UN BEL GIORNO PER IL RISK MANAGEMENT IN ITALIA

Oggi, mercoledì 19 febbraio, inizia presso l’Università di Torino l’insegnamento del modulo “Governance e gestione del rischio clinico e dei sinistri nelle strutture sanitarie”, all’interno del Corso di Laurea Magistrale in Amministrazione e Controllo Aziendale.

È un’ottima notizia per l’Università di Torino, che si conferma così sempre più un polo italiano – e internazionale – per lo studio e la ricerca nell’ambito della gestione rischio e, nello specifico, del rischio sanitario.

È un’ottima notizia anche per noi di Sham perché è proprio all’interno della partnership triennale tra il Dipartimento di Management dell’Università torinese e la nostra Mutua, che il modulo magistrale ha preso il via. (LINK)

La collaborazione con il Dipartimento e Sham, in qualità di ente finanziatore, si è sviluppata nel corso degli anni con lo scopo di far avanzare la ricerca nell’ambito del RM sanitario, diffondere la cultura della prevenzione e contribuire a creare un percorso formativo per i Risk Manager. La partnership prevede inoltre una borsa di studio per l’analisi del rischio a priori e un tavolo tecnico per l’individuazione delle buone pratiche.

Sham non è nuova a questo tipo di collaborazione. Tutto ciò perché crediamo fermamente che qualsiasi tipo di investimento – in termini di tempo, impegno e stanziamenti –  che effettuiamo oggi, contribuisca sensibilmente alla formazione e allo sviluppo delle competenze dei manager sanitari di domani. La sicurezza delle cure e la gestione del rischio saranno sempre più determinanti per la prevenzione e per la sostenibilità del sistema sanitario negli anni a venire; e i manager sanitari, che sono i veri decision maker in questo contesto, ne saranno le figure pivotali.

Poter comunicare questa visione in occasione della lezione inaugurale del modulo e trasmetterla ai prossimi responsabili della sicurezza negli ospedali italiani mi riempie quindi di soddisfazione e di fiducia per il futuro. Vi terremo aggiornati.

 

Come sempre, vi auguro una buona lettura.

Roberto Ravinale

Direttore Esecutivo di Sham in Italia

OSPEDALI DI COMUNITÀ: UNA RISPOSTA CONCRETA A NUOVI BISOGNI

Gli Ospedali di Comunità rappresentano una soluzione innovativa per rispondere ai nuovi bisogni assistenziali della popolazione, in particolare dei pazienti affetti da patologie cronico-degenerative: un “cuscinetto” tra le persone e gli ospedali specialistici volto ad assicurare che i pazienti non cadano nel vuoto appena dimessi.

 

La nascita di strutture di cure intermedie, quali l’Ospedale di Comunità, costituiscono una valida risposta ai nuovi bisogni di salute della popolazione poiché permettono di erogare assistenza nel rispetto di standard di qualità e sicurezza delle cure, anche attraverso l’utilizzo di strumenti in grado di gestire i possibili rischi derivanti dall’attività assistenziale. Il modello si rivolge principalmente a pazienti di età superiore ai 60 anni e risponde alla necessità di affrontare nel modo più appropriato quei problemi di salute di solito risolvibili a domicilio ma che, per pazienti in particolari condizioni di fragilità sociale e sanitaria, richiedono un ambiente sanitario protetto. In particolare, l’Ospedale di Comunità è una struttura residenziale territoriale istituita all’interno dei Presidi Territoriali d’Assistenza (PTA), collocandosi tra l’Ospedale per acuti, la Residenza Sanitaria Assistenziale (RSA) e l’Assistenza domiciliare integrata (ADI). Si tratta di una struttura che non si pone in alternativa, ma che lavora in stretto rapporto di collaborazione con le altre. Caratteristiche principali dell’adozione di questo tipo di programma assistenziale, infatti, sono l’elevato grado di interdisciplinarietà e di integrazione. L’intervento prevede il coinvolgimento del Medico di Medicina Generale, quale “principale referente e corresponsabile della presa in carico e del percorso diagnostico terapeutico più appropriato per il paziente stesso”. Ciò garantisce la continuità delle cure e la presa in carico del paziente, quali elementi fondamentali per una gestione efficace delle patologie cronico-degenerative.

 

 

A raccontare l’esperienza degli Ospedali di Comunità diffusi in Abruzzo, a partire dal 2012, è Maria Bernadette Di Sciascio, Direttore UOC Qualità, Accreditamento e Risk Management della Asl Lanciano Vasto Chieti.

Quali aree territoriali sono state coinvolte nel progetto “Ospedale di Comunità” della Asl Lanciano Vasto Chieti?

La Asl Lanciano Vasto Chieti ha attivato il progetto dell’Ospedale di Comunità all’interno dei PTA di Gissi (2012), Casoli (2015) e Guardiagrele (2017), allo scopo di costruire una rete di servizi sanitari extra ospedalieri.

L’area di riferimento della Asl è molto estesa e comprende 104 comuni. È caratterizzata da un territorio prevalentemente collinare e montano e, proprio per questo, si riscontrano diversi problemi di viabilità, specialmente nelle zone interne e di collegamento con le zone costiere. Questa particolare conformazione del territorio comporta che queste zone risultino svantaggiate dal punto di vista dei servizi e, in particolare, di quelli sanitari. Spesso, infatti, la fruizione di tali servizi richiede lo spostamento in zone limitrofe e questo comporta non poche difficoltà per la popolazione, specialmente per gli anziani e le fasce più deboli, a causa anche di un servizio di trasporto pubblico carente e in alcuni casi totalmente assente. Dare quindi la possibilità al cittadino abruzzese di non raggiungere necessariamente l’Ospedale per acuti, ma di trovare un’offerta sul territorio è un vantaggio che permette una riduzione dei costi e maggiori benefici per i pazienti in termini di cure.

Quali principali risultati sono stati raggiunti attraverso questo progetto?

Dall’avvio del Progetto dell’Ospedale di Comunità di Casoli, ad esempio, la frequenza dei ricoveri ha presentato nel tempo una crescita costante, arrivando a coprire un totale di 3.039 giornate di degenza da settembre 2015 fino al mese di giugno 2016. Più della metà dei pazienti ricoverati proviene dalla propria abitazione sulla base delle indicazioni fornite dal proprio medico di medicina generale. Tali ricoveri sono rappresentati prevalentemente da esigenze diagnostico-terapeutiche legate a patologie croniche. Dal punto di vista clinico, i dati rivelano l’efficacia delle cure erogate se si tiene conto che, dopo aver completato il programma assistenziale, il 79% dei pazienti ricoverati è stato dimesso tornando nel proprio domicilio, stabilizzando o migliorando, per quanto possibile, il proprio stato di salute. Il 5% dei pazienti ricoverati, invece, è stato trasferito in altre strutture – RSA e strutture di riabilitazione – ritenute più appropriate per gestire determinati bisogni assistenziali. I decessi, infine, sono perlopiù avvenuti per naturale decorso della malattia in genere in pazienti terminali.

