Pet Therapy, Portare gli animali in terapia intensiva per umanizzare ancor di più le cure: lo studio SIAARTI ne conferma i benefici

Gli effetti benefici della pet therapy sono largamente riconosciuti: l’interazione con animali, infatti, aiuta la produzione di endorfine, e conseguentemente induce la riduzione dei livelli di stress e di percezione del dolore, oltre ad avere effetti positivi sul sistema cardio circolatorio, cognitivo e di riabilitazione fisica. Si può quindi affermare che gli outcome siano positivi sia in termini biochimici che clinici. Il team di Gestione del Rischio Clinico della Società Italiana di Anestesia e Rianimazione (SIAARTI)  ha deciso di indagare sulle possibilità di implementare gli interventi con la mediazione degli animali all’interno dei reparti di terapia intensiva, pubblicando una revisione sistematica della letteratura. Vediamo insieme al primo firmatario, dottor Marco Fiore, cosa è emerso dallo studio e quali sono i benefici della pet therapy in un’ottica di umanizzazione delle cure.

Il quadro normativo di riferimento per la pet therapy in Italia 

Al momento, il riferimento legislativo che norma gli IAA (Interventi Assistiti con gli Animali) è l’accordo del 6 febbraio 2003 stretto tra il Ministro della Salute, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano in materia di benessere degli animali da compagnia e Pet Therapy. Tale documento, tra le altre cose, attribuisce alle Regioni e Province autonome il compito di agevolare a ampliare le iniziative clinico- terapeutiche coinvolgendo animali domestici al fine di “agevolare il mantenimento del contatto delle persone, anziani e bambini in particolare, siano esse residenti presso strutture residenziali, quali case di riposo e strutture protette, o ricoverate presso Istituti di cura, con animali da compagnia utilizzabili per la pet-therapy”.

La nascita di questo particolare tipo di terapia viene attribuita all’intuizione del neuropsichiatra infantile Boris Levinson nel 1953, che notò come uno dei bambini autistici che aveva in cura mostrasse risultati più positivi dopo e durante l’interazione con il cane del dottore. 

Dal 2003 in poi, molti reparti ospedalieri sono stati aperti agli IAA soprattutto con pazienti pediatrici e di declino cognitivo. Non è stata invece svolta altrettanta ricerca e sperimentazione per quanto concerne le terapie intensive. 

Umanizzare le cure grazie alla presenza degli animali: cosa emerge dallo studio

All’interno dello studio “Risk and benefits of animal-assisted interventions for critically ill patients admitted to intensive care units”, di cui primo firmatario è il dott. Marco Fiore, sono state revisionate ben 1302 pubblicazioni. Di queste, solamente 6 indagavano l’utilizzo degli IAA in terapie intensive di rianimazione, e 5 di questi ne registravano i benefici. 

Allargando il setting anche a contesti ambulatoriali e pediatrici, ne risulta che i benefici derivanti dalle IAA sono molteplici. Si notano, ad esempio, netti miglioramenti nella gestione dell’ansia, nella percezione del dolore, ma anche nella riabilitazione, poiché la presenza dell’animale può essere di stimolo alle attività di riabilitazione fisica, oltre che al reinserimento in un contesto socio emotivo positivo e piacevole. “È stato appurato, ad esempio, che l’interazione con un acquario ha il potenziale per migliorare il benessere umano dei pazienti, e migliorare l’attenzione dei pazienti con declino cognitivo (morbo di Alzheimer), anche se la ricerca su questo argomento è attualmente limitata” racconta il dottor Fiore. 

Anche in campo riabilitativo, la presenza e l’interazione con animali è confermata essere uno stimolo a percorrere distanze più lunghe e affrontare gli sforzi fisici, soprattutto in caso di soggetti sottoposti a interventi cardiaci. 

Il rischio di zoonosi

La maggioranza degli studi, però, non esploa l’utilizzo di tali tecniche all’interno delle Terapie intensive. 

“I reparti di rianimazione del nostro Paese sono molto più chiusi rispetto a quelli del Nord Europa anche perché vi è una forte e diffusa antibiotico resistenza: il rischio quindi che un animale possa essere vettore di un batterio e che questo possa compromettere lo stato di salute di un paziente già in condizioni critiche disincentiva queste iniziative” spiega ancora il dott.Marco Fiore.

