Acquisizione del consenso informato: come la digitalizzazione contribuisce alla sicurezza

Acquisire il consenso informato prima di sottoporsi ad una procedura più o meno invasiva non è solo un adempimento di legge ma si rivela fondamentale dal punto di vista etico e deontologico.

Strumento di tutela per il paziente – che in questo modo può prepararsi al meglio accrescendo la consapevolezza e la conoscenza pre-intervento – lo è anche per la struttura sanitaria, che mantiene quindi il tracciamento di ogni step proteggendosi da possibili reclami successivi.

Un sistema innovativo adottato dall’Azienda Sanitaria dell’Alto Adige permette di far consultare al paziente tutti i materiali informativi, per poter vivere l’esperienza pre operatoria con più consapevolezza e precisione. Ne abbiamo parlato insieme al dottor Oliver Neeb, Risk Manager dell’Azienda Sanitaria Alto Adige.

Acquisizione del consenso informato, la procedura dell’Azienda Sanitaria dell’Alto Adige

Attraverso tale documento si esplicitano le procedure e i rischi, e si richiedono al paziente molte informazioni fondamentali per erogare le cure in sicurezza.

Può accadere, infatti, che la raccolta di informazioni determinanti in fase di anamnesi possa non essere completa, anche a causa dello stato emotivo del paziente, che può rendere impreciso l’intero processo. Per questo, l’innovazione portata avanti dalla dall’Azienda Sanitaria dell’Alto Adige si rivela una best practice importante – che si trova ancora in una fase di test – attraverso un portale online, infatti, il paziente può completare tutti i campi e leggere i documenti da remoto o in presenza del medico curante, senza alcun tipo di stress. Di contro, la struttura può contare su una tracciabilità oggettiva delle comunicazioni, mettendosi al riparo da eventuali reclami.

In cosa consiste la procedura

Da più di venti anni, la casa editrice Thieme mette a disposizione il software denominato E-consent, che permette alle strutture abbonate di accedere a un catalogo di oltre 2000 schede informative e documenti di acquisizione del consenso informato per tutte le discipline, la maggior parte già disponibili in più lingue oltre all’italiano e al tedesco.

“È un archivio in continua evoluzione – spiega il dottor Oliver Neeb – il cui utilizzo è semplice e intuitivo. I medici infatti possono, selezionare la disciplina di interesse e accedere al catalogo delle schede informative relative alle procedure per le quali è previsto l’acquisizione del consenso”.

Il documento quindi può essere stampato, compilato e firmato a mano o in futuro inviato al paziente tramite link. “Il paziente potrà quindi visionare l’informativa e compilare digitalmente il consenso informato dal comfort della propria abitazione – spiega ancora Neeb. Nei casi in cui non sia possibile l’invio del link, ad esempio per i pazienti affetti da determinate patologie che possono avere difficoltà a leggere e/o comprendere i contenuti da soli, è possibile fornire un tablet negli ambulatori o nei reparti dell’azienda in modo che il paziente possa compilare insieme ad un accompagnatore o in presenza del medico”.

La firma del consenso avviene con firma grafometrica, in ottemperanza ai criteri di privacy e sicurezza. Il consenso acquisito digitalmente potrà essere salvato nel repository aziendale e alimentare il fascicolo sanitario elettronico (FSE) del paziente.

Vediamo quali sono i punti principali su cui si basa questo metodo di raccolta.

Tracciabilità a norma di legge: la normativa sull’acquisizione del consenso informato 

Nel diario clinico risulta la data del rilascio, della revisione e dell’approvazione, oltre che di invio, salvataggio, firma e download. Questo perché lo strumento è pensato anche per supportare le strutture ospedaliere nel tracciamento del complesso processo di acquisizione del consenso informato, definito e disciplinato nel nostro Paese dalla Legge 219/17 (contenente le “norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento” che stabilisce obblighi e doveri di tutti e tre gli attori coinvolti negli aspetti procedurali, ovvero pazienti, équipe medica e struttura sanitaria).

“In questo modo la struttura sanitaria ha sempre un documento che può tutelarla e a cui appellarsi in caso di reclami o richieste di risarcimento – conferma il dott. Neeb – utilizzando un linguaggio chiaro, e dove possibile il supporto di video e immagini, la struttura può adempiere agli obblighi di legge con pochi click e nella certezza di operare in sicurezza”.

