LA PERCEZIONE DELLA SICUREZZA PSICO-SOCIALE, UN INDICATORE INNOVATIVO RIGUARDANTE LA PREVENZIONE DEI FATTORI DI RISCHIO PSICOLOGICI E SOCIALI SUL LAVORO

La prevenzione dei rischi sociali e psicologici sembra essere, al momento, in via di sviluppo. Resa obbligatoria dalla legislatura, la prevenzione è un’azione che porta molti più benefici che costi e, se ancorata alla cultura aziendale, può dare il via a dinamiche piuttosto favorevoli. Tuttavia, un quesito fondamentale resta: come si può migliorare il processo di monitoraggio preventivo dei rischi psico-sociali, comprendendo anche i più deboli indicatori di un potenziale deterioramento delle condizioni di lavoro? La nozione di “percezione della sicurezza psico-sociale” sembra rispondere a questa domanda strategica.

Il Psychosocial Safety Climate, teoria della ricercatrice australiana Maureen Dollard, si fonda sulle raccomandazioni dell’Agenzia Europea per la Sicurezza sul Lavoro e può essere definita come l’insieme delle percezioni su tematiche quali “politiche, pratiche e procedure per la protezione della salute e della sicurezza psicologica dei lavoratori”. Si basa sulla valutazione delle priorità dell’organizzazione e sull’impegno dei vari livelli di gestione rispetto a tematiche quali la salute e la sicurezza sul lavoro di cui le politiche di gestione sono indicatori.

L’obiettivo del Psychosocial Safety Climate è quello di creare un quadro di riferimento trasversale che sia in grado di fornire una valutazione “macro” a livello organizzativo, dando una visione di ciò che realmente si sta facendo per prevenire i danni psicologici causati dal lavoro.

Il prendere in considerazione questi “meta-indicatori” può quindi fornire delle informazioni sulla qualità e sul livello di priorità che l’organizzazione dà alla prevenzione dei danni psicologici.

In particolare, si è dimostrato che la valutazione della percezione della sicurezza psico-sociale è predittiva di possibili disfunzioni organizzative, poiché indaga su 4 aree cardinali quali:

  • Sostegno e impegno da parte della direzione organizzativa in materia di prevenzione della salute psicologica sul lavoro;
  • Priorità alla salute psicologica sul luogo di lavoro, in relazione alle questioni di produzione e rendimento;
  • Partecipazione attiva di tutte le parti coinvolte nella gestione della prevenzione della salute psicologica al lavoro;
  • Comunicazione, ascolto e presa in considerazione delle proposte dei professionisti per la prevenzione della salute psicologica al lavoro.

In questo modo, la qualità della percezione della sicurezza psico-sociale viene determinata non solo dalla Direzione, ma da tutti i livelli manageriali, che integrano l’importanza della salute psicologica nei fattori di prestazione generale dell’organizzazione. Attivando un sistema di comunicazione che va dal basso verso l’alto, si creano, così, degli spazi di partecipazione collettiva nell’organizzazione del lavoro, che sono determinanti per la percezione dell’ambiente in cui si lavora.

In letteratura, si vede come la percezione di una sicurezza psico-sociale debole generi un processo di alterazione della salute psicologica,mentre una rispettiva percezione elevata della sicurezza psicologica è in grado di scaturire un processo motivazionale e di impegno maggiore sul lavoro, dimostrando al tempo stesso l’esistenza di risorse organizzative funzionanti.

Infatti, la percezione della sicurezza psico-sociale appare essere predittiva delle condizioni psicologiche sul lavoro e quindi dell’esposizione a fattori di rischio in questo campo.

Per questo motivo, la percezione della sicurezza psicologica può essere considerata come la risorsa “primaria” da cui è possibile orientare una politica di prevenzione interna, in quanto fornisce una lettura semplice, globale e continuativa dell’efficacia delle pratiche organizzative e delle performace complessive.

Potrebbe essere utile approcciarsi alla percezione della sicurezza psicologica e sociale sul lavoro in due modi.

Da una parte, il suo mantenimento e il suo rafforzamento possono diventare degli obiettivi e quindi guidare delle strategie manageriali appropriate, dando il via ad azioni che mirano alla partecipazione, alla comunicazione e al coinvolgimento di tutti i livelli di gestione nello sviluppo della salute psicologica sul lavoro.

Dall’altra parte, prendere in considerazione la percezione della sicurezza psicologica come barometro interno può essere interessante per avere una visione longitudinale della percezione dei lavoratori sulle loro condizioni di lavoro, così come sulla qualità delle azioni a favore della salute psicologica.

