RISK MANAGEMENT SANITARIO: SIAMO PRONTI PER UN NUOVO CAPITOLO?

Nella sanità italiana la cultura della sicurezza è molto più diffusa e radicata rispetto a dieci anni fa. Il progresso al quale abbiamo assistito – l’emancipazione del Risk Management sia a livello di prassi clinica che di gestione organizzativa – è frutto di un impegno corale durato anni, culminato e riconosciuto nella promulgazione della legge Gelli.

L’elemento che manca in questo quadro, però, è l’uniformità. Le analisi del rischio, le sperimentazioni e i progetti di miglioramento si stanno moltiplicando in tutta Italia al punto che molte Aziende, anche all’interno della stessa Regione, rischiano di ripercorrere, senza saperlo, le orme delle aziende vicine, studiando gli stessi fenomeni e giungendo agli stessi risultati. Un dispendio di energie e risorse che un semplice confronto potrebbe ridurre e massimizzare.

Sarà questo, perciò, il tema della tavola rotonda al Forum Risk Management Sanità il 28 novembre prossimo a partire dalle 14:30.

Il nostro consueto confronto dedicato all’evoluzione del Risk Management in Italia introdurrà infatti la cerimonia di premiazione del Premio Sham – che quest’anno ha superato la soglia dei 120 progetti (LINK NDR) –. L’appuntamento di quest’anno si concentrerà sulle iniziative in atto per trasformare i mille rivoli della sicurezza in un patrimonio comune e accessibile. È un tema di grandissima attualità e vede almeno due declinazioni estremamente rilevanti: uniformità nella sicurezza tra Aziende pubbliche (almeno, per ora, a livello regionale); e trasferimento delle buone pratiche tra pubblico e privato, in un reciproco scambio di competenze e con l’obiettivo ultimo di fare della sicurezza il vero comune denominatore di tutta la sanità italiana.

Obiettivo questo, che fa presagire una qualità delle cure più omogenea – potendo avvalersi di un più ampio bacino di osservazione per un continuo miglioramento – e che prevede una ulteriore razionalizzazione delle risorse, capace di favorire e incanalare la ricerca in ambiti ancora da esplorare.

L’appuntamento è quindi al Forum Risk Management il 28 novembre alle 14:30 presso l’Area Forma Forum. Buona lettura!

Roberto Ravinale

Direttore esecutivo di Sham in Italia

 

PS sul tema dell’uniformità delle buone pratiche nel caso delle ICA in ambito chirurgico vi rimando alla bella intervista che Luciana Bevilacqua, RM ASST PAVIA, ci ha rilasciato in questo articolo (link)

LA SANITÀ CHE FA SICUREZZA: PRESENTATE AL PREMIO SHAM OLTRE 120 BEST PRACTICE TUTTE ITALIANE

  • Record di candidature per il Premio Sham 2019: 122 i progetti presentati dalle 78 strutture candidate di cui 62 pubbliche e 16 private, dislocate su 16 regioni;
  • L’edizione 2019 è realizzata in partnership con Federsanità-ANCI, l’Associazione Religiosa Istituti Socio-Sanitari (ARIS) e l’Associazione Italiana Ospedalità Privata (AIOP);
  • Grande attenzione quest’anno al tema delle Infezioni Correlate all’Assistenza (ICA) in particolare su Antimicrobial Stewardship, ovvero antibiotico resistenza. Nuovo tema presente in concorso quest’anno: la gestione del rischio in carcere

 

Record di candidature per il Premio Sham 2019, l’annuale competizione del settore sanitario che fa della sicurezza e della diffusione nazionale delle buone pratiche locali i suoi driver principali. Il concorso quest’anno ha raccolto 122 best practice già in adozione presso la Sanità italiana.

 

 

Alcuni dati interessanti di quest’anno:

  • 78 le strutture sanitarie e socio-sanitarie partecipanti, tra le quali ben 10 IRCCS e molte tra le più importanti realtà ospedaliere del Paese;
  • 16 le Regioni coinvolte;
  • 101 i progetti candidati da realtà pubbliche e 21 quelli dalle private che, nel 2019, partecipano per la prima volta.

La manifestazione, giunta ormai alla sua 4° edizione in Italia, quest’anno è realizzata in partnership con Federsanità-ANCI, l’Associazione Religiosa Istituti Socio-Sanitari (ARIS) e l’Associazione Italiana Ospedalità Privata (AIOP), confermandosi ancora una volta come importante occasione di confronto e collaborazione tra le diverse e importanti realtà del panorama sanitario nazionale.

Il Premio è stato istituito circa 20 anni fa in Francia da Sham, mutua assicurativa, oggi società del gruppo Relyens e da oltre 90 anni specializzata nella gestione della RC Sanitaria e nel risk management. Negli anni l’evento ha assunto un respiro europeo e ha visto la sua declinazione nei singoli Paesi in cui Sham è presente. Lo scopo è, come sempre, quello di raccogliere le buone pratiche locali in ambito di sicurezza e condividerle affinché vengano applicate anche a livello nazionale. Attualmente l’Italia è prima per numero di candidature presentate, a riprova dell’interesse della Sanità nazionale nei confronti del binomio salute e sicurezza.

Da sempre ci poniamo l’obiettivo di promuovere e diffondere la cultura della prevenzione”, ha commentato Roberto Ravinale, Direttore esecutivo di Sham in Italia. “Questa edizione 2019 segna sì, un grande successo per la nostra Mutua, ma rappresenta soprattutto un successo corale, condiviso dall’intera comunità di professionisti ed enti sanitari – Risk Manager, Responsabili Qualità, Dipartimenti universitari, Scuole di specializzazione e Medici Legali – con i quali lavoriamo da anni fianco a fianco per migliorare sicurezza e gestione dei rischi”.

