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Legge Gelli Bianco e un sistema sostenibile di responsabilità sanitaria

Un parterre di relatori d’eccezione, provenienti da esperienze e settori di competenza diversi, si è ritrovato in Senato in occasione di un convegno dedicato a raccogliere spunti, riflessioni e proposte di implementazione sulla legge 24/2017, nota come Legge Gelli Bianco che ha introdotto per le strutture sanitarie l’obbligo di assicurazione e quello di dotarsi di servizi di risk management.
“La legge nasce con la più nobile delle intenzioni, ovvero quella di tutelare il danneggiato – ha commentato Diego Ammirabile, Head of Claims Relyens – A sei anni dalla sua introduzione, tuttavia, nella sua applicazione emergono delle lacune e delle problematiche che rischiano di mettere in secondo piano tale intento”.

Cosa è emerso dal convegno

Il convegno, promosso su iniziativa del Senatore Antonio Guidi e in collaborazione con la Società Medico-Giuridica Melchiorre Gioia,  tenutosi presso la Sala Zuccari mercoledì 28 giugno, ha visto la partecipazione di diversi attori coinvolti.

Molti i contributi e le testimonianze in interventi complementari, che hanno restituito una solida e tecnica ricostruzione del quadro normativo che volge a tutelare integralmente sia le strutture sia gli operatori sanitari, tenendo sempre il focus sul risarcimento del danneggiato.

“Il convegno è stato un vero e proprio incubatore di idee, una analisi di diritto costituzionale, tecnica e non politica – ha commentato ancora Ammirabile – Gli interventi, concentrandosi su dati e limiti della legge, hanno sollevato all’unanimità come sia urgente colmare una contraddizione su tutte: se da una parte è necessario avvicinare il rapporto tra vittima, istituzioni e ospedali, è altrettanto urgente ridurre la disparità di trattamento tra strutture auto assicurate e non, che nella realizzazione stride in maniera molto forte con lo spirito e il senso della legge”.

Punti di attenzione della legge Gelli Bianco sulla responsabilità sanitaria

Il sistema misto, infatti, legittima i diversi binari della responsabilità in ambito sanitario: da un lato quella contrattuale, a carico delle strutture sia pubbliche che private, e dei medici, dall’altro l’extracontrattuale, rivolta a chi svolge la professione sanitaria in una struttura o in convenzione con il Servizio Sanitario Nazionale. 

In particolare, a marcare uno squilibrio tra strutture assicurate ed auto assicurate è il Fondo di Garanzia per i danni derivanti dalla responsabilità sanitaria, istituito dalla medesima legge al fine di garantire i risarcimenti laddove venga a mancare la copertura assicurativa, o questa sia inferiore al risarcimento dovuto. Come ha commentato Ammirabile, “sebbene sia estremamente importante la sua presenza poiché tutela la vittima del sinistro, porta inevitabilmente a una disparità di contribuzione”.

“Sarebbe necessario, infatti, – ha aggiunto Delia Roselli, Legal and Compliance Manager di Relyens – che anche le strutture auto assicurate intervenissero al foraggiamento del fondo seppur in maniera proporzionale. Non solo: il rischio ulteriore è che, vista la contribuzione e gli alti livelli di tassazione, i maggiori player di qualità si allontanino dal mercato, e con loro le competenze d’eccellenza”.

Il contributo e la visione di Relyens

Convegni così importanti, che vedono Relyens centrale non solo come attore, ma anche come soggetto di parola sul tema, sottolineano l’importanza di costruire e diffondere una cultura del rischio che diventi veicolo anche di prevenzione. Un percorso in cui l’assicuratore assume un ruolo centrale.

“La figura dell’assicuratore è ancora oggi inquinata da scetticismo e sospetto, oltre che spesso limitata alle garanzie di natura finanziaria – commenta ancora Ammirabile – nella visione di Relyens, si tratta invece di un ruolo centrale che promuove best practice e contribuisce alla gestione ottimale del Risk management, ponendosi a garanzia e tutela di tutti gli attori in campo, al fine non solo di ottenere una risoluzione dei sinistri equa e giusta, ma anche per ridurre complessivamente il rischio del mercato”.

“Promuoviamo sicuramente l’innovazione in termini di linee guida e regolamentazioni quantitative e qualitative sul tema dell’autoassicurazione e della contribuzione al Fondo di Garanzia – ha aggiunto Delia Roselli, Legal and Compliance Manager presso Relyens – Si tratta ancora di un sistema che ha ripreso il modello delle RCA, ma che necessita di integrazioni e migliorie che lo rendano pienamente coerente e adeguato al settore sanitario, in modo da implementare al meglio il sistema della responsabilità civile medica. È una richiesta evidente e che deve essere colmata al prima possibile”.

Partecipare ad incontri di tale livello e spessore conferma l’importaza della creazione di un dialogo tra istituzioni e attori del settore: solo attraverso il confronto con i professionisti del settore è possibile, infatti, intercettare le soluzioni milgiori per potenziare una sanità sempre più sicura e quindi di qualità. Creare sinergie positive e soprattutto costruttive è infatti ciò che guida Relyens da sempre nella creazione di progetti e servizi che contribuiscano a creare una solida cultura del rischio all’interno del nostro Paese.

GOVERNANCE, RISK MANAGEMENT E GESTIONE DEL CONTENZIOSO NELLE AZIENDE E NELLE ALTRE STRUTTURE SANITARIE

Anche quest’anno il via al corso universitario di aggiornamento professionale “Governance, risk management e gestione del contenzioso nelle aziende e nelle altre strutture sanitarie” dell’Università degli Studi di Torino.

L’insegnamento si propone di formare i professionisti del settore sanitario in merito alle logiche ed agli strumenti inerenti la governance e la gestione del rischio clinico e dei sinistri  così come supportarli nella comprensione e nell’applicazione dei metodi più appropriati per affrontare le problematiche ad essi legate.

