SERVIZI TERRITORIALI E TELEMEDICINA: COME SONO CAMBIATI CON IL COVID

Visite a distanza e contatti telefonici con lo specialista per valutare il successo della terapia e la necessità di una visita dal vivo. La telemedicina ha permesso di assicurare l’accesso alle cure senza affaticare il SSN durante la crisi del Coronavirus, ma non sempre può sostituirsi alla visita in presenza. Se ne è parlato durante il webinar Sham On Air di giovedì 26 novembre.

 

La necessità di mantenere il distanziamento e l’importanza di non sovraccaricare il SSN, insieme alle restrizioni sugli spostamenti introdotte dalla pandemia, hanno portato alla ricerca di nuove soluzioni per continuare a garantire l’accesso alle cure, in particolare a livello territoriale e fuori dalle strutture ospedaliere.

Durante il webinar Sham On Air moderato da Alessandra Orzella, Risk Manager di Sham Italia, è stata messa in evidenza la varietà delle sfide per la medicina territoriale attraverso il racconto delle esperienze di due realtà molto diverse tra loro: quella dell’ASL TO 4 Chivasso-Cirie’- Ivrea e del progetto di cure assistenziali “Meglio a casa” realizzato in Liguria e applicato, nel nostro caso specifico, dall’ASL 4 Chiavarese nel comune di Sestri Levante.

“L’utilizzo della telemedicina era già abbastanza diffuso nella nostra ASL anche da prima dell’emergenza sanitaria – afferma Vincenza Palermo, Direttore Struttura Complessa Risk Management presso ASL TO4 – solo che non tutti se ne rendevano conto appieno, nemmeno lo stesso personale sanitario. Con l’emergenza ne abbiamo potenziato ed esteso l’utilizzo e soprattutto, in preparazione alla seconda ondata, abbiamo realizzato una piattaforma condivisa in cui il paziente può entrare a contatto con i diversi specialisti”.

L’utilizzo della telemedicina è ancora visto con diffidenza da chi ha paura possa sostituirsi alla visita medica tradizionale e tradursi in una minor attenzione nelle cure. Per Maurizio Pescarmona, pediatra responsabile dell’ASL TO4, non è questo il caso “La telemedicina può spaventare all’inizio ma sostiene le visite in presenza non le sostituisce. Anzi, permette di monitorare il paziente in modo continuativo e di agire sulle terapie tempestivamente se ci si rende conto che non sono adeguate e non alla prossima visita, dopo due mesi di terapia inefficace”.

Per alcuni servizi però, non è sempre possibile passare ad un formato completamente digitale. In particolare per i servizi di assistenza domiciliare in cui è previsto il contatto diretto tra paziente e operatore, le misure anti-Covid sono state un ostacolo apparentemente insormontabile. Il progetto “Meglio a Casa”, istituito nel in Liguria nel 2013 e declinato nei territori – in questo caso nella collaborazione tra ASL 4 Chiavarese e Comune di Sestri Levante – ha lo scopo di ridurre le visite non necessarie al pronto soccorso.  Il servizio ha sofferto molto della scarsità dei dispositivi di protezione individuale dei primi tempi. Anche l’improvvisa diffidenza delle famiglie degli assistiti, non più a loro agio ad aprire le porte delle loro abitazioni agli operatori, così come la chiusura dei centri diurni hanno messo a dura prova il progetto. “I primi mesi sono stati i più difficili- afferma Maria Diletta Demartini direttore sociale del distretto socio sanitario n.16 di Sestri Levante – abbiamo rallentato il servizio fino al 50% soprattutto per la mancanza di indicazioni chiare da parte delle autorità. Ora la situazione è migliorata ma per noi è ancora difficile lavorare a distanza. Realizziamo qualche intervento via telefono o via Skype, per assicurarci che anche gli individui più isolati mantengano un certo livello di contatti umani. Ma per chi non è autonomo, non c’è alternativa alla visita domiciliare”.

Al netto delle limitazioni e delle difficoltà legate all’utilizzo su larga scala della telemedicina, l’esperienza del Covid ha dato il via a un nuovo modo di essere in contatto con i pazienti, che rimarrà nella pratica medica anche dopo la crisi attuale. L’idea non è del tutto rivoluzionaria, perché già la legge Gelli-Bianco, nel 2017, prevedeva l’utilizzo della telemedicina. L’accelerazione imposta dalla pandemia potrebbe aver rappresentato il punto di svolta.

“IL PESO DELLA FARFALLA”, QUANDO DA UNA DECISIONE DIPENDE LA VITA DI UN PAZIENTE E DELLA SUA FAMIGLIA

Il racconto tratto da “Storie di persone, voci di infermieri” evidenzia l’importanza di entrare in punta di piedi nelle vite dei familiari dei pazienti.

 

Continua la collaborazione con il Laboratorio di Nursing Narrativo di Milano con la pubblicazione di un secondo contenuto, parte del libro “Storie di persone, voci di infermieri” (McGraw Hill, 2020).

“Il peso della farfalla” racconta la storia di Angelo, un giovane che fin da quando aveva 12 anni si trova in stato vegetativo. Il ragazzo, fino a quel momento assistito dalla madre, viene ricoverato in una struttura apposita e assistito da un’équipe di professionisti.

Ed è lì, in una realtà extra casalinga, che emergono le prime tensioni. Tra la madre del paziente e gli operatori non si instaura un rapporto sereno, destinato ad inasprirsi quando dopo un peggioramento dello stato di salute di Angelo, è necessario decidere per la continuazione o la sospensione della nutrizione enterale. Una decisione difficile che verrà presa dalla coordinatrice infermieristica Martina.

