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SAVE THE DATE: DEFINIRE LA LEADERSHIP IN SANITÀ

Il 1° Aprile 2022 il convegno SIMM Piemonte per tracciare, dopo l’esperienza del COVID e alla luce del PNRR, i contorni delle Human Essential Skill necessarie per costruire una sanità più forte, agile, e capace di decidere per il bene pubblico

Leadership in sanità: cos’è e come farla crescere?

Questa è la domanda alla quale si risponderà nel convegno The Changes We Need, organizzato dalla sezione piemontese della Società italiana di Leadership e Management in Medicina Venerdì 1° aprile dalle 08:30 alle 18:00 presso l’hotel San Rocco – Orta San Giulio, in provincia di Novara.  

 “Complex problem solving; gestione delle persone; creatività; pensiero critico; intelligenza emotiva e capacità di coordinarsi con gli altri; ecco quali sono le capacità fondamentali individuate dal World Economic Forum 2020: le Human Essential Skills. Scopo del convegno – spiega Arabella Fontana, responsabile scientifica e Direttore Medico del Presidio Ospedaliero Borgomanero ASL “NO” di Novara, – è di definire in che misura queste capacità possono essere applicate e crescere in sanità”.  

 Due eventi rendono il dibattito sulla leadership strettamente attuale: IL COVID E il PNRR.  

 “In particolare, è opportuno definire l’orizzonte di una leadership nel campo della sanità digitale, leadership che può contribuire a costruire un sistema pienamente integrato tra territorio e ospedale (coprendo le molte mancanze in questo campo ancora non sanate) e di cogliere le opportunità della telemedicina che il COVID ha reso evidenti”.   

 “COVID – conclude Fontana – che ci lascia in eredità anche molte lezioni positive come l’importanza dell’empatia, del lavoro in team, dell’agilità di trovare nuove soluzioni organizzative. Consapevolezze che ci possono rendere professionisti sanitari più forti, più flessibili e più orgogliosi di far parte del Servizio sanitario nazionale. E che ci possono insegnare a non aver paura di scegliere, quando è arrivato il momento, come leader, di farlo”. 

Per maggiori informazioni, scarica il PDF

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LA COMUNICAZIONE COME STRUMENTO DI SICUREZZA

Venerdì 4 ora 17:00 l’intervista alla RM Anna Guerrieri sulla leva per prevenire il contenzioso

“Il 70% degli eventi sentinella, ovvero eventi avversi gravi e potenzialmente evitabili, segnalati dalle organizzazioni sanitarie americane tra il 1995 e il 2005, sono associati a un fallimento della comunicazione tra i professionisti coinvolti”[1].

E l’importanza della comunicazione non si risolve nel lavoro di equipe, estendendosi alla relazione tra persone e struttura sanitaria, diventando un elemento cardine della relazione di cura.

Da qui partirà, venerdì 4 marzo dopo le 17, l’intervista ad Anna Guerrieri, Risk Manager Sham Italia, da parte di Maria Teresa D’Aquino

La Comunicazione per la prevenzione del Contenzioso: una leva per l’efficienza sarà il tema della discussione.

L’occasione è il corso STATI GENERALI DELLA COMUNICAZIONE PER LA SALUTE, organizzato da FEDERSANITÀ con il patrocinio di ISS, AGENAS, Formez PA, ANCI, Ordine dei Giornalisti, Fondazione Innovazione Sicurezza in Sanità e la collaborazione di PA Social, l’associazione nazionale per la nuova comunicazione. 

STATI GENERALI DELLA COMUNICAZIONE PER LA SALUTE è previsto il 4 e 5 Marzo 2022. 

ll Corso dà diritto a 8 crediti ODG di cui 2 deontologici.  Scopri di più ed iscriviti seguendo questo LINK


[1] L’analisi a priori del rischio sanitario in Regione Piemonte: applicazione del metodo Cartorisk sull’area materno-infantile – Alberto Sardi, Enrico Sorano, Letizia Agostini, Anna Guerrieri, Mirella Angaramo, Franco Ripa. MECOSAN – ISSN 1121-6921, ISSNe 2384-8804, 2020, 114

“IL POTERE DEI DATI PER LA SALUTE” IL NUOVO INCONTRO DI WOMEN&TECHNOLOGIES

Vivere in quello che viene chiamato il “decennio digitale” pone i sistemi organizzativi in una condizione di miglioramento che può essere possibile solo usufruendo dell’enorme quantità di dati che circolano nei diversi settori. Anche in sanità, l’utilizzo dei dati sembra essere il punto di svolta per una nuova medicina dal carattere “proattivo e personalizzato”

Al giorno d’oggi tutti i sistemi organizzativi sono sommersi da un’enorme quantità di dati, tantissime informazioni che vengono gestite da una poca conoscenza nel campo.

Per questo risulta essere estremamente importante comprendere i processi di trasformazione dei dati in informazioni e quindi in conoscenza, poiché è proprio quest’ultima che permette di prendere decisioni ponderate.

Mercoled’ 16 febbraio 2022 si è tenuto l’incontro online di Women&Technologies dal titolo “Il potere dei dati per la salute” moderato dall’Avv. Paola Sangiovanni e in cui hanno preso parte importanti personalità femminili nell’ambito giuridico e medico a livello internazionale.

Madrina dell’evento l’Onorevole Patrizia Toia, membro del Parlamento Europeo.

Viviamo in quello che viene considerato, dall’UE, il “decennio digitale”, momento in cui emerge il tema di una sanità che sia europea soprattutto nell’offerta dei servizi e della qualità.

Il progetto “EU for Health” rappresenta l’esigenza della nascita di competenze che siano condivise sia per affrontare periodi di crisi, sia per migliorare la salute di tutti i cittadini europei.

Proprio per questo motivo, l’Europa si concentra sempre di più sulla salute e punta la sua attenzione sulla creazione di una competenza che non sia sostitutiva a quella di ciascun stato membro, ma che sia di accompagnamento e che porti alla crescita nel digitale.

Ma l’utilizzo dei dati in sanità comporta non pochi problemi, soprattutto per quanto concerne la lor sensibilità e utilizzo, da qui la previsione della creazione di un codice di condotta unico e condiviso.