Il percorso formativo, in formula ibrida, avrà inizio il 28 settembre 2022, per un totale di 80 ore di lezione.

Le pre-immatricolazioni sono aperte a partire da giovedì 7 luglio 2022.

Per informazioni e dettagli:
https://lnkd.in/dYUp8Xz

Ricoverati tre bambini con sindrome di Kawasaki potenzialmente correlata al Covid

Comunicazione dell’Asst Lariana. 

 

Tre bambini, di 5, 3 e 2 anni, residenti in comuni della provincia di Como, sono stati ricoverati nelle scorse ore all’ospedale Sant’Anna con sindrome di Kawasaki potenzialmente correlata al Covid-19. Per due di loro si è reso necessario il trasferimento nelle terapie intensive pediatriche di Bergamo, ospedale Papa Giovanni XXIII, e di Milano, ospedale Buzzi, stante l’interessamento infiammatorio del tessuto cardiaco (miocardite). Le due strutture rappresentano l’eccellenza rispetto al trattamento di questa patologia infantile. Il terzo bimbo è tuttora ricoverato al Sant’Anna dove si stanno ultimando i necessari accertamenti. Febbre alta da oltre tre giorni, congiuntivite, eruzioni cutanee, gonfiore e/o arrossamento delle mani e dei piedi sono i principali sintomi della malattia di Kawasaki, che è una rara malattia infiammatoria che colpisce i vasi sanguigni (vasculite) e che colpisce in genere i bambini di età inferiore ai cinque anni.

Dagli studi finora pubblicati sembra che la Kawasaki – le cui cause sono tuttora sconosciute – possa essere favorita da una reazione immunitaria eccessiva ad un’infezione, reazione che il Covid, appunto, potrebbe provocare. Questo è quanto ipotizza, ad esempio, un recente studio pubblicato sulla rivista scientifica The Lancet dalla Pediatria dell’ospedale di Bergamo sul legame tra Covid-19 e la malattia di Kawasaki. Lo studio ha analizzato 10 casi di bambini con sintomi compatibili con una diagnosi di  malattia di Kawasaki arrivati al Papa Giovanni XXIII tra il 1 marzo e il 20 aprile 2020. Nei 5 anni precedenti questa malattia era stata diagnosticata in soli 19 bambini. “Nessuna paura e nessun allarme – osserva il primario della Pediatria del Sant’Anna, Angelo Selicorni – I genitori devono essere  attenti a monitorare una serie di campanelli d’allarme che i pediatri di famiglia ben conoscono: oltre ad una febbre alta da più giorni, comparsa di congiuntivite, labbra o bocca secche, uno stato di debolezza generale, arrossamento e/o gonfiore delle mani e dei piedi e aumento di dimensione di alcuni linfonodi. In questi casi è necessario approfondire la situazione con accertamenti mirati ed attivare le terapie necessarie”. “Considerato il numero di casi che si sono registrati – osserva il direttore generale di Asst Lariana, Fabio Banfi – abbiamo offerto ad Ats Insubria la possibilità di organizzare un incontro on-line dei nostri medici con i pediatri del territorio, e se servisse anche della provincia di Varese, per presentare la sintomatologia emersa e i segnali da non sottovalutare”.

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DATA MANAGEMENT: LA SANITÀ ITALIANA È PRONTA A QUESTA SVOLTA? UN SONDAGGIO DÀ IL VIA ALLA RICERCA

20 domande per capire a che punto siamo e cosa serve per migliorare. Sham e Università di Torino lanciano l’indagine conoscitiva “Capire il rischio cyber: il nuovo orizzonte in sanità” che ha già ricevuto il patrocinio di cinque attori autorevoli nell’ambito della sanità e del risk management. “Quella che proponiamo è una call-to-action alle strutture sanitarie, nostre associate  e non  – annuncia il direttore esecutivo della Mutua Roberto Ravinale -. Un invito ad essere partecipi di una visione e di un processo congiunto. È necessario avere  informazioni affidabili per prepararci al nuovo”.

 

Già mesi fa l’App per il tracciamento del COVID-19 nel Regno Unito aveva raggiunto tra i 3 e i 4 milioni di utenti. La App Immuni in Italia ha superato i due milioni. “L’ingresso massiccio dei dati in ogni ambito sanitario è ormai inconfutabile e sono poche le realtà in Italia o in Europa realmente pronte a gestirlo – avverte Roberto Ravinale che annuncia il lancio, assieme al Dipartimento di Management dell’Università di Torino di una indagine conoscitiva aperta a tutto il panorama sanitario in Italia. Lo scopo è conoscere il livello di preparazione della Sanità italiana relativamente alla raccolta, all’impiego e alla conservazione dei dati sanitari.

“L’evoluzione sanitaria in ambito data management è in atto e si rende necessaria la rapida definizione di un framework per la sicurezza e l’impiego dei dati sanitari. Questa straordinaria fonte di informazioni può contribuire sensibilmente alla cura e alla prevenzione, ma è opportuno venga impiegata in modo omogeneo e sicuro su tutto il territorio nazionale; sicuro sia per i cittadini che per le realtà sanitarie che raccolgono, conservano e impiegano per la ricerca e per la cura i dati in questione. Dubbi sulla responsabilità civile, aree grigie nei protocolli o negli scambi tra attori sanitari e uno sviluppo dell’innovazione a macchia di leopardo sono una grave perdita di opportunità. Per evitarlo, per capire come adattarsi al cambiamento, è necessario un quadro oggettivo all’interno del quale muoversi”.

La ricerca “Capire il rischio cyber: il nuovo orizzonte in sanità” che si propone di fornirlo nasce in seno alla Borsa di studio istituita presso il Dipartimento di management sostenuta dalla Mutua Sham, e ha già ricevuto il patrocinio di autorevoli punti di riferimento nell’ambito della sanità e, nello specifico, del risk management sanitario[1]. Lo strumento scelto è un questionario digitale che prevede non più di 20 domande.