Questa storia pone l’accento su una riflessione importante: laddove ci sono pazienti, ci sono anche famiglie, rapporti, ricordi. Così come le altre storie raccolte all’interno del libro anche quella di Angelo, di sua madre e di Martina evidenzia come le terapie non possano esimersi dall’empatia verso non solo i pazienti ma anche verso i loro familiari, soprattutto quando la persona in difficoltà corrisponde al loro intero mondo.

Questo racconto inoltre approfondisce il senso di responsabilità e il peso che una decisione così definitiva ha sulla coordinatrice Martina, obbligata a trovare un equilibrio nel suo rapporto con il paziente e con la madre di Angelo, muovendosi con tatto e decisione allo stesso tempo.

“Il peso della farfalla”

Angelo entra in Villa Serena nel 2015 all’età di 18 anni. È in stato vegetativo da quando ne aveva 12, a causa di un incidente domestico cui ha fatto seguito uno stato di anossia. Dopo quell’evento il nucleo familiare si è sciolto e la madre è rimasta sola con Angelo e altre due sorelle. È stato curato dalla madre al domicilio sino all’ingresso in struttura; la madre ha quindi un legame molto stretto con questo figlio.

Angelo entra in struttura con necessità di essere ventilato in modo invasivo e assistito 24 ore su 24, è portatore di PEG, completamente dipendente nelle ADL, allettato. Si presenta in condizioni di estrema fragilità, con importanti retrazioni già stabilizzate, deviazioni posturali e grave osteoporosi con pregresse fratture patologiche agli arti inferiori.

Vi è una iniziale difficoltà dell’équipe nel farsi accettare dalla madre nelle pratiche di assistenza e cura, tanto è vero che il primo bagno viene eseguito dall’infermiera Carlotta in presenza della stessa. Col tempo la madre acquisterà maggior fiducia negli operatori e acconsentirà a “farsi da parte”.

L’intervento della fisioterapista Silvia, dopo una serie di consulenze specialistiche, non potendo portare a risultati di recupero funzionale, viene limitato alla sola stimolazione sensoriale, controllo delle posture e cauta mobilizzazione. L’équipe si rende conto che è importante stabilire un contatto con Angelo, il quale sembra riconoscere le voci rassicuranti delle persone che si prendono cura di lui. La madre, non accettando il peggioramento del figlio, chiede a Silvia un incremento della frequenza della fisioterapia perché “Angelo ritornerà a correre nei prati”.

Per la madre la nutrizione è fondamentale anche quando per il figlio diventa un’evidente difficoltà: Angelo nell’ultimo periodo vomita di frequente. Nel 2018 l’équipe evidenzia un peggioramento delle condizioni cliniche e assistenziali con l’instaurarsi di importanti deviazioni a livello posturale non correggibili. Tali deviazioni compromettono la funzionalità degli organi interni. Angelo non tollera più la nutrizione e qualsiasi approccio fisico. L’allarme del ventilatore meccanico suona ininterrottamente giorno e notte. “Quel suono risuonava nella mia testa anche quando ero a casa” dice l’OSS Mario. La fisioterapista Silvia decide in autonomia di interrompere il trattamento in quanto la risposta al disagio causato è evidente. L’équipe assistenziale e infermieristica riferisce alla coordinatrice Martina che Angelo è sofferente e che ogni volta che viene posizionata la nutrizione la situazione peggiora. La coordinatrice Martina più volte segnala alla dottoressa le problematiche evidenziate dall’équipe inerenti il problema della nutrizione e della sofferenza ad essa collegata. Il medico risponde “Non possiamo lasciarlo morire” ma anche “la mamma ci denuncia”.

La coordinatrice Martina, una mattina alle 8, dopo l’ennesima osservazione dello stato di sofferenza di Angelo e degli operatori, in presenza dell’infermiera Giulia e dell’Oss Mario decide in autonomia di interrompere la nutrizione. A quel punto Martina chiama il Direttore Sanitario, il medico di reparto e la responsabile dei servizi socioassistenziali i quali, messi di fronte al fatto compiuto, si riuniscono discutendo animatamente circa le motivazioni che hanno spinto Martina a prendere questa decisione. In seguito si organizzano incontri con due specialisti palliativisti, la coordinatrice, la referente, e tutti i medici della struttura, una psicologa e la responsabile dei servizi socio assistenziali, per definire il percorso da intraprendere: si opta per le cure palliative con sospensione immediata della nutrizione enterale, per la terapia del dolore e accompagnamento alla morte, condividendo la scelta con la mamma alla quale è garantito un supporto da parte di tutti.

“È veramente il caso che mi ha cambiato la vita” dirà poi la coordinatrice Martina. E la farfalla prenderà il volo venti giorni dopo.

 

Questo racconto è parte di “Storie di persone, voci di infermieri. Un approccio innovativo allo studio della bioetica e della deontologia”, libro del Laboratorio di Nursing Narrativo di Milano ed edito da McGraw-Hill Education 2020.

 

 

 

 

LA COMUNICAZIONE NELLE STRUTTURE SANITARIE AL TEMPO DEL COVID-19: L’ANALISI DEL GRUPPO UNITO

Le ricerche effettuate dall’Università di Torino in collaborazione con Sham mostrano una prima fotografia delle attività di gestione del rischio nelle strutture sanitarie italiane. Tra queste, spicca il ruolo della comunicazione nella prevenzione degli errori in sanità.

 

La “Stanza degli abbracci” per i pazienti Covid-19 nella casa di cura Domenico Sartor, a Castelfranco Veneto, è solo uno degli esempi che mostrano quanto la comunicazione stia cambiando all’interno delle strutture sanitarie: una speciale tenda di plastica anticontagio è messa a disposizione delle persone ricoverate, affinché possano riabbracciare i loro cari[1]. A questa si aggiunge l’esperienza altrettanto virtuosa dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII, dove sono stati distribuiti tablet e smartphone per consentire ai pazienti Covid di comunicare con i familiari[2].