In questo modo, la percezione della sicurezza psico-sociale diventa un indicatore rilevante per l’organizzazione che può controllare in modo semplice e regolare le varie dinamiche e agire di conseguenza.

Per tale finalità, la scala di misurazione “PSC-12” (uno strumento specifico che misura la quattro dimensioni sopra menzionate) può essere utilizzata per monitorare il contesto psico-sociale del lavoro, adattandosi secondo le necessità e le diverse interpretazioni.

In definitiva, preoccuparsi della percezione della sicurezza psicologica e sociale sul luogo di lavoro è una sfida impattante per tutta l’organizzazione desiderosa di prendere seriamente in considerazione la qualità dell’ambiente di lavoro, del lavoro stesso e delle performance ad esso correlate.

La sua promozione è un’innegabile novità in qualsiasi politica di prevenzione dei rischi.


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ELETTROMEDICALI: QUANTO SONO ESPOSTI AI RISCHI CYBER?

Esistono ancora diversi fattori che minacciano la sicurezza dei device medicali all’interno degli ospedali: la difficoltà da parte della struttura di ‘controllare’ i programmi installati dai produttori è uno di questi.

A parlarne è Pasquale Draicchio, Cyber Risk Manager di Sham in Italia.

Gli elettromedicali sono, ad oggi, sempre più digitali ed interconnessi, archiviando al loro interno un’ingente quantità di dati sensibili che influenzano direttamente la sicurezza informatica delle strutture sanitarie.

Dato il costo elevato di tali apparecchiature, il loro utilizzo viene protratto nel tempo e ciò va a influire sulla loro obsolescenza. In aggiunta, i criteri presi in considerazione per stabilire le soglie di obsolescenza di un’apparecchiatura medica non comprendono la sicurezza informatica, nonostante le attrezzature siano collegate alla rete e, quindi, direttamente esposte a possibili attacchi cyber.

Mentre le normali attrezzature IT possono essere periodicamente aggiornate dalla stessa struttura sanitaria, installando un software di sicurezza se necessario, i software dei device medicali possono essere migliorati e gestiti solo dai produttori.

“Quello che ne scaturisce sono apparecchiature obsolete con enormi vulnerabilità che, collegandosi alla rete senza essere aggiornate con opportuni software di sicurezza, rappresentano una vera e propria minaccia per le strutture sanitarie – riporta Pasquale Draicchio, Cyber Risk Manager di Sham in Italia -. Come se non bastasse, gli elettromedicali sono caratterizzati da propri protocolli di sicurezza specifici e differenziati da produttore a produttore, e ciò crea enorme difficoltà per i reparti IT in quanto gli strumenti di sicurezza di rete, inizialmente implementati per il controllo dei soli dispositivi IT, non sono in grado di identificare correttamente i device medicali e di analizzarne le vulnerabilità: in generale è quasi impossibile installare software esterni; è, quindi, richiesta una continua collaborazione tra i produttori delle attrezzature mediche e la struttura sanitaria che ne usufruisce al fine di contenere possibili rischi cyber attraverso l’attivazione di aggiornamenti. È importante sottolineare che i fornitori stanno progressivamente sviluppando soluzioni adatte a concedere un maggiore controllo delle apparecchiature da parte delle strutture sanitarie. In questo contesto, la cooperazione tra il team di cybersecurity e gli ingegneri clinici è essenziale per mettere in sicurezza gli elettromedicali”.

COME CONTROLLARE L’ATTIVITÀ DEGLI ELETTROMEDICALI? SCOPRILO NELL’ARTICOLO:

UNA SONDA PER LA RETI OSPEDALIERE: COME FUNZIONA CYBERMDX

CHI È IL LEADER IN SANITÀ 

100 professionisti sanitari tratteggiano il ruolo, il riconoscimento e le qualità necessari per guidare il cambiamento a tutti i livelli del SSN.  

Leader è colui che porta il cambiamento in sanità. Che corre il rischio di scegliere sapendo che la soluzione ad un problema va trovata al di fuori del contesto che ha generato il problema stesso.  

“Il coraggio è la prima qualità di chi prende decisioni così determinanti come quelle che riguardano la salute delle persone. Non si può, però, parlare di quel tipo di coraggio se non si parla anche della missione che lo anima e della competenza che lo sostiene”.  

Arabella Fontana è Direttore Medico del Presidio Ospedaliero Borgomanero ASL “NO” di Novara e responsabile scientifico del convegno The Changes We Need, organizzato dalla sezione piemontese della Società italiana di Leadership e Management in Medicina (SIMM). Durante il convegno, tenutosi ad Orta San Giulio (NO) il 1° aprile, si sono riuniti oltre 100 professionisti della Sanità e dell’Università per tratteggiare il profilo dei leader che servono alla Sanità italiana.  