Gli esiti del questionario verranno poi restituiti in un white paper che illustrerà la sintesi integrata dei dati.

L’obiettivo della ricerca è avere una visione rappresentativa ed estremamente accessibile agli addetti ai lavori ma che consenta di valutare la preparazione del panorama sanitario.

Spiega Ravinale: “Vogliamo capire quale sia il grado di sensibilità in termini di gestione dei big data in ambito sanitario, quali siano le competenze sviluppate, quali le figure professionali assunte per cyber security; quali eventi avversi si siano verificati e quali precauzioni siano state prese per migliorare le difese”.

Informazioni affidabili da mettere al servizio di tutto l’orizzonte sanitario per prepararci al cambiamento, questo il nostro obiettivo –  conclude Ravinale.- Per questo lanciamo un appello agli stakeholder del panorama sanitario”. Vi invitiamo a divenire attori, ad impegnarvi in un processo partecipativo con una visione: sviluppare assieme le migliori soluzioni basate sull’evidenza e farle divenire best practice nazionali”.

 

Per partecipare alla ricerca clicca sul seguente link.

 

 

 

[1] In ordine alfabetico:  Associazione Nazionale dei Medici delle Direzioni Ospedaliere (ANMDO); Associazione Religiosa Istituti Socio Sanitari ( ARIS);   Consorzio universitario per l’ingegneria nelle assicurazioni (CINEAS); Federsanità – ANCI; la Società Italiana Rischio Clinico (SIRiC).

 

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OBESITÀ: COMBATTERE LO STIGMA PER RIDURRE IL RISCHIO

Un quarto dei 25 milioni di italiani sovrappeso è minorenne e il trattamento viene spesso ritardato con il rischio di sviluppare danni e patologie collaterali. Il progetto ObeCity punta a far riconoscere l’obesità come malattia organica, genetica e sociale, e a curarla conseguentemente e per tempo.

 

Secondo un rapporto redatto dall’Italian Barometer Diabetes Observatory Foundation in collaborazione con Istat, sono 25 milioni di italiani in sovrappeso o obesi. Tra questi il 46% è composto da adulti e il 24% da giovani under 18. Eppure, parlare di obesità è ancora un tabù. Si sa che dare il giusto nome alle cose aiuta a conoscerle e quindi, a combatterle. Per questo la comunità scientifica preme da diversi anni affinché l’obesità venga riconosciuta a tutti gli effetti come una malattia. «Finché non comprenderemo che l’obesità è una malattia in parte organica, in parte genetica e in parte sociale, non potremo combattere lo stigma e offrire le cure necessarie» spiega infatti il Professor Michele Carruba, Presidente Advisory Board ObeCity, Presidente del Centro di Studi e Ricerche sull’obesità dell’Università degli studi di Milano.

Con il contributo di SG Company e Medtronic, ha fondato il progetto ObeCity proprio per avviare una campagna di sensibilizzazione in materia: per ora si tratta di una attività solo digitale, ma non appena sarà possibile si trasformerà in una serie di interventi nel territorio. Perché parlare di obesità non solo aiuta a ridurre lo stigma sociale, ma anche a favorire la prevenzione e la corretta cura, facendo appello anche ad un sistema sanitario che deve necessariamente aggiornarsi con le necessità dei propri cittadini.

 

Michele Carruba, Presidente Advisory Board ObeCity

Michele Carruba, Presidente Advisory Board ObeCity

 

Perché parlare di obesità è ancora così difficile e non viene riconosciuta come una malattia vera e propria?

 

È un problema molto italiano: l’Organizzazione Mondiale della Sanità infatti da tempo ha riconosciuto l’obesità come una malattia, e molti paesi si sono adeguati, permettendo quindi al sistema sanitario di poter curare la malattia in maniera adeguata. Oggi in Italia c’è molta confusione su quanto il nostro sistema sanitario aiuti una persona obesa nelle cure, perché spesso non sono disponibili i servizi dietetici, o sono presenti a macchia di leopardo, seppur con diverse eccellenze. Una risposta che però non è sufficiente ed adeguata alle richieste della popolazione.

Il sistema sanitario nazionale purtroppo interviene, anche economicamente, nel momento in cui la malattia è già in stato avanzato. In un certo senso, una persona obesa per poter accedere alle cure di cui ha bisogno si trova a dover aspettare di aumentare il peso di decine e decine di chili, esponendosi quindi anche ad altre malattie connesse. Ad esempio, è difficile, se non impossibile, avere accesso ai dati di persone decedute per obesità: questo perché vengono considerate proprio le altre malattie conseguenti e non quella a monte, con evidenti ostacoli anche per la ricerca e lo studio.

 

Oltre al problema del sistema sanitario, all’obesità e alla sua percezione è connessa anche una forte componente sociale…

 

L’obesità è una malattia multifattoriale. C’è una parte organica della malattia, dove l’aumento di peso è dovuto ad un evidente squilibrio nel funzionamento omeostatico dell’organismo, nella sua autoregolazione, che va indagato a dovere per poter essere curato. Esiste anche un fattore genetico, che porta alcune persone ad essere predisposte all’obesità. Queste a volte non ne sono nemmeno a conoscenza, perché la predisposizione non significa necessariamente lo sviluppo della malattia. Infine, c’è un aspetto sociale e culturale, a sua volta ambivalente. Intanto l’utilizzo di insulti legati al peso è molto diffuso e concesso, e fa trasparire una percezione del problema come una incapacità di controllare l’appetito: questo ha degli evidenti risvolti psicologici nel malato che peggiorano inevitabilmente la condizione. Inoltre, la non percezione dell’obesità come malattia porta chi ne è affetto a dover aspettare l’aggravarsi delle sue condizioni per poter avere un riscontro, e a volte la situazione degenera, diventando troppo grave per poter essere affrontata a dovere.

 

ObeCity quindi si pone come ponte tra la sensibilizzazione, la prevenzione e la cura?