Sono i primi segnali di un inevitabile passaggio dettato dalla necessità di ridurre la trasmissione del virus. Questo nuovo orizzonte nella gestione delle relazioni all’interno delle strutture sanitarie e nella comunicazione che le governa mette in luce processi innovativi nell’era della pandemia. Assieme ad Alberto Sardi, Assegnista di Ricerca del Dipartimento di Management dell’Università degli Studi di Torino, che con la mutua Sham si sta occupando di analizzare la gestione del rischio clinico e sanitario in Italia, abbiamo provato a tracciare le caratteristiche di questa nuova dimensione.

 

Come è cambiata la comunicazione all’interno delle strutture sanitarie nella pandemia?

«Le ricerche del gruppo UniTO hanno evidenziato la necessità di migliorare la comunicazione tra i vari attori presenti nello scenario assistenziale, una comunicazione indubbiamente messa a dura prova nell’attuale pandemia. Le ricerche indicano che la comunicazione può generare, ma anche prevenire, molti errori in sanità.

Complessivamente, la comunicazione con i pazienti si è più che mai rivoluzionata nell’ultimo periodo, passando da conversazioni giornaliere a colloqui via Skype, per telefono o email, come evidenzia il caso della casa di riposo a Castelfranco Veneto».

 

Le ricerche condotte dall’Istituto Superiore di Sanità indicano che l’isolamento sociale è un fattore di rischio per tanti disturbi psicologici, come ansia e depressione: secondo lei, l’utilizzo delle tecnologie può aiutare a ridurre questi fattori?

«A mio avviso, le tecnologie possono essere inserite soprattutto nel canale della prevenzione e supportare, anche con un’assistenza territoriale, persone che affrontano il disagio emotivo dovuto alla pandemia. Da una parte le tecnologie possono aiutare a fornire più assistenza domiciliare, dall’altra, possono prevenire disturbi e patologie che in futuro potrebbero essere a carico del Servizio sanitario nazionale; ciò consentirebbe maggior equilibrio tra prevenzione, assistenza distrettuale ed ospedaliera».

 

Quali sono i passi da compiere per implementare le tecnologie all’interno di una struttura sanitaria?

«Le tecnologie, o meglio i sistemi informativi, devono essere progettate, implementate e sviluppate con il supporto di tecnici sia dell’ambito sanitario che del campo informatico, gestionale e organizzativo. Numerosi studi mostrano i benefici e le loro potenzialità, così come gli effetti negativi in caso di progettazione ed uso non idonei. In linea di massima, bisognerebbe riorganizzare le strutture sanitarie e prevedere una tecno-struttura che sviluppi sistemi finalizzati a migliorare ed efficientare i processi primari in campo medico e amministrativo. Tutto questo dovrebbe essere accompagnato dall’inserimento di nuovi profili professionali».

 

In questo nuovo scenario, quali sono i profili professionali richiesti?

«Oltre ai profili sopra descritti, ossia professionisti con competenze informatico-gestionali capaci di supportare la standardizzazione e l’informatizzazione dei processi, prevediamo l’inserimento nel breve periodo del Risk Officer, un professionista capace di unire più necessità all’interno del sistema e rivolgersi a figure specifiche di diversi settori. Per supportare al meglio le funzioni primarie di una struttura sanitaria, è necessario arrivare a unità organizzative multidisciplinari, che garantiscano la comunicazione a tutti i livelli e tra tutti i professionisti coinvolti.

All’interno delle strutture sanitarie, si registrano i più alti tassi di competenza e scolarizzazione, ma in generale, nel campo della sanità esiste una grossa lacuna, che è quella della formazione degli operatori sanitari. La formazione, infatti, è prettamente orientata a sviluppare grandi competenze tecnico-professionali, ma poche abilità psicologiche e gestionali. Se le prime aiutano a rinsaldare la capacità di risolvere problemi operativi con i pazienti, la scarsità delle seconde non consente di rafforzare la relazione con il mondo esterno. In questo nuovo scenario, si potrebbero prevedere anche nuove figure professionali con competenze economico-sanitarie».

 

Come si migliora la performance nell’assistenza sanitaria?

«Studiando i sistemi dinamici delle prestazioni, ci siamo resi conto che sottolineare gli aspetti virtuosi dei gesti provoca il miglioramento dell’intero sistema. Grazie a questo, è possibile alimentare una nuova energia e creare situazioni – come quella di Castelfranco Veneto – replicabili in altri contesti, ad esempio in strutture che possiedono meno risorse.

La performance si dovrebbe valutare non guardando solamente alla singola struttura, ma all’intero sistema, che deve essere però governato da linee guida chiare, trasparenti e strategiche per il raggiungimento del risultato migliore. In quest’ottica, ogni performance deve essere integrata all’interno di un sistema regionale e nazionale, i quali però devono andare nella stessa direzione. È solo attraverso l’engagement delle persone, portato dall’unione degli intenti dei singoli, che è possibile migliorare il sistema complessivo.

Infine, la misurazione della performance dovrebbe essere collegata alla gestione, ovvero all’uso delle informazioni raccolte. Una gestione efficace e trasparente dovrebbe consentire una migliore comunicazione delle performance a tutti gli operatori».

 

A questo link è possibile approfondire le ricerche dell’Università di Torino in collaborazione con Sham.

 

[1] Cfr.: tg24.sky.it

[2] https://primabergamo.it/cronaca/grazie-a-tablet-e-smarphone-i-pazienti-covid-possono-tornare-a-vedere-i-loro-cari/

SANITÀ PREDITTIVA E STRUTTURE COVID: I DUE VOLTI DELL’ATTUALITÀ SANITARIA

In questo secondo numero di novembre, Sanità 360° conferma la sua vocazione di spazio-ponte per le esperienze che possono essere condivise e replicate all’interno della comunità di Risk Manager e di tutti coloro che, nell’ecosistema sanitario, si occupano di qualità e sicurezza delle cure.