Le tre Regioni con il maggior numero di progetti presentati sono state il Piemonte, la Lombardia e il Lazio, rispettivamente con 26, 19 e 16 candidature.

La struttura sanitaria ad aver presentato il maggior numero di candidature nella categoria delle strutture pubbliche è l’Azienda Ospedaliera di Perugia: ben 6. Quattro sono state, invece, quelle presentate dalla Fondazione Poliambulanza di Brescia, la prima tra le realtà private per progetti presentati.

Diversi, infine, gli ambiti di intervento dei singoli progetti che si concentrano su quattro perimetri principali: sicurezza delle procedure, interventi di management, contenimento delle Infezioni Correlate all’Assistenza (ICA) e sicurezza degli operatori.

La proclamazione dei tre progetti vincitori, che vedrà l’assegnazione dei 6mila euro ciascuno da reinvestire in sicurezza, avverrà come da consuetudine al prossimo Forum Risk Management Sanità di Firenze nella giornata di giovedì 28 novembre 2019, a partire dalle ore 14.30 presso l’Area Forma Forum.

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RESPONSABILITÀ CIVILE SANITARIA IN EUROPA: IL SISTEMA FRANCESE – Prima parte

Sanità 360° presenta: “Noterelle sulla responsabilità civile sanitaria nelle esperienze di alcune realtà europee”

di Ernesto MacrìAvvocato del libero foro di Roma

Le note che seguono intendono passare in rapida rassegna la disciplina della responsabilità civile sanitaria (della responsabilità penale nulla si scriverà) in alcuni ordinamenti europei di civil law, che possono rappresentare degli efficaci strumenti per misurare se la direzione in cui si sta muovendo la disciplina della responsabilità medica nel nostro Paese, è quella giusta.

Ed infatti, una lettura comparata è in grado di restituire un quadro generale e di offrire degli indicatori per cogliere le lacune, ma anche i pregi del nostro sistema, innescando un circuito di riflessione per analizzare in che misura correzioni e calibrature siano immaginabili senza destrutturarne la funzionalità.

Nasce da tali premesse una ricerca comparatistica – suddivisa in più parti, per ovvie ragioni di pubblicazione – nel tentativo di leggere le tormentate problematiche legate alla responsabilità sanitaria allontanandosi da una dimensione puramente settoriale e locale, nell’auspicio di ricevere degli stimoli critici provenienti da altre discipline.

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La responsabilità sanitaria nell’ordinamento francese

(Prima parte)

Anche in Francia, la traiettoria evolutiva della responsabilità medica è stata caratterizzata, negli ultimi decenni, da diversi fattori di crisi – primo fra i quali, un vertiginoso aumento delle controversie – che hanno portato a livello di guardia, tra gli altri, due aspetti: quello relativo ad un aumento esponenziale della responsabilità delle strutture sanitarie e dei professionisti sanitari e quello, in certo qual modo direttamente conseguente, della fuga delle assicurazioni dal settore della responsabilità civile.

In particolare, per quanto concerne il segmento assicurativo, si è registrata una profonda crisi dell’assicurabilità per i medici e le strutture sanitarie, con una forte diminuzione dell’offerta da parte delle compagnie, seguita nel tempo da un’impennata del costo dei risarcimenti e quindi dei premi assicurativi[1].

Ed è in questo contesto che si sono inserite, dopo anni di immobilismo legislativo[2], due provvedimenti normativi che hanno profondamente segnato il panorama della responsabilità sanitaria in Francia[3]: la loi 2002-303 del 4 marzo 2002, “aux droits des malades et à la qualité du system de santé” (c.d. Loi Kouchener, dal nome del ministro della Sanità promotore del provvedimento normativo)[4]e la loi 2002-1577 del 30 dicembre 2002 (nota come Loi About)[5].

Ciò detto, soffermiamoci sulla legge 2002-303, che nella prospettiva di sviluppare e realizzare una «démocratie sanitaire»[6], ha rifondato il regime della responsabilità sanitaria su un sistema a doppio binario: da un lato, il rimedio tradizionale della responsabilità civile ancorato alla colpa; dall’altro lato, l’introduzione di un sistema di solidarietà sociale dalla forma “no-fault”.

Ma procediamo per gradi.

Innanzitutto è stata riaffermata la centralità della colpa.

È stata eliminata tanto la distinzione riguardante la qualità del paziente (contraente o terzo) quanto quella sulla natura (pubblica o privata) della struttura sanitaria[7], rimanendo salvo il criterio di competenza giurisdizionale basato sulla natura della struttura presso la quale è avvenuto il ricovero: da un lato, ospedale pubblico/giurisdizione amministrativa; dall’altro lato, clinica privata/giurisdizione civile.

Nelle ipotesi in cui l’esercente la professione sanitaria sia un dipendente pubblico, non è previsto un rapporto contrattuale diretto con il paziente, analogamente a quanto avviene in Italia dopo l’avvento della riforma legislativa del 2017 (c.d. legge Gelli-Bianco).

Difatti, anche nell’ordinamento francese le strutture pubbliche rispondono dell’operato dei propri dipendenti[8].

Il regime prescrizionale della responsabilità dell’esercente la professione sanitaria e della struttura viene individuato in dieci anni dalla data di consolidamento del danno, quale dies a quo.

È bene ricordare che a marzo del 2017 è stato presentato il “Projet de reforme de la responsabilité civile”, che all’art. 1233-1, alinea 1, stabilisce che “Les préjudices résultant d’un dommage corporel sont réparés sur le fondement des règles de la responsabilité extracontractuelle, alors même qu’ils seraient causés à l’occasion de l’exécution du contrat”, ricollocando così nell’alveo del regime della responsabilità extracontrattuale il risarcimento del danno all’integrità fisica[9].