Come introdotto da Paola Testori Coggi, consigliere scientifico presso l’Istituto Affari Internazionali (IAI) e Special Advisor del Cluster Tecnologico Nazionale Scienze della Vita Alisei, membro della Delegazione italiana nel Comitato di Programma di Horizon Europe-Cluster Health e Lead Co-Chair della Task Force “Global Health and Covid-19” del T20 Italia. È Ambassador della Federated Innovation a MIND – Milano Innovation District, Insegna EU Health Policy al Master in Studi europei del Collegio Europeo di Parma, l’Unione Europea è, ad oggi, la prima a livello mondiale ad aver fissato lo standard sulla regolamentazione della protezione dei dati nel 2018, cercando di rendere i dati usufruibili per l’economia e per la società ma tutelando l’individuo, che resta sempre padrone delle proprie informazioni.

Per tale motivo, si è creato un regolamento dal nome “Data Governance Act” che ha come scopo principale il poter dare alla società la capacità di usufruire dei propri dati personali.

Si basa su quattro pilastri fondamentali, quali: l’utilizzo dei dati nella pubblica amministrazione, la regolamentazione di intermediari indipendenti e neutrali, l’altruismo dei dati e delle informazioni messe a disposizione del bene comune e l’interoperabilità e il coordinamento delle informazioni.

Il fine ultimo dell’EU è quello di creare un regolamento specifico al fine di poter rendere fruibili i dati provenienti da tutti i 27 paesi al fine di migliorare la ricerca in qualsiasi ambito, ma più specificamente in quello medico.

Dalla condivisione dei dati emerge sicuramente un nuovo modo di fare medicina, come introduce la Professoressa Maria Pia Abbracchio, professore ordinario di farmacologia e responsabile di un gruppo di ricerca di 12 scienziati presso la Statale di Milano e detenente di numerose cariche e riconoscimenti internazionali.

La scienza, con la digitalizzazione, ha cambiato il suo approccio: non si parte più da un’ipotesi ben precisa, ma da una serie di dati integrati e condivisi che derivano da tantissime forme diverse di fonti che vengono, poi, studiate con una tipologia di analisi senza preconcetti che tende a cercare correlazioni anche fra dati estremamente diversi e che vanno a generare nuove ipotesi.

Da qui nasce una nuova tipologia di medicina chiamata “Network Medicine” in cui grazie allo studio intrecciato di dati inerenti a diverse patologie e utilizzo di farmaci, si possono creare profilassi che vadano bene per diversi casi specifici.

La digitalizzazione ha portato anche importanti trasformazioni a livello ospedaliero. Elena Bottinelli, Head of innovation and digitalization del Gruppo San Donato e Amministratore Delegato ospedale Villa Erbosa e Casa di Cura Villa Chiara Bologna. amministratore delegato dell’Ospedale San Raffaele e dell’Istituto Ortopedico Galeazzi di Milano, indica questa trasformazione come uno dei fattori principali che ha portato alla riorganizzazione ospedaliera degli ultimi anni.

Ci si muove sempre di più verso un modello che lei identifica come “Figital”, ossia fisico e digitale, con l’obiettivo di migliorare l’accesso dei pazienti al sistema sanitario, rendendo la medicina non più reattiva ma proattiva e personalizzata.

Naturalmente ci sono delle difficoltà, che vengono poi riscontrate in tutti gli ambiti, come ad esempio l’interoperabilità dei dati e la mancanza di formazione da parte del personale medico e sanitario. Da qui la necessità di disegnare nuovi percorsi di cura con i pazienti che diventano parte attiva dell’organizzazione ospedaliera, ma soprattutto l’esigenza di creare nuove competenze digitali nel personale delle strutture.

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COVID E BURN-OUT: COME IL PERSONALE SANITARIO REAGISCE AI RISCHI DELLA PANDEMIA

Reparti sovraffollati, una gestione organizzativa messa alle strette dal numero degli ammalati. Da due anni il personale sanitario combatte in prima linea il Covid-19 con orari lavorativi massacranti ed incertezza rispetto al termine dell’emergenza, così il burn-out prende il sopravvento

Il disagio psicologico del personale sanitario durante la pandemia da Covid-19. Ne parla il Professore Antonio Lasalvia docente di Psichiatria del Dipartimento di Neuroscienze, Biomedicina e Movimento dell’Università di Verona, autore della ricerca ““The Sustained Psychological Impact of the COVID-19 Pandemic on Health Care Workers One Year after the Outbreak—A Repeated Cross-Sectional Survey in a Tertiary Hospital of North-East Italy”, pubblicato sulla rivista International Journal of Environmental Research and Public Health, che ha esaminato l’impatto psicologico subito dal personale dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata (AOUI) di Verona

  • Quale è stata la causa scatenante l’interesse per la tematica su cui si concentra la ricerca?

La ricerca è nata nel marzo del 2020, durante la prima ondata della pandemia. Il Veneto e la Lombardia sono state le prime regioni ad essere colpite da questo male sconosciuto riportando i primi focolai di quella che sarebbe, poi, stata una pandemia disastrosa per il nostro paese. Gli ospedali si sono messi in prima linea per fronteggiare le terapie intensive sovraccaricate e i decessi giornalieri. In quel periodo, insieme con alcuni colleghi dell’Ospedale Policlinico di Verona, mi è venuta l’idea di valutare gli effetti di ciò che stava succedendo nelle strutture sanitarie, nonostante, ai tempi, non avessimo ancora compreso l’entità di ciò che stava accadendo: non c’erano protocolli di nessun genere, mancavano i dispositivi di protezione individuale, mancava la conoscenza minima di una prassi condivisa per affrontare il Covid-19.

Tra marzo e aprile del 2020 abbiamo impiantato questo studio utilizzando dei questionari che sono stati fatti girare nell’azienda ospedaliera e compilati on-line in anonimato: ansia post-traumatica, ansia generalizzata, stress da lavoro, depressione, burn-out è stato ciò che abbiamo indagato tramite le domande.

  • Quali sono i disagi maggiormente percepiti dal personale sanitario in base ai risultati dei questionari?

Inizialmente abbiamo valutato quale è stato l’impatto del Covid-19 nel 2020 ed il risultato è stato individuato in un’elevata prevalenza di stress post-traumatico e ansia generalizzata, in particolare negli infermieri, e soprattutto di quelli che lavoravano nelle terapie intensive e nei reparti sub-intensivi Covid.