Personalizzazione

Un archivio ricco e soprattutto non statico: “Gli operatori possono intervenire personalizzando la scheda informativa, in modo da spiegare nel miglior dettaglio possibile l’intervento al paziente” ma è possibile anche adattare i documenti in base alle normative vigenti nazionali.

“I documenti fanno riferimento agli standard normativi e legislativi europei chiaramente – continua il dottor Neeb. Ma vi sono delle discipline che, invece, obbediscono a normative nazionali, come ad esempio l’interruzione volontaria di gravidanza o il consenso alla trasfusione. In questi casi, è possibile inviare un alert alla casa editrice con la segnalazione: in questo modo sarà la stessa, sotto supervisione delle strutture coinvolte, a adattare il documento”.

Costruzione di un rapporto di fiducia 

Un sistema che rende il processo più veloce e preciso, ma soprattutto crea un ponte di dialogo tracciabile tra medico e paziente: nel documento è prevista anche una sezione di domande aperte per esprimere preoccupazioni o dubbi, che può essere rivista insieme al medico sia di persona che tramite l’invio di materiale aggiuntivo. Inoltre, la possibilità di poter tornare sul documento permette al paziente di reperire informazioni che possono non essere in sua disponibilità sul momento ma che si rivelano utili, se non fondamentali, per la fase di anamnesi.

“Il paziente, in questo modo, percepisce di essere seguito in ogni passo e mai abbandonato – conferma il dottor Neeb – e di fatto la firma del consenso informato non è altro che la formalizzazione della fase informativa in un rapporto di fiducia instaurato tra i soggetti coinvolti”.

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RIDUZIONE SEPSI NEONATALE, RICOVERI COVID MIRATI E RISPARMIO: I RISULTATI DELL’ENTERPRISE RISK MANAGEMENT

45 progetti di miglioramento della sicurezza ospedaliera dimostrano l’efficacia di una rete di Risk Management pro-attivo creata presso la Fondazione Poliambulanza di Brescia. Il cambio di passo della sicurezza inizia con il sostegno della Direzione Generale e si sviluppa con 65 referenti del rischio diffusi capillarmente nei reparti.  La partecipazione attiva e creativa del personale fa sì che la sicurezza abbracci l’intera organizzazione. Solo così tutti i rischi che influiscono sul rischio clinico vengono affrontati e contenuti

Da diversi anni la Fondazione Poliambulanza di Brescia ha abbracciato la formula dell’Enterprise Risk Management, ovvero un approccio alla riduzione del rischio che non si limita al rischio clinico ma affronta tutti i rischi che, “dall’esterno”, hanno effetto sul rischio clinico.  

“La sicurezza – spiega la Risk Manager Carmela De Rango – abbraccia l’intera organizzazione”. 

Il braccio operativo di questo approccio è una rete capillare di 65 responsabili del rischio nei diversi reparti: medici e infermieri che fanno da collegamento quotidiano tra la struttura di RM e i processi operativi, si incaricano di declinare nella pratica i protocolli di sicurezza, segnalare gli eventi sentinella (in una cultura risolutamente no-blame e di garanzia per il personale ) e  proporre miglioramenti. 

“Tutto il personale partecipa, perciò, alla sicurezza e, una volta all’anno, i progetti di miglioramento messi in atto vengono presentati e valutati davanti alla Direzione e a centinaia di colleghi”.  

Quest’anno il concorso interno Sustainable Enterprise Risk Management ( che ha anche vinto il premio SHAM 2021 ) ha visto 45 progetti in “concorso”. 

Quali sono i progetti più importanti che avete valutato quest’anno? 

Nel poco tempo a mia disposizione, i progetti che citerò sono una minima parte di tutto quello su cui Fondazione Poliambulanza si è impegnata.  

E’ stato valutato come vincitore il progetto “Riduzione/Contenimento delle infezioni tardive in terapia intensiva neonatale” che ha portato a un calo delle Sepsi del 74%, con una diminuzione di circa 78 giorni di ricovero in TIN, migliorando le performance assistenziali e liberando numerosi posti letto a favore di altri neonati. Tutto ciò ha prodotto un risparmio di circa 120.000 euro in un anno. 