Inoltre tutti i dimessi dall’ospedale di comunità di Casoli sono presi in carico dall’ambulatorio infermieristico della fragilità.

Complessivamente, i risultati mostrano un alto grado di efficienza della struttura. Questi risultati, quindi, dimostrano come l’Ospedale di Comunità si integri e garantisca la continuità assistenziale, sia con il domicilio, sia con le altre strutture sanitarie (pronto soccorso, reparto per acuti, etc).

 

 

Quali sono i maggiori benefici di questa iniziativa?

Sicuramente la possibilità di ricevere un piano di assistenza individuale, che alimenta la qualità delle cure. Di norma, viene verificata la disponibilità del Medico di Assistenza Primaria (MMG) e viene convocata un’apposita Unità di Valutazione Multidimensionale (UVM). L’UVM valuta i bisogni sanitari e assistenziali e predispone un programma di cure personalizzato per ogni utente, definendo le modalità e i tempi del ricovero, nonché un insieme di terapie e trattamenti specifici per ciascun paziente. L’attuazione di percorsi assistenziali integrati, che hanno visto il coinvolgimento del MMG nella definizione del percorso assistenziale più idoneo per il paziente e la condivisione dello stesso con gli altri professionisti, assicura la continuità delle cure tra i diversi livelli di assistenza e l’effettiva presa in carico del paziente. L’utilizzo nella pratica clinica dei percorsi assistenziali permette di erogare un’assistenza appropriata ed efficace, orientata al continuo miglioramento della qualità.

L’integrazione è certamente un altro punto di forza di questo approccio, che consolida il rapporto tra Ospedale e territorio. La maggiore integrazione ha riguardato anche la proceduralizzazione di tutti i flussi di intervento e comunicazione, favorendo il rapporto tra i diversi professionisti delle strutture coinvolte, l’Ospedale di Comunità, l’ospedale per acuti e tutti i distretti, creando una forte rete sul territorio e garantendo una maggiore sicurezza delle cure.

Inoltre negli ospedali di comunità di Guardiagrele e Casoli si ha la possibilità di effettuare consulenze specialistiche anche da remoto con i centri Hub aziendali evitando lo spostamento del paziente.

Elemento imprescindibile per la qualità e per la sicurezza delle cure è la continuità dell’assistenza erogata non solo tra i diversi livelli assistenziali, ma anche all’interno della struttura stessa. Oltre alla presenza di personale infermieristico H24, indispensabile per la gestione di patologie che richiedono assistenza continuativa, risulta fondamentale per la sicurezza del paziente la possibilità di fronteggiare efficacemente in ogni momento le situazioni di urgenza grazie all’integrazione con i medici di medicina generale, di continuità assistenziale e del Punto di Primo Intervento (PPI).

Inoltre, c’è una maggiore umanizzazione grazie alla possibilità dei familiari di entrare liberamente e alla presenza del medico di medicina generale, che fa sì che la persona si senta in un ambiente più familiare.

Infine, si ha una riduzione dei costi perché si tratta di degenze a basso costo, anche a livello di giornate, che generalmente non superano i 15 giorni.

 

FARMACI E CURE, L’AVVIO DI UN SISTEMA AUTOMATIZZATO

L’innovativo progetto dell’ASST di Pavia. L’iniziale esperienza di implementazione della raccomandazione 17.

 

La terapia farmacologica è un processo non semplice e a volte può causare anche dei danni, alcuni prevedibili e altri no. Ciò può capitare ad almeno un paziente su 10 mentre riceve cure mediche, per un totale complessivo di quasi 43 milioni di lesioni da errori medici riportate ogni anno nel mondo (dati OMS 2017[1]). È questo il contesto nel quale è maturato il progetto dell’ASST di Pavia sul “Sistema automatizzato di prescrizione del farmaco” che ha ottenuto una Menzione Speciale al Premio Sham 2019. L’obiettivo è stato quello di «migliorare la qualità prescrittiva e anche la sicurezza» perché tale sistema consente di misurare alcuni dati. Infatti, la continuità e la sicurezza terapeutica rappresentano uno dei pilastri della qualità dell’assistenza e i passaggi di pazienti da un setting di cura all’altro, compreso il momento dell’ammissione in ospedale e della dimissione, che sono una potenziale fonte di rischio. Ecco perché devono essere gestiti attraverso un processo adeguato di ricognizione e riconciliazione della terapia farmacologica.

 

 

Nella ASST di Pavia vi è un sistema automatizzato in funzione dal 2012 per la gestione della terapia, sia per alcune fasi di preparazione “sistema monodose”, che per la prescrizione e la somministrazione. Nel 2016 si è costituito un gruppo di lavoro multidisciplinare per usare le potenzialità del sistema automatizzato per poter disporre di un sistema di valutazione dell’efficacia anche in termini di “barriera” per gli errori terapeutici. Il sistema è utilizzato da 1.550 utenti che vengono regolarmente formati sul suo utilizzo per gestire circa 27.000 ricoveri anno. Il numero medio di prescrizioni per paziente di 2,5/die, 172.131 sono le interazioni farmacologiche segnalate nel 2019 pari a 8,7 interazioni/paziente e monitorate. Il numero di somministrazioni è di 5.445 somministrazioni/die e 6 sono le somministrazioni medie per paziente/die. Il software per il farmaco, integrato con gli altri sistemi informatici, è lo strumento che alimenta il cruscotto di indicatori. In questo modo, tutti gli operatori sono stati coinvolti e hanno partecipato alla fase di sviluppo per il processo “implementazione raccomandazione 17”.

