COVID E BURN-OUT: COME IL PERSONALE SANITARIO REAGISCE AI RISCHI DELLA PANDEMIA
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COVID E BURN-OUT: COME IL PERSONALE SANITARIO REAGISCE AI RISCHI DELLA PANDEMIA

Reparti sovraffollati, una gestione organizzativa messa alle strette dal numero degli ammalati. Da due anni il personale sanitario combatte in prima linea il Covid-19 con orari lavorativi massacranti ed incertezza rispetto al termine dell’emergenza, così il burn-out prende il sopravvento

Il disagio psicologico del personale sanitario durante la pandemia da Covid-19. Ne parla il Professore Antonio Lasalvia docente di Psichiatria del Dipartimento di Neuroscienze, Biomedicina e Movimento dell’Università di Verona, autore della ricerca ““The Sustained Psychological Impact of the COVID-19 Pandemic on Health Care Workers One Year after the Outbreak—A Repeated Cross-Sectional Survey in a Tertiary Hospital of North-East Italy”, pubblicato sulla rivista International Journal of Environmental Research and Public Health, che ha esaminato l’impatto psicologico subito dal personale dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata (AOUI) di Verona

  • Quale è stata la causa scatenante l’interesse per la tematica su cui si concentra la ricerca?

La ricerca è nata nel marzo del 2020, durante la prima ondata della pandemia. Il Veneto e la Lombardia sono state le prime regioni ad essere colpite da questo male sconosciuto riportando i primi focolai di quella che sarebbe, poi, stata una pandemia disastrosa per il nostro paese. Gli ospedali si sono messi in prima linea per fronteggiare le terapie intensive sovraccaricate e i decessi giornalieri. In quel periodo, insieme con alcuni colleghi dell’Ospedale Policlinico di Verona, mi è venuta l’idea di valutare gli effetti di ciò che stava succedendo nelle strutture sanitarie, nonostante, ai tempi, non avessimo ancora compreso l’entità di ciò che stava accadendo: non c’erano protocolli di nessun genere, mancavano i dispositivi di protezione individuale, mancava la conoscenza minima di una prassi condivisa per affrontare il Covid-19.

Tra marzo e aprile del 2020 abbiamo impiantato questo studio utilizzando dei questionari che sono stati fatti girare nell’azienda ospedaliera e compilati on-line in anonimato: ansia post-traumatica, ansia generalizzata, stress da lavoro, depressione, burn-out è stato ciò che abbiamo indagato tramite le domande.

  • Quali sono i disagi maggiormente percepiti dal personale sanitario in base ai risultati dei questionari?

Inizialmente abbiamo valutato quale è stato l’impatto del Covid-19 nel 2020 ed il risultato è stato individuato in un’elevata prevalenza di stress post-traumatico e ansia generalizzata, in particolare negli infermieri, e soprattutto di quelli che lavoravano nelle terapie intensive e nei reparti sub-intensivi Covid.

Abbiamo, poi, ripetuto i questionari a distanza di un anno, quindi a marzo ed aprile del 2021, per comprendere se la situazione fosse o meno migliorata, considerando che in un anno la medicina aveva fatto passi da gigante nella gestione della pandemia, nonostante la seconda e terza ondata della malattia.  Dopo un anno, la situazione è risultata essere ancor peggiore, non tanto in termini di paura e preoccupazione, quanto in termini di un logoramento da iper-lavoro, assenza di riposo, mancata capacità da parte del sistema di gestire la situazione sul lungo termine. 

Ciò che è emerso sono sintomi di depressione, esaurimento emotivo e burn-out, dove quest’ultimo rappresenta il rischio psicologico lavoro correlato più pericoloso, in quanto il lavoratore sviluppa un totale rifiuto verso la propria occupazione e nel caso delle professioni di aiuto, come appunto medici e infermieri, verso i pazienti.

Il burn-out è una situazione molto complicata da gestire, la qualità delle cure ne risente.

I dati raccolti dal campione valutato nel 2021, composto da circa 1033 operatori sanitari, hanno mostrato che le persone con livelli elevati di ansia sono passate dal 50% al 56%, ma – dato ancora più interessante – quelle con depressione dal 27% al 41% e quelle in burnout dal 29% al 41%.

  • Ci sono state ripercussioni dirette del malessere del personale sanitario?

Si, quando il personale sanitario è demotivato e stanco è meno efficiente nelle cure e, quindi, anche più incline a sbagliare. Il burn-out nei contesti sanitari è una condizione ampiamente documentata dalla letteratura scientifica in epoca pre-pandemica, evidenziando che in molte organizzazioni ospedaliere una quota di lavoratori in burnout rappresenta un fenomeno parafisiologico; tuttavia, in una situazione di pandemia, che ormai si sta protraendo da due anni, la percentuale di operatori in burn-out è quasi raddoppiata rispetto a quanto osservato in passato: il personale evidentemente non riesce più a stare al passo con un’emergenza che purtroppo è diventata quotidianità. E lavora in un contesto emotivo contrassegnato dall’incertezza rispetto a quando (e se) tutto ritornerà nella “normalità”.

Gli infermieri, ripeto, sono sicuramente la categoria che ha subito di più gli effetti secondari del Covid-19 negli ospedali.

  • Essendo quindi il personale sanitario debilitato, è possibile che tale fragilità possa portare a rischi clinici più frequenti?

Certamente, il burn-out aumenta decisamente il rischio di errori e il rischio clinico a carico del paziente. La situazione psicologica dei sanitari non è solo a carico degli stessi, ma si riversa anche sui pazienti. Lavorare con persone che sono sfinite è un problema che riguarda gli utenti alla fine.

  • In base alla ricerca condotta, lei ha dei suggerimenti per ovviare a tali rischi?

Ci sono due livelli su cui si può agire. Noi come psichiatri possiamo agiamo su uno di questi, quello individuale (o eventualmente di gruppo), cercando di alleviare l’impatto dei sintomi psicologici e cercando di dotare gli operatori maggiormente a rischio di quegli strumenti emotivi e cognitivi per fare fronte in maniera meno disfunzionale alle aumentate sollecitazioni lavorative legate al lavoro in pandemia; ma ci sono dei livelli organizzativi del sistema, come ad esempio le turnazioni di lavoro o l’aumento il personale sanitario, che devono essere riviste nonostante ci siano delle oggettive difficoltà legate ad una situazione diventata oramai ingestibile.

Aiutare i professionisti nei reparti a rischio a gestire meglio le proprie emozioni e insegnare delle tecniche per ridurre lo stress, come la mindfulness, può essere l’inizio. All’interno del Policlinico di Verona stiamo appunto cercando di mettere in atto un progetto per capire se gli interventi di rilassamento e meditazione in qualche modo possano dotare gli operatori di strumenti emotivo- cognitivi in grado di far fronte a quelle che sono le necessità.

Ovviamente, non tutti gli operatori sanitari sono vittime dello stress psicologico, o lo sono in maniera debilitante, ma è molto importante sviluppare degli strumenti di supporto psicologico al fine di aiutare gli uni e gli altri, perché la cura del personale sanitario è una parte essenziale per preservare la sicurezza negli ospedali.

Il benessere di si prende cura di noi è fondamentale.