EPIDEMIOLOGIA COMPUTAZIONALE: “I DATI DI OGGI PER LA MEDICINA DI DOMANI”
Alessandro Vespignani, Direttore del Network Science Institute presso la Northeastern University di Boston, ha mostrato al “Wired Next Fest 2020” il contributo dell’epidemiologia computazionale nella lotta al coronavirus.
All’appuntamento virtuale “WNF 2020: Health”, dedicato alle tecnologie per la salute, è intervenuto il professore Alessandro Vespignani, Direttore del Network Science Institute e autore del libro “L’algoritmo e l’oracolo. Come la scienza predice il futuro e ci aiuta a cambiarlo”. Di seguito, riportiamo un estratto del suo intervento che si è tenuto il 5 giugno all’interno dell’evento organizzato da Wired. Il professore è alla guida di un team italo-americano che ha sviluppato un modello di previsione della possibile diffusione internazionale del coronavirus cinese[1].
Cos’è l’epidemiologia computazionale?
“L’epidemiologia computazionale è un’area scientifica che consente di passare dai dati alle previsioni. Partiamo dalle curve di informazioni – numero di casi, decessi etc. – e li trasformiamo in equazioni descrittive e di interpretabilità.
Per fare questo esistono diverse tecniche, quali gli approcci meccanicistici, analoghi a quelli delle previsioni meteorologiche, oppure di Artificial Intelligence, entrambi finalizzati ad individuare come si sviluppa l’epidemia. Possono diventare modelli molto precisi che introducono, ad esempio, informazioni sulle compagnie aeree, sul traporto terrestre su piccolo raggio, oppure sulla popolazione in generale (i.e. l’età degli individui).
In tutto questo, però, bisogna considerare il ruolo del caso, ovvero l’incertezza. Non abbiamo mai una conoscenza precisa delle condizioni iniziali. Esiste infatti una conoscenza di base che manca sempre di alcuni pezzi: ad esempio, qual è realmente la trasmissione asintomatica? Esistono le incertezze legate alla possibilità di salire o meno su un aereo, oppure ulteriori elementi stocastici. Allora, si simulano soluzioni con indicatori sintetici e si estraggono dati statistici, che non sono altro che probabilità.
Il Prof. Vespignani al “Wired Next Fest 2020”
Tutto questo consente di effettuare un’analisi situazionale: ovvero, ci dice cosa sta succedendo quando l’informazione manca. Prima, ad esempio, non si conosceva l’entità della pandemia in Cina e oggi questi modelli ci aiutano.
Un’altra possibilità riguarda l’analisi epidemiologica: ci sono davvero gli asintomatici? E allora si costruiscono tutti gli scenari e si capisce meglio cosa andare a cercare. Gli scenari non sono previsioni, ma sono basati su assunzioni di comportamenti degli individui, della politica, della situazione internazionale etc. Questi scenari offrono prospettive di ampio raggio, che vanno dall’intervallo pessimista a quello più ottimista e sono entrambi necessari. A partire da questo, è possibile effettuare un’analisi di rischio fino ad arrivare ad una pianificazione degli interventi.
Poi esistono le predizioni, che si basano sui dati correnti degli interventi e della loro efficacia. Da qui è possibile mettere in conto quello che è stato fatto e quello che verrà fatto nelle settimane future. Si eseguono proiezioni su orizzonti temporali limitati, come può essere un intervallo di 4-6 settimane.
Infine, ci sono i modelli, che ci indicano le scelte che possiamo mettere sul campo. Non parliamo di “oracoli indiscussi”, di un futuro preciso, ma di una gamma di possibilità sul campo”.
Esiste una sorta di analfabetismo numerico?
“Quello dell’alfabetizzazione numerica è un problema rilevante. I dati oggi sono fondamentali e, probabilmente, noi scienziati non siamo stati bravissimi sull’aspetto comunicativo. La scienza ha dovuto imparare delle cose, ma ci sono state anche decisioni diverse dalla scienza da parte della politica. Di base, l’alfabetizzazione numerica dovrebbe far capire al cittadino cosa dice la scienza e come quella conoscenza viene usata dal policy making.
In questo caso, esiste un problema di “domini”. Se torturi abbastanza i dati, puoi ottenere quello che vuoi, avere conclusioni verso una condizione oppure per un’altra. Parliamo quindi di domain expertise: ognuno ha il suo campo e tutti insieme dobbiamo metterci d’accordo rispetto al problema che conosciamo. Ogni dato va visto sotto sguardi diversi, che poi vanno offerti alla politica nella maniera più corretta.
In generale, noi guardiamo troppo all’ambito nazionale, mentre dovremmo guardare all’epidemia a livello globale. I dati sono importanti e se perdiamo contatto con questi, perdiamo il contatto con la realtà e, allora, i dati divengono opinioni”.
Di quanto si sono discostate le decisioni politiche dai consigli prodotti dai modelli epidemiologici?
“Ci sono state analisi politiche ed economiche sui dati ispirate ad una grande prudenza, come in Italia, Francia o Spagna. In molti paesi le scelte sono state simili con misure di lockdown e rafforzamento delle strutture.
In altri paesi, invece, la politica ha scelto altre strade rispetto al raggio di scenari possibili, anche dove c’era un rischio maggiore. Forse c’è stata una sovrastima della capacità di gestire le situazioni. Ogni paese ha avuto una dinamica diversa, come negli Stati Uniti, dove c’è stata più una dinamica a livello di singolo stato che di Paese”.
Hai timore per la riapertura delle frontiere, come quella della Svezia?
“La Svezia ha fatto scelte diverse, è in una fase stazionaria e non di contrazione come in altri paesi. Anche il Brasile ha deciso di non essere aggressivo e adeso si ritrova in guai complicati e produce infezioni. Questo è un dato che va considerato. In Iran la riapertura ha portato ad una seconda ondata. Dunque, esistono traiettorie epidemiche diverse con situazioni diverse che andranno valutate caso per caso in relazione al nostro mondo globale”.
Hanno influito modelli sanitari diversi?
“Qui si entra in un dibattito in cui si criticano scelte anteriori alla pandemia, mentre bisogna fare i conti con quello che si ha. La pandemia è una situazione di gravità “eccezionale,” quindi bisogna valutare anche questo nella ristrutturazione dei servizi. Se si indebolisce il controllo sul territorio, ovviamente si va a rischiare, perché le morti sfuggono”.
[1] Per conoscere il modello previsionale sviluppato dal team del professor Vespignani cfr: https://www.isi.it/media/226