FOCUS: 4 AMBITI DI CRESCITA DEL RISK MANAGEMENT

Cari lettori e lettrici di Sanità 360°, il secondo numero di gennaio della nostra newsletter ospita quattro articoli dedicati a 4 ambiti della gestione del rischio, applicata rispettivamente al territorio, alla somministrazione dei mezzi di contrasto, alla ricerca sulla residenzialità psichiatrica e alla corretta somministrazione della terapia antibiotica.

Le best case che presentiamo rappresentano solo una minima parte delle buone pratiche che Sanità 360° ha raccolto nel tempo e su tutto il territorio nazionale per condividerle e farle conoscere. Uno dei principi fondamentali dell’approccio mutualistico di Sham, infatti, è la convinzione che maggiore è l’apertura al confronto su un problema comune come il rischio in sanità, maggiore è l’opportunità di sviluppare, diffondere e adattare le numerose soluzioni che rendono le cure più sicure.

In questo numero di Sanità 360° racconteremo anche la mappatura del rischio di cadute, effettuata dall’ASL 2 Abruzzo (LINK): un’opera sistematica che ha quantificato il rischio nel 96 % di tutti i servizi ospedalieri, ambulatoriali e assistenziali. All’identificazione e riduzione del rischio nelle reazioni avverse ai mezzi di contrasto, è stato dedicato il progetto dell’AOU Città della Salute e della Scienza di Torino (LINK). Un progetto presentato anche alla 12° Call for Good Practices di Agenas.

Terzo ambito che tratteremo in quest’edizione è l’orizzonte della gestione del rischio nella residenzialità psichiatrica (LINK). Sull’argomento, che abbiamo già sollevato in passato, esistono pochi dati e poca letteratura – in parte a causa di quell’irriducibile grado di inconoscibilità (e imprevedibilità) che caratterizza la malattia mentale. Il fatto, però, che diversi modelli di gestione del rischio non si adattino in maniera soddisfacente dal contesto psichiatrico non significa che non se ne possa sviluppare uno a partire da una raccolta sistematica dei dati.  È questo, pertanto, l’ambizioso orizzonte del convegno Clinical Risk Management in Psichiatria previsto il 5 giugno prossimo a Roma e del quale diamo anticipazione sulle pagine di Sanità 360° oggi. Infine, raccontiamo qui l’esperienza dell’IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza S.Giovanni Rotondo, menzione speciale al Premio Sham 2019: un progetto che si è caratterizzato per l’individuazione, all’interno di ogni unità operativa, di due medici referenti per la Antimicrobial Stewardship e che ha permesso di conseguire una riduzione del consumo di antibiotici sistemici (carbapenemici) e chinolonici rispettivamente superiore al 5 e al 10 % (LINK).

Lasciandovi alla lettura, vi ringrazio ancora una volta per l’attenzione che riservate ai nostri approfondimenti. L’appuntamento è alla prossima edizione.

 

Roberto Ravinale

Direttore Esecutivo di Sham in Italia

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RISCHIO CADUTE: MAPPATA L’INTERA ASL LANCIANO VASTO CHIETI

68 requisiti monitorati e informatizzati in una checklist. Una fotografia accurata sui principali fattori di rischio che permette di capire come e dove investire per migliorare.

 

L’Asl 2 Abruzzo, che copre il territorio di Lanciano, Vasto e Chieti, ha effettuato nel 2019 una mappatura integrale di reparti e servizi per quantificare il rischio caduta in ognuno di essi. Sono stati mappati 159 unità operative, ambulatori, RSA e altre strutture territoriali su un totale di 165: il 96 per cento del totale.

“Le caratteristiche degli ambienti delle strutture sanitarie e dei presidi impiegati per prestare assistenza ai pazienti – spiega Maria Bernadette Di Sciascio, responsabile UOC Qualità, Accreditamento e Risk Management – possono influire significativamente sul rischio di caduta dei pazienti. L’obiettivo di questo lavoro concerne la gestione dell’azienda sanitaria: fornire, cioè, alle Direzioni e ai responsabili degli acquisiti e delle manutenzioni un documento che quantifichi il rischio nelle diverse realtà, aiutandoli a scegliere quali interventi effettuare e quale priorità assegnare loro”.

UOC Qualità, Accreditamento e Risk Management, Asl 2 Abruzzo

UOC Qualità, accreditamento e rischio clinico, Asl 2 Abruzzo “Uno degli elementi essenziali del rischio caduta è la diversità degli elementi strutturali o dei presidi medici coinvolti: pavimenti, gradini, letti regolabili, carrozzine e così via– spiega Valentina Manso, Ingegnere biomedico e membro del team del Risk Management -. Ogni ambiente preso in esame presentava una combinazione diversa di punti di forza e debolezze. La mappatura di ogni singolo reparto o servizio è servita a comprendere le reali esigenze in loco, stabilendo un livello quantitativo di rischio e una priorità degli interventi”.

“Ad ogni responsabile è stata, perciò, inviata una checklist organizzata in diverse sezioni e caratterizzata da 68 requisiti. Ad ogni requisito, sulla base di una corposa letteratura, è stato assegnato un indice di rischio da 1 a 5. Tutte le checklist sono state, poi, re-inviate al nostro ufficio e informatizzate per restituire un quadro oggettivo dell’intera situazione. Un quadro sul quale basare gli interventi di miglioramento”.

“Il grande fattore di forza della mappatura – conclude Di Sciascio – sarà, infatti, valutare correttamente il valore e l’urgenza delle richieste di acquisti o di interventi strutturali che provengono dall’intero territorio della ASL: grazie alla checklist, sia la Direzione che gli uffici preposti avranno, d’ora in avanti, uno strumento per contestualizzare gli interventi e decidere quali sono più urgenti e più efficaci per ridurre il rischio cadute”.

Il progetto prevede di rinnovare la mappatura con cadenza periodica ogni due anni. Nel 2019 è stato candidato alla quarta edizione del Premio Sham per la prevenzione dei rischi.

 

 

 

 

UN USO RESPONSABILE E APPROPRIATO DEGLI ANTIBIOTICI 

La mission del progetto realizzato nell’IRCCS “Casa Sollievo della Sofferenza” di San Giovanni Rotondo e che ha ottenuto una menzione speciale  al Premio Sham.