Le potenzialità del sistema automatizzato per la preparazione della terapia possono prevederne anche un uso nella medicina penitenziaria: in questo caso specifico il progetto è in fase di definizione. Lo studio ha riguardato casi specifici come le allergie: qui la percentuale dei pazienti allergici ricoverati si mantiene solitamente intorno al 21% e questi sono riconoscibili con un braccialetto identificativo di colore diverso. Un altro aspetto importante ha riguardato la profilassi antibiotica in chirurgia: dal 2018 si è implementata la linea guida per una corretta profilassi antibiotica in chirurgia. I dati del primo semestre del 2019 hanno dimostrato che solo nel 10% dei casi la terapia  è stata somministrata anche se non prevista nelle linee guida. Dal mese di aprile 2019, è stata monitorata la compilazione del modulo di ricognizione all’ingresso: il monitoraggio della fonte informativa da cui si ricavano le informazioni utili per la fase di ricognizione individuava nel 72% dei casi l’informazione vocale data dal paziente, nel 10% la lettera di dimissione, nell’8% la lista dei farmaci redatta dal medico curante/medico di MMG.

 

[1] Federfarma; Ansa

 

EMPOWERMENT E PREVENZIONE

Il “Festival della salute”, il Progetto dell’Asl 1 Liguria ha ottenuto una Menzione speciale al Premio Sham 2019.

 

Promuovere una sempre più efficace cultura della prevenzione. È la mission del progetto “Il Festival della salute” dell’Asl 1 Liguria che ha ottenuto una Menzione speciale al Premio Sham 2019. Un’esperienza di empowerment fondamentale per la sicurezza delle cure. L’evento, nato 4 anni fa, ha lo scopo di educare alla salute in piazza, tra la gente, e quindi non solo nei classici luoghi di cura. Non è un caso che si svolga a Sanremo, nel cuore della città simbolo della Canzone Italiana e dello storico Festival. Per una settimana famiglie, anziani e bambini possono partecipare a una varietà di incontri, seminari, ma anche laboratori e spettacoli per i più piccoli, grazie anche a una solida “rete per la salute”, creata per collegare istituzioni (ASL, Comuni, Scuole, etc), associazioni di volontariato e cittadini, tutti insieme “Perché star bene, fa bene!”. Il Progetto dell’Asl 1 ha coinvolto la Direzione Aziendale, il Dipartimento di Educazione alla Salute, Urp e Comunicazione Qualità e Consulta Associazioni di volontariato. E ha avuto come partner il  Comune di Sanremo, l’Ufficio scolastico provinciale, Strutture Assistenziali, Enti (Coni, UISP). Nell’edizione 2019 il leit motiv della manifestazione è stata “Parole della salute”. In ogni incontro, workshop o laboratorio, sono state le parole a dare il via a specialisti, educatori e testimonial per approfondire e raccontare la salute e il benessere.

 

 

Cuore pulsante degli incontri è stata proprio la parola prevenzione, che è stata affrontata e analizzata da diverse angolature.  Dall’importanza della prevenzione si è passati a quello delle “Cure Sicure” perché è stato documentato che i pazienti e i caregiver correttamente informati colgono le opportunità, riducono i rischi e partecipano consapevolmente ai percorsi di cura.  Ecco perché particolare importanza ha ottenuto anche l’incontro con operatori sanitari aziendali, medici di MMG e PLS e delle strutture socio-sanitarie, in una serie di eventi accreditati ECM con la partecipazione dei cittadini. Di grande impatto e interesse la sezione “Star in piedi è così semplice”, relativa al problema delle cadute, un incontro sull’Antimicrobial Stewardship e un appuntamento dedicato alle donne per le problematiche connesse alla menopausa. Oltre alla distruzione del materiale informativo, i cittadini hanno colto con grande gradimento i piccoli laboratori per il lavaggio delle mani, la somministrazione di un questionario per la valutazione della customer satisfaction, piccole consulenze (parametri vitali, misurazione glicemia capillare, etc), la valutazione cutanea per il rischio melanoma, gli screening oncologici e, infine, la possibilità di apertura del fascicolo sanitario elettronico. Comunicazione e informazione sanitaria diventano fondamentali in un percorso prima di prevenzione e poi anche di cura. È questo il messaggio importante, sia per gli addetti ai lavori che per i cittadini.

SHAM E UNI TO INSIEME PER INSEGNARE SICUREZZA

Sham e l’Università di Torino insieme per rendere la gestione del rischio sanitario una competenza di base per i futuri manager della sanità. Via al primo modulo magistrale organizzato dal Dipartimento di Management “che – spiega Enrico Sorano, professore aggregato di Economia aziendale presso il Dipartimento di Management di UniTo – si candida a polo nazionale nella ricerca sul Risk Management”.  Alla lezione inaugurale anche Roberto Ravinale, Direttore esecutivo di Sham in Italia.

 

Torino, 19 Febbraio 2020 – Per la prima volta la gestione del rischio sanitario diventa materia di insegnamento magistrale all’Università di Torino grazie alla partnership con Sham, società del gruppo europeo Relyens, da oltre 90 anni specializzata nella gestione della RC Sanitaria e nel risk management. Partono il 19 febbraio le lezioni di “Governance e gestione del rischio clinico e dei sinistri nelle strutture sanitarie”, modulo del Corso di Laurea Magistrale in Amministrazione e Controllo Aziendale all’interno Dipartimento di Management.

L’insegnamento è finalizzato a fornire le competenze di base per capire, analizzare e gestire rischio e sinistri sia sotto l’ottica gestionale-organizzativa che giuridica, assicurativa e medico-legale. “Grazie all’approccio fortemente multidisciplinare – spiega il professor Enrico Sorano, del Dipartimento di Management – il corso si pone come base di partenza per la formazione dei risk manager di domani, che andranno a operare nelle strutture sanitarie pubbliche e private. Quella del Risk Manager è una figura professionale che ha assunto una importanza pivotale grazie alla Legge Gelli e alla centralità normativa riconosciuta alla sicurezza delle cure.

Con questo modulo l’Università torinese prosegue il percorso di ricerca e formazione sulla gestione del rischio, confermandosi uno tra gli Atenei più attivi e sensibili alla tematica della sicurezza in Sanità[1]. “Per molti anni – prosegue Sorano – sicurezza e gestione del rischio sono stati ambiti di nicchia, molto specialistici. Il nostro obiettivo è quello di superare i confini tra discipline e fare in modo che il Risk Management diventi parte integrante del background di amministratori aziendali, medici e giuristi sin dal periodo di formazione universitaria”.

