“INSHALLAH”, L’IMPORTANZA DELLA MULTICULTURALITÀ IN CORSIA
Il racconto tratto dal libro “Storie di persone, voci di infermieri”.
Inizia con il racconto “Inshallah” la collaborazione con il Laboratorio di Nursing Narrativo di Milano, che ha recentemente pubblicato il libro “Storie di persone, voci di infermieri” (McGraw Hill, 2020). Si tratta di una raccolta di racconti che evidenziano come la relazione con le persone assistite sia di fondamentale importanza, oggi più che mai con l’emergenza legata al Covid-19, che spesso separa i pazienti dalle loro famiglie. Tramite questi racconti, analizzati secondo una specifica metodologia, le voci degli infermieri ci aprono le porte verso uno spazio nascosto, lontano dai riflettori e dall’attenzione comune, fatto di attenzioni, accortezze e sensibilità che si sono rivelate fondamentali nella costruzione del percorso di cura, non solo in senso strettamente medico ma anche umano.
Il primo racconto affronta il difficile tema della multiculturalità in corsia, dell’importanza della comunicazione verbale e non, soprattutto tra diverse culture, riportando la storia di Aziza, una giovane donna egiziana, durante una valutazione ostetrica in pronto soccorso al nono mese di gravidanza. Una storia che non ha un lieto fine, ma pone domande nuove a cui è necessario trovare delle risposte considerando molteplici prospettive.
“Inshallah”
Aziza è una giovane donna egiziana arrivata da poco in Italia, al nono mese di gravidanza. Accede al pronto soccorso ginecologico di pomeriggio, accompagnata dal marito, per una valutazione ostetrica, essendo quasi prossima al parto e non conoscendo né la struttura, né le procedure. Denise, l’ostetrica in turno, effettua visita ed ecografia: il travaglio non è ancora iniziato, quindi Aziza può rientrare tranquillamente a casa. Poiché Aziza non parla, né comprende l’italiano, Denise consegna il referto al marito al quale riferisce verbalmente le proprie osservazioni. Inoltre raccomanda di riaccompagnare la moglie in ospedale non appena inizierà il travaglio o se dovesse stare male. Il marito afferma di aver compreso e si impegna, al prossimo ricovero, a portare tutta la documentazione sanitaria relativa alle visite e alle ecografie effettuate nel paese di origine.
La sera successiva Denise arriva in reparto, pronta per iniziare il turno notturno. Aziza è appena stata portata in sala parto, è arrivata con il marito: “Mia moglie sta male da stamattina e da mezz’ora non sente più il bambino muoversi; io sono appena rientrato dal lavoro, ha aspettato me per venire in ospedale!”
Aziza è già dilatata di 9 cm, viene aiutata farmacologicamente per accelerare il parto, non si riesce a sentire il battito fetale, vengono allertati il ginecologo e il pediatra.
Ahmed nasce alle 21.30: non muove neanche un dito. Viene massaggiato, ventilato, intubato, si incannula la vena ombelicale, si trasfonde sangue visti i bassi valori di emoglobina, si allerta lo staff della terapia intensiva neonatale. Ahmed è immobile, ha un colorito grigio, solo che adesso il cuore ha ripreso a battere, e respira grazie alla ventilazione meccanica.
Viene comunicata ai genitori la gravità della situazione. Aziza accoglie la notizia con compostezza e, mentre il marito traduce, lei continua a ripetere “Inshallah”. Non manifesta rabbia nei confronti degli operatori, sembra rassegnata in attesa dell’evoluzione della situazione. Due giorni dopo Ahmed muore in terapia intensiva, non ce l’ha fatta.
Denise continua a pensare a quel parto: “Se avessimo ascoltato o fatto più domande a lei o al marito il giorno prima, magari Ahmed ce l’avrebbe fatta…invece è andata diversamente, e questa storia non si può riscrivere, ma altre forse sì”.
Un anno dopo Denise incontra nuovamente Aziza nel reparto di ostetricia: ha in braccio Rasheeda, nata da due giorni.
Questo racconto è parte de “Storie di persone, voci di infermieri. Un approccio innovativo allo studio della bioetica e della deontologia”, libro del Laboratorio di Nursing Narrativo di Milano ed edito da McGraw-Hill Education.