“Sono emersi – dice Fontana – tre pilastri della leadership sanitaria. Il primo è il riconoscimento del ruolo. Dal Direttore Generale di una ASL al Coordinatore infermieristico di un reparto, chi sceglie ha un impatto e un merito. È una missione ‘politica’, intesa come servizio alla Polis, e porta con sé la dignità di chi offre un beneficio alla comunità. Questo ruolo e questa dignità la società deve tornare a riconoscerli ai professionisti sanitari, ma è importante che i professionisti sanitari per primi non dimentichino l’importanza del loro ruolo e ne traggano la forza per agire, anche a fronte dalle tante difficoltà aperte”. Ha aggiunto Gianluca Collo, direttore Ortopedia dell’Ospedale Maria Vittoria – Torino: “Se non torneremo a dare Dignità e il giusto Riconoscimento Sociale ai Professionisti della Sanità, la Sanità stessa non avrà un vero Futuro.”  

La cultura è il secondo elemento portante, sia a livello individuale che di organizzazione. “La Salute – dice Antonino Trimarchi, Centro Studi Nazionale CARD – non è una prestazione in vendita.  La Cura è Relazione amorevole”. Dobbiamo evitare Arroganza, Autoreferenzialità, Ansia da prestazione specie in questo momento storico nel quale il PNRR rappresenta un’occasione da non sprecare (Carlo Favaretti, Centro di Ricerca e Studi sulla Leadership in Medicina Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma).   E promuovere la costruzione di Partnership attraverso un uso strategico della comunicazione (Patrizia Lemma, Dipartimento di Scienze della Sanità Pubblica e Pediatriche, Università di Torino). Questo, necessariamente, spinge il leader ad uscire dalla comfort-zone (Francesco Di Stanislao – Dipartimento di Scienze Biomediche e Sanità Pubblica – Università Politecnica delle Marche) e caricare su di sé il peso dell’inerzia che ostacola il cambiamento ( Walter Ricciardi, consulente del Ministro Speranza per emergenza COVID), animato da un perché o da un ideale profondo che sa comunicare agli altri con metodo e disciplina (Mattia Altini, Direttore Sanitario AUSL Romagna, Presidente Nazionale SIMM). 

A sostegno di questa impostazione non deve orientarsi solo l’organizzazione sanitaria, ma la formazione universitaria – terzo pilastro – che come sottolineato nei loro interventi da Roberta Siliquini e Carla Zotti (Dipartimento di Scienze della Sanità Pubblica e Pediatriche – Università di Torino) e da Fabrizio Faggiano (Dipartimento sviluppo sostenibile e transizione ecologica – UPO) deve formare i manager sanitari competenti, sicuri di sé e decisi ad avere un impatto sul presente e sul futuro in ciascun ambito in cui si trovino impegnati, tra Promozione e Prevenzione, Cura e Riabilitazione. Capaci di promuovere l’adozione di nuove tecnologie a supporto del cambiamento con un patto generazionale tra Università e Reti Ospedaliera e Territoriale (Giuseppe Massazza, Direttore Dipartimento Ortopedia Traumatologia e Riabilitazione, AOU Torino) 

“Questo – interviene Fontana – è il contesto all’interno del quale assumono significato le qualità personali dei leader in sanità”  

Leader, elenca Ricciardi, che: “Ispirano standard elevati; sono intolleranti alla mediocrità; combinano l’umiltà personale con una volontà di ferro”. Persone che “scelgono la direzione da prendere, sono disposti a fare sacrifici, scelgono i loro collaboratori e ne promuovono le idee senza paura che facciano loro ombra” (Di Stanislao). Mission impossible? Il carisma del Prof Giovanni Renga, leader per tanti dei suoi allievi presenti in aula, fatto rivivere attraverso i ricordi di Francesco Di Stanislao e dell’amico Claudio Maria Maffei, ci dimostra che questa sfida si può vincere. 

“Questi sopra riportati sono solo alcuni degli spunti nati dal Convegno – conclude Fontana -. La discussione è destinata a crescere in futuro perché il tema della leadership in sanità e al centro di tre sfide fondamentali che ci troviamo ad affrontare: la Salute della persona, la Salute dei Sistemi sanitari; la Salute del pianeta. Per questo va affrontata senza esitazioni, con umiltà ma, anche, con il giusto orgoglio di chi, a qualsiasi livello, è parte del cambiamento in meglio della sanità”.   