La Mole Antonelliana di Torino

Il modulo di insegnamento magistrale si inserisce nell’ambito della convenzione triennale tra il Dipartimento di Management dell’Università degli Studi di Torino e la Société Hospitalière d’Assurances Mutuelles – Sham, quale ente finanziatore. Il Direttore esecutivo di Sham in Italia, Roberto Ravinale, che parteciperà alla lezione inaugurale del modulo, spiega: “Sham è una mutua: una realtà che non si limita ad assicurare il rischio negli ospedali associati, ma avvia con ognuno di questi un percorso di miglioramento per aumentare l’efficacia della prevenzione e della sicurezza per persone assistite, operatori e dati sanitari”. La convenzione con l’Università si estende all’attivazione di una borsa di studio sull’analisi preventiva dei rischi e di un tavolo di lavoro tra il Dipartimento stesso e la Mutua che ha come obiettivo la raccolta e diffusione delle buone pratiche sviluppate da singole aziende o strutture sanitarie. “Sicurezza e prevenzione sono i pilastri della sanità di oggi e di domani”, conclude Ravinale. “Per questo dobbiamo continuare ad investire sinergicamente in cultura, formazione e ricerca”.

 

[1] Già nel 2018 a Torino un’intera sessione della Second International Conferenze on Risk Management fu dedicata alla ricerca sul rischio in sanità. La conferenza è stata ideata ed ospitata proprio dal Dipartimento di Management.

 

About Sham

Costituita in Francia nel 1927 da un gruppo di direttori ospedalieri, Sham, società mutualistica specializzata in campo assicurativo e nella gestione dei rischi, è da 90 anni partner consolidato e di lungo termine degli operatori sanitari e medico-sociali. Operatore europeo di riferimento in materia di responsabilità civile, Sham conta circa 11.000 soci tra istituti e professionisti. Presente in Francia (sede legale a Lione), in Spagna, in Italia e in Germania, Sham ha 460 dipendenti e un fatturato, nel 2018, di 392,7 milioni di euro.

www.sham.com

LinkedIn: SHAM ITALIA

Sham è una società del gruppo Relyens, uno dei gruppi mutualistici europei di riferimento nei campi assicurativo e della gestione dei rischi presso gli operatori sanitari e degli enti locali che svolgono attività d’interesse generale. Con circa 1.100 collaboratori, oltre 30.000 clienti e soci e 900.000 assicurati in 4 paesi (Francia, Spagna, Italia e Germania), Relyens ha realizzato una raccolta premi per 847 milioni di euro, pari a un fatturato di 456 milioni di euro. Il gruppo, fortemente radicato presso la clientela attraverso i marchi Sham, Sofaxis e Neeria, sviluppa soluzioni globali personalizzate che combinano offerta assicurativa (ramo vita e ramo danni) e servizi di gestione dei rischi.

www.relyens.eu

Twitter: @Relyens

Linkedin: Relyens

Per informazioni, i giornalisti possono rivolgersi a:

GStrategy – Daniela Berti: +39 335 744 4219 – bertidaniela0@gmail.com

 

 

CRONACA DI UN’EMERGENZA

Le Infezioni correlate all’assistenza restano uno dei temi più impellenti per la Sanità italiana. Un rischio che la diffusione ben oltre la media europea di microbi multiresistenti aggrava ulteriormente. Si tratta di un’emergenza che Sanità 360° ha più volte posto in risalto, promuovendo riflessioni e buone pratiche che delineassero i confini della minaccia e contribuissero a ridurla. In questo numero della nostra Newsletter raccontiamo l’incontro organizzato a Roma da Motore Sanità (LINK) e intitolato, giustappunto, “Lotta alle Infezioni Correlate all’Assistenza”.

Collegato alla prevenzione del rischio nell’erogazione delle cure – in questo caso in chirurgia – è anche l’approfondimento dell’IRCCS Rizzoli di Bologna che ha “arruolato” i pazienti quale parte attiva nel Risk Management, capace di contribuire alla compliance delle procedure di sicurezza (LINK).

La misurazione dell’assistenza infermieristica e del suo impatto (Nursing Sensitive Outcomes) è invece al centro del progetto dell’ASL di Perugia (LINK). Un progetto che ha ricevuto la menzione speciale al Premio Sham 2019 a fianco di quello presentato dal Rizzoli.

Chiude la nostra rassegna una panoramica sintetica sui numeri e le dinamiche di fondo della responsabilità civile in Sanità. L’articolo è a firma di un’autorità in materia: l’Avvocato Ernesto Macrì, che ringrazio ancora una volta per il sempre prezioso contributo agli approfondimenti di Sanità 360°.

 

Vi ringrazio per la consueta attenzione e vi auguro una buona lettura.

Roberto Ravinale

Direttore Esecutivo di SHAM in Italia

UN FOCUS SULLA LOTTA ALLE INFEZIONI CORRELATE ALL’ASSISTENZA

Affrontato in Italia da oltre trent’anni, il tema delle infezioni correlate all’assistenza (ICA) rappresenta ancora oggi uno dei maggiori problemi per la Sanità pubblica con circa 530.000 casi all’anno (ECDC 2018). A partire da questo monito, hanno preso avvio i lavori del convegno “Lotta alle Infezioni Correlate all’Assistenza”, organizzato da Motore Sanità presso la Sala Tevere della Regione Lazio lo scorso 23 gennaio, all’interno del quale sono intervenuti esponenti del mondo politico, istituzionale, scientifico e del management aziendale

 

Le infezioni presenti negli ambienti ospedalieri e nei luoghi di cura annessi (ad esempio, day hospital e ambulatori infusionali) rappresentano ancora una sfida cruciale per tutti, in particolare per alcune tipologie di pazienti fragili e ad alto rischio, come i malati oncologici, quelli oncoematologici e quelli in terapia intensiva. Come segnalato dall’ECDC[1], l’Italia è uno degli Stati membri che maggiormente si distingue per la diffusione di microrganismi multiresistenti, a causa dell’incompleta applicazione di misure efficaci per interromperne la trasmissione e dell’inappropriato uso di antibiotici in ambito sanitario. Sulla base di queste premesse, sono state realizzate due tavole rotonde all’interno del convegno “Lotta alle Infezioni Correlate all’Assistenza”, organizzato da Motore Sanità: la prima ha analizzato l’impatto dell’Antimicrobial Resistance sulla salute pubblica, la seconda quello clinico-economico delle ICA.