Abbiamo, poi, ripetuto i questionari a distanza di un anno, quindi a marzo ed aprile del 2021, per comprendere se la situazione fosse o meno migliorata, considerando che in un anno la medicina aveva fatto passi da gigante nella gestione della pandemia, nonostante la seconda e terza ondata della malattia.  Dopo un anno, la situazione è risultata essere ancor peggiore, non tanto in termini di paura e preoccupazione, quanto in termini di un logoramento da iper-lavoro, assenza di riposo, mancata capacità da parte del sistema di gestire la situazione sul lungo termine. 

Ciò che è emerso sono sintomi di depressione, esaurimento emotivo e burn-out, dove quest’ultimo rappresenta il rischio psicologico lavoro correlato più pericoloso, in quanto il lavoratore sviluppa un totale rifiuto verso la propria occupazione e nel caso delle professioni di aiuto, come appunto medici e infermieri, verso i pazienti.

Il burn-out è una situazione molto complicata da gestire, la qualità delle cure ne risente.

I dati raccolti dal campione valutato nel 2021, composto da circa 1033 operatori sanitari, hanno mostrato che le persone con livelli elevati di ansia sono passate dal 50% al 56%, ma – dato ancora più interessante – quelle con depressione dal 27% al 41% e quelle in burnout dal 29% al 41%.

  • Ci sono state ripercussioni dirette del malessere del personale sanitario?

Si, quando il personale sanitario è demotivato e stanco è meno efficiente nelle cure e, quindi, anche più incline a sbagliare. Il burn-out nei contesti sanitari è una condizione ampiamente documentata dalla letteratura scientifica in epoca pre-pandemica, evidenziando che in molte organizzazioni ospedaliere una quota di lavoratori in burnout rappresenta un fenomeno parafisiologico; tuttavia, in una situazione di pandemia, che ormai si sta protraendo da due anni, la percentuale di operatori in burn-out è quasi raddoppiata rispetto a quanto osservato in passato: il personale evidentemente non riesce più a stare al passo con un’emergenza che purtroppo è diventata quotidianità. E lavora in un contesto emotivo contrassegnato dall’incertezza rispetto a quando (e se) tutto ritornerà nella “normalità”.

Gli infermieri, ripeto, sono sicuramente la categoria che ha subito di più gli effetti secondari del Covid-19 negli ospedali.

  • Essendo quindi il personale sanitario debilitato, è possibile che tale fragilità possa portare a rischi clinici più frequenti?

Certamente, il burn-out aumenta decisamente il rischio di errori e il rischio clinico a carico del paziente. La situazione psicologica dei sanitari non è solo a carico degli stessi, ma si riversa anche sui pazienti. Lavorare con persone che sono sfinite è un problema che riguarda gli utenti alla fine.

  • In base alla ricerca condotta, lei ha dei suggerimenti per ovviare a tali rischi?

Ci sono due livelli su cui si può agire. Noi come psichiatri possiamo agiamo su uno di questi, quello individuale (o eventualmente di gruppo), cercando di alleviare l’impatto dei sintomi psicologici e cercando di dotare gli operatori maggiormente a rischio di quegli strumenti emotivi e cognitivi per fare fronte in maniera meno disfunzionale alle aumentate sollecitazioni lavorative legate al lavoro in pandemia; ma ci sono dei livelli organizzativi del sistema, come ad esempio le turnazioni di lavoro o l’aumento il personale sanitario, che devono essere riviste nonostante ci siano delle oggettive difficoltà legate ad una situazione diventata oramai ingestibile.

Aiutare i professionisti nei reparti a rischio a gestire meglio le proprie emozioni e insegnare delle tecniche per ridurre lo stress, come la mindfulness, può essere l’inizio. All’interno del Policlinico di Verona stiamo appunto cercando di mettere in atto un progetto per capire se gli interventi di rilassamento e meditazione in qualche modo possano dotare gli operatori di strumenti emotivo- cognitivi in grado di far fronte a quelle che sono le necessità.

Ovviamente, non tutti gli operatori sanitari sono vittime dello stress psicologico, o lo sono in maniera debilitante, ma è molto importante sviluppare degli strumenti di supporto psicologico al fine di aiutare gli uni e gli altri, perché la cura del personale sanitario è una parte essenziale per preservare la sicurezza negli ospedali.

Il benessere di si prende cura di noi è fondamentale.

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“PILLOLE DI SANITÀ DIGITALE”: LA NUOVA RUBRICA DI FIDELIA CASCINI

Sbarca su Youtube e Linkedin la nuova rubrica dedicata al mondo della sanità e della tecnologia a cura di Fidelia Cascini, ricercatrice della sezione di Igiene e Sanità Pubblica dell’Università Cattolica di Roma ed esperta di settore. In questa intervista il racconto della genesi e degli obiettivi di questo progetto. 

Dottoressa Cascini che cos’è “Pillole di Sanità Digitale” e perché nasce questo progetto?  

La digitalizzazione del comparto sanitario e la valorizzazione del suo immenso patrimonio informativo rappresentano gli strumenti più potenti per la realizzazione di una sanità efficiente, efficace e tempestiva; insomma, di altissimo valore. La strada da percorrere non è priva di ostacoli. Da diversi anni faccio parte, in rappresentanza dell’Italia, della Global Digital Health Partnership: una collaborazione tra 30 paesi, territori e l’Organizzazione mondiale della sanità costituita con lo scopo di supportare l’implementazione della salute digitale, condividere le best practices globali e promuovere dei progetti dai quali beneficiare reciprocamente a livello internazionale. Inoltre, partecipo, quale referente del nostro Ministero della Salute, alle Joint Action europee per la condivisone di strategie e l’integrazione della sanità digitale tra Paesi membri dell’Unione Europea. Rapportando l’esperienza di questi incontri internazionali alla conoscenza scientifica maturata nel settore e all’osservazione del livello di digitalizzazione del nostro sistema sanitario, ho potuto riscontrare una criticità ricorrente: la mancanza di comunicazione. Mi riferisco nello specifico a una sorta di disallineamento informativo tra i decision maker e coloro che devono mettere in pratica le indicazioni date. Un gap che ostacola il processo di cambiamento e impedisce, in termini operativi, l’applicazione delle stesse direttive. Nasce da qui quindi, dal desiderio di colmare questo gap, l’idea di creare una “guida” che fornisca da un lato informazioni utili ad alimentare la conoscenza e la fiducia verso le tecnologie digitali potenziando l’alfabetizzazione, dall’altro indicazioni strategiche per aiutare le aziende del mercato sanitario a essere competitive in questo ambito. 

