GIUSEPPE SALVATO DALLA RETE: QUANDO LA COMUNITÀ COMPLETA IL LAVORO DELL’OSPEDALE
Il racconto tratto da “Storie di persone, voci di infermieri” spinge alla riflessione sul lavoro coordinato delle equipe mediche multiprofessionali.
Con la storia “Giuseppe salvato dalla rete” si chiude la collaborazione di Sanità 360 con il Laboratorio di Nursing Narrativo di Milano. Questo nuovo racconto, come i precedenti “Inshallah” e “Il peso della farfalla” già pubblicati, è anch’esso incluso nel libro “Storie di persone, voci di infermieri” (McGraw Hill, 2020).
Giuseppe, sottoposto a un delicato intervento neurochirurgico in seguito ad una caduta accidentale, è un paziente in stato vegetativo che viene trasferito in un centro riabilitativo e preso in carico da un’equipe multiprofessionale. Ed è lì che il “lavoro della rete” va ad integrare quello di cura dello staff ospedaliero, cambiando la vita di Giuseppe: è proprio grazie all’attivazione di un sistema di relazioni che si riesce a trovare il contesto di cura più adeguato a Giuseppe. Una storia che evidenzia come sia fondamentale mantenere un contatto con il mondo esterno, con il territorio e con la comunità che può essere d’aiuto a medici e infermieri nel trovare le soluzioni più idonee da un punto di vista medico e soprattutto umano per il paziente e i suoi familiari.
Giuseppe salvato dalla rete
Giuseppe ha 48 anni, vive in una città di medie dimensioni della Lombardia ed è fidanzato da diverso tempo con Carlotta. É in carico ai servizi sociali territoriali, inserito in “housing sociale” dopo diversi anni trascorsi senza fissa dimora a causa di gravi problemi economici. Prima dell’evento acuto lavorava per alcune ore alla settimana tramite un progetto realizzato da un ente del terzo settore.
Un giorno ha una caduta accidentale che gli provoca un grave trauma cranico encefalico con fratture multiple. Viene ricoverato in ospedale e operato per ematoma cerebrale. Dopo l’intervento il quadro neurologico è di stato vegetativo. Viene quindi trasferito presso un centro riabilitativo come da normativa.
All’arrivo Giuseppe è portatore di cannula tracheostomica e di sonda enterale per la nutrizione artificiale (PEG) e privo di rete famigliare.
Qualche ora dopo il ricovero arriva Carlotta. Carlotta riferisce all’equipe della struttura di aver avuto nell’ultimo periodo una relazione instabile con Giuseppe e di essere lei stessa seguita da alcune realtà di volontariato. Carlotta racconta anche il suo senso di smarrimento e chiede di essere aiutata a vivere questa nuova sfida che il destino le ha riservato. Nei giorni successivi l’educatore di Giuseppe illustra il contesto in cui vive il paziente e la mancanza di risorse economiche e familiari che possano sostenerlo in questo percorso di cura. Spiega, inoltre, che Carlotta è affetta da neoplasia mammaria e che la sua situazione clinica è instabile. Si viene a conoscenza da Carlotta dell’esistenza di una sorella di Giuseppe, Agata, residente in una grande città del Nord Italia, che non ha contatti con il fratello da almeno dieci anni. Si decide di contattarla e di programmare un incontro con le reti familiare e dei servizi al fine di illustrare la situazione clinica, la necessità di inoltrare le relative pratiche burocratiche (invalidità civile e istanza nomina dell’amministratore di sostegno [ADS]) e iniziare a ipotizzare le possibili realtà di dimissione. All’incontro sono presenti Agata, Carlotta, l’equipe sanitaria (medico referente e coordinatrice infermieristica), l’assistente sociale ospedaliera, Mario (educatore del progetto housing sociale). Assente a tale incontro è il servizio sociale comunale: l’assistente sociale di Giuseppe è al momento in maternità e non è ancora stato individuato un nuovo referente.