 

 

Ad avviare le riflessioni sul primo tema è stato Georges Paizis della Direzione Scientifica di Motore Sanità, sottolineando come “uno dei problemi dei Paesi che si affacciano sul Mediterraneo sia l’uso leggero dell’antibiotico-terapia. Un uso non appropriato che porta ad un aumento delle resistenze. A livello mondiale, sono circa 700mila i morti correlati alle ICA per la resistenza agli antibiotici, 33mila sono invece quelli in Europa. In Italia si attestano ogni anno tra gli 8 e i 10mila, con costi economici molto elevati per la Sanità”. Massimo Andreoni, Direttore UOC Malattie Infettive del Policlinico “Tor Vergata” di Roma ha poi evidenziato come “il contrasto alle malattie da germi multi resistenti sia un intervento globale e che controllarlo sia assolutamente possibile. A giocare un ruolo fondamentale è la microbiologia e le nuove tecnologie con la diagnostica rapida”. Indispensabile, poi, “creare una piattaforma che metta insieme tutti i dati biologici degli ospedali, per conoscere in tempo reale cosa stia avvenendo in un reparto e monitorare quanti antibiotici si stiano utilizzando”. Claudio M. Mastroianni, Direttore UOC Malattie Infettive del Policlinico “Umberto I” di Roma ha presentato alcune strategie di Antimicrobial Stewardship mostrando “un programma che coinvolge tutte le figure interessate e che prevede un confronto costante tra le professionalità in campo. Il fine è ridurre la durata della terapia, quale cambio di mentalità necessario da attuare”. Anna Teresa Palamara, Professore Ordinario di Microbiologia del Dipartimento di Sanità Pubblica e Malattie Infettive dell’Università “La Sapienza” di Roma ha messo in luce “l’importanza della microbiologia e dell’aspetto educativo dei medici”, così come la necessità “di favorire interventi mirati sui pazienti colonizzati”. A concludere i primi lavori è stato Nicola Petrosillo, Direttore del Dipartimento Clinico e di Ricerca delle Malattie Infettive dell’INMI Lazzaro Spallanzani di Roma, che ha sottolineato l’importanza di “adottare un approccio non più settoriale, con l’epidemiologia chiamata a tradurre le migliori pratiche cliniche, interpretando le evidenze scientifiche e definendo quali sono le misure efficaci e non”.

 

 

Ad aprire la seconda tavola rotonda sull’impatto clinico-economico delle ICA è stato Francesco Saverio Mennini, Professore di Economia Sanitaria all’EEHTA CEIS dell’Università di Roma “Tor Vergata”, con un focus sulle infezioni ospedaliere dal 2008 al 2016, mostrando come le ICA siano “aumentate notevolmente negli ospedali e in maniera esponenziale negli anni, a testimonianza di un trend in crescita e molto preoccupante”. Conseguenze cliniche per i pazienti e impatti economici sulla Sanità con una spesa per le ICA pari a “600 milioni di euro per l’incremento delle giornate di degenza dei pazienti”. Fondamentale agire sui costi lavorando a “programmi di prevenzione e intervenendo quando l’infezione si manifesta”. A seguire l’intervento di Maria Corongiu, Presidente della FIMMG di Roma, che ha parlato di “farmaci che hanno costi elevatissimi” e della necessità di “uscire dalla logica del mercato per entrare in una logica di assistenza-sanitaria, perché il territorio è rimasto con pochissimi antibiotici”. Francesco Ripa di Meana, Direttore Generale IFO e Presidente FIASO, ha parlato di “integrazione di tutte le persone coinvolte”, come “elemento che fa la differenza”. “Ci vogliono poi sistemi informatizzati e accesso alle informazioni in maniera tempestiva per risalire all’albero delle ICA”. Tiziana Frittelli, Direttore Generale del Policlinico “Tor Vergata” di Roma ha presentato l’esperienza dell’Università nella creazione di un dipartimento dei processi integrati perché “l’Infection Control non può funzionare senza”. Altri fattori da tenere in considerazione sono “il commitment della Direzione generale, non solo sanitaria; il problema di seguire le linee aziendali e di mappare il processo interno; o, ancora, la necessità di formare il personale dei servizi esternalizzati”. Lorella Lombardozzi, Direttore Farmaceutica Regionale del Lazio ha presentato i dati regionali che mostrano una “riduzione dei chinolonici, come da indicazione dagli obiettivi regionali. Resta costante, invece, il consumo dal 2018 di tutti gli ultimissimi antibiotici”. Un altro tema evidenziato è quello della prescrizione territoriale dei farmaci, la cui “appropriatezza non può essere legata solo al farmaco e all’aderenza al trattamento”. Luigi Tonino Marsella, Professore Associato di Medicina Legale del Policlinico “Tor Vergata” di Roma ha parlato di “ICA prevenibili nel 30% dei casi, ma non evitabili. È in quel 70% che si devono studiare le soluzioni. L’antibiotico-resistenza non viene considerata come concorso di causa in sede giurisdizionale e nell’ordinamento giurisprudenziale c’è anche il danno morale, che è devastante dal punto di vista deontologico per tutti gli operatori sanitari”. Giuseppe Quintavalle, Direttore Generale del Policlinico “Umberto I” di Roma ha sottolineato “il problema delle bufale che determinano che il cittadino vada a dire ‘ho letto, ho visto, voglio’. Una ‘sanità appropriata’ è il messaggio chiave che deve passare nel 2020. Fino ad oggi i DG hanno fatto enormi sacrifici, ma non hanno fatto economia. Economizzare i budget che erano in situazione drammatica è necessario, ma facendo funzionare le cose con responsabilità”. Infine, Elio Rosati, Segretario Regionale di Cittadinanzattiva Lazio, ha parlato di “10.000 decessi in Italia per le ICA, un dato non conosciuto dall’opinione pubblica. Un grande problema anzitutto culturale perché manca la percezione costante”. Le conclusioni di Angelo Del Favero, Docente della Luiss Business School Roma, già Direttore Generale dell’ISS, auspicano una “crescita delle competenze e della capacità di interazione tra mondo accademico e ambito manageriale”. L’ultimo atto del convegno è un invito all’elaborazione congiunta di proposte migliorative del Piano Nazionale di Contrasto dell’Antimicrobico-Resistenza (PNCAR), mettendo insieme per la prima volta, con il coordinamento dei soggetti coinvolti, tutti gli attori del sistema.