 

L’attualità, è inutile negarlo, in questi tempi si incentra sul Covid e speriamo che il racconto di come l’ASL di Bari stia aspettando il picco dei contagi e la trasformazione dell’Ospedale Santa Maria degli Angeli di Putignano in ospedale COVID possano fornire uno spunto ad altre realtà sanitarie che, con diverso grado di intensità nelle diverse parti d’Italia, stanno sopportando il peso della seconda ondata della pandemia.

Al di là della contingenza stretta, il periodo che stiamo vivendo avrà un impatto profondo sull’intero orizzonte delle cure, a partire dall’impiego di sistemi informatici sempre più avanzati e dallo scambio di milioni di dati sui quali basare la pianificazione sanitaria. Questo tema, e l’inevitabile problematica della sicurezza informatica che l’accompagna, è al centro dell’intervista a Giuseppe Carchedi, Operations Manager di Sham che conclude oggi la sua panoramica su come garantire ulteriore sicurezza in ambito cyber security e ulteriore pianificazione grazie all’utilizzo dei Big Data in Sanità.

Inizia, inoltre, con questo numero un nuovo percorso assieme al Laboratorio di Nursing Narrativo di Milano, che ha raccolto nel libro “Storie di persone, voci di infermieri” racconti di vita quotidiana nelle corsie ospedaliere. “Inshallah” è il primo di tre racconti che pubblicheremo all’interno di Sanità 360°. Tramite questi racconti, le voci degli infermieri ci aprono le porte verso uno spazio nascosto, lontano dai riflettori e dall’attenzione comune, fatto di attenzioni, accortezze e sensibilità che si sono rivelate fondamentali nella costruzione del percorso di cura.

Sulla nostra pagina Linkedin, infine, l’analisi e le implicazioni sviluppate nell’ultimo webinar Sham On Air. Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione si sono infatti recentemente pronunciate sul tema della rivalsa in ambito sanitario da parte di un’azienda sanitaria. Grazie a un parterre giuridico d’eccezione, abbiamo cercato di capire quali sono le implicazioni e le domande suscitate da questa sentenza in relazione alla legge 24/2017. Cosa succederà quando a venir giudicati saranno eventi che ricadono sotto l’ombrello temporale della nuova legge? Potranno i medici del privato essere giudicati in maniera diversa da quelli del pubblico? Non vi resta che scoprirlo guardando la registrazione dell’evento.

 

Un numero ricco dunque, perciò non mi dilungo oltre e vi auguro una buona lettura.

Roberto Ravinale

Direttore Esecutivo di Sham in Italia

“RESTIAMO UNITI” È L’APPELLO DI FEDERSANITÀ PER LA GESTIONE DELLA SECONDA ONDATA DELLA PANDEMIA

Alla conferenza online promossa dal Forum Risk Management è stato avviato un confronto tra i principali rappresentanti istituzionali del comparto sanitario per rispondere al meglio all’attuale fase dell’epidemia di Covid-19.

 

“Emergenza sanitaria e gestione dei rischi di responsabilità: scenari di crisi e possibili soluzioni” è la conferenza promossa dal Forum Risk Management in collaborazione con Federsanità-ANCI, che si è tenuta venerdì 13 novembre. All’evento online hanno partecipato alcuni dei più importanti rappresentanti del settore sanitario pubblico e privato, tra i quali: l’Associazione Italiana Ospedalità Privata (AIOP), l’Associazione Medici Dirigenti (ANAAO-ASSOMED), la Federazione nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri (FNOMCeO), l’Associazione Nazionale fra le Imprese Assicuratrici (ANIA), l’Istituto per la Vigilanza sulle Assicurazioni (IVASS) e Agenas, l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali. L’obiettivo dell’evento è stato quello di avviare un confronto su come gestire al meglio l’attuale fase dell’emergenza sanitaria, nei limiti delle risorse e delle competenze effettivamente disponibili, a quasi un anno dall’inizio della pandemia.

Un evento che ha ufficializzato una nuova fase di gestione, puntando sul concetto di “sanità responsabile” e ribaltando così l’espressione di “responsabilità sanitaria”. In questa nuova cornice semantica è racchiuso l’impegno etico che fin dall’inizio ha governato l’azione sanitaria nella risposta immediata alla pandemia. “Restare uniti” è dunque il messaggio principale lanciato da Tiziana FrittelliPresidente di Federsanità-ANCI, per superare questa difficile fase: “Il Servizio sanitario nazionale – ha spiegato la Presidente – è il più avanzato del nostro paese e minare la sua sostenibilità significa minacciare la salute pubblica. Dobbiamo superare il concetto di responsabilità sanitaria per far posto a quello di responsabilità solidale e rimanere uniti è di comune interesse”.

In questo contesto, i rimedi alla crisi passano anche per la solidarietà sociale, considerati i nuovi rischi di responsabilità e di contenzioso, riaccesi dal malcontento sociale e dalla crisi indotta dalla seconda ondata del Covid-19. Circostanze ed eventualità che devono essere gestite con la massima attenzione per evitare ulteriori costi umani e sociali da aggiungere a quelli già dettati dalla crisi sanitaria mondiale: “È in gioco la tutela degli operatori sanitari – ha commentato Frittelli – ed è necessario costruire subito un tavolo tecnico per proporre una proposta condivisa al Parlamento. La finalità è chiamare in causa tutte le risorse emotive, sociali ed economiche per non passare i prossimi dieci anni in conflitti giurisdizionali”.

 

È possibile approfondire il tema nell’articolo a firma di Tiziana Frittelli. 