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IL SALTO QUANTICO DELL’AI GIURIDICA 

Una galassia di progetti presso il LIDER- LAB della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa allena l’intelligenza artificiale ad annotare e interrogare le sentenze per raggiungere la nuova frontiera della predizione giuridica. Il rapporto tra tribunali, assicurazioni, avvocati e cittadini potrebbe cambiare come mai prima d’ora

È un fronte di progetti distinti ma coordinati quello condotto dal Laboratorio Interdisciplinare Diritti e Regole della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa (LIDER-LAB) spiega il Direttore, il Professore di Diritto Privato Comparato Giovanni Comandé:  “Si tratta di progetti paralleli gestiti da equipe multidisciplinari indipendenti che, però, si confrontano e si arricchiscono vicendevolmente”.  

“La Scuola Superiore Sant’Anna segue la sua intuizione originale di allenare i programmi di intelligenza artificiale per annotare autonomamente le sentenze. Le banche dati giuridiche, attualmente, vengono interrogate su parole chiave principalmente, e l’arricchimento semantico è direzionato a tale livello soprattutto. Noi stiamo sviluppando AI capaci di riconoscere le tipologie di frasi – che stabilisce una regola giuridica operazionale per esempio – in modo tale che riconoscano il principio o la regola giuridica in atto al di là del testo legislativo”.   

Come cambierebbe l’analisi giuridica con l’introduzione dell’AI?  

Assisteremo ad un cambiamento radicale, ancora più incisivo dello storico passaggio dalla carta al digitale. Già all’epoca, trent’anni fa, sperimentammo una forte fase di disintermediazione: l’accesso alle fonti e alla dottrina divenne, esponenzialmente, più facile.   

Ma con l’avvento dell’AI nel campo dell’analisi giuridica il cambiamento sarà ancora più profondo perché, per la prima volta, si potrà visualizzare l’evoluzione della giurisprudenza e la sua direzione in tempo reale. Inoltre, si potrà misurare l’impatto dei singoli ‘parametri’, come una particolare forma di danno alla salute (o un fattore metagiuridico) nel dare origine ad un pattern riconoscibile nella giurisprudenza e, quindi, nel cambiamento operazionale della regola effettivamente applicata. Ad esempio, potremmo rilevare che determinate condizioni di partenza portino, la maggior parte delle volte, alla stessa sentenza. Questo aprirebbe le porte al secondo livello del nostro ‘fronte’ – esplorare le potenzialità predittive dell’analisi giuridica – e al terzo: calcolare con quanta probabilità, dati certi parametri iniziali, la sentenza possa orientarsi in un senso piuttosto che in un altro. Metaforicamente, al momento, l’analisi giuridica è monodimensionale. Alla fine di questo processo, sarà multidimensionale. È un salto che possiamo definire “quantico”.   
 

Un salto che può estendersi dall’analisi giuridica alla Giustizia stessa? 

“In minima parte è così, ma non è il cambiamento più significativo. Mi spiego: già la digitalizzazione della dottrina ha cambiato la prassi della ricerca giuridica e, di conseguenza, anche il modo di scrivere le sentenze. L’accesso alle fonti e la possibilità di richiamare la conoscenza giuridica ha allargato l’orizzonte. L’analisi AI-mediata della dottrina stessa porterebbe ad una conoscenza infinitamente più profonda e puntuale, influenzando ulteriormente l’impatto della tecnologia sulla giustizia”.   

“Ma il cambiamento più importante è nel rapporto con la giustizia stessa. I dati annotati e analizzati dalle AI saranno interrogati da magistrati, avvocati, cittadini e assicurazioni con obiettivi e ‘domande’ diverse. Già questa diversità di soggetti porterà alla declinazione di interfacce specializzate.  Intanto, il processo di intermediazione avrà fatto un altro salto in avanti perché, per calcolare la probabilità di ‘vittoria’ in tribunale, la convenienza di una negoziazione o l’opportunità di adire per vie legali, a volte non sarà più necessaria l’intermediazione di un esperto giuridico come un avvocato.  Altre volte, sarà, invece, proprio la presenza di questi strumenti ad avvicinare cliente all’avvocato, giacché, in assenza di questi strumenti, il cliente non avrebbe neppure la consapevolezza di avere bisogno di un esperto legale. Sarà la piattaforma AI di analisi giuridica a dare indicazioni sul potenziale esito di un eventuale giudizio. A queste piattaforme potranno affidarsi – in via ‘predittiva’ – assicurazioni, cittadini e attori della legge”.   
 

“Quando si parla di giudice-robot, perciò, non si deve pensare ad un robot che giudica, ma ad un programma che determinerà, in molti casi, se convenga adire in giudizio o meno; meglio ancora: a strumenti che allargano la conoscenza giuridica e, quindi, espandono un effettivo accesso alla giustizia”.  

Per approfondire:  

https://www.lider-lab.it/

 www.predictivejustice.eu