COME CREARE UNA RETE PROATTIVA DI RISK MANAGEMENT IN UNA STRUTTURA SANITARIA
65 referenti: una rete capillare tra reparti e Risk Management per proporre miglioramenti, segnalare problemi e implementare i protocolli di sicurezza. È la gestione del rischio proattivo della Fondazione Polimabulanza di Brescia. Ma è replicabile? E, se sì, come. L’intervista a Giansaverio Friolo, Risk Manager di Sham che ha partecipato alla valutazione dell’iniziativa Sustainable Enterprise Risk Management
Da anni la Fondazione Poliambulanza di Brescia, una delle realtà più importanti nel panorama della sanità privata convenzionata italiana, ha creato una rete di referenti del Risk Management attivi in ogni singolo reparto. Questi referenti, 65 ad oggi, hanno il compito di fornire un collegamento diretto e quotidiano tra il Risk Manager e i reparti: segnalano i problemi, declinano i protocolli di sicurezza da introdurre, avanzano proposte di miglioramento sulla base dell’esperienza. È un approccio radicalmente proattivo*, fondato in una cultura no blame** e capace di produrre 45 progetti di implementazione della gestione del rischio nel solo 2021, raccolti nell’iniziativa Sustainable Enterprise Risk Management che ha vinto il Premio Sham 2021 e che, qualche mese dopo nel dicembre 2021, ha visto la presentazione e premiazione dei singoli progetti presso la Fondazione Poliambulanza stessa.
“Il contributo dei singoli progetti al miglioramento della sicurezza è, però, solo uno dei molti vantaggi di questa iniziativa – spiega Giansaverio Friolo, Risk Manager di Sham che ha partecipato alla valutazione come membro della giuria -. Altrettanto importante è, anno dopo anno, la diffusione della cultura della sicurezza che si articola su diversi piani. Primo: il coinvolgimento del personale sanitario che diventa sempre più consapevole dell’importanza della prevenzione. Secondo: una progressiva comprensione di quali siano i confini della gestione del rischio e di come e quando possa entrare nei processi gestionali. Terzo: l’uniformità del linguaggio della sicurezza all’interno della struttura, un elemento essenziale per valutare oggettivamente il progresso e i risultati ottenuti nel corso degli anni e confrontare l’efficacia delle pratiche nei diversi reparti. È un modello, quello della Fondazione Poliambulanza di Brescia, straordinariamente affine al modello stesso della Mutua Sham e con il quale ci troviamo, da assicuratori e RM sanitari, in perfetta sintonia.
È un modello di RM che si può ‘esportare’ in altre strutture?
Sì, ed è altamente consigliabile. L’esperienza presso la Fondazione Poliambulanza ha messo in risalto che dirigenza, clinici e operatori sanitari partecipano attivamente e convintamente alla gestione del rischio. La prevenzione è un argomento all’ordine del giorno che il personale sente come proprio e attuale. Si può costruire una rete capillare di referenti del rischio e della sicurezza delle cure, ma sono necessarie alcune condizioni.
La prima condizione è un Risk Manager appassionato. La seconda è il sostegno e la presenza della dirigenza. Vedere il Direttore generale che, come durante i diversi stadi di Sustainable Enterpise RM, è presente e attivo è un forte messaggio per tutti e tutte e dice: “La prevenzione e la sicurezza sono al centro di quello che facciamo”.
Ma la passione e il sostegno non bastano. Per la mia esperienza ho visto quanto sia importante la presenza di procedure interne sulla gestione del rischio clinico validate dalla Direzione Generale e Sanitaria, che chiariscano il ruolo di tutti gli operatori sanitari, in un’ottica di tutela e responsabilità reciproca.
Qual è il nodo da sciogliere per far sentire gli operatori tutelati dal Risk Management?
Quando succede un evento sentinella o un evento avverso, si pone il problema della responsabilità. I dirigenti devono essere consapevoli che maggiore è la tempestività e la trasparenza con la quale viene segnalato ed affrontato un evento avverso, più sicura diventa, nel tempo, la struttura. Per permettere questo è necessario far capire agli operatori sanitari, che, quando si segnala un evento avverso, ci sia tutela da parte dell’organizzazione sanitaria in cui si opera. Ecco dove si calano le procedure interne sulla gestione del rischio clinico. I Direttori Generali e Sanitari devono assumersi la responsabilità di quello che avviene nella struttura, lavorando insieme agli operatori per migliorare la sicurezza dell’ospedale. È un passo difficile e coraggioso, soprattutto nel pubblico, perché, ovviamente, alla responsabilità sono connessi i risarcimenti. Ma è un passo che ripaga molte volte in sicurezza e, quindi, anche in sostenibilità.
Quale è la relazione tra sicurezza e sostenibilità?
Sono due variabili dipendenti. Più una struttura è trasparente sul rischio più il rischio si riduce, portando alla diminuzione degli eventi avversi e conseguenti richieste di risarcimenti. È questo l’orizzonte del cambiamento: servono fiducia da parte del personale e lungimiranza da parte delle dirigenze. Ed è un orizzonte che le nuove generazioni di Direttori, sia nel pubblico che nel privato, sono più disposte ad abbracciare che in passato.
C’è un ruolo per le assicurazioni in questa trasformazione?
Assolutamente sì perché l’ostacolo è, ormai, più culturale che economico. Di fatto, la copertura per la totalità del personale è già garantita. Gli strumenti assicurativi, perciò, ci sono. Bisogna accettare un cambio di strategia: investire all’inizio per risparmiare molto di più nel corso degli anni a venire. Questa, del resto, è la ragione per la quale la gestione del rischio è nata, decenni fa, in Giappone e negli Stati Uniti: intervenire sulle radici del problema per ridurlo progressivamente.
È una filosofia che funziona, come dimostrano sia dati in tutto il mondo che, in Italia, l’esperienza recente di realtà come la Fondazione Poliambulanza.
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*Proattivo è l’approccio che cerca di anticipare i rischi sulla base dell’esperienza. Reattivo è l’approccio va alla ricerca delle cause di un evento avverso solo dopo che si è verificato.
*No-blame è la cultura e la prassi organizzativa che considera gli eventi avversi e gli errori non come “colpe” di qualche operatore ma come problemi all’interno di un processo da risolvere affinché si verifichino con sempre minore frequenza.