 

Promuovere un uso responsabile degli antibiotici. È questa la mission del progetto realizzato nell’IRCCS “Casa Sollievo della Sofferenza” di San Giovanni Rotondo e che ha ottenuto una menzione speciale al Premio Sham. Il progetto di  “Implementazione di un Programma di Antimicrobial Stewardship”(uso appropriato e responsabile degli antibiotici), consiste appunto nell’implementazione di un Programma aziendale di politica antibiotica (Antimicrobial Stewardship) con duplice finalità: 1) aderire a quanto indicato dal Piano Nazionale di Contrasto all’Antibioticoresistenza (PNCAR 2017-2020), che fissa, in ambito ospedaliero, l’obiettivo di ridurre il consumo degli antibiotici sistemici e chinolonici nella misura rispettivamente del 5% e 10% nel 2020 rispetto al 2016; 2) contrastare il fenomeno locale dell’antibiotico-resistenza e della selezione di germi multiresistenti, attraverso un progetto aziendale di formazione-infomazione specifico.

Il progetto è iniziato a gennaio 2018 con la costituzione del Gruppo di lavoro per l’uso appropriato degli antibiotici, formato da una équipe specifica: medico di Direzione Sanitaria (coordinatore), medico legale, farmacista, microbiologo clinico, infettivologo, infermiere specialista rischio infettivo, medico intensivista, ematologo, chirurgo, internista. “Il gruppo di lavoro – ha spiegato il referente del progetto il dottore Luigi Pacilli – ha effettuato quattro incontri, all’inizio (per l’individuazione e condivisione delle azioni da intraprendere) durante  (per il monitoraggio dello stato di avanzamento del progetto ed eventuale integrazioni/modifiche) e al termine della prima fase del Programma (per la verifica dei risultati attesi/raggiunti). Sono stati individuati due medici referenti di progetto per ciascuna Unità Operativa su indicazione dei rispettivi direttori per un totale di 54 medici. La partecipazione al progetto è stata su base volontaria e per l’interesse specifico alla materia; è stata prevista anche la partecipazione dei direttori di UO che sono stati 32, con un coinvolgimento complessivo di 86 medici”.

Gruppo di lavoro dell’IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza

Il programma comprende 14 incontri specifici (che si sono svolti tra maggio 2018 e febbraio 2019, per circa 50 ore di formazione) con i referenti del progetto e i rispettivi direttori delle Unità Operative. Gli incontri sono stati svolti da un infettivologo esperto esterno ed erano finalizzati all’individuazione e utilizzazione della metodologia corretta alla scelta e all’uso delle varie classi di antibiotici nelle principali patologie infettive anche sulla base dei dati epidemiologici locali forniti dalla Microbiologia clinica, oltre alla corretta interpretazione dell’antibiogramma e dell’uso del marcatore biologico PCT nella diagnosi, monitoraggio e prognosi dei processi infettivi. La partecipazione media dei medici coinvolti agli incontri è stata del 90%. Il dottor Pacilli ha spiegato anche il contesto nel quale è maturato il progetto: “Le infezioni correlate all’assistenza (ICA) rappresentano in tutto il mondo un problema preminente di salute pubblica per la loro frequenza e gravità tanto che questa viene talora definita un’epidemia ‘silente’. Le ICA hanno infatti un impatto rilevante sulle persone e sui sistemi sanitari in termini di morbosità, mortalità e costi attribuibili. Un aspetto a esse strettamente correlato è rappresentato dalla antibiotico-resistenza, fenomeno in continuo aumento, che ha assunto negli ultimi anni un’enorme rilevanza e rappresenta attualmente una priorità di sanità pubblica e una vera e propria emergenza globale.

In particolare l’Italia risulta, in ambito europeo, uno dei Paesi con il più elevato consumo di antibiotici e con preoccupanti livelli di resistenza, soprattutto per alcuni microrganismi a diffusione ospedaliera e territoriale. A livello mondiale, le ICA costituiscono la complicanza più frequente e grave nella cura di pazienti ospedalizzati. Secondo i dati dell’Istituto Superiore di Sanità ogni anno, in Italia, si verificano 450-700 mila infezioni in pazienti ricoverati in ospedale: si tratta soprattutto di infezioni urinarie (35-40% del totale), della ferita chirurgica, polmoniti e sepsi. Di queste, si stima che circa il 30% siano potenzialmente prevenibili (135-210 mila) e che siano direttamente causa del decesso nell’1% dei casi (1.350-2.100 decessi prevenibili in un anno)”. Al termine della prima fase di attuazione del programma, dagli incontri effettuati e con la partecipazione attiva dei medici coinvolti è scaturito un “Documento di consenso sulla terapia antibiotica empirica nelle principali patologie infettive nell’adulto”.

La seconda fase del programma (in fase avanzata di realizzazione) affronta il tema dell’uso appropriato degli antibiotici nella profilassi chirurgica, secondo quanto indicato dalle Linee guida nazionali dell’ISS e dai dati epidemiologici locali dei microrganismi individuati dalla Microbiologia clinica. Il programma prevede, infine, che una volta formati i referenti/esperti in antibiotico-terapia delle Unità Operative, questi ultimi a loro volta si trasformino in formatori dei colleghi di reparto (secondo un criterio di formazione a cascata) e/o rappresentino comunque un importante punto di riferimento per i colleghi delle Unità Operative. “È presente  comunque – ha detto il dottor Pacilli – una puntuale e costante attività di consulenza infettivologica  fornita dagli infettivologi  interni per  casi particolari, descalation della terapia, ecc. Allo stato attuale la seconda fase del programma (che  affronta il tema dell’uso appropriato e consapevole degli antibiotici nella profilassi chirurgica) è stata completata con la elaborazione del ‘Documento di consenso sulla Antibiotico Profilassi  Perioperatoria nell’adulto’ in condivisione con tutte le Unità Operative chirurgiche e anestesiologiche. A breve verrà avviata la fase di monitoraggio finalizzata a rilevare il grado di adesione al documento appena elaborato e i cambiamenti indotti da questo rispetto alle pratiche fin ora adottate. Parallelamente, è programmato un evento formativo periodico mensile in tema di stewardship antibiotica, prevenzione e controllo delle infezioni e diagnostica. L’evento formativo è diretto a tutto il personale sanitario (medico e non medico) finalizzato a incrementare il grado di sensibilizzazione generale nei confronti della lotta alle infezioni, all’antibiotico-resistenza, ad un uso responsabile e consapevole della risorsa antibiotici e alla diagnosi precoce della sepsi”.

IL CLINICAL RM IN AMBITO PSICHIATRICO

Due anni di serrata attività preventiva e di raccolta di incident reporting mostrano come si riducano gli eventi avversi e aumentano le segnalazioni ‘near miss’ nella più importante struttura di riabilitazione psichiatrica nel Centro Sud: Colle Cesarano con la sua media di 160 ospiti giornalieri.  Il 5 giugno 2020 il Convegno che riunirà grandi esperti di quest’ambito circoscritto e, in parte, inesplorato, della gestione del rischio.