 

Assolutamente. Da ragionamenti di questo tipo è nata l’idea di creare uno spazio, per ora digitale, che promuovesse un cambiamento culturale e di conseguenza istituzionale. Vogliamo rendere noto il problema alla popolazione e alla comunità scientifica. L’obiettivo è quello di far in modo che gli obesi vengano presi in considerazione e trattati al pari di altri malati. Contemporaneamente è importante promuovere una cultura dell’alimentazione corretta e bilanciata al nostro contesto sociale, che in un certo senso è “obesogeno”, dove spesso la tecnologia ci porta a fare meno fatica ed usare meno energie.

 

Quali sono gli step che si pone adesso ObeCity?

 

Il percorso di Obecity Digital Village è iniziato a giugno, con la presentazione in anteprima durante il Wired Health 2020, e sui nostri canali social abbiamo già cominciato a proporre dei contenuti di sensibilizzazione. A settembre la piattaforma editoriale Obecity Digital Village prenderà ufficialmente vita, utilizzando sempre i nostri social network come amplificatori del nostro messaggio. Solo nel 2021, quando si spera l’emergenza legata al Covid-19 sarà superata, potremo passare allo step fisico del progetto, promuovendo una serie di eventi mirati nel territorio nazionale.

 

Per scoprire di più sul progetto ObeCity, è possibile vistare il sito ufficiale, o seguire gli account social Facebook e Instagram.

 

 

 

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ESEMPI DI SANITÀ DURANTE IL COVID: DAL TELEMONITORAGGIO AGLI INTERVENTI D’AVANGUARDIA SU FETO

Una panoramica non sistematica di reazioni e azioni durante la pandemia, che spazia tra picchi di innovazione, quali le T-shirt per il telemonitoraggio cardiorespiratorio e le aree buie della rinuncia alle cure e riduzione fino al 40 per cento delle procedure salvavita con effetti che si misureranno negli anni a venire.  

 

L’emergenza Covid-19 ha ridisegnato le priorità e gli assetti organizzativi della Sanità nazionale, dall’inizio di gennaio 2020 ad oggi il sistema ospedaliero è stato costretto a ripensare Reparti e gestione delle Risorse in un’ottica di confronto con una pandemia che ben difficilmente avremmo ritenuto essere così radicata nel presente.

Siamo passati da una Fase 1 determinata dagli sforzi volti a comprendere la natura dell’agente patogeno ed a porre in atto strategie di contenimento (che hanno visto coinvolto totalmente il Sistema Sanitario italiano) all’odierna Fase 2 focalizzata non solo sulla definitiva e radicalizzazione del virus ma anche sullo studio ed implementazione di nuovi modelli operativi nell’interazione sanità/paziente.

A tale proposito l’introduzione di soluzioni informatiche in ambito sanitario finalizzate ad una gestione delle visite “a distanza” se nell’immediato presente risponde a quelle esigenze di tutela imposte dal fenomeno pandemico, nel prossimo futuro risponderanno a criteri di ottimizzazione e gestione dell’attività sanitaria.

Come affermato dal Prof. Sergio Pillon (Direttore del CIRM, ex ricercatore del CNR) nel corso di un’intervista  rilasciata al dr. Guido Bartolomei (Manager presso Health Point) la Telemedicina è l’insieme dei processi che si declinano in televisita, telemonitoraggio, telecooperazione e teleassistenza, ridisegnando il rapporto tra il paziente ed il medico curante.

Nella televisita il paziente condivide con il medico informazioni ed esiti di accertamenti già eseguiti ed il curante esprime un parere in relazione ai dati messi a disposizione.

Il Telemonitoraggio consente al medico di ottenere in modo costante informazioni e dati obiettivi riguardanti i parametri generali o specifici dell’assistito.

La Telecooperazione riguarda le attività sinergiche tra operatori sanitari (un infermiere che sotto indicazioni di un’odontoiatra introduce una telecamera endorale per la diagnosi a distanza di eventuali patologie) 

La Teleassistenza che si esplica in un contesto socio sanitario, fornisce supporto alle figure assistenziali prive di una formazione medica approfondita ed incaricate della cura di persone particolarmente fragili o bisognose di continue attenzioni. 

Grazie alla telemedicina è inoltre possibile attivare un network ospedale-medici-territorio, per monitorare i pazienti, assisterli nelle malattie croniche e favorire la prevenzione.

Con una delibera approvata il 5 maggio 2020, su proposta dell’Assessore alla Sanità, Manuela Lanzarin, la Giunta regionale del Veneto ha dato indicazione alle Ulss di utilizzare la telemedicina nell’erogazione dei servizi sanitari, incaricando al contempo Azienda Zero di redigere un documento di definizione degli standard di servizio propri delle prestazioni di telemedicina e di elaborare un progetto specifico.

Come evidenziato dallo stesso Assessore in un’intervista rilasciata al “Quotidiano Sanità.it” l’avvio su ampia scala dell’erogazione di servizi sanitari in telemedicina è diventato una necessità al fine di limitare il rischio di contagio da Covid-19.

In conclusione lo sviluppo e l’applicazione di nuove tecnologie informatiche e nel campo della sensoristica permettono la creazione di supporti per la telemedicina perfettamente esemplificati dal progetto realizzato presso il Centro Cardiologico Monzino: una speciale T-shirt consentirà il monitoraggio dei principali parametri cardiorespiratori dei pazienti dimessi dall’ospedale con polmonite da Covid-19. La rilevazione verrà effettuata tramite sofisticati sensori incorporati nel tessuto della T- shirt indossata dal paziente mentre è a casa.

Nonostante la pandemia abbia catalizzato risorse umane ed economiche, la Sanità italiana ha continuato nel suo percorso di eccellenza in settori quali la chirurgia. Il 17 aprile 2020 presso l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma viene eseguito un intervento su un feto alla 28 settimana, ancora nel grembo materno, per trattare un’ernia diaframmatica congenita, patologia che nelle forme più gravi ha un tasso di mortalità del 90%.

