LA COSA GIUSTA DA DIRE

Come parlare ai familiari dei pazienti alla luce dell’epidemia? Come mantenere una distanza fisica che non sia anche emotiva? Come dare le informazioni necessarie evitando tensioni e contenziosi? Al primo Webinar “Sham On Air” il position paper COMUNICoViD offre dieci spunti per equilibrare umanità, sicurezza e tutela legale.

 

Medici e familiari dei pazienti Covid-19: a distanza di sicurezza ma non di umanità. Il documento “COMUNICoViD: comunicare con i familiari in condizioni di isolamento” fornisce una guida per mantenere un rapporto sano e funzionale con i familiari dei ricoverati durante l’emergenza coronavirus (e non solo).

Comunicare con le famiglie dei pazienti è sempre una sfida, oltre che professionale, anche emotiva per il personale ospedaliero. Ci sono delle linee guida da seguire, per proteggere non solo i familiari del malato, ma anche lo stesso staff, obbligato a trovare una sorta di via media tra l’empatia e il distacco. Ai tempi del CoViD-19 questa sfida, già di per sé ricca e delicata, si è evoluta: comunicare con i familiari in fase di isolamento significa farlo prevalentemente in via telematica, che sia tramite telefono o videochiamata. Conversazioni difficili da avere, aggravate anche dalla situazione epidemica e di alto stress per medici, infermieri e personale sanitario. Come farlo nel migliore dei modi senza potersi incontrare di persona? A questa domanda ha dato una risposta concreta lo studio “COMUNICoViD: comunicare con i familiari in condizioni di isolamento” che i coautori Giovanni Mistraletti, Medico rianimatore e Ricercatore dell’Università degli Studi di Milano, e Maria Nefeli Gribaudi, Avvocato ed esperta di Responsabilità Civile Sanitaria, hanno presentato in occasione del primo Webinar della serie “Sham On Air” organizzato dalla mutua leader nel settore delle assicurazioni per la Responsabilità Civile Sanitaria con il patrocinio di ARIS, rappresentato nell’incontro da Nevio Boscariol, Responsabile Economico, Servizi e Gestionale.

«Non dobbiamo comunicare bene perché siamo buoni, ma dobbiamo esserne capaci perché siamo professionisti. Una buona comunicazione è fondamentale per i pazienti, per i familiari e per gli operatori» ha dichiarato il dott. Mistraletti, spiegando che l’attività comunicativa deve essere trattata come una priorità dall’ospedale, che a questo deve dedicare tempo, formazione e attenzione, poiché «specialmente in un momento di isolamento come quello che abbiamo vissuto, le competenze in questo campo diventano fondamentali ed emergono con ancora più forza». Coordinatore di un gruppo di eccellenza multiprofessionale per la stesura del position paper, Mistraletti ha evidenziato con decisione come il focus del documento si concentri in particolare sulla possibilità di far star meglio innanzitutto i familiari, ma anche «di aiutare chi lavora negli ospedali, quando si trovano in situazioni davvero difficili in cui non è affatto scontato comunicare empatia e si è maggiormente esposti ad un rischio di burnout, di esaurimento emotivo».

«Non possiamo pensare di curare bene i nostri malati se non ci prendiamo cura anche dei loro familiari e degli operatori» ha aggiunto. Non è casuale, infatti, che la comunicazione venga riconosciuta dalla Società Europea di Medicina Critica tra le competenze fondamentali ed irrinunciabili per la professione medica. Come curarla al meglio quindi? Le regole basilari sono quelle valide in assoluto, che però devono essere declinate nell’era CoViD-19 e che nel position paper vengono riassunte in 10 statement, organizzati in macroaree che vanno dalla competenza relazionale, alla confidenzialità, alla giustizia distributiva fino alla gestione del benessere degli operatori. Come ha evidenziato anche l’avvocato Maria Nefeli Gribaudi, «una buona comunicazione, sia interna tra gli operatori sanitari che esterna verso paziente e familiari, ha delle ricadute positive sotto diversi ambiti. Sia per quanto riguarda il risk management, sia in termini di continuità e qualità terapeutica assistenziale, e quindi di outcome, sia sotto il profilo della alleanza terapeutica e fiducia nel sistema sanitario». Soprattutto, ha «valenza deflattiva del contenzioso. Capita che alla base di una conflittualità tra medico e paziente spesso non vi sia un errore tecnico, terapeutico o diagnostico, ma una carenza dal punto di vista relazionale e comunicativo – ha aggiunto Gribaudi – che tra l’altro ha una propria autonomia risarcitoria».

