per continuare la ricerca e la sperimentazione. Puntiamo nel breve futuro a sviluppare un software capace di processare l’albero decisionale, incrociando i dati nella cartella digitale del Gemelli e offrendo ai clinici una predizione del rischio sempre più precisa”. 

CONFRONTO E NON CONFLITTO: COME STA CAMBIANDO IL MANAGEMENT NEL XXI SECOLO

Empatia, propensione all’ascolto ma anche competenze organizzative, mentorship e orientamento al risultato: queste le caratteristiche dei leader di domani. Giuseppe Carchedi racconta l’esperienza al Global Executive Master in Business Administration realizzato dalla SDA Bocconi e dalla Rotman School of Management dell’Università di Toronto.

Qual è il segreto di un manager del XXI secolo? Quali sono le migliori pratiche delle più innovative aziende al mondo?

La risposta di uno degli Executive Master in Business Administration più rilevanti a livello internazionale è duplice: non dimenticare mai la dimensione umana; non dimenticare mai la missione dell’azienda.

Due pilastri, una sola sintesi: “Da una parte, sapersi distaccare dalla propria prospettiva, calandosi nei panni dell’altro, dall’altra l’abilità di comprendere quando smettere di focalizzarsi sui soli dettagli per abbracciare una visione d’insieme e mantenere la rotta prefissata dalla compagnia” – afferma Giuseppe Carchedi, Head of Insurance Operations and Analytics del gruppo Relyens.

La capacità di superare la frizione tra idee diverse facendo sì che il confronto sia l’origine di una soluzione comune e non del conflitto: questo – a fianco di una preparazione tecnica e accademica di eccellenza – è il portato più profondo e duraturo del GEMBA.

Un corso esteso nell’arco di 18 mesi con 10 sessioni di circa una settimana ciascuna, ognuna in una località diversa tra Canada, India, Singapore, Brasile, Stati Uniti, Italia e Danimarca.

Giuseppe Carchedi, Head of Insurance Operations and Analytics del gruppo Relyens.

“Oltre alle lezioni frontali – spiega Carchedi – i partecipanti hanno dovuto affrontare più di 20 lavori di gruppo: progetti da redigere o business case da analizzare, cercando soluzioni comuni hanno innescato dinamiche nelle quali la linea tra il difendere le proprie posizioni e imporle agli altri diventa davvero molto sottile. Qui ho preso consapevolezza del ruolo del manager come mediatore, come agente di un confronto che non è scontro, capace di capire le posizioni altrui e tradurle in un linguaggio comprensibile a tutti, facendo sì che posizioni differenti convergano in un’unione di intenti, coerente e pragmatica”.

Di particolare interesse il modulo di “Change management” che ha portato ad esempio l’arrivo di Marchionne in Fiat. “Marchionne doveva cambiare tutto: progettazione, design, produzione, marketing di una multinazionale. Decise di partire dai servizi igienici e dagli spogliatoi per i lavoratori in fabbrica. Un’azione, più di qualsiasi discorso o annuncio, in grado di trasmettere ai propri dipendenti la concretezza del cambiamento, rendendoli partecipi fin dall’inizio. Quella che si chiama una Quick Win: un riscontro immediato che parta dagli individui”.

“Da troppi anni si è discusso delle aziende come se fossero delle macchine e rispondessero, perciò, a degli accorgimenti tecnici. Ma le aziende sono, a qualsiasi livello, delle comunità di persone e per funzionare bene devono basarsi su relazioni nutrienti e gratificanti”.

La sensibilità della nuova generazione di talenti e il rispetto per il singolo individuo che la caratterizza sta già veicolando questa nuova visione, ma la cultura aziendale è essenziale sia come oggetto sia come attore del cambiamento.

“Nel confronto con i miei colleghi, dalle diverse nazionalità, età e grado di esperienza, mi sono reso conto della fortuna di lavorare in un contesto come Relyens, soprattutto, per il supporto l’entusiasmo e l’incoraggiamento che mi hanno accompagnato per questi 18 mesi. L’investimento su di me come persona – prima ancora che come professionista – il rispetto del mio tempo e della mia serenità mentre acquisivo nuove competenze è stato assoluto”.

“Ogni volta che si parla di produttività e innovazione, si tende a pensare che siano obiettivi raggiungibili solo grazie a nuovi processi di lavoro e all’introduzione di soluzioni tecnologiche. Questi, però, sono solo strumenti. È partendo da basi di civiltà e dal rispetto per la persona che le aziende possono trovare l’energia per metterli a frutto al meglio raggiungendo un respiro e una strategia davvero internazionale e all’avanguardia”.