In sala operatoria l’équipe di specialisti dell’Ospedale Policlinico di Milano, Dell’Ospedale San Piero-Fatebenefratelli e dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, hanno posto in essere una delicata procedura posizionando nella trachea del feto un palloncino che consentirà lo sviluppo dei polmoni aumentando le chance di sopravvivenza del feto stesso.

Occorre, però per spirito di obiettività, soffermarsi non solo sulle luci ma anche sulle ombre.

Se la pandemia ha generato un forte impulso verso l’innovazione e la riorganizzazione è altresì vero che sono emerse significative criticità nella gestione di alcune patologie come ad esempio quelle cardiovascolari.

La Società Italiana di Cardiologia negli ultimi mesi ha lanciato un allarme in ragione della diminuzione degli accessi in P.S. di pazienti con manifestazione dell’infarto del miocardio, causati dalla paura del COVID -19. (questo tema è trattato da Sanità 360° anche qui, ndr: Le morti indirette del covid-19: lo studio sul calo dei ricoveri per infarto)

Uno studio effettuato in Piemonte ha evidenziato come tra marzo e aprile del 2019 gli accessi in P.S. per patologie cardiache trattati poi con angioplastica primaria era di 382, nel 2020 nello stesso periodo il dato si riduce a 239 accessi. Anche per quanto attiene le procedure di riapertura dei vasi ostruiti (contando anche gli interventi programmati) passa da 1.714 del 2019 a 945 nel 2020. 

La riduzione di cui sopra è stata riscontrata anche dal Centro Cardiologico Monzino, i cui sanitari hanno rilevato che la mortalità per infarto acuto è quasi triplicata e le procedure salvavita si sono ridotte del 40%. Non risulta infatti possibile che il numero degli infarti sia calato, laddove questa tendenza venisse confermata, si avrà una mortalità per infarto superiore a quella legata alla pandemia. 

A livello nazionale sono stati creati degli Ospedali hub deputati al trattamento delle emergenze cardiovascolari. In Piemonte l’Ospedale Mauriziano di Torino ha creato e messo in atto un protocollo per accogliere in sicurezza i pazienti con patologia cardiaca che necessitano di un trattamento urgente salvavita, percorsi dedicati con personale specializzato in modo che il paziente che necessita di cure possa accedervi in assoluta sicurezza.

Il responsabile dell’Unità Operativa Complessa di Cardiologia dell’Ospedale Mauriziano Dott. Giuseppe Musumeci ritiene che vi sia un altro aspetto che rischia di provocare un aumento dei decessi, ovvero la mancata aderenza terapeutica.  Rileva come durante l’emergenza COVID-19 siano stati annullati tutti gli interventi programmati e le visite di controllo. Appare opportuno rilevare come molti malati cronici, in cura per ipertensione e/o ipercolesterolemia (fattori di rischio cardiovascolari), potrebbero aver sospeso le cure durante il Look down, nonostante l’Agenzia Italiana del Farmaco abbia rinnovato per un periodo di tre mesi i piani terapeutici in atto, consentendo ai pazienti, terminati i medicinali, di non recarsi in ospedale e/o in ambulatorio per la prescrizione. 

Le conseguenze di tali comportamenti potrà essere scoperto con sicurezza solo con una latenza di due anni. 

 

Alessandra Berra e Monica Marchetti

FARMACI E CURE, L’AVVIO DI UN SISTEMA AUTOMATIZZATO

L’innovativo progetto dell’ASST di Pavia. L’iniziale esperienza di implementazione della raccomandazione 17.

 

La terapia farmacologica è un processo non semplice e a volte può causare anche dei danni, alcuni prevedibili e altri no. Ciò può capitare ad almeno un paziente su 10 mentre riceve cure mediche, per un totale complessivo di quasi 43 milioni di lesioni da errori medici riportate ogni anno nel mondo (dati OMS 2017[1]). È questo il contesto nel quale è maturato il progetto dell’ASST di Pavia sul “Sistema automatizzato di prescrizione del farmaco” che ha ottenuto una Menzione Speciale al Premio Sham 2019. L’obiettivo è stato quello di «migliorare la qualità prescrittiva e anche la sicurezza» perché tale sistema consente di misurare alcuni dati. Infatti, la continuità e la sicurezza terapeutica rappresentano uno dei pilastri della qualità dell’assistenza e i passaggi di pazienti da un setting di cura all’altro, compreso il momento dell’ammissione in ospedale e della dimissione, che sono una potenziale fonte di rischio. Ecco perché devono essere gestiti attraverso un processo adeguato di ricognizione e riconciliazione della terapia farmacologica.

 

 

Nella ASST di Pavia vi è un sistema automatizzato in funzione dal 2012 per la gestione della terapia, sia per alcune fasi di preparazione “sistema monodose”, che per la prescrizione e la somministrazione. Nel 2016 si è costituito un gruppo di lavoro multidisciplinare per usare le potenzialità del sistema automatizzato per poter disporre di un sistema di valutazione dell’efficacia anche in termini di “barriera” per gli errori terapeutici. Il sistema è utilizzato da 1.550 utenti che vengono regolarmente formati sul suo utilizzo per gestire circa 27.000 ricoveri anno. Il numero medio di prescrizioni per paziente di 2,5/die, 172.131 sono le interazioni farmacologiche segnalate nel 2019 pari a 8,7 interazioni/paziente e monitorate. Il numero di somministrazioni è di 5.445 somministrazioni/die e 6 sono le somministrazioni medie per paziente/die. Il software per il farmaco, integrato con gli altri sistemi informatici, è lo strumento che alimenta il cruscotto di indicatori. In questo modo, tutti gli operatori sono stati coinvolti e hanno partecipato alla fase di sviluppo per il processo “implementazione raccomandazione 17”.