Al secondo posto si è posizionato il “Follow-up del paziente covid + in PS”: come tutti sapete, ogni giorno vengono ahimè valutati in PS sempre più pazienti covid+, molti dei quali non necessitano di un immediato ricovero ospedaliero e pertanto vengono indirizzati verso il proprio domicilio. Per poter prevenire le complicanze legate all’infezione da SarsCov2 si è reso necessario definire criteri di dimissibilità e organizzare un percorso di follow-up tramite una rivalutazione a distanza dei pazienti coinvolti in tale percorso. A conclusione del progetto si è potuto constatare che i criteri di dimissibilità utilizzati, si sono rivelati efficaci e sicuri nell’evitare ricoveri non necessari e nella rapida identificazione di casi potenzialmente a rischio di rapido deterioramento clinico. 

Al terzo posto si è posizionato la “Standardizzazione delle competenze clinico assistenziali in reparto plurispecialistico”: la necessità di implementare questo progetto è nata con l’avvio di un reparto multidisciplinare (il P-5, dedicato a ospitare pazienti diversi che spaziano dall’ortopedia, alla clinica, alla chirurgia) e con l’esigenza di uniformare le competenze del personale soprattutto infermieristico, per garantire ai nostri pazienti un’uniformità di prestazioni. E’ stato pertanto attivato un programma di miglioramento che ha raggiunto tutti gli obiettivi al 100%. 

Come è avvenuta la valutazione? 

La valutazione di tutti i progetti che hanno aderito ad un concorso interno organizzato dalla Direzione Generale di Fondazione Poliambulanza tramite il Servizio di Risk Management è stata effettuata da una commissione interna ed esterna, all’interno della quale era presente il Risk Manager di Sham, e da una votazione contestuale effettuata in corso di presentazione tramite appositi dispositivi.  

Qual è il minimo comun denominatore dei progetti? 

Un aspetto che accomuna tutti i progetti presentati è il fatto che si sono messi in campo tutti gli operatori di Fondazione Poliambulanza, dall’infermiere al medico coinvolgendo anche i direttori di dipartimento, passando per gli operatori ICT quest’ultimi impegnati nel garantire la sicurezza informatica. Cito pertanto altri tre importanti studi “Ottimizzazione del percorso del paziente dall’accettazione agli ambulatori oculistici”, “Terapia dei pazienti Covid con prognosi sfavorevole” ed infine “Not Alone in the dark” presentato da ICT

Uniformità, padronanza del linguaggio e congruità delle proposte: come misurate la sensibilità del personale al tema del rischio  e come confrontate i risultati dei diversi anni? 

L’aver introdotto, negli anni, criteri di valutazione puramente oggettivi e il grande supporto dimostrato dalla Direzione Generale di Fondazione Poliambulanza hanno portato ad una partecipazione convinta sempre più numerosa. Il lavoro svolto ha incrementato le competenze professionali da una parte, e, dall’altra, incentivato una nuova e diffusa cultura del miglioramento procedurale e personale. Attraverso un percorso di onestà intellettuale le risorse sono capaci di autovalutarsi e, quindi, di raggiungere con più efficacia gli obiettivi. Inizialmente i progetti erano poco strutturati; con il tempo si è rafforzata la competenza del personale nel formualre tutte le parti di un progetto di miglioramento, affinando e approfondendo la capacità di influire e misurare la prevenzione del rischio: riuscendo a lavorare sulle criticità e prevenendo gli eventi avversi. 

C’è anche un valore  ‘immateriale’ in una rete matura di Risk Management diffuso e pro-attivo? 

Rispondo Citando le parole del nostro Direttore Generale: “Che questo modello di partecipazione creativa e attiva, possa contaminare le nostre abitudini professionali”. Tutti gli operatori si sentono coinvolti nella realizzazione di progetti riguardanti il Risk management voluti dall’azienda, creando così valore per l’impresa. Fondazione Poliambulanza è composta da circa 2.000 dipendenti, quindi se ci si impegna in un progetto, scendono in campo 2.000 persone. È proprio questo aspetto che ci caratterizza, che descrive al meglio il “valore immateriale”. Ciò rende tutta l’organizzazione resiliente, crea meccanismi che mettono in relazione aree diverse della struttura, formando a loro volta interazioni tra dipendenti che confrontandosi fra loro, aumentano l’efficacia del progetto e la sua sostenibilità nel tempo, producendo una costante ricaduta positiva. 

La Corporate Social Responsibility ha proprio l’obiettivo di mantenere intatta l’efficienza delle competenze del nostro personale incrementando la sicurezza, abbattendo i costi, favorendo così accesso ai finanziamenti, alla gestione delle risorse umane e alla capacità di innovarsi stando al passo coi tempi. 

Quale è al conditio sine qua non per cambiare passo sulla sicurezza? 

