Trasformarsi in ospedale Covid

TRASFORMARSI IN OSPEDALE COVID

“Non dobbiamo chiedere a nessuno di essere un eroe, ma fornire una buona organizzazione per gestire la pandemia”. Enrico Lauta, medico anestesista, è partito da Bari per Iseo come volontario durante la prima ondata del Covid. Dal 9 novembre 2020, sta riconvertendo l’ospedale Santa Maria degli Angeli di Putignano sulla base di quell’esperienza e racconta a Sanità 360° i passi da compiere che possono essere applicati su tutto il territorio nazionale.

 

Quando ha raggiunto l’ospedale di Iseo, la rianimazione era già stata “tirata su” da zero e il centro regionale per la gestione dei letti era in funzione. “Quella è stata la prima lezione da applicare in condizioni d’emergenza: una centrale operativa che chiama i reparti ogni giorno, controlla i posti liberi e prenota i letti per i trasferimenti in altre strutture, qualora quella di ricovero avesse raggiunto il massimo della capacità. Un’organizzazione di questo tipo non solo libera medici e infermieri da ore di telefonate per cercare un posto letto, ma fa loro sentire che esiste un sistema funzionante che coadiuva i loro sforzi”.

Enrico Lauta, medico anestesista, è partito come volontario durante la prima ondata del COVID per prestare servizio in Lombardia. Ora, grazie all’esperienza accumulata è stato incaricato di riconvertire in ospedale COVID il Santa Maria degli Angeli di Putignano, nel territorio della ASL Bari, una struttura omologa per dimensioni e dotazioni al nosocomio di Iseo nel quale ha lavorato durante la primavera 2020.

“Essere un medico sul campo mi ha fatto provare la paura e la tensione di chi lavora con i pazienti COVID e mi ha fatto capire che gli elementi centrali dai quali partire per affrontare la pandemia sono il morale, la sicurezza e la formazione del personale sanitario”.

“Medici e infermieri devono sentirsi pronti e sicuri. Non dobbiamo chiedere a nessuno di essere un eroe. Abbiamo bisogno di una buona organizzazione”.

“Qui un elenco di azioni per riconvertire un ospedale di base in ospedale COVID che ho messo e sto mettendo in pratica in ordine di priorità.

La prima è individuare quali saranno le unità operative per la cura dei pazienti acuti.

La seconda azione, fondamentale, è individuare i percorsi: l’accesso del personale alla struttura,  agli spogliatoi, ai reparti COVID; le zone filtro, le zone vestizione e svestizione. Ideale sarebbe creare percorsi circolari ma non è sempre possibile. Da qui l’esigenza di operare interventi strutturali con opere di cartongesso, cartelli e simili.

 Terzo passaggio è formare il personale: sui percorsi (in modo che non ci siano contaminazioni delle aree ‘pulite’); sugli strumenti da utilizzare per monitorare i parametri dei malati; sulle medicine da somministrare; sui presidi da utilizzare e su come utilizzarli.

Ricordiamoci, infatti, che anche operatori di area medica e chirurgica non “esperti” nella gestione dei pazienti COVID saranno chiamati a curarli; è necessaria una formazione specifica sull’impiego calibrato di strumenti come i presidi per la ventilazione non invasiva ed il monitoraggio dei parametri ventilatori. Anche per questo si può rivelare utilissimo costruire delle Flow Chart assieme ai medici che saranno chiamati a implementarle mettendo ben in chiaro che e quali competenze multidisciplinari e multispecialistiche concorrono al trattamento della malattia.

Quarto punto, di conseguenza, è una mappa chiara delle ‘munizioni’ che serviranno all’ospedale COVID una volta entrato in funzione. La domanda che dobbiamo porci è: di cosa avranno bisogno gli operatori? Saturimetri, maschere per l’ossigeno dotate di reservoir, schermi digitali e strumenti di monitoraggio multiparametrici, strumenti di ventilazioni non invasiva, i farmaci.

Quinto e ultimo punto: creare un setting assistenziale che preveda livelli di gravità crescente e, a fianco, avviare una centrale di bed management sull’ispirazione di quella lombarda citata inizialmente.

 “A fianco di queste punti – conclude Enrico Lauta – c’è una lezione fondamentale che il nostro sistema sanitario deve apprendere una volta per tutte e che la pandemia ha comprovato al di là di ogni ragionevole dubbio: dobbiamo trasformare la nostra gestione del rischio in una gestione proattiva. Non possiamo ridurci a reagire, per quanto bene e in fretta, alle emergenze. È sicuramente un problema di cultura nazionale ma è giusto riconoscere che in questi tre mesi di tregua – luglio, agosto e settembre – in tutta Italia si poteva fare un po’ di più: preparare piani e individuare le soglie di ricoveri e contagi superate le quali scattano automaticamente le riconversioni di personale e reparti già pianificate; formare il personale in anticipo; contattare le aziende per i lavori strutturali che si sono mostrati necessari ed accumulare scorte. La pandemia ci ha insegnato che non possiamo tirare il fiato ma anticiparne le mosse. Spero che sia una lezione che rimarrà impressa”.