 

 

“INSHALLAH”, L’IMPORTANZA DELLA MULTICULTURALITÀ IN CORSIA

Il racconto tratto dal libro “Storie di persone, voci di infermieri”.

 

Inizia con il racconto “Inshallah” la collaborazione con il Laboratorio di Nursing Narrativo di Milano, che ha recentemente pubblicato il libro “Storie di persone, voci di infermieri” (McGraw Hill, 2020). Si tratta di una raccolta di racconti che evidenziano come la relazione con le persone assistite sia di fondamentale importanza, oggi più che mai con l’emergenza legata al Covid-19, che spesso separa i pazienti dalle loro famiglie. Tramite questi racconti, analizzati secondo una specifica metodologia, le voci degli infermieri ci aprono le porte verso uno spazio nascosto, lontano dai riflettori e dall’attenzione comune, fatto di attenzioni, accortezze e sensibilità che si sono rivelate fondamentali nella costruzione del percorso di cura, non solo in senso strettamente medico ma anche umano.

Il primo racconto affronta il difficile tema della multiculturalità in corsia, dell’importanza della comunicazione verbale e non, soprattutto tra diverse culture, riportando la storia di Aziza, una giovane donna egiziana, durante una valutazione ostetrica in pronto soccorso al nono mese di gravidanza. Una storia che non ha un lieto fine, ma pone domande nuove a cui è necessario trovare delle risposte considerando molteplici prospettive.

 

“Inshallah”

Aziza è una giovane donna egiziana arrivata da poco in Italia, al nono mese di gravidanza. Accede al pronto soccorso ginecologico di pomeriggio, accompagnata dal marito, per una valutazione ostetrica, essendo quasi prossima al parto e non conoscendo né la struttura, né le procedure. Denise, l’ostetrica in turno, effettua visita ed ecografia: il travaglio non è ancora iniziato, quindi Aziza può rientrare tranquillamente a casa. Poiché Aziza non parla, né comprende l’italiano, Denise consegna il referto al marito al quale riferisce verbalmente le proprie osservazioni. Inoltre raccomanda di riaccompagnare la moglie in ospedale non appena inizierà il travaglio o se dovesse stare male. Il marito afferma di aver compreso e si impegna, al prossimo ricovero, a portare tutta la documentazione sanitaria relativa alle visite e alle ecografie effettuate nel paese di origine.

La sera successiva Denise arriva in reparto, pronta per iniziare il turno notturno. Aziza è appena stata portata in sala parto, è arrivata con il marito: “Mia moglie sta male da stamattina e da mezz’ora non sente più il bambino muoversi; io sono appena rientrato dal lavoro, ha aspettato me per venire in ospedale!”

Aziza è già dilatata di 9 cm, viene aiutata farmacologicamente per accelerare il parto, non si riesce a sentire il battito fetale, vengono allertati il ginecologo e il pediatra.

Ahmed nasce alle 21.30: non muove neanche un dito. Viene massaggiato, ventilato, intubato, si incannula la vena ombelicale, si trasfonde sangue visti i bassi valori di emoglobina, si allerta lo staff della terapia intensiva neonatale. Ahmed è immobile, ha un colorito grigio, solo che adesso il cuore ha ripreso a battere, e respira grazie alla ventilazione meccanica.

Viene comunicata ai genitori la gravità della situazione. Aziza accoglie la notizia con compostezza e, mentre il marito traduce, lei continua a ripetere “Inshallah”. Non manifesta rabbia nei confronti degli operatori, sembra rassegnata in attesa dell’evoluzione della situazione. Due giorni dopo Ahmed muore in terapia intensiva, non ce l’ha fatta.

Denise continua a pensare a quel parto: “Se avessimo ascoltato o fatto più domande a lei o al marito il giorno prima, magari Ahmed ce l’avrebbe fatta…invece è andata diversamente, e questa storia non si può riscrivere, ma altre forse sì”.

Un anno dopo Denise incontra nuovamente Aziza nel reparto di ostetricia: ha in braccio Rasheeda, nata da due giorni.

 

Questo racconto è parte de “Storie di persone, voci di infermieri. Un approccio innovativo allo studio della bioetica e della deontologia”, libro del Laboratorio di Nursing Narrativo di Milano ed edito da McGraw-Hill Education.

 

 

 

DATA MANAGEMENT IN SANITÀ: IL RUOLO DELLA DATA DRIVEN INSURANCE (PARTE 2)

La seconda puntata dell’intervista a Giuseppe Carchedi, Operations Manager di Sham in Italia, si concentra sul passaggio dalla teoria alla pratica: le competenze e il metodo necessari per integrare i Big Data nella sicurezza sanitaria; l’analisi dei nuovi rischi cyber; la necessità di sviluppare interfacce digitali user-friendly per capire e impiegare le informazioni raccolte.

 

Cosa serve ad una organizzazione per gestire al meglio i dati: competenze e tecnologia o cultura aziendale?

Ritengo siano due fattori inscindibilmente legati, che devono essere alimentati con costanza nel tempo. È chiaro come l’inserimento di nuove competenze all’interno dell’organico trovi terreno fertile in un modello organizzativo data-oriented. Se questo non succede, assistiamo a un disallineamento che nel lungo periodo porta a inefficacia e inefficienza. Il mantra per lo sviluppo di una cultura aziendale orientata al dato è quindi “keep it simple”: è importante argomentare e spiegare al team sia l’approccio al dato che la modalità di interpretazione dello stesso, attraverso una pratica quotidiana che arricchisce l’intero patrimonio di competenze aziendali e che avvicina sempre più i dipendenti alla cultura del dato. È bene ricordare che il dato non è ad appannaggio delle sole funzioni a interazione diretta con il cliente; è uno strumento concreto di semplificazione delle operazioni, che consente un notevole risparmio di tempo e contribuisce alla diminuzione dell’errore.