 

Il 5 giugno 2020 la struttura riabilitava psichiatrica di Colle Cesarano nei pressi di Roma ospiterà il Convegno “Clinical Risk Management in Psichiatria”. 

Nell’ambito della residenzialità psichiatrica Colle Cesarano è la realtà più grande del Centro – Sud Italia con 200 posti letto, 170 operatori e 700 ricoveri all’anno, “Scopo dell’iniziativa, che raccoglie alcuni dei maggior esperti in questo ambito circoscritto della gestione del rischio è offrire un modello che molte altre strutture di media grandezza potranno seguire” spiega il Risk Manager Guido Lanzara.

Per due anni l’équipe di lavoro coordinata da Lanzara ha proseguito una “campagna interna” di formazione e coinvolgimento con lo scopo di diffondere capillarmente, tra tutti gli operatori sanitari, la cultura dell’incident reporting. “Chiunque si occupi di rischio in ambito psichiatrico è cosciente del fatto che la letteratura è carente, soprattutto dal punto di vista delle misurazioni. Sa, inoltre, che la malattia psichiatrica mantiene sempre una componente di inconoscibilità e incertezza, caratteristiche che si trasferiscono sui modelli di gestione del rischio incrinandone l’efficacia. Ci sono diverse particolarità[1] nell’assistenza e riabilitazione in questo campo che non permettono di applicare modelli rigidi. Per questo l’osservazione empirica e la misurazione sul campo sono ancora più importanti. Colle Cesarano ha le dimensioni e la varietà che ne fanno un ottimo caso studio dall’esperienza del quale molte strutture analoghe possono trarre indicazioni affidabili”.

“La novità dell’approccio è che possiamo dimostrare l’efficacia – nell’ottica di prevenzione, tracciabilità e predittività del rischio – del forte lavoro di squadra a tutti i livelli della struttura: sono diminuiti gli eventi avversi e gli eventi sentinella mentre è aumenta considerevolmente la capacità di identificare e segnalare i near miss”.

Se, però, la pubblicazione di questi dati rappresenta la scintilla del Convegno, non ne sarà l’unico contenuto. 

“Al contrario – conclude Lanzara – ospiteremo un confronto ampio con alcuni tra i maggiori esperti del rischio in sanità e in psichiatria in particolare per affrontare le diverse sfaccettature di un tema che riunisce e porta a confrontarsi spesso medici, legislatori, magistrati e amministratori pubblici”.

Qui il programma della giornata.

 

[1] Vedi IL RISCHIO NELLA RESIDENZIALITÀ PSICHIATRICA – Sanità360° – Febbraio 2019 (LINK)

REAZIONI AVVERSE AL MEZZO DI CONTRASTO

Un progetto dell’AOU Città della Salute e della Scienza di Torino per identificare le reazioni avverse acute all’iniezione di un mezzo di contrasto, allo scopo di predisporre le misure per ridurre il rischio di queste reazioni e fornire le prime indicazioni riguardo al loro trattamento. Coinvolti 9.200 dipendenti.

 

“In primo luogo – spiega la dottoressa Ida Raciti – il progetto è nato per offrire ai professionisti e agli operatori sanitari linee guida utili ad identificare i pazienti a rischio di reazioni acute da ipersensibilità ai mezzi di contrasto iodati e al gadolinio, per i quali risulta necessario adottare la premedicazione. In secondo luogo, è stato realizzato allo scopo di predisporre le misure per ridurre il rischio di queste reazioni e fornire le prime indicazioni riguardo al loro trattamento immediato. Le reazioni avverse acute all’iniezione di MdC possono essere reazioni ‘fisiologiche’ o da ‘ipersensibilità’. Le reazioni fisiologiche rappresentano una categoria eterogenea di eventi avversi, di solito non gravi, che regrediscono spontaneamente. Le reazioni da ipersensibilità immediata, invece, si verificano entro la prima ora – spesso nei primi minuti – dalla somministrazione del MdC e hanno una presentazione clinica analoga alle reazioni allergiche”.

Come si manifestano le reazioni avverse acute al mezzo di contrasto iodato (MdC) o a base di gadolinio? Quale è il meccanismo delle reazioni da ipersensibilità immediata al MdC e che frequenza hanno? Partendo da questi interrogativi-guida, si è sviluppato il progetto “Prevenzione e trattamento delle reazioni acute da ipersensibilità ai mezzi di contrasto iodati e a base di gadolinio”, realizzato con il supporto della SC Qualità, Risk Management e Accreditamento dell’AOU Città della Salute e della Scienza di Torino. Referenti del progetto, i Risk Manager Ida Raciti e Giulio Fornero.

Ida Raciti, Risk Manager dell’AOU Città della Salute e della Scienza di Torino

Un progetto che ha preso avvio nel 2015 con la costituzione di un gruppo di lavoro multi-professionale e multidisciplinare su mandato della Direzione Sanitaria, al fine di uniformare i livelli di medicazione prima dell’effettuazione di un esame radiologico con mezzi di contrasto: “Presso la nostra azienda – spiega la Dirigente Medico – erano presenti diversi protocolli di premedicazione. Nella nostra AOU, infatti, sono confluite tre diverse aziende[1] con comportamenti non omogenei nei vari presidi e con un utilizzo della premedicazione che poteva risultare non appropriato e con possibili effetti collaterali. Nel 2015, è stato istituito un gruppo di lavoro composto da radiologi, allergologi, anestesisti, cardiologi, personale medico del pronto soccorso, epidemiologi, internisti, farmacisti, medici legali, medici della Direzione sanitaria, Risk Manager e dal Gruppo Evidence Based Medicine (EBM). Quella delle reazioni acute al MdC, in particolare, è stata una necessità del Dipartimento di Diagnostica per Immagini e Radioterapia”.

Dalla ricerca e dalla valutazione di studi significativi sono nate le Linee Guida: “Partendo dalla letteratura scientifica – prosegue la Risk Manager – sono state formulate delle raccomandazioni tradotte in un documento aziendale condiviso. Nel 2019, il documento è stato revisionato e aggiornato nelle Linee Guida, approvate dalla Direzione Sanitaria e diffuse a tutte le Strutture interessate. Sono in corso audit specifici per la valutazione della diffusione e dell’applicazione delle stesse”. Le Linee Guida, inoltre, sono state pubblicate sul portale aziendale[2] e presso i presidi coinvolti sono stati affissi poster illustrativi, aggiornati anche per i pazienti pediatrici.