L’ordinamento francese contempla, inoltre, due forme di responsabilità sanse faut[10]: in caso di infezioni nosocomiali[11] e qualora il danno sia conseguenza di un difetto del materiale impiegato.

Nelle ipotesi delle “infection nosocomiale”, l’ente ospedaliero è sempre ritenuto responsabile, salvo che non riesca a provare la causa “étrangère”.

Nell’ottica del risarcimento dei danni ai pazienti, la novità di maggior momento è che nell’ipotesi in cui si dovessero verificare dei danni in assenza di una responsabilità del professionista, della struttura o di un produttore, il ristoro dei medesimi è interamente devoluto ad un sistema di sicurezza sociale[12].

Da segnalare che anche le infezioni nosocomiali particolarmente gravi sono state attratte al regime della solidarietà nazionale.

Incaricato di provvedere all’indennizzo dei danneggiati è un ente pubblico, denominato ONIAM (Office national d’indemnisation des accidents medicaux, des affections iatrogénes et des infection nosocomiales).

Tale meccanismo opera quando il pregiudizio è anormale (rispetto allo stato di salute del paziente ed al suo prevedibile evolversi) e di particolare gravità, requisito quest’ultimo individuato tramite decreto e valutato in relazione alla perdita di capacità funzionali e alle ripercussioni sulla vita privata e professionale (valutate tenendo conto del tasso d’incapacità permanente o della durata della temporanea incapacità di lavorare).

Con riferimento allo stato di invalidità permanente, la soglia necessaria per poter accedere al sistema di indennizzo deve essere pari o superiore al 25%[13].

Gli altri requisiti in presenza dei quali l’ONIAM diviene competente al fine di procedere alla riparazione di un danno iatrogeno sono:

  1. a) l’interruzione dell’attività professionale di durata non inferiore a sei mesi consecutivi, ovvero sei mesi non consecutivi nell’arco di un anno.
  2. b) il deficit funzionale temporaneo pari o superiore al 50% nel corso di almeno sei mesi consecutivi, ovvero sei mesi non consecutivi nell’arco di un anno.
  3. c) l’inabilità definitiva all’esercizio dell’attività professionale svolta prima che avvenisse il danno iatrogeno.

Infine, è da notare che è comunque previsto un diritto di regresso da parte dell’ONIAM nei confronti del o dei responsabili che abbiano agito con “faute caracterisée”, ossia colpa grave.

La seconda parte dell’approfondimento è pubblicata a questo LINK.

[1] Cfr. in generale, N. Gombault, La situation de l’assurance de responsabilité médicale, in RDSS, 2010.

[2] S. Cacace, Loi Kouchner: problemi di underdeterrence e undercompensation, in Danno e Responsabilità, 4/2003, p. 440, nota come «Il mondo tutto del diritto francese attendeva ed auspicava un intervento del legislatore, nel campo della responsabilità civile medica, da più di quarant’anni. L’idea d’istituire un sistema d’indennizzo che prescindesse dal ricorrere o meno di una condotta colposa in relazione a tutti gli incidenti medici fu infatti formulata per la prima volta da André Tunc nel 1966, in occasione del secondo Congresso internazionale di morale medica, organizzato dall’Ordine nazionale dei medici».

[3] Si sofferma sull’argomento in maniera approfondita L. Velliscig, Assicurazione e “autoassicurazione” nella gestione dei rischi sanitari, Milano, 2018, p. 215 ss.

[4] Per uno studio della riforma con uno sguardo di sintesi anche sulla giurisprudenza, v. Dossier du participant, Colloque des 20 et 21 octobre 2011, Santé et justice: quelles responsabilités? Dix ans après la loi du 4 mars 2002, Un colloque organisé par le Conseil d’État et la Cour de cassation, collana Droits et Débats, La Documentation française, 2013.

[5] Cfr. Lambert-Faivre, La responsabilité médicale: la loi du 30 décembre modifiant la loi du 4 mars 2002, in Dalloz, 2002.

[6] Tit. II, l. 2002-303.

[7] In argomento L. Klesta, La responsabilità medica in Francia: l’epilogo di un percorso movimentato?, in Nuova Giurisprudenza Civile Commentata, 2013, p. 479 ss.

[8] Sul punto v. L. Anzanello, La responsabilità professionale sanitaria dall’Arrêt Mercier alla Loi Kouchner, in Assicurazioni, 2-3/2017, p. 259, la quale rileva come «Con la sentenza del Consiglio Stato 28 luglio 1951, [è stato] poi stabilito che i pubblici dipendenti non possono essere civilmente responsabili nei confronti della Pubblica Amministrazione per i danni derivanti da fautes de service. I medici che svolgono la propria attività negli ospedali pubblici sono quindi personalmente responsabili secondo le regole di diritto civile solo in caso di colpe personali détachables du service e cioè in tutti quei casi in cui la colpa del medico è di tale gravità che non può farsi risalire alla Pubblica Amministrazione; (…). Per i danni prodotti nell’esercizio delle incombenze è invece responsabile

esclusivamente la Pubblica Amministrazione».

[9] Secondo V. Zambrano, Il pendolo di Foucault e la responsabilità medica. Tra regole definitorie e linee guida, in S. Aleo-P. D’Agostino-R. De Matteis-G. Vecchio (a cura di), Responsabilità sanitaria, Milano, 2018, p. 163, «l’obiettivo riconfermando la funzione riparatrice della responsabilità civile, è quello di mettere su un piano unico tutte le vittime di danni alla persona evitando diseguaglianze che dipendevano dal fatto che il paziente avesse concluso un contratto con una clinica, piuttosto che con un ospedale, o che si trattasse di responsabilità derivante “du fait des choses” o a seguito di una prestazione medica”.    