 

 

 

[1] https://www.ecdc.europa.eu/en/publications-data/infection-prevention-and-control-care-patients-2019-ncov-healthcare-settings

 

I NUMERI DELLA RESPONSABILITÀ CIVILE SANITARIA IN ITALIA

All’inizio del 2020 il settore continua a manifestare incertezza in attesa dei decreti attuativi

A cura dell’Avvocato Ernesto Macrì[1]

 

Alcune tendenze di fondo emergono dal bollettino statistico IVASS “I rischi da responsabilità civile sanitaria in Italia 2010-2018”[2], pubblicato a ottobre 2019. Tra queste, in specie: la diminuzione delle strutture sanitarie pubbliche assicurate; un aumento delle strutture sanitarie private che decidono di trasferire il rischio alle imprese di assicurazione; la riduzione delle denunce di sinistro ricevute dalle compagnie e, infine, l’aumento del costo di gestione per le singole procedure. Un aumento del costo medio collegato, non di rado, alla lentezza della procedura di liquidazione dei sinistri. Diversi sono gli spunti di riflessione che emergono dai dati raccolti, che delineano un settore che sconta ancora parecchie incertezze, nonostante sia stato una delle principali direttici di marcia della recente Legge Gelli-Bianco. Tuttavia, la mancata approvazione dei decreti attuativi, non permette ad oggi di delineare ancora con estrema precisione i confini del suo sviluppo futuro, rimanendo, perciò, un settore in attesa di definizione.

I dati riportati nel bollettino IVASS fotografano, in qualche modo, questa incertezza. Partendo dai premi raccolti, questi ammontano a 612 milioni di Euro nel 2018, attestando così un leggero incremento rispetto all’anno precedente, e rappresentando così il 14% dell’intero mercato riconducibile alle responsabilità civile in Italia. Il settore delle strutture sanitarie pubbliche, come dicevamo, ha registrato, tra il 2018 e il 2017, una sensibile diminuzione del numero delle strutture sanitarie assicurate: si è passati dalle 751 del 2017 alle 581 del 2018. Un dato che pare confermare la tendenza di fondo a prediligere forme di c.d. autoassicurazione nel settore pubblico. “Continua a crescere – si legge, infatti, nel bollettino – l’utilizzo dell’auto-ritenzione del rischio delle strutture sanitarie pubbliche, con accantonamenti a tale scopo pari a 592 milioni nel 2017, oltre il doppio dei premi pagati per l’assicurazione tradizionale”. La flessione nel settore pubblico viene, in qualche modo, bilanciata dalla raccolta dei premi assicurativi delle strutture sanitarie private e del personale sanitario, che fanno registrare un non trascurabile aumento (rispettivamente +44% e +65%). In leggera crescita anche le assicurazioni per colpa grave pari ad un valore complessivo di 56mila coperture. In questo ambito vale la pena sottolineare che, secondo quanto riportato nella pubblicazione IVASS, “un medico paga mediamente un premio di 1.000 euro, pari a cinque volte e mezzo quello medio del personale sanitario non medico”.

 

Ernesto Macrì, Avvocato del libero foro di Roma

 

Per quanto riguarda il numero delle denunce di sinistro ricevute dalle imprese assicurative nel 2018 – pari a 17.262 – vi è da segnalare una riduzione del 9,7 per cento rispetto al 2017, confermando perciò un trend in diminuzione, iniziato sin dal 2012. Rimane, inoltre, elevata la quota delle denunce senza seguito: circa la metà di quelle pervenute prima del 2017.

Uno dei dati più significativi riguarda, purtroppo, la lentezza dei risarcimenti. Alla fine del 2018 rimanevano da saldare il 25% delle denunce presentate nel 2010 e quasi il 35% di quelle depositate nel 2011. Solo il 6 per cento dei sinistri denunciati viene risarcito nel corso di 24 mesi.

Ciò rappresenta, come affermato da IVASS, “una caratteristica, comune a tutti i rami di responsabilità civile, a cui contribuisce oltre alla complessità degli accantonamenti dei sinistri più gravi, anche la lentezza del contenzioso”. La lentezza dei risarcimenti, tuttavia, alimenta un fenomeno che finisce per incidere negativamente nell’ambito sanitario: il progressivo aumento del costo medio dei sinistri.

Infatti, il costo medio di un sinistro aperto nel 2010 era pari a 37mila Euro. Il valore dello stesso sinistro, aperto nel 2018, è stato pari a 78mila euro.

È a partire da questo dato è possibile anche comprendere perché, in particolare, l’assicurazione delle strutture sanitarie pubbliche registri una redditività tecnica negativa, con un volume degli accantonamenti che è salito del 248% tra il 2010 e il 2017.

In conclusione, dal bollettino IVASS emerge, in maniera evidente, come il segmento assicurativo, nell’ambito della responsabilità sanitaria, continui, tutt’ora, nonostante l’intervento riformatore del legislatore, ad operare in un contesto difficile, pur essendo in presenza, come riconosciuto dalla Legge Gelli, di una materia che riveste anche una spiccata componente sociale, sia per i risarcimenti che per la quantificazione dei rischi. È auspicabile, pertanto, che il quadro normativo, con la promulgazione dei tanto attesi decreti attuativi, contribuisca a stabilire elementi di certezza in un quadro ancora troppo magmatico.

 

 

[1] L’autore ha trattato estesaente dell’argomento qui sintetizzato ne “Rc sanitaria/ Bollettino Ivass 2019, in attesa dei decreti attuativi della legge Gelli-Bianco il barometro assicurativo segna incertezza”, 9 gennaio 2020, Sanità24  – il Sole 24ore (Paywall)

[2] Testo pubblicazione a al seguente link sul sito IVASS

NURSING SENSITIVE OUTCOMES A PERUGIA

Un progetto dell’Azienda Ospedaliera di Perugia​ per valutare la qualità dell’assistenza infermieristica. Menzione Speciale al Premio Sham 2019

 

Valutare la qualità dell’assistenza infermieristica. È questa la mission del progetto dell’Azienda ospedaliera di Perugia sul monitoraggio dei Nursing Sensitive Outcomes, che ha ottenuto una Menzione speciale al Premio Sham 2019. “Il Programma nazionale per la valutazione degli Esiti (PNE) a cui l’Azienda Ospedaliera fa riferimento – ha spiegato la responsabile del progetto Patrizia Ciotti – rappresenta uno strumento di valutazione a supporto di programmi di auditing clinico e organizzativo e ha come scopo il miglioramento dell’efficacia, dell’efficienza e della trasparenza del Sistema sanitario nazionale. Si tratta della realizzazione in ambito ospedaliero di un osservatorio di un set di esiti (lesioni da pressione, cadute e infezioni correlate all’assistenza) al fine di valutare la qualità dell’assistenza infermieristica.  Tale progetto ha analizzato ed elaborato dati raccolti nei mesi di marzo e ottobre del 2017 nei reparti di Medicina Interna Scienze Endocrine e Metaboliche (MISEM), Geriatria e Urologia.  L’analisi dei dati, elemento centrale del progetto, consentirà una riflessione sulla qualità dell’assistenza e la sicurezza delle cure, consolidando la cultura della valutazione dei risultati tra i professionisti della salute. Durante questo periodo sono stati oggetto di indagine 121 ricoveri in MISEM, 157 in Geriatria e 167 in Urologia. L’obiettivo generale del lavoro è stato quello di realizzare in ambito dell’Azienda Ospedaliera di Perugia uno studio di incidenza su un set di outcome per misurare la qualità dell’assistenza infermieristica erogata nelle strutture complesse pilota”.