Ci tengo a sottolineare che la volontà della Direzione Generale di credere e di seguire questo progetto fa la differenza. Perseguirne gli obiettivi è certamente molto oneroso ma, al contempo, ambizioso. Non sono molte, infatti, le organizzazioni che possono vantare una Direzione tanto decisa nell’implementare progetti di Risk Management. Il 2022 sarà un anno ancora più proficuo in cui i nostri operatori potranno creare qualcosa di originale, sempre più innovativo e raggiungere gli obiettivi che si sono dati. In conclusione possiamo dire che l’Entreprise Risk Management che Fondazione Poliambulanza ha l’obbiettivo di creare si basa sul principio di garantire la sicurezza di tutta l’organizzazione e non solo di posizionarsi in quella che è la prevenzione del rischio clinico, perché su quest’ultimo intervengono indirettamente tutti gli altri rischi. 

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SIMBABY: UN NUOVO DISPOSITIVO PER LA SIMULAZIONE DI EVENTI CRITICI

ASST Lariana e “Progetto Sorriso nel Mondo Onlus” insieme per formare personale medico e volontari ad affrontare eventi complessi su lattanti e bambini, sia in Italia che nei Paesi in via di sviluppo.

 

La training room dell’Ospedale Sant’Anna, gestita dall’ASST Lariana, si arricchisce di “SimBaby”, un nuovo dispositivo ad alta tecnologia per la simulazione di eventi critici su lattanti e bambini. Il simulatore è stato acquistato grazie al contributo dell’associazione Progetto Sorriso nel Mondo Onlus[1], l’associazione internazionale impegnata nel trattamento e nella cura delle malformazioni cranio-facciali infantili. Con il nuovo dispositivo, l’ASST Lariana ha attivato uno specifico percorso di formazione per il personale medico e i volontari della Onlus, per prepararli a fronteggiare in modo ancora più approfondito e completo scenari ed eventi complessi: “L’attività di addestramento – ha sottolineato Matteo Soccio, direttore sanitario di ASST Lariana – è fondamentale e la tecnologia oggi ci consente esercitazioni e simulazioni di scenari che sono prossimi alla realtà”.

 

SimBaby

“SimBaby”: il dispositivo ad alta tecnologia per la simulazione di eventi critici sui bambini.

 

L’attività formativa verrà implementata soprattutto in quelle aree in via di sviluppo dove la Progetto Sorriso nel Mondo Onlus opera: “Parliamo di procedure, chirurgiche e anestesiologiche che sono da considerarsi già molto critiche negli scenari quotidiani degli ospedali italiani ed europei – ha detto Andrea Di Francesco, responsabile della Uos Chirurgia Maxillo-Facciale Pediatrica di Asst Lariana e presidente e fondatore della onlus Progetto Sorriso nel Mondo –. In contesti di povertà assoluta e di assenza di strutture di riferimento, queste procedure diventano particolarmente difficoltose e richiedono elevate competenze da parte di tutti i volontari. La capacità di affrontare e risolvere le criticità diventa l’obiettivo di tutto il team e la sfida oltre i limiti posti dal contesto. La possibilità di compiere un ulteriore passo di crescita qualitativa è quindi fondamentale”.

Oltre al SimBaby, sono numerosi i corsi di addestramento rivolti al personale interno ed esterno dell’Ospedale Sant’Anna che utilizzano simulatori ad alta tecnologia: “Abbiamo in dotazione un simulatore per l’emergenza in sala parto – ha spiegato Rocco Capasso, responsabile della Formazione di ASST Lariana – dotato di modulo espulsivo che riproduce tutto quanto avviene nel corso di un parto, dalle contrazioni al battito cardiaco materno e fetale; un manichino per la rianimazione cardiopolmonare dell’adulto collegato a monitor e stampante che consente la visione dei tracciati di rianimazione e la stampa della prova di certificazione; defribrillatori trainer per la didattica. Abbiamo, infine, simulatori di arti superiori che hanno permesso di svolgere corsi che hanno ridotto sensibilmente le criticità per l’accesso venoso in sala operatoria su pazienti fragili e pediatrici”.

 

 

[1] L’associazione “Progetto Sorriso nel Mondo Onlus” opera in paesi a basse risorse, come Bangladesh, Burundi e Repubblica Democratica del Congo. Per saperne di più, visita il sito: https://www.progettosorrisonelmondo.org/

 

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RISCHIO CADUTE: MAPPATA L’INTERA ASL LANCIANO VASTO CHIETI

68 requisiti monitorati e informatizzati in una checklist. Una fotografia accurata sui principali fattori di rischio che permette di capire come e dove investire per migliorare.