[10] L. Anzanello, La responsabilità professionale sanitaria dall’Arrêt Mercier alla Loi Kouchner, op. cit., sottolinea – condivisibilmente – come «L’attenzione è quindi rivolta alla vittima del danno più che all’autore che lo ha causato senza che però ciò conduca ad una deresponsabilizzazione del professionista essendo espressamente delineate le condizioni in cui è ammessa la responsabilità senza colpa».

[11] L. n. 303/2002 (c.d. Loi Kouchner), art. L. 1142-1, comma 2: “le strutture sanitarie sono responsabili per i danni da infezioni ospedaliere salvo che non dimostrino il caso fortuito”.

[12] Interessante quanto nota C. Amodio, La responsabilità medica nell’esperienza francese tra schemi consolidati e prospettive aperte dalla loi n. 2002-303, in Dir. economia assicur., fasc.2, 2004, pag. 519, il quale rileva come simili fattispecie di danni «caratterizzate dalle medesime imprevedibili dinamiche dell'”aléa thérapeutique” e integranti una parte consistente del contenzioso medico, sono sottratte all’apprezzamento (potenzialmente divergente) delle corti».

[13] G. D’Amico, Responsabilità medica e istituti alternativi negli ordinamenti europei di civil law, in Responsabilità Medica, 2019, n. 2, p. 154, pone in evidenza come la soglia del 25% necessaria per accedere all’indennizzo, «(…) lascia fuori dal sistema “indennitario” una parte notevole di “incidenti sanitari” (che non raggiungono la soglia di gravità prevista), e dall’altro finisce per lasciare “sotto-compensate” (perché semplicemente “indennizzate”, ma non pienamente “risarcite”) proprio le lesioni che determinano le conseguenze più gravi sulla vittima».

ICA: PER L’ITALIA È UN LUNGO ANNO ZERO

Al congresso ANIPIO il quadro sulle infezioni correlate all’assistenza. “Siamo il Paese più a rischio in Europa in numeri assoluti”, dice il presidente Maria Mongardi “e i recenti studi ECDC dimostrano che non c’è ancora abbastanza consapevolezza”. Ma il quadro non è del tutto negativo: ecco i 5 passi per mettersi alla pari

 

Le infezioni correlate all’assistenza e la contemporanea espansione dell’antibiotico resistenza attribuiscono all’Italia la maglia nera tra i Paesi industrializzati. Secondo i dati OECD[1] delle 33mila morti in Europa ascrivibili alla Resistenza Antimicrobica (Antimicrobial resistance – AMR) oltre 10mila accadono in Italia con una perdita di anni vita che è la più alta d’Europa.

“L’Italia ha un problema con le infezioni correlate all’assistenza ed il controllo della resistenza antimicrobica– spiega Maria Mongardi, presidente della Società Scientifica degli Infermieri Specialisti del Rischio Infettivo.  Come emerso anche nel recente congresso nazionale della Società Scientifica , “il quadro epidemiologico italiano dimostra che ancora non si è presa sufficiente consapevolezza di quanto grave il problema sia”.

 

Maria Mongardi, presidente della Società Scientifica degli Infermieri Specialisti del Rischio Infettivo

 

Già gli studi di prevalenza elaborati dall’Università di Torino sul biennio 2016/2017 con protocollo ECDC[2] in 135 ospedali per acuti e oltre 418  RSA[3] hanno dimostrato la prevalenza di infezioni nel 23 per cento delle Terapie intensive e del 6,23%, 5,97% e 9,32% negli ospedali per acuti con, rispettivamente, meno di 200 posti letto, con tra i 201 e 500 posti letto e con più di 500 posti letto. Sul campione di 14mila pazienti ospedalieri la presenza di Infezioni correlabili all’assistenza in corso è del 5 per cento in media, ma sale a più del 9 per le persone assistite con più di 65 anni, età oltre la quale i microrganismi resistenti, per diverse ragioni, sono più pericolosi. Per quanto riguarda le RSA, si ritiene che la presenza di batteri resistenti sia, ormai, pressoché endemica.

“Sono dati da Anno Zero dice Mongardi – ma è, comunque, a partire dai numeri che si comincia a costruire una risposta basata sulla realtà italiana. Troppo spesso, infatti, i dati stessi sono lacunosi in quest’ambito. Al momento tutti gli ambiti dell’Infection Control – ovvero prevenzione, la sorveglianza  e il contenimento delle infezioni – necessitano di essere rafforzati perché lasciare che un’infezione in ospedale si sviluppi significa aggiungere malattia alla malattia per la quale la persona è ricoverata”.

In questo scenario c’è però, qualche elemento positivo. “Il Piano Nazionale di Contrasto all’Antimicrobico Resistenza è arrivato nel novembre 2017[4] e ha generato un bel fermento spingendo ogni Regione, sebbene con tempi diversi, ad attivarsi”.