Siamo molto curiosi. Può dare qualche preview ai nostri lettori rispetto alle tematiche che verranno trattate? 

Gli argomenti saranno molti e diversi, e riguarderanno ambiti, applicazioni e risvolti delle tecnologie digitali in riferimento ad aspetti clinici, organizzativi e strategici.  

Comincerò dalla mancata aderenza alle terapie farmacologiche, analizzando questo problema e le sue conseguenze sul paziente, sull’industria farmaceutica e sul sistema sanitario, per passare poi in rassegna sia i rimedi tradizionali che quelli più innovativi. 

Affronterò poi temi come: l’uso secondario dei dati sanitari digitali e suoi vantaggi, con particolare riferimento alla sicurezza delle cure e alla riduzione degli eventi avversi evitabili; l’esitazione vaccinale e l’influenza della comunicazione in particolare quella mediata dai social media; le prescrizioni elettroniche e i vantaggi per il paziente e per i diversi attori del sistema sanitario; l’impatto e gli esiti sul paziente legati all’uso della telemedicina nelle sue differenti articolazioni e con riferimento ai diversi contesti clinico-assistenziali;  e altri ancora in divenire. 

Continuiamo a parlare di sanità digitale: quale potrebbe essere il traguardo? 

I punti di maggior attenzione riguardano indubbiamente le opportunità di perfezionare l’erogazione dei servizi sanitari in direzione dell’appropriatezza e dell’accessibilità, oltre che della qualità. Il miglioramento apportato dalla sanità digitale sarà sostanzialmente in termini organizzativi, ovvero su tutto ciò che rallenta e invalida la riuscita di un ottimale processo di cura. Si cercherà di rendere tutto più efficiente e sostenibile. Le nuove strategie di programmazione saranno, nel prossimo futuro, basate su sistemi di intelligenza artificiale che, attraverso l’analisi di un’ingente mole di dati (big-data), permetteranno la creazione di modelli previsionali rivolti verso una risposta personalizzata ai bisogni di salute, oltre che in direzione della prevenzione delle malattie e della tempestività di diagnosi e trattamenti. Saranno allora tre i contesti più velocemente coinvolti dalle applicazioni dell’intelligenza artificiale e dei big- data: quello organizzativo, quello della programmazione e quello della ricerca. Non mancherà inoltre l’ulteriore evoluzione delle tecnologie applicate alla pratica clinica, tra cui la robotica utilizzata, ad esempio, in chirurgia e per la riabilitazione. Se riusciremo a superare i limiti dell’interoperabilità dei sistemi, le innovazioni in questi campi porteranno a una vera e propria rivoluzione della sanità.  

Si potrebbe dire, a questo punto, che per effettuare un primo passo verso la sanità digitale sia quindi necessario uno step preliminare quale una formazione di base che allinei gli operatori del settore?  

Vi è la necessità di una condivisione di saperi, non solo tra i professionisti che applicano la materia ma anche tra i manager e i direttori a capo delle strutture sanitarie che hanno il compito di selezionare le tecnologie delle quali avvalersi. Così come tra i produttori di tecnologie affinché quest’ultime possano essere concepite con standard internazionali che ne permettano l’interoperabilità. È fondamentale l’allineamento di tutti i tasselli sanitari in tutte le competenze e gli ambiti. È imprescindibile puntare su una formazione che implichi uno sforzo reciproco, volta a curare gli aspetti di univocità e scambiabilità. Ad esempio, una buona sanità digitale, attraverso la prevenzione dei sinistri sanitari, migliora la gestione del rischio e di conseguenza la condizione dei lavoratori e dei professionisti dell’ambito sanitario. Affinché ciò si realizzi però c’è bisogno di uno sforzo strategico di unità perché è solo grazie al desiderio di integrazione che si permette e favorisce lo sviluppo.  

Ha accennato all’importanza della gestione del rischio sanitario: sappiamo che da sempre è molto attiva anche su questo fronte. Parlando di progetti di sicurezza in sanità, a cosa sta lavorando al momento?  

Sicuramente uno dei punti strategici della sicurezza in sanità è il corretto utilizzo dei dati. I dati sono importanti per motivare le scelte e dimostrare rischi e opportunità della sanità digitale. Per questo è necessario affiancare alla pratica la ricerca scientifica. Al momento mi sto occupando di valutare l’impatto della telemedicina sul paziente in termini di esiti e di rischi in ambito di sicurezza delle cure e di responsabilità sanitaria. Parallelamente sono coinvolta nei Gruppi Tecnici di Lavoro istituzionali per gli investimenti del PRNN sulla telemedicina. I risultati di questi studi arriveranno presto, nel momento in cui avremo un quadro completo delle applicazioni della telemedicina e dei sistemi della sanità digitale nei diversi setting assistenziali e la capacità di valutare rischi e responsabilità per professionisti e strutture sanitarie, legati a queste nuove prestazioni.  

Introducendo nuove tecnologie cosa possiamo aspettarci in termini di rischi o eventi avversi? È da qui che partirà il progetto con Sham: realizzare un modello che identifichi i rischi collegati alle nuove tecnologie, in linea con il cambiamento dell’approccio assicurativo.  

Bio Fidelia Cascini 

Fidelia Cascini comincia il suo percorso accademico e lavorativo nella sanità pubblica abbracciando la medicina legale, la responsabilità professionale e la gestione del rischio.  Con questo bagaglio, si avvicina alla prevenzione, alla programmazione sanitaria e alla sanità digitale. Riceve una serie di incarichi da parte del Ministero della Salute al fine di seguire i tavoli internazionali e le Joint Action tra i paesi dell’UE per definire i punti di convergenza sull’interoperabilità di dati, le infrastrutture digitali e sui modelli di governance per permettere ai cittadini europei di essere curati al meglio in qualunque Stato membro senza barriere linguistiche e di accessibilità ai servizi. 

Per saperne di più:  www.fideliacascini.com 

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LOSS ADJUSTER E NEGOZIAZIONE: I PRINCIPI DELL’HARVARD NEGOTIATION PROJECT PER LA GESTIONE DEI SINISTRI IN SHAM

Un approccio negoziale e olistico che accoglie in maniera tecnica e puntuale la tutela dell’assicurato e i diritti del danneggiato si dimostra la soluzione migliore per disinnescare le tensioni del processo di liquidazione. Il progetto “Negotiation Excellence” creato da Sham sui principi dell’Harvard Negotiation Project pone al centro di questo processo una figura poliedrica e altamente specializzata: il Loss Adjuster. 