Uno dei poster illustrativi affissi nei presidi ospedalieri

“Uno dei risultati principali – conclude la dottoressa Raciti – è stato l’ampio confronto tra i numerosi professionisti dell’azienda, che conta circa 9.200 dipendenti e 2.200 posti letto. Il secondo risultato si è avuto nell’assenza di segnalazioni di eventi avversi”. Il progetto è stato inserito tra le buone pratiche piemontesi presentate alla 12° Call for Good Practices di Agenas ed è stato illustrato alla 1a “Giornata Regionale delle Buone pratiche per la sicurezza delle cure”, organizzata dal Centro per la gestione del rischio sanitario e la sicurezza del paziente della Regione Piemonte. Nel 2020, proseguirà con l’aggiornamento continuo delle linee guida, per diffondere un’attenzione costante e allineata in tutti i presidi, nonché con la valutazione a campione di eventuali comportamenti difformi.

 

[1] Le tre aziende sono: l’AOU San Giovanni Battista, l’Ospedale Sant’Anna e il Presidio CTO.

[2] http://www.cittadellasalute.to.it/

 

UN INIZIO 2020 ALL’INSEGNA DELLA SICUREZZA

Sorveglianza del feto durante il travaglio, controllo della terapia antibiotica, informatizzazione nel percorso del farmaco: Sanità 360° inizia il 2020 toccando temi importanti per la sicurezza in sanità. Lo fa, come da consuetudine, lasciando la parola ai professionisti che ogni giorno si impegnano per rendere le cure più sicure. Gli stessi che hanno partecipato ai 120 progetti di miglioramento del Premio Sham e che rappresentano la comunità di riferimento di questa newsletter. A loro è anche dedicato il quarto articolo di questa edizione: la seconda puntata dell’approfondimento sul diritto civile e la responsabilità sanitaria in Francia curato dall’Avvocato Ernesto Macrì.

La lunga esperienza di Sham – più di 90 anni di storia – ha dimostrato che il confronto, il continuo aggiornamento e la condivisione delle buone pratiche permettono di comprendere e ridurre il rischio anche in un settore in continua evoluzione come la sanità.

Le infezioni correlate all’assistenza, il ruolo dei dati come predittori del rischio e la centralità della cyber security saranno, per esempio, alcuni del temi toccati dal “Workshop on Risk Management: concrete case studies and future trends” organizzato da Sham a Bruxelles il prossimo 22 gennaio in partnership con l’European Union of Private Hospitals (UEHP).

Il workshop si focalizzerà sull’ascolto e sulla condivisione delle esperienze concrete e delle idee di stimati professionisti della sicurezza, provenienti da tutta Europa: un’occasione in più per Sham di rimanere fedele ai suoi principi di mutualità, contribuendo alla crescita della cultura della prevenzione e del confronto sulla gestione del rischio.

Lasciandovi alla lettura, vi auguro un 2020 ricco di soddisfazioni e di rinnovato impegno.

Roberto Ravinale

Direttore Esecutivo di Sham in Italia

MIGLIORARE LA SORVEGLIANZA DEL FETO DURANTE IL TRAVAGLIO

Interpretare la cardiotocografia collegandola ad altri parametri clinici. Dall’ospedale Cristo Re a Roma un nuovo protocollo che prevede un algoritmo e uno score per monitorare la salute del feto nel travaglio di parto e orientare la conduzione clinica

 

“A partire dagli anni ‘70 non c’è sala parto nella quale non venga eseguito alla gestante in travaglio un monitoraggio cardiotocografico anche se la sua efficacia come strumento per valutare la condizione del feto è lungi dall’essere perfetta. La cardiotocografia – spiega Carlo Piscicelli, Responsabile dell’Unità Operativa Complessa di Ostetricia e Ginecologia all’ospedale Cristo Re a Roma – si propone di misurare il rischio di una ipossia (poco ossigeno nel sangue) che, se intensa e/o prolungata, può provocare, nel feto o nel neonato danni importanti ed irreversibili, fino alla encefalopatia ipossica neonatale o la morte in periodo perinatale. Attualmente non esiste un reparto di maternità al mondo che possa dire di aver scongiurato il rischio di questi esiti. In realtà e in una certa misura, periodi di riduzione di ossigeno si verificano frequentemente durante il travaglio ma raramente determinano dei danni. Il problema è che non tutti i feti reagiscono allo stesso modo e non c’è modo di capire con certezza quale feto reagirà meglio o peggio. Quanto ai segnali cardiotocografici, questi non sono precisi e generano molti falsi positivi. Vi è un’alta variabilità interpretativa e spesso non si tiene conto del contesto clinico (crescita del feto, presenza di determinate patologie, la fase del travaglio, ecc.). Infine, ad aggravare le cose c’è il fatto che la cardiotocografia in travaglio gioca un ruolo centrale nei contenziosi medico-legali. Spesso la prova di malpractice si basa proprio sul tracciato cardiotocografico e sul conseguente ritardato ricorso al taglio cesareo. La conseguenza di tutto ciò è che la cardiotocografia è spesso all’origine di molti interventi ostetrici, in particolare cesarei, che ad una analisi più riflessiva non sempre risultano necessari”.

Nonostante questi limiti, però, combinando diversi parametri, sia clinici che cardiotocografici, si può migliorare l’analisi delle condizioni del feto. Questa è la strada scelta dall’Ospedale Cristo Re nella quale si cala il progetto di sorveglianza durante il travaglio: Score CTG un algoritmo per interpretare la cardiotocografia in travaglio di parto e uniformare la condotta clinica[1].

In sintesi: viene attribuito un valore numerico (o peso) alle diverse variabili cardiotocografiche, sulla base di quanto raccomandato dalla letteratura più autorevole, integrate a quegli elementi clinici che possono influire sull’esito delle condizioni fetali. In ciò si differenzia da quanto precedentemente proposto da altri autori. Lo Score, così prodotto, modula il rischio fetale sulla base del quale si stabiliscono azioni e procedure codificate.

“È una procedura che presenta, oltre alla maggior precisione del monitoraggio, altri risultati importanti. Obbligando tutti gli operatori (medici e ostetriche) a valutare analiticamente il tracciato cardiotocografico, amplifica il livello di attenzione. Uniforma i parametri di lettura e di interpretazione, consentendo in tal modo una valutazione oggettiva e condivisa. Infine, l’inserimento di una rappresentazione dinamica e ragionata delle strategie seguite, migliora la documentazione della cartella clinica. Tutto ciò aiuta gli operatori nei casi di contenziosi medico legali, poiché in tal modo è possibile dimostrare di aver operato all’interno di regole condivise”.

L’Unità Operativa Complessa di Ostetricia e Ginecologia dell’Ospedale Cristo Re di Roma

“Il progetto – spiega la vicedirettrice e Risk Manager dell’ospedale Angela Maria Mastromatteo – si cala in una lunga tradizione di sicurezza e impegno nella gestione del rischio. Da oltre vent’anni questa unità operativa ha iniziato un percorso di miglioramento basato sull’applicazione dell’evidence based medicine. Oggi la maternità dell’Ospedale Classificato Cristo Re di Roma assiste circa 2000 parti all’anno con un tasso di tagli cesarei tra i più bassi nel Lazio e una proporzione di parti vaginali in donne con pregresso cesareo che supera il 20%, ponendola ai livelli più alti in Italia per questa modalità di parto”.

