ABBIAMO BISOGNO DI UNO STANDARD INFORMATICO PER LA SANITÀ- Nevio Boscariol
Sistemi interoperabili sono il presupposto di una digitalizzazione uniforme, come già avvenuto in altri settori. La sicurezza informatica è sia il prodotto che il presupposto dell’innovazione tecnologica.
Intervista a Nevio Boscariol, Responsabile economico servizi e gestionale – UESG di ARIS, Associazione Religiosa Istituti Socio-sanitari – pubblicata il 7 luglio 2021 nel Whitepaper
CAPIRE IL RISCHIO CYBER: IL NUOVO ORIZZONTE IN SANITÀ
Quali sono le opportunità di una sanità digitalizzata?
Il traguardo della sanità digitale è un obiettivo antico: seguire la persona. È il paziente, infatti, il centro del flusso di informazioni. Grazie al digitale possiamo seguire i suoi spostamenti da un setting assistenziale all’altro, monitorare i suoi parametri vitali da remoto, testare online l’efficacia delle protesi tecnologiche, analizzare i dati e incrociare le “fragilità” del singolo e dell’intera assistenza sanitaria a ogni nuovo scenario di rischio che si presenta, oltre che gestire l’intera logistica e supply chain.
Se avessimo avuto questo livello di digitalizzazione all’inizio della pandemia, l’esito sarebbe stato diverso. Tutt’ora, però, quello tratteggiato è un orizzonte. Non è la realtà della sanità italiana. A mancare, non è la tecnologia. Quella c’è già: testata, affidabile, standard, impiegata, a seconda dei casi, da una miriade di attori più o meno conosciuti. A mancare, nella sanità italiana, è il contesto nel quale questa tecnologia possa dispiegarsi e operare. Non solo, i servizi sanitari territoriali rappresentano un’enorme opportunità di rendere la sanità digitale un elemento essenziale della cura e assistenza.
Perché la nostra sanità è in ritardo?
Abbiamo tre ordini di problemi: lo standard, la cultura, le risorse. A questi ne va aggiunto un quarto: la complessità normativa e contrattuale. I sistemi informatici utilizzati dalla sanità italiana devono divenire interoperabili. Senza uno standard nazionale non andiamo da nessuna parte con il fascicolo o la cartella sanitaria elettronici. Questa è un’innovazione infrastrutturale per la quale vale la pena destinare un investimento nazionale di grossa portata. La declinazione regionale e la concorrenza tra servizi non vengono minacciate da questo standard. Se, però, la diversificazione avviene nel linguaggio e non nel servizio, il risultato non è la concorrenza o la specificità locale, ma il caos. La frammentazione è anche il risultato di una mancanza di competenza, esperienza e cultura della tecnologia, e non mi riferisco specificamente alle funzioni dedicate, ma all’intero sistema sanità. Chiaramente quando si parla in generale si fa torto a qualcuno. Per avere il meglio sul mercato a un prezzo sostenibile, la sanità italiana deve riuscire a parlare alle aziende più importanti del mondo, e coinvolgere quelle italiane di qualità, con una sola voce. E, a prescindere dalle dimensioni dell’interlocutore, deve sapere trattare da pari con i fornitori di servizi high tech. Terzo punto, le risorse: la tecnologia costa, gli aggiornamenti costano, la gestione costa, e l’appropriato utilizzo a costi sostenibili richiede competenze adeguate. La sanità, non solo italiana, è indietro rispetto ad altri ambiti perché la tecnologia non è considerata nel suo fondamentale valore strategico e di servizio all’utenza. Poteva anche essere giustificabile fino a qualche tempo fa. Ora non più. La digitalizzazione è inseparabile dalla cura del paziente e la pandemia ha portato un’ulteriore accelerazione senza però incrementare anche la formazione, la competenza e la sicurezza. Abbiamo una finestra stretta per chiudere il gap che si sta creando.
Che peso ha il rischio informatico nell’influenzare la direzione e il passo dell’innovazione?
La sicurezza informatica, in questo scenario, è un reagente essenziale del processo: è il prodotto di una più matura digitalizzazione ed è contemporaneamente la condizione affinché questa digitalizzazione possa diffondere i suoi benefici alla sanità in maniera omogenea.
Sia chiaro: non dobbiamo farci paralizzare dalla paura del rischio informatico. I rischi esisteranno sempre: si evolvono assieme ai sistemi per difenderci. Il rischio informatico non ha impedito lo sviluppo degli smartphone o dell’home banking.
Questi settori hanno trovato il modo di prosperare affrontandolo. Come può riuscirci anche la sanità?
La strada è applicare uno standard interoperabile superando lo sviluppo a macchia di leopardo di una miriade di sistemi non comunicanti. Un’innovazione che migliora le cure, la prevenzione, la concorrenza e anche la sicurezza se si accetta di creare layer profondi e intermedi di attori professionali ai quali affidare la gestione del dato in maniera più sicura di quanto possa fare la singola piccola struttura sanitaria.
Il paradosso, al momento, è che non essendoci sistemi interoperabili e sicuri di scambiarsi informazioni, si finisce per tenere nominalmente i dati “chiusi” nelle strutture e usare, poi, purtroppo spesso, WhatsApp o Excel per mandarli da un operatore all’altro o da un’istituzione all’altra.
Terzo punto è eliminare le legacy: ci sono troppi contratti sfavorevoli, troppo costosi da rescindere, che sono il frutto sia della normativa che di una scarsa capacità di pretendere il meglio dai fornitori. Per questo c’è bisogno di un salto “filosofico” ma molto concreto: l’evoluzione del digitale in sanità non si può cristallizzare. Il formato impiegato oggi fra un anno potrebbe essere superato. Bisogna abbracciare l’idea di flusso: dati sanitari, informazioni, tecnologie non possono essere bloccati. Si può solo decidere di incanalare l’evoluzione verso un sistema flessibile, condiviso e sicuro per la cura delle persone. E il PNRR non può perdere o fallire questa storica occasione.