Vengono illustrati il percorso clinico e gli obiettivi riabilitativi in programma. Si affronta anche il tema del “dopo riabilitazione” illustrando la normativa di riferimento per le persone con diagnosi di stato vegetativo (ricovero in strutture dedicate completamente a carico del servizio sanitario).
Durante la degenza ospedaliera, protrattasi per circa sei mesi, le condizioni di Giuseppe non migliorano significativamente. Cambia però lo stato neurologico. Giuseppe è ora in condizione di minima coscienza con necessità di assistenza continua e monitoraggio nelle 24 ore, 7 giorni su 7. Il miglioramento clinico modifica la riorganizzazione progettuale della dimissione: in base alla normativa non è più possibile un ricovero in struttura con nucleo dedicato ai pazienti in stato vegetativo con costi a carico del servizio sanitario regionale. Si convoca nuovamente un incontro di rete. Sono presenti tutti gli attori del precedente incontro (assente nuovamente il servizio sociale).
Carlotta e Agata sono naturalmente più sollevate dal miglioramento clinico, ma esprimono la loro impossibilità a sostenere economicamente il proprio caro in vista della dimissione. Mario informa che non è più possibile accogliere Giuseppe nell’abitazione di housing sociale, sia per le finalità del progetto non compatibili con le condizioni cliniche di Giuseppe, sia per la presenza di barriere architettoniche.
Giuseppe, per poter rientrare al domicilio, ha infatti bisogno: di un letto ortopedico con materasso antidecubito, di un sollevatore con bascula, di presidi per la gestione della nutrizione enterale e l’incontinenza, di un assistente familiare a tempo pieno e alcuni accessi infermieristici settimanali tramite l’attivazione dell’assistenza domiciliare integrata (ADI).
Agata, che nel primo incontro era apparsa disponibile a sostenere il proprio caro, si irrigidisce affermando la sua impossibilità ad accogliere Giuseppe presso la propria abitazione (abitazione che veniamo a conoscenza essere per una piccola parte anche di Giuseppe) e di non avere nessuna possibilità economica per pagare una quota della struttura. Veniamo inoltre a conoscenza che Agata nei mesi successivi al primo incontro non ha collaborato con Carlotta per l’istanza da presentare al Giudice Tutelare per la nomina di un ADS poiché, a suo dire, impegnata sul lavoro. Vuole essere informata in merito al percorso che intraprenderà Giuseppe, ma afferma di non poter garantire la sua presenza e collaborazione effettiva.
Vengono a questo punto dati ulteriori “compiti” ai membri della rete al fine di assicurare al meglio una dimissione tutelante per Giuseppe: l’ospedale dovrà redigere la documentazione clinica e sociale da presentare alle residenze sanitarie per disabili (RSD) e prendere contatti con i servizi sociali per la richiesta di integrazione economica; Carlotta, in accordo con Agata e aiutata dall’educatore e dall’assistente sociale ospedaliera, presenterà la documentazione presso il Tribunale del territorio per l’istanza di nomina di ADS, che avrà il ruolo di referente esterno a tutta la rete, e permetterà di poter compilare e ottenere la documentazione burocratica necessaria. Viene quindi nominato un avvocato esterno come ADS che prende contatti con la struttura, con Carlotta e il comune di residenza per l’avvio della pratica di integrazione della retta in RSD, successivamente approvata.
Attraverso le buone prassi, dopo circa sei mesi di ricovero:
– la struttura riabilitativa dimette Giuseppe in una RSD del territorio, ubicata vicino a Carlotta;
– Giuseppe viene “affidato” a un amministratore di sostegno;
– il comune di residenza contribuisce al pagamento della retta e coadiuva l’ADS nella presa in carico sociale di Giuseppe.
Questo racconto, scritto da Sara Figliuolo, è parte de “Storie di persone, voci di infermieri. Un approccio innovativo allo studio della bioetica e della deontologia”, libro del Laboratorio di Nursing Narrativo di Milano ed edito da McGraw-Hill Education 2020.