 

L’Asl 2 Abruzzo, che copre il territorio di Lanciano, Vasto e Chieti, ha effettuato nel 2019 una mappatura integrale di reparti e servizi per quantificare il rischio caduta in ognuno di essi. Sono stati mappati 159 unità operative, ambulatori, RSA e altre strutture territoriali su un totale di 165: il 96 per cento del totale.

“Le caratteristiche degli ambienti delle strutture sanitarie e dei presidi impiegati per prestare assistenza ai pazienti – spiega Maria Bernadette Di Sciascio, responsabile UOC Qualità, Accreditamento e Risk Management – possono influire significativamente sul rischio di caduta dei pazienti. L’obiettivo di questo lavoro concerne la gestione dell’azienda sanitaria: fornire, cioè, alle Direzioni e ai responsabili degli acquisiti e delle manutenzioni un documento che quantifichi il rischio nelle diverse realtà, aiutandoli a scegliere quali interventi effettuare e quale priorità assegnare loro”.

UOC Qualità, Accreditamento e Risk Management, Asl 2 Abruzzo

UOC Qualità, accreditamento e rischio clinico, Asl 2 Abruzzo “Uno degli elementi essenziali del rischio caduta è la diversità degli elementi strutturali o dei presidi medici coinvolti: pavimenti, gradini, letti regolabili, carrozzine e così via– spiega Valentina Manso, Ingegnere biomedico e membro del team del Risk Management -. Ogni ambiente preso in esame presentava una combinazione diversa di punti di forza e debolezze. La mappatura di ogni singolo reparto o servizio è servita a comprendere le reali esigenze in loco, stabilendo un livello quantitativo di rischio e una priorità degli interventi”.

“Ad ogni responsabile è stata, perciò, inviata una checklist organizzata in diverse sezioni e caratterizzata da 68 requisiti. Ad ogni requisito, sulla base di una corposa letteratura, è stato assegnato un indice di rischio da 1 a 5. Tutte le checklist sono state, poi, re-inviate al nostro ufficio e informatizzate per restituire un quadro oggettivo dell’intera situazione. Un quadro sul quale basare gli interventi di miglioramento”.

“Il grande fattore di forza della mappatura – conclude Di Sciascio – sarà, infatti, valutare correttamente il valore e l’urgenza delle richieste di acquisti o di interventi strutturali che provengono dall’intero territorio della ASL: grazie alla checklist, sia la Direzione che gli uffici preposti avranno, d’ora in avanti, uno strumento per contestualizzare gli interventi e decidere quali sono più urgenti e più efficaci per ridurre il rischio cadute”.

Il progetto prevede di rinnovare la mappatura con cadenza periodica ogni due anni. Nel 2019 è stato candidato alla quarta edizione del Premio Sham per la prevenzione dei rischi.

 

 

 

 

INFEZIONI RESISTENTI: IL 30 PER CENTO DI QUELLE EUROPEE È IN ITALIA

I microrganismi resistenti sono praticamente endemici nel nostro Paese ma, lamenta un recente rapporto UE, manca il senso di urgenza che questa situazione dovrebbe generare. “Serve coordinazione ed omogeneità delle misure di prevenzione dal livello nazionale a quello locale – dice Annalisa Pantosti dell’Istituto Superiore di Sanità – e serve farlo in fretta perché la situazione sta peggiorando”

 

“Esistono due problemi nella sanità italiana che sono distinti ma fortemente interconnessi – spiega Annalisa Pantosti, Dirigente di Ricerca del Dipartimento Malattie Infettive Istituto Superiore di Sanità: il primo è quello dei microrganismi resistenti agli antibiotici; il secondo è quello delle Infezioni Correlate all’Assistenza (ICA)”.

“La situazione dei microrganismi resistenti in Italia è molto grave: sono più numerosi e sempre più diffusi sia negli ospedali che nella rete delle strutture assistenziali sul territorio. Il 30 per cento delle infezioni resistenti in Europa è registrata in Italia, il che vuol dire che l’incidenza è drammaticamente maggiore nel nostro rispetto ad altri Paesi europei”.