Ecco perché uno degli obiettivi principali della revisione sistematica della letteratura effettuata dal team è stato proprio quello di indagare il rischio zoonotico in terapia intensiva, ovvero la possibilità che l’animale trasmetta, direttamente o indirettamente, dei batteri. “Non è stato possibile esplorare l’outcome, poiché si tratta di un elemento non pervenuto all’interno della letteratura revisionata” conferma il dottor Fiore, sottolineando la necessità di condurre studi approfonditi e ad hoc proprio su questo tema al fine di costruire un protocollo condiviso e implementabile. 

“Vi sono sicuramente delle limitazioni oggettive agli IAA all’interno della terapia intensiva, oltre al rischio zoonotico: la gestione degli spazi, ad esempio, poiché molti pazienti sono collegati a macchinari e sono quindi sottoposti a un movimento limitato; un altro aspetto da considerare è legato al tempo, che in terapia intensiva è un fattore estremamente variabile e non controllabile. Da un momento all’altro le condizioni di un paziente possono aggravarsi e per questo, alcuni interventi non  possono essere calendarizzati come invece avviene  in ambiente ambulatoriale”.

I cani, alleati della pet therapy in terapia intensiva

Gli animali prediletti per questo tipo di interventi assistiti sono i cani: questo perché, tramite specifico addestramento, è possibile prepararli a restare concentrati anche in caso di mutamento delle condizioni del contesto. “Il cane permette di avere il completo controllo, e questo lo rende il più idoneo – conferma il dott. Fiore –- ma non si esclude in futuro che vengano fatti studi anche con altri animali”. L’approccio deve comunque essere multidisciplinare: “All’interno del team devono essere coinvolti etologi e veterinari, per certificare lo stato di salute dell’animale e ridurre quindi il rischio zoonotico, ma anche di personale formato ad hoc, che deve essere presente sempre e avere sotto controllo l’animale per garantire che tutto si svolga nella completa sicurezza, sia dell’animale che del paziente coinvolto”. 

I cani, quindi, devono superare dei test in termini di addestramento e dei tamponi effettuati su pelo e muso, per verificare che non siano vettori di batteri. 

L’umanizzazione delle cure e la gestione dello stress post traumatico

Proprio per la natura stessa dei reparti di rianimazione però, gli effetti benefici degli IAA sono da considerarsi fondamentali: “Molti pazienti mostrano in follow up una forte traumatizzazione legata alla stress sviluppato durante la permanenza in reparto: per questo implementare queste attività può aiutarli non solo a ridurre lo stress del ricovero, ma anche a facilitare il reinserimento in un contesto socio emotivo normale e a metabolizzare l’esperienza differentemente”. 

Risoluzione delle controversie: il caso della Commissione conciliativa di Bolzano

Un modello unico e virtuoso per incentivare la conciliazione in materia di responsabilità sanitaria.

È con l’istituzione della “Commissione conciliativa per le questioni di responsabilità in ambito sanitario” che la Provincia autonoma di Bolzano dà vita a un nuovo modello volontario, gratuito e non vincolante che vede partecipe anche Relyens, al fianco della ASL Alto Adige.

Uno strumento strategico e una best practice per altre realtà sanitarie, perché consente all’azienda ospedaliera di risparmiare in termini economici e, al tempo stesso, di riconoscere gli aspetti umani della richiesta di risarcimento.

La conciliazione extragiudiziale delle richieste di risarcimento in sanità è uno degli obiettivi auspicati della riforma Cartabia. Nonostante l’adeguamento normativo – in particolare l’alleggerimento della responsabilità legale del dipendente pubblico che sceglie di transare – l’incidenza degli strumenti alternativi al processo rimane, però, ancora molto minoritaria in Italia: intorno al 2% dei claim.

Esistono, ciononostante, delle eccezioni e una delle più virtuose è quella offerta dalla Provincia Autonoma di Bolzano. Circa il 20% delle richieste annuali di risarcimento per malpractice sanitaria ricevute dall’Azienda sanitaria locale e pubblica – che eroga il 90% delle prestazioni sanitarie sul territorio – viene sottoposta a un processo di negoziazione sviluppato appositamente dalla Provincia Autonoma di Bolzano.