“Ognuno di questi traguardi – riprende Piscicelli – rappresenta la conseguenza di una serie di scelte, quali l’attenzione alla sicurezza, la elaborazione di procedure condivise e aggiornate sulla base dei dati della letteratura e, non ultimo, di uno sforzo di coinvolgere la gestante informandola sui benefici e rischi dei vari percorsi clinici. Anche se in sala parto, come è ovvio, si cerca di rassicurare, in generale bisognerebbe avere il coraggio e l’onesta intellettuale di riconoscere che i medici non possono controllare tutto. Per quanti sforzi e attenzioni si prodighino, esiste una percentuale di rischio incomprimibile che porta ad avere dei seri problemi in almeno uno/due parti su mille. Ciononostante, siamo convinti che continuando ad investire sulla qualità dell’assistenza possiamo tali rischi possono essere ridotti al minimo”.

 


 

IL METODO

L’algoritmo prevede il calcolo di uno SCORE, che viene elaborato attribuendo un valore numerico (o peso) alle diverse variabili cardiotocografiche, sulla base di quanto raccomandato dal National Institute of Child Health and Human Development (NCHD). Queste variabili vengono integrate a quegli elementi clinici che possono influire sull’esito delle condizioni fetali quali: la ripetitività degIi eventi decelerativi; condizioni cliniche che indichino una condizione di maggior rischio; il tempo che intercorre dal momento del verificarsi di un evento cardiotocografico e la nascita del feto. Vengono considerate 4 classiche variabili cardiotocografiche (Linea di Base, variabilità, accelerazioni, decelerazioni), suddivise in sottocategorie a seconda del loro significato peggiorativo. Una quinta variabile è costituita dalla ripetitività degli eventi decelerativi (numero decelerazioni).  In associazione sono state considerate 3 variabili cliniche: la presenza di fattori di rischio (IUGR, oligoamnios, pretermine); le caratteristiche del liquido amniotico ed il presumibile tempo di attesa al parto. A ognuna di queste variabili è stato attribuito un punteggio che può andare da -1 a 3. II punteggio così ottenuto consente di etichettare il rischio fetale in sette categorie che vanno dalla condizione di rassicurante a quella di rischio molto elevato, rappresentate con una gradualità di colore in funzione della loro gravità. Come ultimo step viene suggerita la conduzione clinica associata allo stato fetale. La procedura nel suo insieme è costituita da un foglio A4.

 

IL CRISTO RE a Roma è un ospedale classificato, quindi completamente inserito nella rete del Servizio Sanitario Nazionale pur mantenendo proprietà privata. Fondato e gestito da un Ordine religioso, è stato acquisito dalla società GIOMI nel 2014. Attualmente il Pronto Soccorso registra 27.000 accessi di pronto soccorso all’anno. Tra i reparti si conta: Terapia Intensiva con 12 posti letto, Ostetricia e Ginecologia con 50 posti accreditati, Urologia, Otorinolaringoiatria, Chirurgia, Medicina generale, Ortopedia, e vari ambulatori specialistici compreso il servizio di Riabilitazione.

 

[1] Menzione Speciale al Premio Sham 2019_ per scaricare tutti i progetti_link

L’INFORMATIZZAZIONE DELLA SOMMINISTRAZIONE DEI FARMACI

Le misure del sistema di prescrizione e somministrazione del farmaco previste dalla ASL di Alessandria conducono ad una maggiore sicurezza dei processi e ad una più completa tracciabilità del farmaco, coinvolgendo ben cinque presidi ospedalieri

 

“Informatizzazione della prescrizione e somministrazione dei farmaci: indicatori di sicurezza, di performance e di appropriatezza per i reparti” è la buona pratica realizzata nell’ASL di Alessandria e presentata da Marialuisa D’Orsi, Farmacista referente di progetto. Un nuovo sistema che ad oggi conta 612 medici, 1500 infermieri e 20 farmacisti utilizzatori, che ha previsto un importante lavoro di formazione e condivisione degli obiettivi con gli operatori ed è assistito attraverso una reperibilità h24. Il Progetto ha vinto il “Premio Qualità” Joint Commission, il concorso con giuria internazionale avente l’obiettivo di contribuire alla diffusione di una cultura del miglioramento continuo della qualità in ambito sanitario.

Il cambiamento organizzativo ha previsto la realizzazione di una piattaforma tecnologica avanzata per la gestione informatizzata del farmaco in ospedale, includendo la prescrizione, la dispensazione e la somministrazione. L’utilizzo è stato esteso e consolidato in tutti i 29 reparti di degenza operativi dal 2014. “Nella ASL di Alessandria – spiega Marialuisa D’Orsi – da diversi anni, sia il processo clinico di prescrizione e somministrazione durante i ricoveri, sia il percorso del farmaco all’interno degli ospedali sono tracciati tramite strumenti informatici avanzati. La prescrizione, in regime di ricovero ospedaliero, è registrata integralmente su supporto informatico e non più su carta, così come la somministrazione”. Il 95% degli accessi alle tavole di terapia per la somministrazione del farmaco avviene mediante la lettura dei codici a barre posti sui braccialetti identificativi dei pazienti. “La procedura – prosegue la dottoressa D’Orsi – è ad alta sicurezza proprio perché prevede la lettura del codice del farmaco. La verifica di ogni singolo dosaggio è garantita dall’applicativo che controlla la corrispondenza tra farmaco prescritto, farmaco somministrato e paziente. In questo modo, la prescrizione diventa una reale espressione del fabbisogno delle dosi di farmaco e un vero e proprio «motore logistico» affinché la maggior parte dei farmaci siano distribuiti ai reparti in base alle terapie prescritte, senza che gli infermieri debbano fare richiesta di approvvigionamento”.

L’intervento porta così ad una migliore identificazione della terapia farmacologica e ad una conseguente appropriatezza nella prescrizione e somministrazione, garantendo la tracciabilità. “I risultati ottenuti – commenta D’Orsi – dimostrano un trend positivo che incoraggia la prosecuzione del percorso. Nel 2019, per i reparti di area chirurgica, abbiamo anche rilevato una riduzione del rapporto percentuale dei consumi dei fluorochinolonici rispetto agli altri antibiotici”. Presso i reparti a maggior consumo è presente anche una tecnologia di automazione: “Il robot di reparto – spiega la dottoressa – che allestisce la terapia dei singoli pazienti per ogni fascia oraria e/o giro di somministrazione”.