Il secondo problema, quello delle ICA, sembra, a prima vista, meno grave: le infezioni negli ospedali, RSA e luoghi di cura sono, all’incirca, a livello della media europea e rimangono stazionarie. Questo, però, non è un risultato particolarmente incoraggiante per due motivi: il primo è il fatto che, nonostante gli sforzi, le infezioni contratte nei luoghi di cura non stiano diminuendo; il secondo è che, data la peculiare situazione italiana, una quota molto alta – circa un terzo – delle 530mila nuove ICA all’anno, è data da un microrganismo resistente”.

“Va da sé che ogni infezione resistente, ICA o meno, è più difficile da curare, più lunga e più costosa, ha maggiori probabilità di uccidere i malati e, anche in caso di guarigione, di aumentare il bacino e l’estensione delle resistenze, perché i pazienti anziani e fragili, che sono i più colpiti dalle infezioni resistenti, continuano a spostarsi da un setting assistenziale all’altro aumentando la diffusione delle resistenze”.

Perché la situazione italiana è tanto più grave di quella europea?

“In un recente rapporto [1] del Centro Europeo per il Controllo e la Prevenzione delle Malattie (ECDC) sono stati indicati due fattori di particolare rilievo. Il primo è quella che potremmo chiamare una sorta di ‘rassegnazione’: le resistenze sono così diffuse in Italia che non vengono più percepite come un’eccezione dai medici e dirigenti sanitari, ma un fatto quasi endemico. Non è così in altri Paesi europei. Ho parlato con medici che hanno ricevuto telefonate da ospedali francesi o belgi nelle quali venivano allertati sul fatto che un loro paziente era stato trovato positivo ad un batterio resistente. Questo significa che in Europa l’identificazione di una resistenza genera allarme. In Italia non è percepita come una priorità a qualsiasi livello politico o sanitario. Il secondo fattore nel rapporto ECDC è la regionalizzazione, ovvero lo squilibrio tra Regioni che hanno politiche di prevenzione e monitoraggio avanzate e Regioni che non ne hanno. Questo squilibrio, in parte anche per lo spostamento dei pazienti, riduce o vanifica l’efficacia degli sforzi virtuosi”.

Quindi, quali sono le misure che potrebbero fare la differenza?

Il primo passo è riconoscere che c’è un’emergenza. Il rapporto ECDC parla esplicitamente di «grave minaccia per la salute del Paese», di «iper-endemia» per alcuni batteri resistenti e del rischio concreto che, se il trend attuale non viene invertito, nel prossimo futuro la fattibilità di diversi e importanti interventi medico-chirurgici verrà messa in pericolo [2]”.

“Il secondo passo è riconoscere che, a prescindere dai protocolli, esistono delle debolezze strutturali nella Sanità italiana: gli edifici sono spesso vecchie strutture e il personale sanitario – medici ed infermieri – è scarso, soprattutto quello dedicato al controllo delle infezioni. Questi elementi pesano nella diffusione delle resistenze, pesano nei Pronto Soccorso promiscui e affollati, pesano nel corretto – o meno – utilizzo di antibiotici nelle RSA con pochi infermieri e pochissimi medici”.

“Il terzo passo è l’implementazione del Piano Nazionale di Contrasto dell’Antimicrobico-Resistenza avviato nel 2018. Abbiamo bisogno di avere un approccio omogeneo tra Regioni e tra i diversi livelli di assistenza nelle singole Regioni. Abbiamo bisogno di coordinare gli interventi e di far sì che tutti gli attori sanitari, dai dipendenti ospedalieri ai Medici di Medicina Generale, conoscano la situazione delle resistenze nei rispettivi territori e agiscano di conseguenza e consapevolmente, a partire dalla prescrizione degli antibiotici che hanno più probabilità di rivelarsi efficaci in un particolare contesto senza sprecare antibiotici che dovrebbero essere tenuti ‘di riserva’”.

È importante ribadire che la situazione delle resistenze è seria e che bisogna intervenire in maniera decisa e sistematica. Altrimenti anche le conseguenze saranno altrettanto gravi: sia sui costi che sull’efficacia delle cure, andando ad incidere in maniera sempre più dannosa sulla salute e sulla vita dei pazienti più fragili”.

 

 

 

[1] ECDC Mission Report: Country visit to Italy to discuss antimicrobial resistance issues 9-13 January 2017

[2] Ibidem. ‘Conclusion’ pag. 6 “If the current trends of carbapenem resistance and colistin resistance in gram-negative bacteria such as Klebsiella pneumoniae and A. baumannii are not reversed, key medical interventions will be compromised in the near future.