Il modello mutualistico di Sham – gruppo Relyens si esprimesul raggiungimento di obiettivi complementari: la creazione di una relazione di fiducia duratura tra l’Assicuratore e l’Assicurato e la garanzia del giusto equilibrio tra un indennizzo equo e il rispetto della persona danneggiata.  

La gestione del sinistro è assunta dal Loss Adjuster (LA) che gestisce il sinistro e le relazioni tra i diversi stakeholder, acquisendo una visione trasversale del sinistro e armonizzando diverse competenze di carattere amministrativo, giuridico e medico-legali.   

È una figura poliedrica che si trova a gestire le tensioni tra le parti nelle trattative: da un lato deve tutelare la propria azienda e assicurato e, dall’altro, deve rispettare il Danneggiato.  

Per fare ciò è necessario un approccio olistico al sinistro: l’attività istruttoria e di quantificazione del danno deve essere tecnica e puntuale e le trattative devono basarsi sulle risultanze dell’istruttoria ed essere condotte sulla base di criteri oggettivi ed avere come obiettivo il soddisfacimento di entrambe le parti.  

Il progetto “Negotiation Excellence” creato da Sham, con il supporto di MIDA, ha definito un modello negoziale, sperimentato in modo empirico e basato sui principi dell’Harvard Negotiation Project e sulla più accreditata letteratura di psicologia scientifica del Decision Making.  

Ispirato a criteri di ragionevolezza, equità ed efficienza, richiede di essere applicato in modo consapevole nelle fasi di analisi, pianificazione e discussione del negoziato e stimola, simultaneamente, il Loss Adjuster a mantenere un dialogo attivo tra il Danneggiato e gli Stakeholder. 

In più, il modello di negoziazione tende a stimolare la costruzione di relazioni sinergiche e durature tra la struttura sanitaria e la compagnia assicuratrice favorendo così un approccio proattivo al rischio sanitario.  

I contributi più significativi del Programma sulla Negoziazione con base alla Harvard Law School sono il BATNA e i quattro principi negoziali.  

Il BATNA, Best Alternative to a Negotiated Agreement, permette di fare chiarezza in merito al risultato minimo accettabile da parte del negoziatore nel corso della trattativa, riparandolo dall’accettazione di condizioni sfavorevoli. Non è una vaga sede di alternative all’accordo generale bensì una proposta solida e misurabile.  

Il negoziato sui principi di Harvard si pone l’obiettivo di avvicinare la parti in causa ad una soluzione condivisa e che tenga conto dei vari interessi in gioco. I principi sono 4:  

  • Separare le persone dal problema: al fine di condurre un buon negoziato è necessario gestire l’aspetto umano, mostrare sensibilità, rispetto e comprensione delle emozioni altrui, costruendo un rapporto basato sull’ascolto attivo;  
  • Concentrarsi sugli interessi e non sulle posizioni: il problema oggetto del negoziato deve essere identificato attraverso gli interessi sottesi e non attraverso le posizioni; 
  • Creare soluzioni vantaggiose per entrambi le parti: è necessario allargare la gamma delle opzioni possibili creando alternative anche con la controparte;  
  • Insistere nell’utilizzo di criteri oggettivi: condurre le trattative avendo come base criteri oggettivi e condivisi di modo da facilitare un accordo equo.  

Nel corso della sua esperienza di oltre 90 anni, Sham ha rilevato che la ricerca di una via negoziale ai claims rappresenti la soluzione proattiva ottimale.  

L’approccio sviluppato da Sham prevede da subito un’attivazione concreta da parte del Loss Adjuster che apre direttamente un dialogo con gli Stakeholder del processo, ossia con l’azienda ospedaliera e l’avvocato del Danneggiato. Lo studio degli interessi delle parti facilita il raggiungimento di un accordo win-win, riconoscendo un equo risarcimento a chi ha subito il danno laddove vi siano i presupposti per ottenerlo.  

“Cosa vogliamo ottenere? Cosa vogliono ottenere i nostri clienti? Cosa ci aspettiamo dai danneggiati?” queste le domande che si pone il Loss Adjuster all’inizio della negoziazione alla ricerca di un dialogo.  

I beneficiari di questo approccio sono molteplici: oltre al danneggiato, anche il Loss Adjuster o suoi mandanti possono avere un ritorno positivo d’esperienza poiché l’errore che ha causato il sinistro può essere utilizzato come un’occasione di crescita e fortificazione del proprio sistema aziendale, evitando così che il medesimo errore possa ripetersi in futuro.  

RESIDENZE PER ANZIANI: I NUMERI DELLA PANDEMIA NEL MONDO

La mortalità associata al Covid-19 nelle strutture residenziali: i risultati di uno studio in 22 Paesi.

 

“Il 41 per cento dei morti da Covid erano anziani ospitati in una struttura residenziale. Una cifra che risulta ancora più impressionante se si considera che questa categoria rappresenta lo 0,75 della popolazione dei Paesi interessati dallo studio”.

Questa è la sintesi offerta da Adelina Comas-Herrera del Care Policy and Evaluation Centre (CPEC) della London School of Economics durante il webinar Covid-19 nelle RSA[1] del 5 marzo 2021.

Pur senza sottostimare i problemi metodologici che nascono nell’affiancare i dati di Paesi e sistemi sanitari diversissimi tra di loro, la ricerca offre una stima e un ordine di grandezza che porta ad una constatazione, di fatto, inequivocabile: nelle RSA di Paesi diversi che vanno dalla Scozia ad Hong Kong, il numero di vittime di Covid tra gli anziani nelle strutture residenziali è stato altissimo[2].

Anche i tentativi di isolare le residenze per anziani si sono rivelati vani, mentre il numero e la frequenza dei decessi tra gli ospiti veniva influenzato dal livello di contagio nella società circostante. Il principale fattore di rischio, infatti, è sembrata essere la diffusione del virus attorno alla RSA, non le misure adottate dentro le strutture.

Pur considerando le differenze tra i diversi Paesi, le diversi modalità di ospedalizzazione e i livelli assistenziali di partenza, il gruppo di lavoro del CPEC ha individuato alcune caratteristiche della residenzialità per anziani che possono essere individuate come cause della loro vulnerabilità.