La digitalizzazione della Sanità è in corso: cosa è importante sapere per la sicurezza?

È indubbio affermare come l’emergenza causata dalla diffusione del Covid-19 abbia ulteriormente velocizzato il processo di digitalizzazione dell’economia, rendendo necessaria la fruizione di servizi in modalità remota. Questo è vero anche in ambito sanitario.

La digitalizzazione viene generalmente vista come un fenomeno auspicabile ma è importante sottolinearne la capacità di generare notevoli rischi. Negli ultimi dieci anni, la minaccia per il settore sanitario è aumentata esponenzialmente in rapporto alla continua sofisticazione degli attacchi informatici.

Gli ospedali non possono più limitarsi all’avere competenze, procedure e protocolli esclusivamente correlati alle attività core di caregiver, ossia di presa in carico e di cura del paziente; hanno delle responsabilità anche in termini di gestione del rischio sanitario: una gestione che tuteli i pazienti anche da attacchi informatici e che fornisca funzioni essenziali di salvaguardia della salute e della vita dei singoli. Inoltre è presente un tema di reputation: se è vero che in passato i criteri di valutazione di una struttura si circoscrivevano alla qualità delle cure erogate, in un futuro prossimo l’implementazione di soluzioni tecnologiche avanzate atte al miglioramento dell’efficienza operativa e allo snellimento dei processi interni e di servizio al paziente, potrebbero guadagnare una rilevanza significativa.

Di fronte a questi nuovi rischi, in che modo l’assicuratore può tutelare l’ente ospedaliero?

Il comparto sanitario ha delle peculiarità proprie solo a sé stesso e richiede un know-how consulenziale specifico. I cyber attack in Sanità possono avere conseguenze disastrose, non solo in termini economici: a differenza di altre industries, dove solitamente il breach ha come obiettivo ultimo il danno patrimoniale, in ambito sanitario un cyber attack può impattare fatalmente sulla salute di un individuo. Ci troviamo quindi di fronte a un’inedita e pericolosa frontiera di rischio.

Come tutelarsi? Innanzitutto, promuovendo un cambio culturale aziendale sull’importanza della sicurezza informatica e garantendo una formazione continua degli operatori sanitari. L’errore umano è spesso la causa principale di data breach all’interno delle aziende: lo conferma anche una recente ricerca Kaspersky Lab e B2B International. Il 52% delle imprese riconosce che i dipendenti, a causa di una formazione informatica poco adeguata, rappresentano una delle maggiori potenziali debolezze in termini di sicurezza IT dell’azienda. Quindi la formazione è un primo, imprescindibile step.

Questo non è però sufficiente: per continuare a garantire la sicurezza dei percorsi di cura e proteggere le informazioni e i sistemi nel settore sanitario, è necessario strutturare una corretta data governance, effettuare monitoraggi e Risk Assessment periodici, uniti ad una politica di Risk Management continua, preventiva e proattiva, affidandosi a partner assicurativi di comprovata esperienza, che posseggano una visione a 360° del rischio.

In qualità di risk manager, Sham da anni osserva l’evoluzione di nuove pratiche e nuovi rischi e propone soluzioni, in collaborazione con i suoi partner tecnologici, per informare e formare le strutture sanitarie, e offrire loro una migliore comprensione dei rischi.

Se è vero che la tecnologia crea per la Sanità nuovi rischi da tenere sotto controllo e da gestire, è vero anche che le possibilità date dall’applicazione della stessa con fini preventivi e di riduzione del rischio all’interno delle strutture sanitarie per pazienti e operatori sono innumerevoli. Parliamo per esempio di soluzioni a supporto del blocco operatorio o di semplificazione delle attività operative relative alla presa in carico del paziente.

Per questo motivo Sham ha recentemente stretto delle partnership con i maggiori players nell’ambito dell’innovazione tecnologica in sanità, come ad esempio Caresyntax, una piattaforma tecnologica finalizzata a ridurre il rischio chirurgico nelle sale operatorie tramite strumentazioni di data analytics, video recording e AI; oppure, ancora, con CyberMDX, una piattaforma di sicurezza informatica destinata all’identificazione e alla prevenzione dei rischi informatici specifici delle strutture sanitarie.

Queste prime soluzioni lasciano intravedere il futuro del settore sanitario, la cui trasformazione richiederà tempo. Nell’immediato, l’utilizzo di tutta la tecnologia attualmente disponibile per gestire la sicurezza dei pazienti e delle strutture in tempo reale contribuisce a offrire la migliore assistenza medica possibile.

Spesso i tool di data analysis e data visualization hanno una interfaccia complessa, poco intuitiva, che spaventa gli operatori meno avvezzi. Come avete superato questa barriera?  

Sham è particolarmente attenta allo sviluppo di strumenti analitici e predittivi, per questo nel tempo ha implementato una infrastruttura robusta, che vede un’integrazione d’utilizzo tra tool di data analysis e di data visualization. Le prerogative principali della nostra infrastruttura sono l’adattabilità – ogni tool è costruito sulle nostre esigenze e modificabile nel tempo – e la semplicità d’utilizzo – le interfacce sono sempre molto intuitive e disegnate in ottica user-friendly -.

Questi strumenti sono per noi fondamentali: ci consentono di avere una gestione agile e soprattutto informata in numerosi ambiti come ad esempio la strategia di sviluppo, la gestione dei sinistri, la sottoscrizione e la valutazione dei rischi.

L’attenzione allo sviluppo tecnologico in azienda è molto alta e il potenziamento di strumenti e strutture informatiche è in continua evoluzione: un assetto, questo, che per il mercato attuale della Medical Malpractice è già fortemente innovativo e rappresenta un driver ad altissimo valore aggiunto per i nostri clienti-associati.

 

 

COME AVVIENE UN ATTACCO HACKER A UN OSPEDALE?