Le potenzialità del sistema automatizzato per la preparazione della terapia possono prevederne anche un uso nella medicina penitenziaria: in questo caso specifico il progetto è in fase di definizione. Lo studio ha riguardato casi specifici come le allergie: qui la percentuale dei pazienti allergici ricoverati si mantiene solitamente intorno al 21% e questi sono riconoscibili con un braccialetto identificativo di colore diverso. Un altro aspetto importante ha riguardato la profilassi antibiotica in chirurgia: dal 2018 si è implementata la linea guida per una corretta profilassi antibiotica in chirurgia. I dati del primo semestre del 2019 hanno dimostrato che solo nel 10% dei casi la terapia  è stata somministrata anche se non prevista nelle linee guida. Dal mese di aprile 2019, è stata monitorata la compilazione del modulo di ricognizione all’ingresso: il monitoraggio della fonte informativa da cui si ricavano le informazioni utili per la fase di ricognizione individuava nel 72% dei casi l’informazione vocale data dal paziente, nel 10% la lettera di dimissione, nell’8% la lista dei farmaci redatta dal medico curante/medico di MMG.

 

[1] Federfarma; Ansa

 

EMPOWERMENT E PREVENZIONE

Il “Festival della salute”, il Progetto dell’Asl 1 Liguria ha ottenuto una Menzione speciale al Premio Sham 2019.

 

Promuovere una sempre più efficace cultura della prevenzione. È la mission del progetto “Il Festival della salute” dell’Asl 1 Liguria che ha ottenuto una Menzione speciale al Premio Sham 2019. Un’esperienza di empowerment fondamentale per la sicurezza delle cure. L’evento, nato 4 anni fa, ha lo scopo di educare alla salute in piazza, tra la gente, e quindi non solo nei classici luoghi di cura. Non è un caso che si svolga a Sanremo, nel cuore della città simbolo della Canzone Italiana e dello storico Festival. Per una settimana famiglie, anziani e bambini possono partecipare a una varietà di incontri, seminari, ma anche laboratori e spettacoli per i più piccoli, grazie anche a una solida “rete per la salute”, creata per collegare istituzioni (ASL, Comuni, Scuole, etc), associazioni di volontariato e cittadini, tutti insieme “Perché star bene, fa bene!”. Il Progetto dell’Asl 1 ha coinvolto la Direzione Aziendale, il Dipartimento di Educazione alla Salute, Urp e Comunicazione Qualità e Consulta Associazioni di volontariato. E ha avuto come partner il  Comune di Sanremo, l’Ufficio scolastico provinciale, Strutture Assistenziali, Enti (Coni, UISP). Nell’edizione 2019 il leit motiv della manifestazione è stata “Parole della salute”. In ogni incontro, workshop o laboratorio, sono state le parole a dare il via a specialisti, educatori e testimonial per approfondire e raccontare la salute e il benessere.

 

 

Cuore pulsante degli incontri è stata proprio la parola prevenzione, che è stata affrontata e analizzata da diverse angolature.  Dall’importanza della prevenzione si è passati a quello delle “Cure Sicure” perché è stato documentato che i pazienti e i caregiver correttamente informati colgono le opportunità, riducono i rischi e partecipano consapevolmente ai percorsi di cura.  Ecco perché particolare importanza ha ottenuto anche l’incontro con operatori sanitari aziendali, medici di MMG e PLS e delle strutture socio-sanitarie, in una serie di eventi accreditati ECM con la partecipazione dei cittadini. Di grande impatto e interesse la sezione “Star in piedi è così semplice”, relativa al problema delle cadute, un incontro sull’Antimicrobial Stewardship e un appuntamento dedicato alle donne per le problematiche connesse alla menopausa. Oltre alla distruzione del materiale informativo, i cittadini hanno colto con grande gradimento i piccoli laboratori per il lavaggio delle mani, la somministrazione di un questionario per la valutazione della customer satisfaction, piccole consulenze (parametri vitali, misurazione glicemia capillare, etc), la valutazione cutanea per il rischio melanoma, gli screening oncologici e, infine, la possibilità di apertura del fascicolo sanitario elettronico. Comunicazione e informazione sanitaria diventano fondamentali in un percorso prima di prevenzione e poi anche di cura. È questo il messaggio importante, sia per gli addetti ai lavori che per i cittadini.

SHAM E UNI TO INSIEME PER INSEGNARE SICUREZZA

Sham e l’Università di Torino insieme per rendere la gestione del rischio sanitario una competenza di base per i futuri manager della sanità. Via al primo modulo magistrale organizzato dal Dipartimento di Management “che – spiega Enrico Sorano, professore aggregato di Economia aziendale presso il Dipartimento di Management di UniTo – si candida a polo nazionale nella ricerca sul Risk Management”.  Alla lezione inaugurale anche Roberto Ravinale, Direttore esecutivo di Sham in Italia.

 

Torino, 19 Febbraio 2020 – Per la prima volta la gestione del rischio sanitario diventa materia di insegnamento magistrale all’Università di Torino grazie alla partnership con Sham, società del gruppo europeo Relyens, da oltre 90 anni specializzata nella gestione della RC Sanitaria e nel risk management. Partono il 19 febbraio le lezioni di “Governance e gestione del rischio clinico e dei sinistri nelle strutture sanitarie”, modulo del Corso di Laurea Magistrale in Amministrazione e Controllo Aziendale all’interno Dipartimento di Management.

L’insegnamento è finalizzato a fornire le competenze di base per capire, analizzare e gestire rischio e sinistri sia sotto l’ottica gestionale-organizzativa che giuridica, assicurativa e medico-legale. “Grazie all’approccio fortemente multidisciplinare – spiega il professor Enrico Sorano, del Dipartimento di Management – il corso si pone come base di partenza per la formazione dei risk manager di domani, che andranno a operare nelle strutture sanitarie pubbliche e private. Quella del Risk Manager è una figura professionale che ha assunto una importanza pivotale grazie alla Legge Gelli e alla centralità normativa riconosciuta alla sicurezza delle cure.