Tra queste: le residenze per anziani non erano concepite come luoghi di isolamento ma di vita in comune; le strutture non sono state considerate una priorità politica durante la prima ondata della pandemia; non esistevano linee guida per identificare i sintomi geriatrici del Covid-19 (delyrium in alcuni casi piuttosto che sintomi influenzali); una tardiva disponibilità dei tamponi; personale scarso e sottopagato, unito ad un coordinamento tra residenze per anziani e sistemi sanitari che è stato pressoché inesistente.

Ecco da dove ripartire per ripensare quanto avvenuto nei più di dodici mesi trascorsi dall’esplosione della pandemia. Partendo, magari, da residenze più piccole, maggiormente collegate al tessuto sociale della comunità.

L’intervento della dottoressa Adelina Comas-Herrera è visionabile a questo link a partire da 1h02min.

 

[1]Organizzato da:  Italian Network for Safety in Healthcare (INSH) in collaborazione con il Laboratorio Management e Sanità della Scuola Superiore Sant’Anna il 5 marzo 2021 e con il patrocinio di ISQua (International Society for Quality in Health Care).

[2] Per i numeri dell’Italia, che non ha raccolto dati sistematicamente per le RSA, si veda l’articolo RSA E COVID IN ITALIA, pubblicato su www.sanita360.it

L’IMPATTO DEL COVID-19 SULLA SANITÀ: UN’ANALISI DEGLI EFFETTI COLLATERALI NELLO SCENARIO INTERNAZIONALE

Secondo un’analisi predittiva dell’Università di Birmingham un numero molto elevato di operazioni – oltre 28 milioni – verrà annullato o rinviato a causa delle interruzioni causate dalla pandemia. Attualmente, i ricoveri ospedalieri sono drasticamente calati, come pure il numero di diagnosi di malattie gravi. Effetti “collaterali” della pandemia che necessitano di interventi rapidi per riprogrammare in sicurezza i servizi e adattare al nuovo contesto la gestione dei sistemi sanitari.  

 

Dall’inizio della pandemia di Covid-19, i ricoveri ospedalieri sono diminuiti precipitosamente nel 2020[1]. Negli Stati Uniti, ad esempio, nella settimana dell’11 aprile i ricoveri previsti sono scesi al 68% e alcuni ospedali hanno riferito di operare ad una capacità inferiore del 50%. Il calo dei volumi è stato in gran parte dovuto agli ospedali che hanno intenzionalmente ridotto la chirurgia elettiva programmata e non urgente e altri trattamenti medici non critici.

 

Fonte: Epic and KFF Analysis of Epic Health Record System COVID-19 related data as of September 2020

 

A maggio, l’Università di Birmingham ha stimato che oltre 28 milioni di interventi chirurgici elettivi in tutto il mondo potrebbero essere annullati a causa della pandemia[2]. Ad oggi il 38% degli interventi chirurgici sul cancro a livello mondiale è stato rinviato o annullato. Lo studio stima inoltre che ci vorranno circa 45 settimane per eliminare l’arretrato degli interventi in sanità. Una recente indagine, inoltre, ha rilevato che il numero di pazienti con cancro al seno identificati di recente è diminuito del 52% negli Stati Uniti in primavera[3].

Gli effetti collaterali del ritardo degli interventi chirurgici sono complessi. A causa dell’impossibilità di ricevere cure, le condizioni mediche dei pazienti sono peggiorate. Inoltre, le diagnosi di malattie gravi – spesso scoperte solo in sala operatoria – sono diminuite in modo significativo. Un altro effetto sono i tassi di complicanze chirurgiche più elevati a seguito del peggioramento delle condizioni mediche dei pazienti: più una malattia grave è avanzata, infatti, maggiore è il rischio delle sue complicazioni.

L’accesso alle competenze chirurgiche è un’altra grande area colpita dal Covid-19. Durante l’inizio della pandemia, quando molti paesi sono stati bloccati, è stato difficile per gli stakeholder sanitari cruciali accedere alla sala operatoria. Due gruppi sono stati gravemente limitati nella loro capacità di svolgere i loro compiti: i rappresentanti di società di vendita nel settore della diagnostica e dei presidi bio-medicali, necessari per installare apparecchiature mediche cruciali; i chirurghi specializzati che in precedenza si recavano negli ospedali per eseguire interventi chirurgici.

Se, da una parte, c’è stato un aumento della quantità di interventi chirurgici complessi e urgenti, dall’altra, le procedure elettive sono state più frequentemente posticipate con una drastica riduzione dell’attività chirurgica programmata e non urgente. Considerando, ad esempio, il caso di paesi, come l’Australia, che hanno vietato ai cittadini di lasciare il proprio stato, alcuni chirurghi specializzati non hanno potuto eseguire interventi durante l’apice della pandemia e operare in tutto il paese. In taluni casi, quindi, ciò ha comportato l’esecuzione dell’intervento senza l’expertise prestabilita, oppure il rinvio dello stesso.

Come risultato della seconda ondata di Covid-19 dell’autunno, gli ospedali di tutta Europa sono stati ancora una volta costretti a rinviare un numero maggiore di interventi chirurgici per mantenere disponibili sufficienti letti di terapia intensiva per i pazienti affetti da coronavirus[4].

Tuttavia, le capacità dei posti riservati in terapia intensiva sono state utilizzate solo in misura limitata per il trattamento dei pazienti Covid in molti paesi, come ad esempio in Germania. A causa degli alti costi associati alla scarsa occupazione dei letti in terapia intensiva, molti ospedali dovranno però affrontare un bilanciamento per ridurre gradualmente l’arretrato degli interventi chirurgici, rimanendo allo stesso tempo preparati per un’ondata di pazienti Covid-19. Una ragione valida per investire sempre più nella medicina territoriale, garantendo un’assistenza primaria e preventiva come alternativa all’ospedalizzazione e per trasformare la gestione dei sistemi sanitari con il coinvolgimento di tutti gli attori della sanità.

 

 

[1] Questo articolo è tratto dall’analisi di Bjoern von Siemens, fondatore di Caresyntax, che ha collezionato i dati provenienti da diverse indagini internazionali citate nelle note successive.

[2] AA.VV., Elective surgery cancellations due to the COVID‐19 pandemic: global predictive modelling to inform surgical recovery plans, in “British Journal of Surgery”, Maggio 2020.

[3] Epic and Kff Analysis of Epic Health Record System COVID-19 related data September 2020.