 

Le responsabili del progetto dell’Azienda ospedaliera di Perugia

 

Ecco quali sono stati gli obiettivi specifici: migliorare l’impatto dell’assistenza infermieristica sulla qualità delle cure; sensibilizzare una rete di professionisti per implementare la qualità delle cure; migliorare l’efficacia, equità, efficienza e la trasparenza del Sistema sanitario nazionale; realizzare un osservatorio di esiti (Lesioni da Pressione, Cadute e Infezioni Correlate all’Assistenza) per monitorare i Nursing Sensitive Outcomes.

I risultati attesi erano: migliorare la qualità dell’assistenza infermieristica erogata dall’Azienda Ospedaliera di Perugia; quantificare l’impatto dell’assistenza infermieristica sugli outcome degli assistiti; aumentare la motivazione dell’utente interno; migliorare la qualità percepita dell’utente esterno.

Nel dettaglio

Nelle Strutture Complesse oggetto di indagine si è riscontrato che l’incidenza media di soggetti con Scala di Braden </= a 9 punti è inferiore al 4,9 %. Nonostante ciò, una buona percentuale di ricoverati nei mesi di indagine ha sviluppato Lesioni da Pressione (LdP), poiché aveva una percezione sensoriale completamente limitata con immobilità e allettamento. C’è stata un’incidenza minore nello sviluppare LdP in Urologia viste le condizioni generali degli assistiti ricoverati. Analizzando l’outcome cadute emerge che in Geriatria circa il 35,7 % dei degenti ha riferito almeno una caduta nell’ultimo anno. Fra i fattori incidenti analizzati troviamo lo stato di coscienza assopito e comatoso e la difficoltà della persona nel deambulare. L’insorgenza di infezioni correlate all’assistenza si è aggirata in numeri percentuale paragonabili alla media nazionale con significativa differenza fra i reparti di interesse in maniera strettamente correlata alla complessità assistenziale. “Le motivazioni – ha aggiunto – che devono indurre gli infermieri a valutare la qualità (VQAI-valutazione della qualità dell’assistenza infermieristica) delle cure previste sono numerose e fondamentali, in quanto tutta l’attività sanitaria deve essere fornita a un livello ottimale e venire sottoposta a verifica e revisione sistematica lungo un percorso che conduca al mantenimento e, ove possibile, al miglioramento e all’implementazione della qualità”.

L’intera indagine sugli Outcomes si è articolata in 4 fasi: fase di progettazione, fase di attuazione e conduzione dello studio, fase di analisi dei dati e reportistica dei risultati e fase di valutazione del progetto. La rilevazione degli outcomes studiati nell’Azienda Ospedaliera di Perugia coinvolge tutti gli assistiti ricoverati, in regime di ricovero ordinario, dal 1° al 31 Marzo 2017 e dal 1° al 31 ottobre 2017 nelle Strutture complesse sedi di sperimentazione. Sono stati formati per ogni Struttura Complessa un coordinatore ed un infermiere referente che ci hanno affiancato nel periodo di raccolta dati.  L’Azienda Ospedaliera di Perugia ha preso in considerazione 3 Strutture Complesse: Medicina Interna e Scienze Endocrine Metaboliche; Geriatria; Urologia. I posti letto coinvolti sono complessivamente così suddivisi: Medicina Interna e Scienze Endocrine Metaboliche 24, Geriatria 24, Urologia 24. Nello studio sono stati arruolati tutti gli assistiti ricoverati (ad esclusione di quelli con età inferiore a 18 anni) in regime di ricovero ordinario (sono esclusi i ricoveri in regime di Day Hospital e Day Surgery) per il primo periodo a partire dalle ore 7 del 1 marzo 2017 al 31 marzo del 2017 e per il secondo periodo dalle ore 7 del 1 ottobre 2017 al 31 ottobre 2017.

Lo studio ha previsto l’intestazione della scheda paziente anche per i ricoveri inferiori alle 24 ore o per assistiti che decedono nelle prime 24 ore di ricovero.  Nel progetto sono stati coinvolti coordinatori infermieristici delle Strutture Complesse scelte; infermiere referente, uno per Struttura Complessa; Infermieri volontari per effettuare la rilevazione; responsabili di Dipartimento (Scienze chirurgiche e Area medica) e Direzione medica. La valutazione del presente progetto si è articolata su più livelli e ha riguardato: l’implementazione del flusso informativo preposto al monitoraggio degli esiti; il livello di compliance raggiunto nella raccolta dei dati (data missing). La realizzazione dello studio è stato oggetto di confronto e discussione nel gruppo di lavoro aziendale in particolare per quanto riguarda il grado di raggiungimento degli obiettivi, l’impatto sulle Strutture Complesse e gli elementi trasferibili ad altri contesti aziendali.

Al termine dello studio i responsabili di progetto aziendale hanno presentato una relazione sull’articolazione dello studio, i risultati raggiunti e le principali difficoltà incontrate.

L’outcome viene monitorato nella totalità delle Strutture Complesse oggetto di indagine (3/3) e, sempre nella totalità dei casi (3/3), il documento di riferimento per la raccolta dati è la procedura Aziendale sulle LdP e la figura professionale che rileva e gestisce il dato è l’infermiere. In tutte le Strutture Complesse viene condotta una valutazione del rischio di sviluppare una LdP attraverso la Scala di Braden (3/3) su tutti gli assistiti e con la seguente frequenza: all’ingresso, alla dimissione, ogni sette giorni e al variare delle condizioni cliniche. A livello internazionale, studi di prevalenza delle Lesioni da Pressione oscillano tra il 3% e il 19,7%. In linea con questi risultati, l’indagine condotta all’interno dell’Azienda Ospedaliera di Perugia presso le Strutture Complesse di Medicina Interna Scienze Endocrine e Metaboliche, Geriatria e Urologia ha fatto rilevare un dato di prevalenza complessiva dell’13,2%.