CyberMDX, uno dei partner tecnologici di Sham, analizza uno scenario tipo e le contromisure da adottare.

 

Dall’inizio della crisi sanitaria causata dalla pandemia di Covid, sono aumentati gli attacchi informatici ai danni delle strutture sanitarie. Gli hacker mirano a rubare dati sensibili e interferire nell’attività ospedaliera. L’aumentare dei dati sanitari online e il perdurare dello stato di emergenza rappresentano, infatti, lo scenario ideale per attaccare strutture sanitarie che non sono pronte a difendersi su due fronti diversi.

CyberMDX partner tecnologico di Sham, descrive uno scenario tipo: l’attacco di un gruppo hacker a un ospedale per impossessarsi delle informazioni su una nuova forma di trattamento per il Covid-19 in quel momento in fase di studio. Come primo tentativo gli hacker cercano di entrare nei sistemi informatici dell’ospedale a partire dal sito web, che però è provvisto di un sistema di sicurezza sufficiente per tenerlo al sicuro. Dal momento che l’attacco diretto non è possibile, gli hacker decidono, allora, di aggirare l’ostacolo e infettare il sito di uno dei fornitori dell’ospedale, privo di protezioni. Guadagnando libero accesso al sito del fornitore possono monitorare indisturbati tutto il traffico sulla pagina web individuando le transazioni che avvengono con la vittima designata. Non appena un dispositivo dell’ospedale, con sistema operativo obsoleto o non aggiornato, si connette con il fornitore, gli hacker seguono il collegamento e s’infiltrano nel dispositivo. Adesso possono ottenere le credenziali per accedere indisturbati a tutti i server della struttura. Per fortuna l’ospedale, cosciente dei rischi che corre, protegge i propri dati grazie alla crittografia. In questo modo gli hacker, nonostante le credenziali gli permettano di individuare dove sono conservati i dati relativi al Covid, non hanno modo di decodificarli. Allora, sfruttando le credenziali ottenute, bloccano quanti più strumenti possibile, creando un grande danno all’azienda ospedaliera e mettendo a repentaglio la vita di numerosi pazienti.

Come impedire che una dinamica simile accada di nuovo?

Cyber MDX mette in risalto il fatto che l’ospedale avrebbe potuto prevenire uno scenario come quello descritto con i seguenti accorgimenti:

  • realizzando un risk mitigation plan affidabile: ovvero avere ben chiaro quali sono gli strumenti che possono correre dei rischi e di che natura;
  • assicurandosi di avere dei sistemi di sicurezza anti malware per tutti i dispositivi utilizzati nella struttura e dai suoi dipendenti, e che questi siano sempre aggiornati;
  • utilizzando un sistema automatico che gli permetta di identificare e bloccare ogni comunicazione anomala tra strumenti.

Per quanto riguarda l’attività dello staff invece, l’ospedale può:

  • creare un elenco di siti sicuri di fornitori che lo staff può usare per contattarli in sicurezza;
  • assicurarsi che i browser dei dispositivi della struttura siano sempre aggiornati all’ultima versione.

QUI il video prodotto dal partner Sham per visualizzare lo scenario dell’attacco informatico.

TRASFORMARSI IN OSPEDALE COVID

“Non dobbiamo chiedere a nessuno di essere un eroe, ma fornire una buona organizzazione per gestire la pandemia”. Enrico Lauta, medico anestesista, è partito da Bari per Iseo come volontario durante la prima ondata del Covid. Dal 9 novembre 2020, sta riconvertendo l’ospedale Santa Maria degli Angeli di Putignano sulla base di quell’esperienza e racconta a Sanità 360° i passi da compiere che possono essere applicati su tutto il territorio nazionale.

 

Quando ha raggiunto l’ospedale di Iseo, la rianimazione era già stata “tirata su” da zero e il centro regionale per la gestione dei letti era in funzione. “Quella è stata la prima lezione da applicare in condizioni d’emergenza: una centrale operativa che chiama i reparti ogni giorno, controlla i posti liberi e prenota i letti per i trasferimenti in altre strutture, qualora quella di ricovero avesse raggiunto il massimo della capacità. Un’organizzazione di questo tipo non solo libera medici e infermieri da ore di telefonate per cercare un posto letto, ma fa loro sentire che esiste un sistema funzionante che coadiuva i loro sforzi”.

Enrico Lauta, medico anestesista, è partito come volontario durante la prima ondata del COVID per prestare servizio in Lombardia. Ora, grazie all’esperienza accumulata è stato incaricato di riconvertire in ospedale COVID il Santa Maria degli Angeli di Putignano, nel territorio della ASL Bari, una struttura omologa per dimensioni e dotazioni al nosocomio di Iseo nel quale ha lavorato durante la primavera 2020.

“Essere un medico sul campo mi ha fatto provare la paura e la tensione di chi lavora con i pazienti COVID e mi ha fatto capire che gli elementi centrali dai quali partire per affrontare la pandemia sono il morale, la sicurezza e la formazione del personale sanitario”.

“Medici e infermieri devono sentirsi pronti e sicuri. Non dobbiamo chiedere a nessuno di essere un eroe. Abbiamo bisogno di una buona organizzazione”.

“Qui un elenco di azioni per riconvertire un ospedale di base in ospedale COVID che ho messo e sto mettendo in pratica in ordine di priorità.

La prima è individuare quali saranno le unità operative per la cura dei pazienti acuti.

La seconda azione, fondamentale, è individuare i percorsi: l’accesso del personale alla struttura,  agli spogliatoi, ai reparti COVID; le zone filtro, le zone vestizione e svestizione. Ideale sarebbe creare percorsi circolari ma non è sempre possibile. Da qui l’esigenza di operare interventi strutturali con opere di cartongesso, cartelli e simili.