[4] Cfr. ad esempio i dati di Nomisma sul rinvio degli interventi durante l’epidemia, all’interno dell’analisi “Riprogrammazione degli interventi chirurgici, liste d’attesa e mobilità sanitaria: il Covid spingerà gli italiani a curarsi vicino a casa?”.

 

SINISTRI OSTETRICIA: UNO STUDIO DECENNALE DI SHAM

277 dossier raccolti da Sham in Francia nell’arco di una decade analizzano una delle tematiche più delicate del risk management sanitario. Tra gli elementi individuati c’è la carenza frequente di comunicazione tra i sanitari.

 

La gestione delle richieste di risarcimento ricopre un ruolo sempre più importante per la sostenibilità finanziaria dei sistemi sanitari e la crescita delle denunce in ostetricia è una sfida sia sul piano della prevenzione che della solidità finanziaria delle strutture ospedaliere.

Il “Panorama of medical risk Sham” ha mostrato come nel 2017, il 9,1% dei giudizi di risarcimento che hanno dichiarato le strutture sanitarie responsabili dei sinistri riguardava i reparti di ostetricia; tali sinistri rappresentano il 46,7% dei costi totali dei risarcimenti di quell’anno. Questa proporzione sbilanciata è ben nota: nonostante gli incidenti in ostetricia siano rari, le loro conseguenze sono spesso drammatiche, comportando quindi un alto costo di risarcimento.

Un aspetto che Alessandra Grillo, Direttore operativo di SHAM Italia, aveva affrontato durante il Global Meeting della International Gynecologic Cancer Society. Durante il suo intervento, Grillo aveva sottolineato come, tra tutti i claim, quelli che si rifanno al reparto di ostetricia e ginecologia risultano essere i più temuti, avendo uno dei più alti impatti emotivi e causando danni molto gravi alla struttura nella quale avvengono.

Una tematica che è, quindi, di grande interesse a livello europeo per chi si occupa di Risk Management. Al fine di approfondire la tematica, Sham Francia ha avviato uno studio retrospettivo per analizzare i sinistri nel reparto d’ostetricia, con l’obiettivo di identificare i punti critici presenti negli storici dei sinistri i e promuovere, quindi, una riflessione e condivisione sulle best practice.

Lo studio retrospettivo si è basato su 277 dossier, raccolti da Sham in un arco temporale di 10 anni riguardanti gli incidenti con gravi danni al nascituro. Tra questi sono stati inclusi: i neonati deceduti a seguito di un incidente durante il parto, quelli che soffrono di una infermità motoria e celebrale e, infine, bambini con paralisi ostetrica del plesso brachiale.

Il campione è risultato essere composto dalle categorie più fragili tra i nascituri.

Sono presenti infatti: prematuri (28,8% vs. 6%), post-maturi (21,7% vs. 16,8%) e gravidanze gemellari (8,7% vs. 1,5%).

In circa il 69% dei dossier analizzarti, è stata notata una mancanza: l’assenza di conformità delle buone pratiche mediche, accompagnata da un deficit di informazioni, una scarsa sorveglianza, una comunicazione sbagliata tra gli stessi medici e un evidente problema organizzativo.

Questo studio ha permesso di distingue due tipologie di nascite:

  • I bambini la cui nascita è stata segnata da un incidente grave come, ad esempio, la rottura dell’utero o il prolasso del cordone ombelicale;
  • I bambini la cui nascita non è stata accompagnata da un incidente grave.

Per quanto riguarda i bambini nati con un parto caratterizzato da un grave incidente, si è visto che la rottura dell’utero è responsabile di una encefalopatia per il 13,8% dei casi e del decesso dell’infante nel 11,5% dei casi.

Nel tentativo di parto vaginale con utero sfregiato (16,2% delle pazienti con utero sfregiato nel campione), il tasso di rottura uterina è del 44,4% e la mortalità neonatale del 40% (contro 0,2-0,8% e 0,11% rispettivamente nella popolazione generale).

Nel secondo gruppo, ossia nei casi in cui non ci sono stati incidenti gravi durante il travaglio, i sinistri sarebbero avvenuti a causa di un’anomalia del ritmo cardiaco fetale non diagnosticata o scoperto tardivamente.

L’analisi degli incidenti ha posto in risalto anche una comunicazione particolarmente deficitaria nel 47,3% dei casi presi in esame con eventi avversi e nell’82,5% dei casi che riguardano nascite senza incidenti gravi.

La comunicazione con i pazienti è insoddisfacente ma l’elemento fondamentale è un inadeguato scambio d’informazioni tra lo stesso personale medico, che risulta essere impreciso, incompleto, ambiguo e sbagliato.

Lo studio francese dimostra che la comunicazione e lo scambio di informazioni sono essenziali in ostetricia, sia con le pazienti che all’interno del team interdisciplinare e permette di attuare una gestione ottimale.

Nel webinar SHAM del 30 ottobre 2020, incentrato sull’integrazione della gestione dei sinistri nel rischio clinico e su come lo storico degli eventi avversi può essere d’aiuto nella mappatura dei rischi, il Dott. Umberto Fiandra, Dirigente Medico Sc Qualità, RM, Accreditamento, AOU Città della Salute, aveva a sua volta sottolineato l’importanza della comunicazione, affinché il processo medico sia compreso da tutti, avendo a disposizione una visione sistematica e a largo raggio.

Da più fonti emerge, perciò, che per curare bene un paziente le informazioni devo essere trasmesse, conosciute e tracciate.

Anche per questo motivo Sham sostiene attivamente la formazione nel lavoro di squadra, attraverso la valorizzazione del lavoro di gruppo in team pluri-professionali aventi un obiettivo comune: la salute dei pazienti.

IL VACCINO COVID IN ITALIA E IN FRANCIA

Un approfondimento sul piano transalpino e il confronto con il modello italiano.

 

In Italia il Ministro della Salute Roberto Speranza ha presentato, il 2 dicembre 2020, il Piano strategico per la vaccinazione anti SARS-CoV-2/COVID-19 redatto dal Ministero della Salute, dal Commissario Straordinario per l’Emergenza, dall’Istituto Superiore di Sanità, insieme a Agenas e Aifa.

Il piano di vaccinazione italiano si sviluppa attraverso diversi punti fondamentali, primo tra tutti: la presentazione della vaccinazione gratuita e garantita a tutti. Con oltre 215 milioni di dosi disponibili, la campagna di vaccinazione è cominciata in Europa il 27 dicembre dello scorso anno, il famoso e tanto atteso giorno del Vaccine Day.