Con questo modulo l’Università torinese prosegue il percorso di ricerca e formazione sulla gestione del rischio, confermandosi uno tra gli Atenei più attivi e sensibili alla tematica della sicurezza in Sanità[1]. “Per molti anni – prosegue Sorano – sicurezza e gestione del rischio sono stati ambiti di nicchia, molto specialistici. Il nostro obiettivo è quello di superare i confini tra discipline e fare in modo che il Risk Management diventi parte integrante del background di amministratori aziendali, medici e giuristi sin dal periodo di formazione universitaria”.

La Mole Antonelliana di Torino

Il modulo di insegnamento magistrale si inserisce nell’ambito della convenzione triennale tra il Dipartimento di Management dell’Università degli Studi di Torino e la Société Hospitalière d’Assurances Mutuelles – Sham, quale ente finanziatore. Il Direttore esecutivo di Sham in Italia, Roberto Ravinale, che parteciperà alla lezione inaugurale del modulo, spiega: “Sham è una mutua: una realtà che non si limita ad assicurare il rischio negli ospedali associati, ma avvia con ognuno di questi un percorso di miglioramento per aumentare l’efficacia della prevenzione e della sicurezza per persone assistite, operatori e dati sanitari”. La convenzione con l’Università si estende all’attivazione di una borsa di studio sull’analisi preventiva dei rischi e di un tavolo di lavoro tra il Dipartimento stesso e la Mutua che ha come obiettivo la raccolta e diffusione delle buone pratiche sviluppate da singole aziende o strutture sanitarie. “Sicurezza e prevenzione sono i pilastri della sanità di oggi e di domani”, conclude Ravinale. “Per questo dobbiamo continuare ad investire sinergicamente in cultura, formazione e ricerca”.

 

[1] Già nel 2018 a Torino un’intera sessione della Second International Conferenze on Risk Management fu dedicata alla ricerca sul rischio in sanità. La conferenza è stata ideata ed ospitata proprio dal Dipartimento di Management.

 

About Sham

Costituita in Francia nel 1927 da un gruppo di direttori ospedalieri, Sham, società mutualistica specializzata in campo assicurativo e nella gestione dei rischi, è da 90 anni partner consolidato e di lungo termine degli operatori sanitari e medico-sociali. Operatore europeo di riferimento in materia di responsabilità civile, Sham conta circa 11.000 soci tra istituti e professionisti. Presente in Francia (sede legale a Lione), in Spagna, in Italia e in Germania, Sham ha 460 dipendenti e un fatturato, nel 2018, di 392,7 milioni di euro.

www.sham.com

LinkedIn: SHAM ITALIA

Sham è una società del gruppo Relyens, uno dei gruppi mutualistici europei di riferimento nei campi assicurativo e della gestione dei rischi presso gli operatori sanitari e degli enti locali che svolgono attività d’interesse generale. Con circa 1.100 collaboratori, oltre 30.000 clienti e soci e 900.000 assicurati in 4 paesi (Francia, Spagna, Italia e Germania), Relyens ha realizzato una raccolta premi per 847 milioni di euro, pari a un fatturato di 456 milioni di euro. Il gruppo, fortemente radicato presso la clientela attraverso i marchi Sham, Sofaxis e Neeria, sviluppa soluzioni globali personalizzate che combinano offerta assicurativa (ramo vita e ramo danni) e servizi di gestione dei rischi.

www.relyens.eu

Twitter: @Relyens

Linkedin: Relyens

Per informazioni, i giornalisti possono rivolgersi a:

GStrategy – Daniela Berti: +39 335 744 4219 – bertidaniela0@gmail.com

 

 

UN FOCUS SULLA LOTTA ALLE INFEZIONI CORRELATE ALL’ASSISTENZA

Affrontato in Italia da oltre trent’anni, il tema delle infezioni correlate all’assistenza (ICA) rappresenta ancora oggi uno dei maggiori problemi per la Sanità pubblica con circa 530.000 casi all’anno (ECDC 2018). A partire da questo monito, hanno preso avvio i lavori del convegno “Lotta alle Infezioni Correlate all’Assistenza”, organizzato da Motore Sanità presso la Sala Tevere della Regione Lazio lo scorso 23 gennaio, all’interno del quale sono intervenuti esponenti del mondo politico, istituzionale, scientifico e del management aziendale

 

Le infezioni presenti negli ambienti ospedalieri e nei luoghi di cura annessi (ad esempio, day hospital e ambulatori infusionali) rappresentano ancora una sfida cruciale per tutti, in particolare per alcune tipologie di pazienti fragili e ad alto rischio, come i malati oncologici, quelli oncoematologici e quelli in terapia intensiva. Come segnalato dall’ECDC[1], l’Italia è uno degli Stati membri che maggiormente si distingue per la diffusione di microrganismi multiresistenti, a causa dell’incompleta applicazione di misure efficaci per interromperne la trasmissione e dell’inappropriato uso di antibiotici in ambito sanitario. Sulla base di queste premesse, sono state realizzate due tavole rotonde all’interno del convegno “Lotta alle Infezioni Correlate all’Assistenza”, organizzato da Motore Sanità: la prima ha analizzato l’impatto dell’Antimicrobial Resistance sulla salute pubblica, la seconda quello clinico-economico delle ICA.

 

 

Ad avviare le riflessioni sul primo tema è stato Georges Paizis della Direzione Scientifica di Motore Sanità, sottolineando come “uno dei problemi dei Paesi che si affacciano sul Mediterraneo sia l’uso leggero dell’antibiotico-terapia. Un uso non appropriato che porta ad un aumento delle resistenze. A livello mondiale, sono circa 700mila i morti correlati alle ICA per la resistenza agli antibiotici, 33mila sono invece quelli in Europa. In Italia si attestano ogni anno tra gli 8 e i 10mila, con costi economici molto elevati per la Sanità”. Massimo Andreoni, Direttore UOC Malattie Infettive del Policlinico “Tor Vergata” di Roma ha poi evidenziato come “il contrasto alle malattie da germi multi resistenti sia un intervento globale e che controllarlo sia assolutamente possibile. A giocare un ruolo fondamentale è la microbiologia e le nuove tecnologie con la diagnostica rapida”. Indispensabile, poi, “creare una piattaforma che metta insieme tutti i dati biologici degli ospedali, per conoscere in tempo reale cosa stia avvenendo in un reparto e monitorare quanti antibiotici si stiano utilizzando”. Claudio M. Mastroianni, Direttore UOC Malattie Infettive del Policlinico “Umberto I” di Roma ha presentato alcune strategie di Antimicrobial Stewardship mostrando “un programma che coinvolge tutte le figure interessate e che prevede un confronto costante tra le professionalità in campo. Il fine è ridurre la durata della terapia, quale cambio di mentalità necessario da attuare”. Anna Teresa Palamara, Professore Ordinario di Microbiologia del Dipartimento di Sanità Pubblica e Malattie Infettive dell’Università “La Sapienza” di Roma ha messo in luce “l’importanza della microbiologia e dell’aspetto educativo dei medici”, così come la necessità “di favorire interventi mirati sui pazienti colonizzati”. A concludere i primi lavori è stato Nicola Petrosillo, Direttore del Dipartimento Clinico e di Ricerca delle Malattie Infettive dell’INMI Lazzaro Spallanzani di Roma, che ha sottolineato l’importanza di “adottare un approccio non più settoriale, con l’epidemiologia chiamata a tradurre le migliori pratiche cliniche, interpretando le evidenze scientifiche e definendo quali sono le misure efficaci e non”.

 

 

Ad aprire la seconda tavola rotonda sull’impatto clinico-economico delle ICA è stato Francesco Saverio Mennini, Professore di Economia Sanitaria all’EEHTA CEIS dell’Università di Roma “Tor Vergata”, con un focus sulle infezioni ospedaliere dal 2008 al 2016, mostrando come le ICA siano “aumentate notevolmente negli ospedali e in maniera esponenziale negli anni, a testimonianza di un trend in crescita e molto preoccupante”. Conseguenze cliniche per i pazienti e impatti economici sulla Sanità con una spesa per le ICA pari a “600 milioni di euro per l’incremento delle giornate di degenza dei pazienti”. Fondamentale agire sui costi lavorando a “programmi di prevenzione e intervenendo quando l’infezione si manifesta”. A seguire l’intervento di Maria Corongiu, Presidente della FIMMG di Roma, che ha parlato di “farmaci che hanno costi elevatissimi” e della necessità di “uscire dalla logica del mercato per entrare in una logica di assistenza-sanitaria, perché il territorio è rimasto con pochissimi antibiotici”. Francesco Ripa di Meana, Direttore Generale IFO e Presidente FIASO, ha parlato di “integrazione di tutte le persone coinvolte”, come “elemento che fa la differenza”. “Ci vogliono poi sistemi informatizzati e accesso alle informazioni in maniera tempestiva per risalire all’albero delle ICA”. Tiziana Frittelli, Direttore Generale del Policlinico “Tor Vergata” di Roma ha presentato l’esperienza dell’Università nella creazione di un dipartimento dei processi integrati perché “l’Infection Control non può funzionare senza”. Altri fattori da tenere in considerazione sono “il commitment della Direzione generale, non solo sanitaria; il problema di seguire le linee aziendali e di mappare il processo interno; o, ancora, la necessità di formare il personale dei servizi esternalizzati”. Lorella Lombardozzi, Direttore Farmaceutica Regionale del Lazio ha presentato i dati regionali che mostrano una “riduzione dei chinolonici, come da indicazione dagli obiettivi regionali. Resta costante, invece, il consumo dal 2018 di tutti gli ultimissimi antibiotici”. Un altro tema evidenziato è quello della prescrizione territoriale dei farmaci, la cui “appropriatezza non può essere legata solo al farmaco e all’aderenza al trattamento”. Luigi Tonino Marsella, Professore Associato di Medicina Legale del Policlinico “Tor Vergata” di Roma ha parlato di “ICA prevenibili nel 30% dei casi, ma non evitabili. È in quel 70% che si devono studiare le soluzioni. L’antibiotico-resistenza non viene considerata come concorso di causa in sede giurisdizionale e nell’ordinamento giurisprudenziale c’è anche il danno morale, che è devastante dal punto di vista deontologico per tutti gli operatori sanitari”. Giuseppe Quintavalle, Direttore Generale del Policlinico “Umberto I” di Roma ha sottolineato “il problema delle bufale che determinano che il cittadino vada a dire ‘ho letto, ho visto, voglio’. Una ‘sanità appropriata’ è il messaggio chiave che deve passare nel 2020. Fino ad oggi i DG hanno fatto enormi sacrifici, ma non hanno fatto economia. Economizzare i budget che erano in situazione drammatica è necessario, ma facendo funzionare le cose con responsabilità”. Infine, Elio Rosati, Segretario Regionale di Cittadinanzattiva Lazio, ha parlato di “10.000 decessi in Italia per le ICA, un dato non conosciuto dall’opinione pubblica. Un grande problema anzitutto culturale perché manca la percezione costante”. Le conclusioni di Angelo Del Favero, Docente della Luiss Business School Roma, già Direttore Generale dell’ISS, auspicano una “crescita delle competenze e della capacità di interazione tra mondo accademico e ambito manageriale”. L’ultimo atto del convegno è un invito all’elaborazione congiunta di proposte migliorative del Piano Nazionale di Contrasto dell’Antimicrobico-Resistenza (PNCAR), mettendo insieme per la prima volta, con il coordinamento dei soggetti coinvolti, tutti gli attori del sistema.

 

 

 

[1] https://www.ecdc.europa.eu/en/publications-data/infection-prevention-and-control-care-patients-2019-ncov-healthcare-settings