 Terzo passaggio è formare il personale: sui percorsi (in modo che non ci siano contaminazioni delle aree ‘pulite’); sugli strumenti da utilizzare per monitorare i parametri dei malati; sulle medicine da somministrare; sui presidi da utilizzare e su come utilizzarli.

Ricordiamoci, infatti, che anche operatori di area medica e chirurgica non “esperti” nella gestione dei pazienti COVID saranno chiamati a curarli; è necessaria una formazione specifica sull’impiego calibrato di strumenti come i presidi per la ventilazione non invasiva ed il monitoraggio dei parametri ventilatori. Anche per questo si può rivelare utilissimo costruire delle Flow Chart assieme ai medici che saranno chiamati a implementarle mettendo ben in chiaro che e quali competenze multidisciplinari e multispecialistiche concorrono al trattamento della malattia.

Quarto punto, di conseguenza, è una mappa chiara delle ‘munizioni’ che serviranno all’ospedale COVID una volta entrato in funzione. La domanda che dobbiamo porci è: di cosa avranno bisogno gli operatori? Saturimetri, maschere per l’ossigeno dotate di reservoir, schermi digitali e strumenti di monitoraggio multiparametrici, strumenti di ventilazioni non invasiva, i farmaci.

Quinto e ultimo punto: creare un setting assistenziale che preveda livelli di gravità crescente e, a fianco, avviare una centrale di bed management sull’ispirazione di quella lombarda citata inizialmente.

 “A fianco di queste punti – conclude Enrico Lauta – c’è una lezione fondamentale che il nostro sistema sanitario deve apprendere una volta per tutte e che la pandemia ha comprovato al di là di ogni ragionevole dubbio: dobbiamo trasformare la nostra gestione del rischio in una gestione proattiva. Non possiamo ridurci a reagire, per quanto bene e in fretta, alle emergenze. È sicuramente un problema di cultura nazionale ma è giusto riconoscere che in questi tre mesi di tregua – luglio, agosto e settembre – in tutta Italia si poteva fare un po’ di più: preparare piani e individuare le soglie di ricoveri e contagi superate le quali scattano automaticamente le riconversioni di personale e reparti già pianificate; formare il personale in anticipo; contattare le aziende per i lavori strutturali che si sono mostrati necessari ed accumulare scorte. La pandemia ci ha insegnato che non possiamo tirare il fiato ma anticiparne le mosse. Spero che sia una lezione che rimarrà impressa”.

 

 

 

 

 

 

ASPETTANDO IL PICCO: COSA IMPARARE DALL’ESPERIENZA DELL’ASL BARI

“La lezione fondamentale – dice il Direttore del Rischio Clinico Vincenzo De Filippis – è la formazione e la motivazione del personale su terapie e procedure. Solo così avranno la fiducia per affrontare la situazione”. L’ASL Bari, 1 milione e 300mila cittadini serviti, si sta preparando al momento peggiore della seconda ondata portando da 1000 a 2900 i posti per il Covid.

 

La preparazione alla seconda ondata del COVID non passa solo attraverso posti letto e strutture sanitarie riconvertite. “Dalla nostra esperienza posso dire che la conditio sine qua è la formazione e la motivazione del personale – dice Vincenzo De Filippis, direttore della U.O.C. Rischio Clinico e Qualità della ASL Bari -. Medici ed infermieri devono essere informati sulle procedure di protezione individuale e ambientale, sulle terapie da applicare in caso di COVID e sui parametri da monitorare. Solo così avranno fiducia di poter superare l’ondata. Altrimenti la paura, non per sé ma di non poter fare nulla per i pazienti, azzopperrà gli sforzi. Quello che stiamo chiedendo a chirurghi e medici di tutte le specialità è, sostanzialmente, di trasformarsi in medici esperti in Covid, trattando campi che non hanno mai toccato prima. Dobbiamo dargli  procedure semplici, chiare, applicabili da seguire”.

Ecco il punto di partenza della riconfigurazione della ASL Bari aggiornata al 3 Novembre 2020. “L’obiettivo è passare da 343 posti letto COVID ai 904 che sappiamo saranno necessari per la fine del mese (il dato atteso in Puglia di fabbisogno di posti letto è di 1100 al 6 novembre, 2000 al 20 novembre e 2900 al 30 novembre)”.

Le misure prese sulle strutture: raddoppiati i posti di intensiva e sub intensiva, attivati due ospedali per post acuti, convertito un’intera struttura come ospedale e un reparto maternità COVID, attivati due presidi ospedalieri con aree Covid attrezzate e attuate disposizioni emergenziali in tutti gli ospedali. Inoltre è stato richiesto il concorso anche dell’Ospedale Ecclesiastico “Miulli” (già intervenuto in primavera scorsa) e di due case di cura accreditate..

“Importante è stata anche l’esperienza dei medici e anestesisti che sono partiti volontari questa primavera per fronteggiare l’emergenza al Nord. Le lezioni che hanno appreso ci hanno aiutato a mettere a punto i percorsi COVID e COVID-free all’interno, prima di tutto del Pronto Soccorso, e nell’attivazione del presidio full Covid”.

“Riceviamo ottimi segnali dal punto di vista delle precauzioni e delle procedure di vestizione da parte del personale sanitario: abbiamo pochissimi casi di infezione tra il personale, anche nei punti caldi del Pronto Soccorso”.

Tra gli accorgimenti che consigliamo di seguire: “Evitare che le persone restino sulle ambulanze a lungo e far sì che tutti gli asintomatici e i paucisintomatici rimangano a casa con terapia”.

“Queste sono le misure messe in atto in vista di un incremento dei contagi. Sono tutte importanti ma ribadisco che il morale degli operatori sanitari e le informazioni aggiornate rimangono determinanti per avere una risposta efficace all’emergenza”.