A fine dicembre 2020, a sua volta, il Ministero della Salute francese ha diffuso una guida di 45 pagine in cui spiega l’organizzazione delle vaccinazioni nelle strutture di cura per gli anziani, insieme alle federazioni del settore anziani, le federazioni ospedaliere, i rappresentanti dei professionisti della salute e le associazioni dei pazienti.

Sia in Italia che in Francia, infatti, sono state identificate delle categorie a rischio e che quindi richiedono prima di tutte le altre l’accesso al farmaco anti COVID-19. Esse sono:

  • gli operatori sanitari e sociosanitari;
  • gli anziani residenti in strutture di alloggio collettivo e quindi di conseguenza tutti gli istituti di assistenza per persone anziane non autosufficienti, le unità di cura a lungo termine, le residenze private e quelle di servizi per anziani;
  • i professionisti che lavorano in questi stabilimenti;
  • soggetti in età avanzata.

Sia il documento francese che quello italiano, provenienti dai rispettivi Ministeri della Salute, prevedono dei percorsi organizzati delle vaccinazioni che si riassumono in delle azioni chiavi, quali:

  • la preparazione della campagna di vaccinazione
  • l’organizzazione logistica delle strutture sanitarie e delle figure professionali coinvolte nella campagna di vaccinazione;
  • l’organizzazione di sessioni di vaccinazione;
  • la farmacovigilanza e follow-up post vaccinazione.

Preparazione della campagna di vaccinazione in Francia

Secondo il documento guida francese la campagna di vaccinazione inerente alle categorie ritenute a rischio, ed elencate precedentemente, deve essere fatta seguendo 9 azioni prioritarie:

  • Creare un comitato direttivo delle vaccinazioni per ogni istituto, coinvolgendo il Direttore, il medico coordinatore, un medico di riferimento per il Covid, un dirigente sanitario ed un coordinatore amministrativo;
  • Informare i residenti nelle strutture, i professionisti che vi lavorano, gli assistenti e le famiglie dei degenti, in merito ai criteri necessari per l’accesso alle vaccinazioni e alla prima fase della campagna, ai principi alla base di questa coordinazione e dei futuri sviluppi. La guida francese propone inoltre che debba essere designata una persona di fiducia che accompagni i residenti che desiderano vaccinarsi durante la consultazione prevaccinazione e la raccolta del consenso;
  • Fornire le stesse informazioni agli organi di governo;
  • Identificare delle risorse mediche, paramediche, materiali e amministrative necessarie alla pianificazione e alla realizzazione delle consultazioni pre-vaccino;
  • Pianificare le consultazioni pre-vaccino al fine di permettere la prescrizione del vaccino stesso. Questo è un doppio passaggio che consiste sia nell’informare i medici curanti della necessità di effettuare queste consultazioni, al fine di identificare quelli di loro che non sono in gradi di farle e mobilitare di conseguenza  il medico coordinatore e un altro medico di supporto, sia invitare i professionisti stessi a consultare il proprio medico di famiglia o del lavoro per accedere alla prima fase della campagna ed informare gli altri della possibilità della prescrizione del vaccino nel caso in cui siano disponibili dosi extra il giorno della vaccinazione;
  • Verificare la disponibilità degli utensili necessari sia per la preparazione che per il monitoraggio della vaccinazione nel sistema Vaccin Covid, aperto dal 4 gennaio;
  • Identificare le risorse mediche, paramediche, materiali ed amministrative necessarie alla realizzazione stessa del vaccino entro le 72 ore dal ricevimento della medicina, essendo a conoscenza che “la data massima precisa di utilizzo delle dosi sarà indicata al momento della consegna”;
  • Stabilire, nel rispetto del segreto medico, la lista dei potenziali candidati (residenti e professionisti della struttura) almeno cinque giorni prima della consegna del medicinale in modo da comunicare al referente il numero preciso di dosi necessarie;
  • Realizzare un test di simulazione del percorso di vaccinazione nell’istituto.

Inoltre, secondo la guida francese, il vaccino contro il Covid-19, in questi casi, può essere realizzato solo su prescrizione medica preceduta da un consulto pre-vaccino realizzato dal medico curante, dal medico coordinatore, o in mancanza dei precedenti da un altro medico disponibile.

Questa consultazione può esser fatta sul luogo e di persona o in teleconsulto a distanza.

La consultazione pre- vaccino deve esser fatta almeno 5 giorni prima del vaccino stesso, in modo da avere le dosi di medicinale necessarie.

Per quanto riguarda la raccolta del consenso alla vaccinazione, la guida del Ministero francese ricorda che deve essere effettuata “nell’ambito della legge e delle regole abituali”, cioè dopo aver dato alla persona informazioni chiare, giuste e adeguate. In questo modo, il paziente sarà in grado di dare un consenso libero e informato.

Realizzazione delle vaccinazioni

In Italia l’organizzazione dei vaccini è sotto coordinamento costante del Ministero della salute, la struttura del Commissario Straordinario e le Regione e Province Autonome. Viene prevista l’identificazione di siti ospedalieri o peri-ospedalieri e l’utilizzo di unità mobili al fine di arrivare anche ai soggetti che sono impossibilitati nel raggiungimento dei punti di vaccinazione. Ogni unità vaccinale sarà composta da medici, infermieri, assistenti sanitari, OSS e personale amministrativo.

In Francia, il decreto n°2020-1691 del 25 dicembre 2020 precisa che qualsiasi professionista sanitario, che eserciti o meno la libera professione, e qualsiasi studente di medicina o facoltà sanitaria, può partecipare alla campagna di vaccinazione nel limite delle sue competenze per quanto riguarda le vaccinazioni.

Il medico coordinatore degli istituti per anziani può prescrivere e coordinare i vaccini dei residenti nella struttura e del personale. I medici curanti dei pazienti residenti devono essere informati delle prescrizioni fatte.

Gestione dei pericoli

Le attività di sorveglianza saranno pianificate in modo accurato attraverso la farmacovigilanza passiva sia in Italia che in Francia.

In Italia verranno attuate anche misure azioni proattive attraverso progetti di farmacovigilanza attiva e farmaco-epidemiologia.

In questa nuova situazione di sviluppo, è necessario, in qualsiasi parte del mondo, fornire informazioni che siamo accurate e obiettive al fine di attrarre quante più adesioni possibili alla campagna di vaccinazione.

 

 

 

Fonti: