IL PESO DELLA FATICA PANDEMICA
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IL PESO DELLA FATICA PANDEMICA

Il grande successo nello sviluppo dei vaccini non può nascondere i danni indiretti e l’impreparazione iniziale. La lezione della pandemia è la necessità di rinforzare la prevenzione e la gestione del rischio, riorganizzando il sistema sanitario, introducendo la figura del risk manager in ogni team work, guardando al futuro con ottimismo.

Giovedì 27 maggio si è tenuto il webinar “FocusOn – COVID-19 Lezioni apprese. Prospettive Future“. Sono intervenuti il Professor Riccardo Tartaglia, presidente onorario di In Safety Healthcare (INSH), e il Dottor Francesco Venneri, clinical risk manager dell’AUSL Toscana Centro. È stata l’occasione per un’ampia riflessione sulle conseguenze della pandemia sulla società e sui piani da attuare per una ripresa in sicurezza.

“Credere nella scienza sarebbe una grande follia, ma non crederci sarebbe una follia ancora più grande”: così il professor Tartaglia, riprendendo una celebre frase dello scrittore francese Proust, ha aperto il discorso.

Ad un anno dall’inizio della pandemia, possiamo ritrovare diversi punti di incontro con il pensiero di Proust. Lo sviluppo dei vaccini è stato una grande soluzione, però non è bastato ad arginare tanti lutti ed effetti diretti e indiretti che il dottor Venneri ha inquadrato con il concetto di “fatica pandemica”: la stanchezza da COVID, causata da una serie di eventi concatenati, tra cui un eccesso di informazioni arrivate in maniera rapida e, a volte, contrastante.

Le criticità che sono emerse nella comunicazione sono state dunque gli errori di valutazione, i messaggi discordanti e una sottostima iniziale di quello che stava succedendo. Il problema principale, ha sottolineato Venneri, è stato la mancanza di piani pandemici aggiornati: una delle più grandi lezioni sul piano organizzativo che la pandemia ha messo in luce. Ecco perché questi errori dovranno costituire dei punti di ripartenza.

La pandemia è passata attraverso diverse ondate, che hanno colto la popolazione impreparata, poiché mancava un’organizzazione precisa. Certamente si nota una grande differenza rispetto all’ultima grande pandemia della storia, esplosa nel 1918. Oggi, infatti, esistono le terapie intensive e una serie di farmaci che consentono di controllare meglio le patologie.

Il professor Tartaglia ha evidenziato come alcuni paesi siano riusciti a gestore l’emergenza in maniera migliore, come per esempio i paesi del sud-est asiatico e l’area del pacifico occidentale. Aver dovuto fronteggiare in tempi recenti la Sars, malattia di natura virale contagiosa, ha fatto assumere alla popolazione e alla società intera un atteggiamento pro-attivo nei confronti di questo virus, trovandosi già con dei piani pandemici pronti per contenere le infezioni. In Italia invece ci sono stati dei forti ritardi nell’affrontare la pandemia: questo perché bloccare un’economia è una scelta che, politicamente, non è facile.

Il COVID ha colpito la comunicazione tra pazienti malati e familiari, negando la possibilità di vedersi e, in tanti casi, di salutarsi per l’ultima volta. Nello stesso tempo, proprio l’isolamento e l’impossibilità di interazione fisica hanno generato una forte accelerazione nei sistemi di telemedicina. Attraverso uno smartphone con una videochiamata, i pazienti potevano interagire sia con gli operatori sanitari sia con i familiari.

Le pandemie però non si vincono quando ormai sono iniziate, si vincono anticipandole, bisogna essere previdenti ed evitare certi rischi. “Fare un ampio piano di risk assessment  è qualcosa che dovrebbe caratterizzare le organizzazioni ad alta affidabilità. Bisogna lavorare in anticipo per prevenire qualcosa che in futuro potrebbe verificarsi di nuovo”, ha aggiunto il dottor Venneri.

Ecco perché la figura del risk manager assume un’importanza fondamentale. È una figura risolutiva che deve far parte del management strategico di un’organizzazione. Deve essere il leader del team work sanitario e non deve funzionare solo in momenti d’emergenza come una pandemia, ma deve diventare parte del DNA di ogni organizzazione sanitaria.

Quanto alle cure, per il futuro, l’orizzonte rimane quello dei vaccini, con qualche segnale positivo da terapie, in fase di sperimentazione, che hanno dati dei buoni risultati, ad esempio gli anticorpi monoclonali, che se somministrati in una fase precoce della malattia possono effettivamente risolverla senza complicanze importanti.

La lezione più grande, conclude Venneri, l’ha data il COVID: In quanto patologia tempo-dipendente, deve essere presa in tempo e anticipata, senza sottovalutare le misure di base. Il COVID ha stanato dei problemi che già erano presenti nel nostro Paese, adesso occorre riorganizzare il sistema sanitario e guardare al futuro in modo positivo.