22 ANNI DI TELEMEDICINA: PERCHÉ È EQUIVALENTE ALLE VISITE IN OSPEDALE E DI COSA HA BISOGNO PER DECOLLARE IN ITALIA
“La Telemedicina non supera il rapporto tra medico/infermiere e paziente ma lo ricostruisce; è equivalente alle visite in ospedale, ma costa la metà; è legata allo sviluppo dell’assistenza domiciliare con un grande beneficio per la prevenzione e il benessere del paziente. Bisogna cambiare la mentalità dei medici e, soprattutto, i DRG regionali”. L’intervista a tutto tondo al Prof. Gianluca Polvani che, dal Centro Cardiologico Monzino, gestisce una tra le prime e più grandi centrali operative di telemedicina in Europa
“Un tempo, le persone venivano ricoverate in cardiologia e cardiochirurgia, ricevevano le cure e, poi tornavano a casa. Con il rientro a domicilio o con l’invio al centro di riabilitazione l’Istituto perdeva completamente la possibilità di poter mantenere una continuità assistenziale dei pazienti da noi trattati e che conoscevamo. Poi è arrivata la Telemedicina”.
“Presa in carico globale del paziente, oggi, è una frase comune. Ma, nel gennaio del 2000, 22 anni fa, quando aprimmo la prima Centrale di Telemedicina Cardiovascolare del Centro Cardiologico Monzino, era l’inizio di una nuova fase per la medicina italiana”.
Gianluca Polvani, Direttore della Cardiochirurgia del Centro Cardiologico Monzino, Professore di Chirurgia Cardiaca presso l’Università Statale di Milano e Responsabile della Centrale, è stato uno dei protagonisti di questo cambiamento.
Professore, la vostra è una delle più importanti esperienze di Telemedicina in Europa. Qual è il bilancio di questi 20 anni di lavoro?
Il bilancio è che la Telemedicina cardiologica e post-cardiochirurgica è equivalente all’assistenza in ospedale, se non migliore, costa la metà e migliora sia la qualità della vita che la possibilità di prevenzione di recidive. Questi sono fatti, non opinioni. Abbiamo assistito a casa oltre 2500 pazienti. Prima ci siamo occupati della riabilitazione post-chirurgica, successivamente integrata con il monitoraggio di pacemaker, aritmie complesse e scompensi cardiaci. Sono pazienti delicati, eppure abbiamo gestito a casa l’80 per cento delle complicanze post-chirurgiche, come versamenti e infezioni. Nel restante dei casi il ritorno in ospedale era dovuto a eventi non correlati agli interventi, ma causati da elementi ‘esterni’, come le cadute. Quando parliamo di monitoraggio non stiamo parlando di dati e parametri: parliamo di relazione di cura con il paziente e a tutto tondo. La Telemedicina è Medicina; è un’attività clinica a tutti gli effetti. Chi vorrebbe relegarla ai meri device o ai numeri dei parametri vitali, non ha capito la sua essenza. Nella nostra Centrale lavorano 2 cardiologi e 6 infermieri a tempo pieno: chiamiamo i nostri pazienti ogni giorno, li visitiamo, ci confrontiamo con loro. Questo è Telemedicina: ricostruire il rapporto diretto tra persona e personale sanitario. Il nostro ‘marchio di fabbrica’ è una valigetta a due strati: nel primo ci sono le medicine per il paziente, nel secondo tutti i presidi medici che possono servire all’operatore sanitario che effettua l’assistenza domiciliare. Questo è il secondo punto focale e oggetto di un profondo equivoco: “La Telemedicina non è ‘virtuale’; ma è un rapporto personale e fisico: sono medici e infermieri che vanno al domicilio del paziente”.
Cosa serve per avere un sistema di Telemedicina che funziona?