“Abbiamo bisogno di 5 elementi che ci permetteranno di recuperare il tempo perduto e raggiungere il livello dei nostri partner europei. Il primo sono le risorse da destinare specificatamente alla Infection Control, perché non è possibile immaginare che un fronte così importante non abbia fondi adeguati. Ricordo, come metro di paragone, che l’investimento nella prevenzione delle infezioni ospedaliere è, in sanità, uno di quelli con maggior margine di ritorno[5][6][7][8], sia in sicurezza per il paziente che in risparmi sul lungo periodo venendo meno, tra gli altri fattori, i costi correlati a ricoveri più lunghi  e cure aggiuntive che caratterizzano tutte le infezioni ospedaliere. Il secondo passo riguarda un coordinamento nazionale per una strategia da applicare in tutto il SSN. Il terzo passo lo sviluppo di una formazione di alto livello ed omogenea su tutto il territorio nazionale per i diversi livelli professionali coinvolti; tutti devono aver chiara l’importanza del loro ruolo, il rischio che possono contribuire  ad abbattere e le azioni da compiere per riuscirci. Il quarto passo è rafforzare la tracciabilità delle azioni, una forma di trasparenza che va a vantaggio sia del personale che dei pazienti. Il quinto e ultimo passo è sviluppare una cultura e una prassi di auditing continuo, ovvero l’abitudine a misurare il livello della qualità nel tempo e far nascere le proposte di miglioramento dagli operatori che lavorano sul campo”.

COS’È ANIPIO

L’Associazione Nazionale Infermieri Prevenzione Infezioni Ospedaliere, nasce il 27 settembre 1991 a Bologna, dalla volontà di un gruppo di infermieri addetti al controllo delle infezioni (ICI) di mettere in rete energie, conoscenze ed esperienze per la lotta alle infezioni ospedaliere.

ANIPIO nel tempo si evolve, aumenta il numero degli iscritti e, a livello nazionale, diventa un’organizzazione di riferimento sul tema delle infezioni ospedaliere. Nel tempo si rinnova a partire dagli organi elettivi e attiva collaborazioni con nuovi professionisti che svolgono o sono interessati alle attività di prevenzione, controllo e sorveglianza delle infezioni correlate all’assistenza.

Codice Etico & Missione su (LINK)

 

[1] OECD_ Antimicrobial Resistance: Tackling the Burden in the European Union , pp. 10-11 “Each year, in the EU/EEA, more than 670 000 infections occur due to bacteria with AMR. 33 000 people die as a direct consequence of these infections. […]”. 10.762 di questi decessi avvengono in Italia.

[2] European Centre for disease Control

[3] Rispettivamente 1) Studio di prevalenza italiano sulle infezioni correlate all’assistenza e sull’uso di antibiotici negli ospedali per acuti – Protocollo ECDC 2) Studio di prevalenza europeo sulle infezioni correlate all’assistenza e sull’utilizzo di antibiotici nelle strutture di assistenza socio-sanitaria extraospedaliera – UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TORINO.

[4] Anche noto come PNCAR: http://www.salute.gov.it/portale/documentazione/p6_2_2_1.jsp?lingua=italiano&id=2660

[5] OECD_Documento citato. Delle oltre 10mila morti per AMR, quasi 9mila secondo il report possono essere evitate mentre l’investimento di circa 4 euro per capita può ridurre i costi sanitari sul lungo periodo di 10 euro.

[6] The return on investment for successful hand hygiene promotion has been shown to up to 23 times the initial amount invested– Pittet D, Sax H, Hugonnet S, Harbarth S., Cost implications of successful hand hygiene promotion, Infect Control Hosp Epidemiol. 2004;25:264–6.  //// Graves N., The economic impact of improved hand hygiene. In: Hand Hygiene: Wiley-Blackwell; 2017. p. 285–93. https://doi.org/10.1002/9781118846810.ch39

[7] For example, one relatively small outbreak with approximately 40 cases cost a hospital over €1 million- Otter JA, et al. Counting the cost of an outbreak of carbapenemaseproducing Enterobacteriaceae: an economic evaluation from a hospital perspective. Clin Microbiol Infect. 2017;23:188–96.

[8] Le frasi in grassetto nelle Note 6 e 7 e ,e relative fonti sono citate in Keeping hospitals clean and safe without breaking the bank; summary of the Healthcare Cleaning Forum 2018.

Alexandra Peters, Jon Otter, Andreea Moldovan, Pierre Parneix, Andreas Voss and Didier Pittet

 

 

IL RITORNO DELLE INFEZIONI IN CHIRURGIA. NAPOLI 22/23 NOVEMBRE

Mentre i dati disponibili segnalano un incremento delle infezioni successive alla sala operatoria, al Cardarelli di Napoli si tiene l’incontro HCRM con due obiettivi: elencare le buone pratiche che funzionano (e che devono essere adottate da tutti); e identificare i dati che confutano il nesso di casualità tra l’intervento e l’insorgenza dell’Infezioni Correlate all’Assistenza dopo una richiesta di risarcimento

 

Si terrà Venerdì 22 e Sabato 23 novembre 2019 all’Ospedale Cardarelli di Napoli il convegno “Le Infezioni Correlate all’Assistenza (ICA): dalla prevenzione alla sorveglianza al monitoraggio” (15 crediti ECM[1]). Lo organizza l’Associazione scientifica Hospital and Clinical Risk Manager (HCRM). Il primo giorno sarà dedicato a 7 tavoli focalizzati su altrettanti aspetti delle ICA in chirurgia[2]; il secondo sarà dedicato ai position paper che raccoglieranno le conclusioni di ogni singolo tavolo. L’obiettivo sarà triplice: individuare le buone pratiche che già funzionano per contenere le ICA prevenibili in chirurgia (e che non tutte le realtà italiane applicano); puntare l’attenzione dei diversi professionisti sanitari coinvolti verso un problema che sta crescendo e sul quale la sanità italiana arranca nelle statistiche internazionali[3]; individuare i dati che, in piena trasparenza, possano confutare il nesso di casualità tra intervento e infezione nel caso delle sempre più numerose richieste di risarcimento.