Se i primi anni sono serviti a portare a regime il sistema, oggi il percorso si avvale di un piano di monitoraggio pluriennale degli indicatori di performance, mirato alla riduzione del rischio e al sostegno dei percorsi di miglioramento: “Tutti gli strumenti previsti – conclude D’Orsi – generano i risultati attesi qualora l’applicazione del sistema venga opportunamente sorvegliata. Le nuove procedure, anche successivamente al periodo iniziale di assimilazione, devono essere presidiate per far sì che i benefici siano duraturi. Per questo, si è instaurato un percorso continuo di definizione e revisione degli indicatori di processo, che sono computati e condivisi con gli operatori sanitari in ottica di miglioramento. Gli interventi di sorveglianza e correzione hanno conseguito negli anni buoni obiettivi e per questo possiamo parlare di una sorta di «buona pratica nella buona pratica». La buona pratica oggi consiste nel monitorare un sistema che è già innovativo, verificando che tutto il personale coinvolto utilizzi correttamente la procedura. Non è immaginabile, infatti, introdurre un sistema se poi questo viene eluso e non verificato”.

Il progetto è stato inserito tra le buone pratiche piemontesi presentate alla 12° Call for Good Practices di Agenas ed è stato illustrato alla 1a “Giornata Regionale delle Buone pratiche per la sicurezza delle cure”, organizzata dal Centro per la gestione del rischio sanitario e la sicurezza del paziente della Regione Piemonte.

 

L’APPROPRIATEZZA DELLA TERAPIA ANTIBIOTICA

All’Ospedale Mauriziano Umberto I di Torino, oltre 100 medici e operatori sanitari coinvolti per “cercare di promuovere un uso appropriato della terapia antibiotica, facendo fronte all’aumento dell’antibiotico-resistenza e riducendo il consumo dei medicinali”. Miglioramento dell’appropriatezza prescrittiva e diminuzione della durata media della terapia sono i risultati spiegati da Francesco Vitale, Dirigente Medico della SC di Medicina Interna

 

Il progetto “L’impatto dell’Antimicrobial Stewardship sul governo clinico della terapia antibiotica”, avviato dai Dirigenti Medici della Struttura Complessa di Medicina Interna, i dottori Francesco Vitale e Antonio Briozzo, all’interno dell’Ospedale Mauriziano Umberto I di Torino, è stato realizzato al fine di cercare di ridurre la prevalenza dei germi resistenti agli antibiotici.

“Già da qualche anno – spiega Francesco Vitale – è emerso come la resistenza batterica sia uno dei problemi più rilevanti nella pratica assistenziale ospedaliera. Su spinta del Piano Nazionale di contrasto dell’antibiotico-resistenza (PNCAR) del Ministero della Salute, il Mauriziano ha scelto di investire risorse in questo ambito, per far fronte all’aumento dell’antibiotico-resistenza e alla diffusione di microrganismi multi resistenti. Si è quindi cercato di promuovere un uso più appropriato della terapia, in modo da ridurre le spese e i consumi di antibiotici”.

Ospedale Mauriziano Umberto I di Torino

Un percorso multidisciplinare che ha coinvolto diversi reparti e messo in campo differenti professionalità: “Oltre agli infettivologi – racconta Vitale – hanno partecipato farmacisti di reparto, microbiologi, medici della direzione sanitaria. In una prima fase, sono stati individuati i reparti a maggiore impatto prescrittivo, quali Terapia intensiva generale, Terapia intensiva cardiovascolare e Chirurgia generale. Poi abbiamo esteso l’attività ai reparti di Ematologia, Medicina Interna e Cardiochirurgia. All’interno del progetto, il ruolo dei farmacisti è centrale, perché ogni reparto ha una persona indicata a segnalare e seguire la terapia antibiotica dei pazienti”.

Tra le attività principali, l’aggiornamento delle linee guida per la Terapia Empirica secondo l’approccio Evidence Based (EB) e gli audit settimanali nei reparti identificati: “Il manuale di Terapia Empirica – racconta il Dirigente Medico – viene periodicamente aggiornato tenendo conto delle moderne linee guide internazionali della terapia antibiotica e della nostra epidemiologia. Agli audit, invece, i colleghi portano alla nostra attenzione diversi casi clinici e ciascun paziente viene analizzato e discusso. In questo modo, il personale medico di reparto viene formato ed «educato» per essere più autonomo nell’individuazione della terapia più appropriata”.

Gli incontri settimanali hanno permesso di intervenire sulle principali criticità riscontrate nella somministrazione della terapia: “La descrizione dei casi clinici e l’elaborazione di un database per monitorarli – racconta Vitale – ci ha consentito di intervenire sull’appropriatezza prescrittiva e, in particolare, sulla posologia e sulla durata media delle terapie, scesa del 13%. Questo ha permesso di agevolare le dimissioni dei pazienti e contenere le giornate di terapia”.

Tra i principali risultati ottenuti, ricordiamo una diminuzione dei fluorochinoloni e dell’isolamento di Klebsielle pnuemoniae resistenti a Carbapenemi (KPC), che già si attestano all’8% nel 2019 rispetto al 40% circa degli anni 2016 e 2017.

Un percorso, infine, che intende proseguire oltre il 2020: “I programmi di Antimicrobial Resistance – conclude il Dirigente Medico – spesso sono iniziative che hanno una durata definita. Noi, invece, lavoriamo cercando di andare oltre una scadenza e ci auguriamo di portare avanti questo progetto il più a lungo possibile, perché ci siamo resi conto che la soddisfazione per i buoni risultati ottenuti supera l’impegno notevole che questa iniziativa richiede. Riteniamo servano maggiori interventi di questo tipo, con la presenza costante di figure in grado di sensibilizzare i medici dei vari reparti”.

Il progetto è stato inserito tra le buone pratiche piemontesi presentate alla 12° Call for Good Practices di Agenas ed è stato illustrato alla 1a “Giornata Regionale delle Buone pratiche per la sicurezza delle cure”, organizzata dal Centro per la gestione del rischio sanitario e la sicurezza del paziente della Regione Piemonte.

 

RESPONSABILITÀ CIVILE SANITARIA IN EUROPA: IL SISTEMA FRANCESE – Seconda parte

Sanità 360° continua le sue “Noterelle sulla responsabilità civile sanitaria nelle esperienze di alcune realtà europee”. Con le note che seguono si conclude l’articolo su “La responsabilità sanitaria nell’ordinamento francese”. La prima parte è stata pubblicata il 19 novembre 2019 ed è reperibile a questo link

di Ernesto Macrì, Avvocato del libero foro di Roma

Una delle peculiarità del sistema giuridico francese è la canalizzazione del contenzioso in ambito di responsabilità sanitaria verso forme alternative di risoluzione delle controversie.