Fondamentale sia dal punto di vista di medico che giuridico durante tutto il processo comunicativo, specialmente tramite dispositivi, come è diventata prassi durante l’emergenza CoViD-19, è fornire in maniera comprensibile e chiara le informazioni circa la malattia, ottenendo da parte dei familiari notizie sull’anamnesi e soprattutto sui valori e le scelte della persona ricoverata. Necessario, soprattutto nel momento in cui si debbano dare notizie tragiche e/o delicate, è mostrare empatia e partecipazione, mantenendo un atteggiamento non asettico e distaccato, ma senza esagerare o uscire dai confini professionali. Un equilibrio difficile da trovare, che però «è un’occasione per manifestare una sincera partecipazione – continua Mistraletti – ed anche per legittimare le emozioni dei familiari». Trattasi di modalità comunicative già note in letteratura, ma durante l’emergenza del coronavirus sono emerse nuove considerazioni. «I familiari di un paziente erano a loro volta sottoposti ad uno stato di isolamento, di quarantena e quindi soggetti già ad un carico di stress non indifferente. Nella fase della comunicazione di un aggravio delle condizioni o di un lutto, il medico non può non tenere conto della condizione emotiva dei familiari, che soffrono del fatto di non poter essere vicini al proprio caro in un momento così delicato». Ecco perché nella seconda parte del documento presentato, sono state realizzate delle vere e proprie guide operative e check-list per svolgere al meglio le telefonate o le videochiamate ai familiari dei pazienti affetti da CoViD-19. Ha infatti evidenziato Mistraletti come «grande importanza va data alla fase di preparazione: sto parlando con le persone giuste? Sono nel luogo più adatto per telefonare o videochiamare? Sono emotivamente pronto a far fronte a delle reazioni emotive molto forti?». Una check-list che non solo aiuta la gestione dell’emotività del familiare del paziente, ma anche del personale ospedaliero stesso, che in questo modo può essere protetto dal rischio di burnout e pronto a soddisfare richieste come quella di mostrare al familiare il proprio caro sedato o vicino al decesso attraverso la videochiamata senza esserne travolti.

«Questo atteggiamento e questo modello operativo ci permettono di limitare ed evitare le incomprensioni e i conflitti, con le conseguenze anche medico legali» ha sostenuto Mistraletti. Un tema su cui ha insistito anche Maria Nefeli Gribaudi, ricordando come il punto di riferimento da tenere onnipresente sia la Legge n. 219/2017 in materia di consenso informato e disposizioni anticipate di trattamento, «culmine di un lungo percorso giurisprudenziale, etico e culturale proprio in tema di relazione medico paziente di comunicazione e obblighi formativi che ha trovato nella legge la sua positivizzazione». La legge 219 infatti sancisce un principio molto importante: la comunicazione come tempo di cura. Essa «sottende a monte un concetto di malattia e a valle un concetto di cura che trascendono aspetti meramente biologici ma che abbracciano anche aspetti relazionali e comunicativi» aggiunge l’avvocato Gribaudi, implicando che «anche a livello organizzativo e formativo le strutture si attivino in questo senso». Dal punto di vista giuridico, il contesto di emergenza sanitaria ha fatto emergere nuove sfide dovute anche alla situazione di isolamento. «Si è trattato indubbiamente di un momento connotato da grande incertezza scientifica, da mancanza di evidenze e di linee guida e di buone pratiche clinico-assistenziali che fossero state accreditate dalla comunità scientifica e di grande scarsità di risorse», ha detto Gribaudi. Ecco allora che in questo scenario la comunicazione di questi fattori deve avvenire «in modo trasparente sia al paziente che ai suoi familiari, anche per quanto concerne il ricorso alla somministrazione di terapie sperimentali». La buona comunicazione con i familiari infatti permette di ricostruire anche il sistema di valori e desideri di un paziente incompetente o incapace di intendere e di volere: «Anche in questa prospettiva una buona comunicazione, modulata anche in base alle conoscenze o allo stato emotivo dell’interlocutore, funge da protezione per l’operatore sanitario e per la struttura» ha ricordato Gribaudi «anche per quelle fasi relative alla somministrazione di cure palliative o di terapie del dolore».

L’emergenza pandemica ha evidenziato come il punto di equilibrio tra informazione, rispetto delle norme di privacy e protezione da eventuali contenziosi venga a trovarsi proprio nella comunicazione. Un aspetto a volte sottovalutato ma che questa situazione straordinaria di emergenza ha riportato alla luce, riportandone il valore e l’importanza tra i principi che invece devono essere centrali e fondamentali.

 

Il primo webinar di Sham On Air “ComuniCovid: comunicare con i familiari in condizioni di isolamento” è disponibile a questo link.