Il contesto globale, ed italiano in particolare, nel quale il convegno nasce è che le infezioni, di fatto sconfitte dagli antibiotici nel secolo scorso, stanno tornando a minacciare il post operatorio nel XXI secolo. “La Regione Lombardia ha prestato più attenzione di altre al tema ed è l’unica per la quale abbiamo una mappatura dei sinistri precisa: le infezioni successive ad intervento chirurgico prima non c’erano. Adesso sì. Per il resto d’Italia mancano i dati, ma il trend è chiaro”. Luciana Bevilacqua, Risk Manager alla ASST PAVIA, è una veterana della Gestione del Rischio. Neurologa con successiva specializzazione in Igiene, ha dato vita al Servizio Qualità all’Ospedale Niguarda di Milano nel 1992 ed è stata una delle prime ad introdurre la cultura e la formazione metodologica per valutare la qualità e la sicurezza delle cure nel nostro Paese.

“Le richieste di risarcimento per infezioni successive agli interventi chirurgici trovano le Aziende sanitarie particolarmente vulnerabili. Primo perché la prevenzione, in Italia, è molto poco uniforme. Secondo perché, anche qualora esistano protocolli in essere, non è così facile dimostrare l’assenza del nesso causale tra intervento e infezione sapendo noi tutti, tra le altre cose, che esiste un rischio insopprimibile di infezioni in chirurgia e che dipende in larga misura dalle condizioni del paziente”.

Ma dove si situa il confine? Quante infezioni sono evitabili per disciplina e tipologia di paziente? Quanto pesano l’equipaggiamento in sala operatoria e cosa richiedere ai fornitori? “Queste – conclude Bevilacqua – sono alcune delle domande alle quali cercheremo di rispondere a Napoli, stilando un elenco di buone pratiche alle quali tutti possano accedere per applicarle. In sintesi, infatti, il nostro Paese ha bisogno di uniformità e di correggere la mancanza di dati certi anche su interventi basilari come la profilassi antibiotica pre-intervento. Questa prassi, in particolare, deve essere resa obbligatoria perché, per quanto possa sembrare incredibile, non tutti la mettono in pratica e non esistono dati chiari sulla sua applicazione. L’assenza di questi dati, a sua volta, rende difficile dimostrare, in una causa civile, l’assenza di un nesso di casualità senza contare il fatto che la scelta del giusto antibiotico, nel momento giusto e al giusto paziente, è uno dei pilastri della Antimicrobial Stewardship sulla quale pure siamo indietro rispetto agli altri Paesi ad alto reddito”.

 

[1] L’evento è accreditato ECM per un numero massimo di 100 discenti. È indispensabile iscriversi e scegliere il tavolo di confronto con i Docenti, le Aziende e i Partecipanti delle varie Regioni Italiane.

[2] 1 dress code, social reputation e tecnologie informatiche; 2 sepsi e legionellosi: pdta, tecnologia e contenzioso; 3 sicurezza in chirurgia; 4 sanificazione, disinfezione e sicurezza; 5 lavaggio mani, normotermia, monouso vs pluriuso; 6 rischio infettivo: pncar & confronto tra sanità pubblica e privata; 7 focus Ica & European association of hospital managers; 8 pitch & focus.

[3] OECD_ Antimicrobial Resistance: Tackling the Burden in the European Union, pp. 10-11 “Each year, in the EU/EEA, more than 670 000 infections occur due to bacteria with AMR. 33 000 people die as a direct consequence of these infections. […]”. 10.762 di questi decessi avvengono in Italia. Quasi 9mila secondo il report possono essere evitate mentre l’investimento di circa 4 euro per capita può ridurre i costi sanitari sul lungo periodo di 10.

SANITÀ: COME NASCONO I MANAGER DEL DOMANI

La Mutua Sham ha ospitato i futuri direttori di ospedale in visita dalla Francia: un’occasione per capire come si formano gli amministratori sanitari transalpini e confrontare i due sistemi sanitari nazionali

 

La Mutua Sham, società del gruppo Relyens, ha incontrato i 40 allievi della prestigiosa Ècole des Hautes Études en Santé Publique (EHESP), giunti a Torino a metà ottobre 2019 in occasione del viaggio studio “Le Système de Sante Italien”: una settimana di approfondimento e confronto tra i due sistemi sanitari, quello italiano e quello francese, che ha visto un tour delle principali realtà ospedaliere nazionali. Con un campus sia a Rennes che a Parigi, l’istituto da oltre 70 anni forma i migliori professionisti francesi e internazionali nell’ambito della Sanità Pubblica. Ad accoglierli per una giornata di scambio e approfondimenti, i vertici del gruppo: il presidente Olivier Bossard, il direttore generale Dominique Godet, il direttore delle partnership e delle relazioni esterne, Erwan Trividic, e il direttore esecutivo in Italia Roberto Ravinale.

“Questa occasione rappresenta un ottimo esempio di confronto tra due realtà sanitarie di primo livello, quella francese e quella italiana. Incontri di questo tipo dovrebbero essere promossi tra tutti i sistemi sanitari europei – ha commenta Olivier Bossard alla platea di allievi destinati a divenire, in pochi anni, direttori di ospedali francesi -. “I sistemi sanitari hanno, ovviamente, delle peculiarità, ma l’obiettivo che devono raggiungere – la sicurezza delle cure – e il problema che affrontano – il rischio clinico – sono gli stessi per tutti. Il risk management è e deve divenire sempre più parte integrante del governo sanitario e della formazione dei nuovi professionisti sia clinici che specializzati nella gestione dei processi”.