La legge del 2002, infatti, ha predisposto delle procedure preventive di conciliazione, che hanno per protagoniste la Commission nationale des accidents médicaux e le Commissions régionales de conciliation et d’indemnisation des accidents médicaux, des affections iatrogènes et des infections nosocomiales (CCI)[1].

Queste ultime sono composte da rappresentanti dei professionisti sanitari, rappresentanti dei pazienti e assicuratori.

Chiunque si consideri vittima di un danno attribuibile ad un rischio per la salute (art. L. 1442-7, comma 1, C. Santé Publ.) può deferire la questione alla commissione regionale.

Presupposto per l’instaurazione della controversia innanzi alle Commissioni Regionali è che il danno lamentato raggiunga una certa soglia di gravità, fissata ad un tasso di incapacità permanente superiore al 25%[2].

A seguito di una perizia, è compito della Commissione decidere tra ciò che rientra nell’alveo della colpa medica e ciò che, altrimenti, rientra nella cd. alea terapeutica.

Se la Commissione di conciliazione dovesse ravvisare una responsabilità a carico del professionista o della struttura sanitaria, invita l’impresa di assicurazione a fare “une offre d’indemnisation visant à la réparation intégrale des préjudices subis dans la limite des plafonds de garantie des contrats d’assurance” [art. L. 1142-14].

A fronte di ciò, si potrebbero verificare le seguenti soluzioni:

i) l’accettazione dell’importo offerto addivenendo, di conseguenza, ad una transazione fra le parti;

ii) il paziente potrebbe rifiutare la somma proposta dall’assicurazione, lasciando in tal modo preludere ad un suo ricorso giurisdizionale, il quale può a sua volta condurre ad una pronuncia della compagnia qualora l’importo da questi offerto sia ritenuta insufficiente;

iii) tutte le volte che il diniego proviene dall’assicuratore ovvero si verifica una incapienza del massimale risarcitorio, interviene allora l’ONIAM in sostituzione dell’impresa assicurativa per garantire la riparazione integrale del pregiudizio, salva nel primo caso la possibilità di una successiva azione surrogatoria[3].

Pertanto, in questa procedura di indennizzo, l’assicuratore mantiene un ruolo significativo, ma in caso di mancato intervento (rifiuto di garanzia, superamento dei limiti di garanzia), subentra la Commissione nazionale[4].

Schema 1[5]

La riforma del 2002 è intervenuta anche sul piano assicurativo, imponendo sia per i liberi professionisti sia per le strutture pubbliche e private, l’obbligo assicurativo ai fini dell’esercizio della professione sanitaria [art. L. 1142-2 c. santé publ][6].

Il modello concretamente attuato risulta essere «uno dei più avanzati sotto il profilo della protezione offerta ai danneggiati»[7], con un massimale di garanzia di almeno otto milioni per sinistro e quindici milioni per anno.

Se la responsabilità è degli operatori sanitari, delle strutture sanitarie e dei produttori di prodotti sanitari, sono le compagnie di assicurazione che si fanno carico dell’indennizzo.

Per contro, in caso di alea terapeutica, cioè in assenza di responsabilità, l’indennizzo è versato da un ente pubblico, l’Ufficio nazionale di indennizzo degli infortuni medici (ONIAM).

L’assicurazione delle strutture sanitarie copre anche i dipendenti che operano nell’ambito delle funzioni loro assegnate, anche se i professionisti sanitari godono di autonomia nell’esercizio dell’attività professionale.

Sono previste, tra l’altro, delle specifiche sanzioni penali a fronte di eventuali violazioni dell’obbligo di assicurarsi.

Inoltre, all’obbligo assicurativo fa pendant, per le compagnie, quello di assicurare il professionnel de santé, il quale, nelle ipotesi in cui per due volte ha ricevuto un rifiuto alla sottoscrizione di una polizza assicurativa, può rivolgersi al Bureau Central de Tarification, al quale è demandato, tra gli altri compiti, quello di stabilire, in caso di conflitto, l’entità del premio di assicurazione.

Pertanto, l’ufficio centrale di tariffazione ha il compito di fissare l’importo del premio per il quale l’impresa di assicurazione è tenuta alla copertura del rischio prospettato[8].

Si noti che la compagnia di assicurazione che persiste nel rifiuto di garantire il rischio a fronte del premio fissato dall’ufficio centrale di tariffazione si pone in contrasto con la normativa vigente ed è sottoposta a specifiche sanzioni[9].

Sotto l’angolo prospettico dell’obbligo assicurativo, sia consentita un’ultima notazione.

Il legislatore francese con la loi n. 2002-1577[10] ha introdotto una specifica deroga all’obbligo di assicurarsi, accordata con decisione ministeriale, esclusivamente per quelle strutture sanitarie pubbliche che dispongono di risorse finanziarie tali da permettersi una gestione del rischio e dei sinistri con forme equivalenti a quelle che sarebbero previste da un contratto di assicurazione.

In altri e più chiari termini, una struttura sanitaria pubblica non può, con assoluta discrezionalità, decidere se ricorrere o meno a forme di autoassicurazione; ma l’autorizzazione è concessa, con un decreto, dal Ministero della salute, che verifica la sussistenza o meno delle condizioni necessarie affinché “l’établissement public” possa fare ricorso all’autoassicurazione[11].

Insomma, a dispetto di quanto previsto dalla legge Gelli-Bianco in Italia, il sistema francese ha optato per un meccanismo autorizzativo quale conditio sine qua non per poter derogare all’obbligo di assicurazione.

Concludendo, il percorso francese sulla responsabilità medica/sanitaria sembra essersi assestato su alcuni punti di particolare qualificazione: una sostanziale conferma del tradizionale sistema di responsabilità civile sanitaria fondato sulla colpa, con la previsione di un obbligo imposto ai professionisti e alle strutture sanitarie di assicurarsi, ponendo a carico della collettività la tutela indennitaria dei danni da trattamento sanitario non riconducibili a responsabilità.

La scelta del legislatore francese, dunque, è stata quella di «una socializzazione “spinta” di tali danni, nella consapevolezza, come si legge nella relazione alla proposta di legge, che “(l)’acte médical (…) n’échappe pas à l’imprévisible, à l’aléa”»[12].