“La tecnologia sembrerebbe il requisito fondamentale, mentre in realtà è l’ultimo dei problemi. Prima di tutto occorre cambiare la mentalità dei medici perché non è più vero che, per visitare una persona, è sempre necessaria la presenza fisica. Abbiamo a disposizione così tanti esami strumentali che non c’è più bisogno di ‘auscultare’ con il fonendoscopio. Ovviamente esistono situazioni in cui la visita in presenza è imprescindibile. In questi casi la Telemedicina permette di fare una scrematura; in modo tale da visitare di persona solo chi effettivamente ne ha bisogno. Questo approccio non riduce il servizio ai pazienti, perché purtroppo i medici – e soprattutto i medici di famiglia oppressi da burocrazia e incombenze di ogni tipo, -hanno sempre meno tempo da dedicare alle visite. La Telemedicina è uno strumento per recuperare tempo da dedicare ai pazienti.
La Regione Lombardia per prima e finora unica, ha capito, sulla base di dati e studi scientifici incontrovertibili, che la Telemedicina cardiologica è equivalente alle visite ospedaliere e conviene sotto tutti i punti di vista. Lo ha capito 15 anni fa quando ha preparato il primo DRG per le prestazioni in Telemedicina, ma finché le altre non ne seguiranno l’esempio, le prestazioni in Telemedicina saranno irrealizzabili e si continueranno a privilegiare ospedali, piccoli e grandi, e visite in presenza, che generano più costi e richiedono più tempo e fatica per gli spostamenti. Al Centro Cardiologico Monzino, per esempio, seguiamo sul territorio circa 3/400 pazienti all’anno su 700 interventi chirurgici, perché i rimanenti vengono da Regioni che non prevedono un DRG per l’assistenza a casa.
Terzo e ultimo punto: l’assistenza domiciliare è la ‘gemella’ della Telemedicina, è la sua naturale compagna. Se abbiamo dimostrato che la visita in Telemedicina equivale alla visita in ospedale, allora è evidente che abbiamo bisogno di meno strutture ospedaliere e di più team di medici e paramedici che vanno a casa delle persone”.
La Telemedicina non cambia la Medicina, bensì cambia l’organizzazione della sanità. È questo un messaggio che sta passando?
“Non in maniera sufficiente. C’è bisogno di una forte opera di informazione, comunicazione e, in senso positivo, anche di lobbying presso le Istituzioni. I pazienti sono quelli che, forse, hanno capito meglio di tutti il passaggio epocale. Per loro sta diventando naturale inviare gli esami online al medico e chiedergli: “Cosa devo fare?”. Per vent’anni le persone hanno cercato informazioni online e, ora, possiamo far sì che questa abitudine diventi uno strumento di controllo della salute e prevenzione, non di disinformazione. Le persone devono poter chiamare medici e infermieri nelle centrali operative di Telemedicina e chiedere esattamente le informazioni delle quali hanno bisogno e alle quali hanno diritto. Pensiamo solo a quello che è successo con il COVID: chi era più informato, in media, ha subito meno ospedalizzazioni e conseguenze negative di chi ha aspettato direttive dall’alto. Non possiamo cambiare la società e arginare il bisogno di consulti o l’abitudine all’immediatezza delle risposte online. Possiamo, però, instituire i meccanismi sanitari per far sì che le risposte siano quelle giuste e non fake news.
Il COVID ha dimostrato – senza ombra di dubbio – che la risposta sanitaria a qualsiasi problema debba essere territoriale e domiciliare, prima, e ospedaliera poi (e solo se proprio è necessario).
Quando sento che vogliamo fare le Case della Salute dove ricoverare i pazienti post-acuzia, mi chiedo se abbiamo capito davvero la lezione della pandemia. Abbiamo davvero bisogno di altri, piccoli, ospedali? Personalmente, preferirei che le persone non entrassero nelle strutture sanitarie, ma fossero, invece, gli operatori sanitari ad uscirne per raggiungerle a casa sia fisicamente che grazie alla Telemedicina.