La Francia ha percorsi universitari realmente verticali e completi, che avviano in modo concreto gli studenti alla professione di amministratore sanitario. Negli ultimi anni anche l’offerta formativa del nostro Paese si sta arricchendo, offrendo percorsi accademici altrettanto validi e professionalizzanti. Il sistema universitario italiano vive un profondo cambiamento in quanto il trasferimento tecnologico, che costituisce uno degli assi portanti della cosiddetta “terza missione”, si è affiancato alle tradizionali funzioni di didattica e di ricerca. Alla base di questa trasformazione c’è l’assunto che i risultati accademici siano utilmente assorbibili dal sistema aziendale e che favoriscano lo sviluppo di beni e di servizi innovativi, attraverso iniziative specifiche e non solo con il travaso di nuove risorse formate dai percorsi didattici universitari.

Sham, in questo senso, da sempre lavora al fianco del mondo accademico. Nello specifico, in Italia ha stretto rapporti di fattiva collaborazione con la Scuola di Specialità in Igiene e Medicina Preventiva dell’Università di Milano, con il Dipartimento di Biomedicina e Prevenzione dell’Università Tor Vergata di Roma e con il Dipartimento di Management dell’Università di Torino – aggiunge Roberto Ravinale -. Con quest’ultimo, in particolare, da tempo lavoriamo fianco a fianco per integrare con ulteriori competenze e know-how il curriculum del personale sanitario. Ci sono, infatti, conoscenze importanti che devono far parte del bagaglio di competenze di tutti i manager e amministratori della sanità. Tra queste, alcuni dei temi trattati oggi, come la necessità di integrare gestione del rischio e dei sinistri per trarne un costante flusso di misure di miglioramento mantenendo aggiornato il livello della prevenzione”.

Questo è solo uno dei temi toccati dalla giornata di formazione Relyens. Gli esperti del gruppo si sono confrontati con gli studenti d’oltralpe sul ruolo della RC sanitaria nel complesso dell’SSN, sul contributo delle assicurazioni alla sostenibilità e sicurezza delle cure sui costi, non solo economici, della medicina difensiva e sull’impatto della legge Gelli /Bianco.

“Tutti argomenti determinanti in un panorama sanitario che sta evolvendo rapidamente e in più direzioni – conclude Roberto Ravinale -. È importante che vengano inseriti ad ampio raggio nella formazione del personale e dei dirigenti sanitari. Non è un segreto che le Sanità Pubbliche di molti paesi europei si trovino in ristrettezza di risorse e personale. Ed è proprio in una condizione di energie ridotte che il risk management può dare il suo miglior contributo nel concentrarle e valorizzarle al meglio. L’organizzazione, però non è tutto. Formazione, cultura e confronto diffuso faranno la differenza perché il driver principale della Sanità restano le persone che operano quotidianamente nel settore. La mutua Relyens ha come missione fondativa far crescere la cultura e la prassi della prevenzione e continuerà ad affiancare enti e professionisti che si impegnano ogni giorno nel rendere le cure più sicure”.

NELLE PIEGHE TRA DIRITTO, DOTTRINA E SANITÀ

Poche righe ma ricche di contenuti per un’edizione altrettanto varia di notizie e approfondimenti

 

Si è concluso nella sera di mercoledì 30 ottobre 2019, davanti a più di duecento professionisti, il convegno annuale di Sham, il nostro consueto appuntamento con i grandi temi d’attualità in materia di Salute e Giustizia. Questa 4a edizione si è focalizzata su temi come l’azione di rivalsa, l’azione di responsabilità amministrativa, la quantificazione del danno e le linee guida alla luce della Legge Gelli-Bianco.

L’evento di quest’anno, che ha riunito Risk Manager, professionisti sanitari e avvocati, ha potuto contare su un panel di pregio e ha visto importanti contributi da parte di figure istituzionali ed esperti di settore. L’obiettivo era quello di fornire alla platea una sorta di “palestra interpretativa” e gli argomenti trattati, come leggerete in questa news, sono stati davvero numerosi e significativi.

Questa edizione di Sanità 360°, però, non si ferma qui. Vi aspettano diverse notizie interessanti: come accompagnare la dimissione a casa dei pazienti anziani e mantenere continuità nelle cure e nell’assistenza è il tema affrontato dall’Ospedale Sant’Anna di Como;  un progetto di comunicazione e informazione alle persone è la buona pratica presentata dell’AOU San Luigi Gonzaga di Orbassano (potete leggerlo qui);  a questo link, infine, trovate l’approfondimento della ASL CN1. In quest’ultimo progetto i dati confermano l’efficacia di un metodo – la doppia misurazione – e di un obiettivo: la diminuzione della pressione antibiotica con benefici sia per il singolo paziente che per la collettività.

Grazie per la vostra attenzione e buona lettura.

 

Roberto Ravinale

Direttore Esecutivo di Sham in Italia

 

LA CURA DEL PAZIENTE CONTINUA ANCHE DOPO LE DIMISSIONI 

L’esperienza dell’Ospedale Sant’Anna di Como che ha aperto un ambulatorio che si prende cura dei pazienti dimessi dal reparto di Geriatria. Il dottor Pellegrino: “Il nostro obiettivo è quello di monitorarli nelle fasi più delicate anche quando tornano a casa”

 

Prendersi cura del paziente anche quando esce dal reparto. È questa la mission che l’Ospedale Sant’Anna di Como si è prefissato di raggiungere con l’istituzione di un ambulatorio che è attivo dal mese di luglio tutti i venerdì dalle 13.30 alle 17.30. L’obiettivo è proprio quello di colmare quel vuoto che si crea dal momento delle dimissioni al periodo di convalescenza a casa. Il Direttore del Dipartimento di Medicina e primario di Geriatria, Domenico Pellegrino, spiega: «La Geriatria ospita 54 posti letti di cui 44 per malati acuti e 10 per sub acuti e dimette in un anno circa 1.700 pazienti. Ricovera direttamente dal Pronto soccorso e accoglie pazienti più o meno giovani, l’anziano e il grande anziano; sono comunque pazienti portatori di più comorbilità e la causa del ricovero, di solito, è la riacutizzazione di una patologia che provoca uno stato di scompenso generale».