[1] Sull’argomento si veda C. Amodio, La responsabilità medica nell’esperienza francese tra schemi consolidati e prospettive aperte dalla loi n. 2002-303, in Dir. economia assicur. (dal 2012 Dir. e Fiscalità assicur.), fasc. 2, 2004, pag. 519. Cfr. D. Thouvenin, Responsabilité médicale: de quoi s’agit-il exactement?, in Sciences Sociales et Santé, Vol. 24, n° 2, juin 2006, il quale sottolinea che: «Si la personne qui s’estime victime souhaite obtenir l’indemnisation de ses dommages, elle dispose de trois voies: celle de la réclamation auprès de l’assureur du professionnel et/ou de l’établissement de santé dans l’espoir d’une transaction, celle de la voie juridictionnelle avec les spécificités propres aux procédures civiles et administratives, et celle de la procédure de règlement amiable introduite par la loi du 4 mars 2002. Conçue comme une alternative au procès, cette dernière voie est facilitatrice d’un double point de vue : l’expertise est gratuite et l’avis rendu par la commission de conciliation et d’indemnisation des accidents médicaux l’est dans un délai maximal de six mois. En revanche, elle ne rend d’avis que si le dommage corporel dont souffre la personne est grave, le législateur ayant expressément entendu ne pas encombrer les commissions par des dossiers d’accidents mineurs».

[2] Cfr. Cour des comptes, LE RAPPORT PUBLIC ANNUEL 2017, Tome I, Les observations, in cui si legge quanto riportato: «La quantification de la gravité du dommage. Un décret a fixé les différents seuils destinés à caractériser la gravité du dommage comme suit : 24 % (soit un taux légèrement inférieur au seuil de 25% maximum prévu par la loi) pour le taux d’incapacité dans le cadre d’un barème fixé par arrêté, au moins six mois pour l’arrêt temporaire des activités professionnelles, 50 % ou plus pour le déficit fonctionnel temporaire pendant six mois consécutifs ou six mois non consécutifs sur une période de 12 mois. Il y ajoute, à titre exceptionnel, sans en donner une quantification, une inaptitude définitive à exercer son activité professionnelle ou des troubles particulièrement graves dans les conditions d’existence du patient. La jurisprudence a cherché à mieux définir la notion d’anormalité des dommages en développant deux approches : l’une par la comparaison des gravités consistant à apprécier si les conséquences sont notablement plus graves que celles auxquelles le patient était exposé par sa pathologie en l’absence de traitement, l’autre par le risque consistant à apprécier si le dommage présentait une probabilité de survenance faible, que la pratique a fixée à 5%».

[3] Article L. 1142‐15 CSP «En cas de silence ou de refus explicite de la part de l’assureur de faire une offre, ou lorsque le responsable des dommages n’est pas assuré ou la couverture d’assurance prévue à l’article L. 1142‐2 est épuisée, l’office institué à l’article L. 1142‐22 est substitué à l’assureur (…) Sauf dans le cas où le délai de validité de la couverture d’assurance garantie par les dispositions du cinquième alinéa de l’article L. 251‐2 du code des assurances est expiré, l’office est subrogé, à concurrence des sommes versées, dans les droits de la victime contre la personne responsable du dommage ou, le cas échéant, son assureur»

[4] V. M.-L. Demeester, L’assurance des risques sanitaires et sociaux, in Revue juridique de l’Ouest, N° Spécial 2003. Droits et obligations de la personne dans les nouveau dispositifs entre reconnaissance et contraintes. Loi du 2 janvier 2002 – Loi du 4 mars 2002 [Actes du colloque des 19 et 20 juin 2003] pp. 147-162.

[5] Lo schema è tratto da Cour des Comptes, Rapport pubblic annuel, 8 febbraio 2017, Tome I: Les observations; Deuxième partie: Les politiques publiques; Chapitre I: Emploi et solidarité; 1. L’indemnisation amiable des victimes d’accidents médicaux : une mise en oeuvre dévoyée, une remise en ordre impérative, p. 67 ss.

[6] In specie l’articolo citato prevede che i professionisti della salute che esercitano in regime libero-professionale, le strutture sanitarie, i servizi sanitari ed ogni altra persona morale che svolga funzioni di prevenzione, diagnosi e cura, come pure i fabbricanti, i rappresentanti ed i fornitori di prodotti sanitari utilizzati nelle predette attività, sono tenuti a sottoscrivere un’assicurazione contro la responsabilità civile o amministrativa per danni a terzi in conseguenza di lesioni personali derivanti dalle predette attività di prevenzione, diagnosi e cura. I contratti di assicurazione possono prevedere dei limiti di garanzia. Da ultimo sull’argomento L. Velliscig, Assicurazione e “autoassicurazione” nella gestione dei rischi sanitari, Milano, 2018, p. 231.

[7] Sono parole di I. Natowicz-Laurent, Les conséquences économiques de l’évolution du droit de la responsabilité civile médicale: un état des lieux, in Revue d’économie politique, 2007, 981, richiamate da L. Anzanello, La responsabilità professionale sanitaria dall’Arrêt Mercier alla Loi Kouchner, op. cit., p. 265.

[8] V. M.-L. Demeester, L’assurance des risques sanitaires et sociaux, op.cit. la quale sottolinea che: «L’innovation par rapport au fonctionnement du BCT est qu’il peut « déterminer le montant d’une franchise qui reste à la charge de l’assuré»; nouvel art. R. 250-4-1 C. ass. qui prévoit des maxima de franchises très élevés ; ces franchises restent opposables aux victimes par application du droit commun des assurances et en l’absence de dispositions spéciales.

[9] L. Velliscig, Assicurazione e “autoassicurazione” nella gestione dei rischi sanitari, op.cit., p. 234, nota come l’attività posta in essere dal Bureau si pone quale completamento indispensabile del sistema disegnato dalla Loi Kouchner, posto che esso agisce in caso di conflitto tra coloro che hanno l’obbligo di assicurarsi e le imprese assicuratrici.  

[10] L. n° 2002-1577 du 30 déc. 2002 (About), JO 31 décembre 2002, p. 22100. Per alcuni commenti si veda J. Bigot, La loi n° 2002-1577 du 30 décembre 2002 sur l’assurance de responsabilité médicale, Une lueur d’espoir pour les «clauses réclamations», JCP G 2002, I, 118 ; G. Courtieu, L’assurance obligatoire de la responsabilité médicale, RCA 2003, chr. n° 8 ; P. Mistretta, La loi n° 2002- 1577 du 30 décembre 2002 relative à la responsabilité civile médicale, premiers correctifs de la loi n° 2002-303 du 4 mars 2002, JCP G 2002, Act., p. 165.

[11] L. Velliscig, Assicurazione e “autoassicurazione” nella gestione dei rischi sanitari, op.cit., specialmente pp. 238-239.

[12] Sono parole di L. Nocco, Un no-fault plan come risposta alla «crisi» della responsabilità sanitaria? Uno sguardo sull’«alternativa francese» a dieci anni dalla sua introduzione, in Riv. It. Med. Leg., 2012, 2, p. 449 ss.