Ne parliamo con il Dott. Paolo Martini, Direttore Ufficio Rischi assicurativi, sinistri e servizi generali presso l’Azienda Sanitaria dell’Alto Adige.

Come funziona la conciliazione sanitaria in Provincia di Bolzano?

“Utilizziamo uno strumento molto semplice ed economico che non prevede spese né richiede necessariamente la consulenza di avvocati. In questo, si differenzia dalla conciliazione forense e la precede, offrendo la possibilità di un confronto più diretto e immediato. In pratica, chiunque sia convinto di aver subito un danno, può avanzare un reclamo e presentare la sua richiesta alla Commissione. Davanti a questa si riuniscono le parti chiamate in causa per l’esposizione del caso. A questo punto l’Azienda sanitaria svolge la sua istruttoria, si confronta con i sanitari coinvolti e decide tra due strade possibili: riconoscere la fondatezza della richiesta, avviando dunque la trattativa in vista della transazione; oppure rimettersi alla decisione della Commissione che raccoglie tutta la documentazione ed emette un parere non vincolante”.

Da dove nasce la Commissione, quali figure ne fanno parte e chi ne nomina i membri?

“La Commissione è un organo della Provincia Autonoma di Bolzano formato da medici legali, avvocati e professionisti nell’ambito della responsabilità sanitaria e opera dal 2007 in seguito al varo di una legge provinciale del L.P 10/2005 (il decreto di attuazione è del 2007). Alle sedute della Commissione partecipnoa, inoltre, i professionisti di Relyens, compagnia che assicura la nostra Azienda Sanitaria e la accompagna nel percorso di gestione dei sinistri.

Quali sono le caratteristiche della conciliazione sanitaria nella Provincia di Bolzano?

“Il processo di conciliazione è libero, gratuito e non vincolante:questo significa che la partecipazione è assolutamente volontaria, le persone possono accedervi senza alcuna spesa per l’intera durata del processo e il parere della Commissione non preclude né la conciliazione forense né, ovviamente, l’accesso alla giustizia ordinaria. Questo strumento di conciliazione è, perciò, un’opportunità per tutte le parti coinvolte di parlare, confrontarsi e capirsi senza vedere in alcun modo limitate le altre opzioni”.

Quali sono i vantaggi nel gestire le controversie attraverso questa particolare processo di conciliazione?

“In primo luogo, il tempo: dalla presentazione del reclamo al pronunciamento della Commissione (o alla transazione) passano in media sei mesi: un lasso di tempo molto breve se confrontato all’opzione giudiziaria. Il secondo vantaggio è nella gestione più umana della controversia. In particolare, la conciliazione permette a medico e paziente di confrontarsi sull’accaduto, riconoscendo una parte importante del rapporto: che il danno non è solo materiale e il risarcimento non è solo monetario, ma anche emotivo. C’è un vantaggio nella sicurezza delle cure, perché ogni analisi del claim o del sinistro può essere tradotta in azioni proattive di gestione del rischio.  C’è, poi, un grande risparmio economico per tuttele parti coinvolte e, in particolare, per l’azienda sanitaria che ne beneficia anche in termini assicurativi: maggiore è il numero delle conciliazioni, migliore può diventare per il contraente il premio a ogni rinnovo.

Quali saranno i passaggi successivi? Può questo metodo essere applicato in altre parti di Italia?

“Da parte nostra cercheremo di implementare ulteriormente l’uso della conciliazione anche attraverso un forte impegno nella comunicazione ai diversi attori sanitari. Per quanto riguarda l’applicazione in altre aree del Paese, penso che la chiave sia nelle tre caratteristiche principali del processo sviluppato a Bolzano: la conciliazione deve essere libera, gratuita e non vincolante. Se rispettate queste condizioni, il modello della Commissione conciliativa può certamente essere esportato con successo in qualsiasi impianto normativo, adeguandosi a contesti differenti e dando origine a un processo di conciliazione analogo a quello in essere nella nostra Provincia”.