“Alcuni studi condotti in Italia – ha concluso la dottoressa Ciotti – riportano un’incidenza dallo 0,86% al 5% di cadute in ospedale. Dall’indagine condotta nelle Strutture Complesse selezionate (Medicina Interna Scienze Endocrine e Metaboliche, Geriatria e Urologia), durante i mesi di Marzo e Ottobre 2017, si riscontra un’incidenza di assistiti che riferiscono una caduta nell’ultimo anno intorno al 18,8 % di cadute, risultando però impossibile il confronto rispetto all’incidenza di cadute in ospedale. In Europa, studi più recenti hanno stimato tassi di incidenza inerenti le infezioni correlate all’assistenza che oscillano tra il 6,3% e il 14,8%, mentre in Italia il tasso è risultato di poco inferiore e pari a circa il 5%. Nei mesi di marzo e ottobre nell’Azienda Ospedaliera di Perugia si riscontra un’incidenza poco superiore rispetto alla media Nazionale dell’8 % circa”.

 

RIZZOLI: COINVOLGERE I PAZIENTI NELLA SICUREZZA IN CHIRURGIA 

Il nuovo progetto dell’IRCCS ortopedico bolognese punta sulla centralità del paziente, oggi ampiamente riconosciuta come un aspetto fondamentale dell’assistenza sanitaria, compresa quella in ambito ospedaliero

 

Ogni paziente ha bisogni unici che dovrebbero essere soddisfatti dall’ospedale per migliorare la sicurezza e la qualità delle cure. In questo contesto è maturato il progetto “Promuovere il coinvolgimento dei pazienti e dei familiari per migliorare la sicurezza in chirurgia” sviluppato dall’IRCCS Istituto Ortopedico Rizzoli di Bologna, che ha ottenuto una menzione speciale al Premio Sham 2019.

Il presupposto del progetto, sostenuto da diversi studi apparsi in letteratura, è la forte disponibilità del paziente a partecipare attivamente al percorso terapeutico contribuendo, in particolare, a ridurre il rischio di eventi avversi e a garantire outcome positivi. Inoltre, considerato che alcuni eventi avversi possono verificarsi al letto del paziente e possono essere osservati e potenzialmente prevenuti dai pazienti stessi, si evince che i pazienti rappresentano sia un’importante fonte di informazioni sui potenziali rischi, sia una risorsa per il miglioramento della sicurezza. Come testimoniano i responsabili del progetto, il dottor Patrizio Di Denia (Risk Manager dell’IRCCS) e la dottoressa Maurizia Rolli (Direttore Sanitario), all’Istituto Rizzoli di Bologna, già da diversi anni, è attivo un programma aziendale per la sicurezza dei pazienti che prevede l’utilizzo di metodi e strumenti per la prevenzione degli eventi avversi (es. segnalazione di eventi, near miss ed eventi sentinella; audit di eventi significativi: analisi proattive dei rischi; ecc.). «Il coinvolgimento dei pazienti e dei famigliari – ha spiegato il dottor Di Denia – è un aspetto importante del programma aziendale. Inoltre, un rappresentante dei pazienti del Comitato Consultivo Misto è un componente del Comitato aziendale di Gestione del Rischio».

Gli obiettivi del progetto sono: coinvolgere e rendere attivo il paziente nel percorso chirurgico, dal momento del ricovero fino alla dimissione. Verificare, dal punto di vista del paziente, la corretta applicazione delle buone pratiche per la sicurezza in chirurgia.

Al fine di migliorare la sicurezza delle cure del percorso chirurgico, la buona pratica proposta prevede la presentazione e consegna di una checklist ad ogni paziente sottoposto ad intervento di artroprotesi di anca o di ginocchio, presso la Struttura Complessa Chirurgia protesica e dei reimpianti dello IOR di Bologna. Il progetto è stato realizzato da luglio a settembre 2019 per un totale di 77 checklist consegnate ai pazienti, di cui 48 restituite (62,3%).

Ecco quali sono stati i passaggi operativi.  Costruzione della checklist. Gli item per la costruzione della checklist sono stati scelti tenendo in considerazione i 16 obiettivi per la sicurezza in Sala operatoria. «È stata fatta – hanno aggiunto i responsabili del progetto – la selezione di quelli su cui i pazienti possono intervenire in prima persona: identificazione del paziente (chiedendo al degente di fornire nome, cognome, data e luogo di nascita); gestione del rischio emorragico (indagando insieme al degente, ad esempio, l’assunzione di farmaci anticoaugulanti); prevenzione di reazioni allergiche – eventi avversi da farmaci (indagando, ad esempio, se sono note allergie a farmaci); prevenzione delle infezioni del sito chirurgico (spiegando il ruolo della profilassi antibiotica, l’importanza della corretta gestione della medicazione, ecc…). Questo ha permesso di realizzare una checklist composta da 21 item e suddivisa in 4 sezioni (accettazione in reparto, pre-intervento chirurgico, post-intervento chirurgico e prima della dimissione)».

Le risposte ai 21 item della checklist sono risultate complessivamente positive nel 90% dei casi. Gli item che sono risultati più critici sono stati: conoscenza del nominativo del chirurgo che effettua l’intervento (25% di risposte negative); informazioni su somministrazione di profilassi antibiotica (25% di risposte negative); informazioni su tempistiche di ripresa attività di vita quotidiana/lavoro (16,7% di risposte negative); tricotomia effettuata prima dell’intervento (12,5% di risposte negative).

Sulla base di questi risultati sono stati intrapresi interventi per migliorare la comunicazione degli operatori sanitari con i pazienti e i famigliari. I pazienti hanno accettato favorevolmente questo coinvolgimento nel loro percorso chirurgico ed hanno collaborato in modo attivo all’indagine.

«Questo studio – ha concluso Di Denia – dimostra che il coinvolgimento dei pazienti, insieme ai loro familiari, può contribuire a migliorare la sicurezza del percorso chirurgico, al fine di prevenire gli eventi avversi. Si ritiene di proseguire con l’impiego di questo strumento, estendendo il suo utilizzo in alcuni reparti chirurgici dell’IRCCS IOR, con un monitoraggio degli esiti dopo 1 anno. A seguito delle criticità rilevate sono state intraprese azioni di miglioramento che saranno monitorate a 6 mesi e a 1 anno di distanza».