“IL PESO DELLA FARFALLA”, QUANDO DA UNA DECISIONE DIPENDE LA VITA DI UN PAZIENTE E DELLA SUA FAMIGLIA
Il racconto tratto da “Storie di persone, voci di infermieri” evidenzia l’importanza di entrare in punta di piedi nelle vite dei familiari dei pazienti.
Continua la collaborazione con il Laboratorio di Nursing Narrativo di Milano con la pubblicazione di un secondo contenuto, parte del libro “Storie di persone, voci di infermieri” (McGraw Hill, 2020).
“Il peso della farfalla” racconta la storia di Angelo, un giovane che fin da quando aveva 12 anni si trova in stato vegetativo. Il ragazzo, fino a quel momento assistito dalla madre, viene ricoverato in una struttura apposita e assistito da un’équipe di professionisti.
Ed è lì, in una realtà extra casalinga, che emergono le prime tensioni. Tra la madre del paziente e gli operatori non si instaura un rapporto sereno, destinato ad inasprirsi quando dopo un peggioramento dello stato di salute di Angelo, è necessario decidere per la continuazione o la sospensione della nutrizione enterale. Una decisione difficile che verrà presa dalla coordinatrice infermieristica Martina.
Questa storia pone l’accento su una riflessione importante: laddove ci sono pazienti, ci sono anche famiglie, rapporti, ricordi. Così come le altre storie raccolte all’interno del libro anche quella di Angelo, di sua madre e di Martina evidenzia come le terapie non possano esimersi dall’empatia verso non solo i pazienti ma anche verso i loro familiari, soprattutto quando la persona in difficoltà corrisponde al loro intero mondo.
Questo racconto inoltre approfondisce il senso di responsabilità e il peso che una decisione così definitiva ha sulla coordinatrice Martina, obbligata a trovare un equilibrio nel suo rapporto con il paziente e con la madre di Angelo, muovendosi con tatto e decisione allo stesso tempo.
“Il peso della farfalla”
Angelo entra in Villa Serena nel 2015 all’età di 18 anni. È in stato vegetativo da quando ne aveva 12, a causa di un incidente domestico cui ha fatto seguito uno stato di anossia. Dopo quell’evento il nucleo familiare si è sciolto e la madre è rimasta sola con Angelo e altre due sorelle. È stato curato dalla madre al domicilio sino all’ingresso in struttura; la madre ha quindi un legame molto stretto con questo figlio.
Angelo entra in struttura con necessità di essere ventilato in modo invasivo e assistito 24 ore su 24, è portatore di PEG, completamente dipendente nelle ADL, allettato. Si presenta in condizioni di estrema fragilità, con importanti retrazioni già stabilizzate, deviazioni posturali e grave osteoporosi con pregresse fratture patologiche agli arti inferiori.
Vi è una iniziale difficoltà dell’équipe nel farsi accettare dalla madre nelle pratiche di assistenza e cura, tanto è vero che il primo bagno viene eseguito dall’infermiera Carlotta in presenza della stessa. Col tempo la madre acquisterà maggior fiducia negli operatori e acconsentirà a “farsi da parte”.
L’intervento della fisioterapista Silvia, dopo una serie di consulenze specialistiche, non potendo portare a risultati di recupero funzionale, viene limitato alla sola stimolazione sensoriale, controllo delle posture e cauta mobilizzazione. L’équipe si rende conto che è importante stabilire un contatto con Angelo, il quale sembra riconoscere le voci rassicuranti delle persone che si prendono cura di lui. La madre, non accettando il peggioramento del figlio, chiede a Silvia un incremento della frequenza della fisioterapia perché “Angelo ritornerà a correre nei prati”.
Per la madre la nutrizione è fondamentale anche quando per il figlio diventa un’evidente difficoltà: Angelo nell’ultimo periodo vomita di frequente. Nel 2018 l’équipe evidenzia un peggioramento delle condizioni cliniche e assistenziali con l’instaurarsi di importanti deviazioni a livello posturale non correggibili. Tali deviazioni compromettono la funzionalità degli organi interni. Angelo non tollera più la nutrizione e qualsiasi approccio fisico. L’allarme del ventilatore meccanico suona ininterrottamente giorno e notte. “Quel suono risuonava nella mia testa anche quando ero a casa” dice l’OSS Mario. La fisioterapista Silvia decide in autonomia di interrompere il trattamento in quanto la risposta al disagio causato è evidente. L’équipe assistenziale e infermieristica riferisce alla coordinatrice Martina che Angelo è sofferente e che ogni volta che viene posizionata la nutrizione la situazione peggiora. La coordinatrice Martina più volte segnala alla dottoressa le problematiche evidenziate dall’équipe inerenti il problema della nutrizione e della sofferenza ad essa collegata. Il medico risponde “Non possiamo lasciarlo morire” ma anche “la mamma ci denuncia”.
La coordinatrice Martina, una mattina alle 8, dopo l’ennesima osservazione dello stato di sofferenza di Angelo e degli operatori, in presenza dell’infermiera Giulia e dell’Oss Mario decide in autonomia di interrompere la nutrizione. A quel punto Martina chiama il Direttore Sanitario, il medico di reparto e la responsabile dei servizi socioassistenziali i quali, messi di fronte al fatto compiuto, si riuniscono discutendo animatamente circa le motivazioni che hanno spinto Martina a prendere questa decisione. In seguito si organizzano incontri con due specialisti palliativisti, la coordinatrice, la referente, e tutti i medici della struttura, una psicologa e la responsabile dei servizi socio assistenziali, per definire il percorso da intraprendere: si opta per le cure palliative con sospensione immediata della nutrizione enterale, per la terapia del dolore e accompagnamento alla morte, condividendo la scelta con la mamma alla quale è garantito un supporto da parte di tutti.
“È veramente il caso che mi ha cambiato la vita” dirà poi la coordinatrice Martina. E la farfalla prenderà il volo venti giorni dopo.
Questo racconto è parte di “Storie di persone, voci di infermieri. Un approccio innovativo allo studio della bioetica e della deontologia”, libro del Laboratorio di Nursing Narrativo di Milano ed edito da McGraw-Hill Education 2020.