«Le patologie più frequenti trattate sono lo scompenso cardiaco, la bronchite cronica riacutizzata, stati di sepsi (infezioni urinarie o altro), scompenso diabetico, polmoniti, traumi da caduta, neoplasie, insufficienze renali acute, accidenti cerebro-vascolari».

Al momento delle dimissioni, i pazienti più fragili meritano di essere rivisti in tempi brevi per una rivalutazione clinica e terapeutica. Pertanto, si è pensato che è giusto attivare questo tipo di ambulatorio dove il paziente accede con un appuntamento già fissato da noi al momento della dimissione, evitando alla famiglia la trafila delle prenotazioni attraverso CUP o Medico di Medicina Generale.

Domenico Pellegrino, Direttore del Dipartimento di Medicina e Primario di Geriatria

«Questo comporta terapie mirate con prolungamento dello stato di benessere del paziente, evitando ricoveri ripetuti, dovuti spesso a terapie non adeguate all’eventuale cambiamento dello stato clinico del paziente. L’esperimento a distanza di pochi mesi è da ritenersi soddisfacente: da luglio ad oggi sono stati visitati circa 80 pazienti».

Il dottor Pellegrino ci tiene a ribadire lo spirito che ha animato questa iniziativa: «Una verifica in tempi brevi della risposta alla terapia e delle condizioni generali del paziente». In questo modo, inoltre, il paziente anziano si sente più tranquillo perché sa di non essere solo nel suo percorso di guarigione.

COMUNICARE A CITTADINI E PAZIENTI: IL PROGETTO DEL SAN LUIGI GONZAGA

Consenso informato, braccialetto identificativo, lista delle medicine e cartella clinica. Caterina Mineccia, Risk Manager dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria San Luigi Gonzaga di Orbassano (TO), racconta il progetto presentato alla 1a “Giornata Regionale delle Buone pratiche per la sicurezza delle cure” organizzata dal Centro per la gestione del rischio sanitario e la sicurezza del paziente della Regione Piemonte

Lo scorso 15 ottobre, a Torino, si è tenuta la “Giornata Regionale delle Buone pratiche per la sicurezza delle cure”, organizzata dal Centro per la gestione del rischio sanitario e la sicurezza del paziente della Regione Piemonte. Nel corso dell’incontro sono stati presentati 18 progetti di miglioramento delle Aziende Sanitarie regionali, frutto di anni di lavoro delle ASL piemontesi e convogliati nella 12a Call for Good Practice di Agenas. Tra le best practice presentate, si annovera il progetto Informativa ai cittadini e pazienti: consenso informato, riconoscimento, terapia, informazioni utili al percorso di cura, gestione dei propri beni, a cura della Risk Manager dell’Ospedale San Luigi Gonzaga, Caterina Mineccia.

Il progetto nasce dall’applicazione della Legge n. 219/2017, detta anche Legge sul Biotestamento, che, per la prima volta, ha disciplinato in maniera organica il consenso informato circa gli accertamenti diagnostici e i trattamenti sanitari cui sono sottoposti i pazienti e ha introdotto il nuovo istituto delle disposizioni anticipate di trattamento (DAT) e quello della pianificazione condivisa delle cure (PCC).

“Al progetto – spiega la Dottoressa – abbiamo iniziato a lavorare già da un anno, con la costituzione di un gruppo di lavoro con la finalità di definire le azioni che gli operatori sanitari dovranno adottare e tutte le forme di supporto di cui necessiteranno. Del gruppo di lavoro fanno parte specialisti di patologie croniche evolutive dell’Ospedale, psichiatri e anestesisti che potranno essere di supporto agli operatori in casi di gestione della comunicazione con il paziente particolarmente complessi; vi fa parte anche un’infermiera che sta concludendo un master di giornalismo con una tesi sulle modalità più idonee ed efficaci per diffondere e comunicare questo tipo di informazioni”.

“Siamo partiti dalla Legge n. 219/2017, che sottolinea quanto sia importante che il paziente venga responsabilizzato attraverso il consenso informato, affinché possa esprimere la sua opinione sulle cure o sulla rinuncia alle stesse, con le conseguenze che questo comporta. Partendo da questo presupposto, è nata l’iniziativa di puntare sull’informativa ai pazienti e ai cittadini, quindi sia a chi è già entrato in cura, sia a tutti coloro che per ragioni diverse giungono in ospedale. Come Aziende Sanitarie per anni ci siamo dedicati a comunicare solo agli operatori sanitari l’importanza del consenso informato e del richiedere al paziente il rilascio”.

“Con la maggiore facilità di accesso alle informazioni sulla sanità, anche con l’avvento di Internet – chiarisce la Risk Manager – spesso le persone arrivano in Ospedale ‘già informate’ sulla loro sintomatologia, facendo spesso delle autodiagnosi. Peraltro, come è stato evidenziato dalla letteratura, più il paziente sa cosa aspettarsi dalla sua malattia e conosce gli interventi utili, maggiore è la sua predisposizione a partecipare e ad accettare le terapie e le cure. Rispetto al passato, dove il paziente accettava passivamente le decisioni del medico, le persone sono più ricettive e partecipative verso informazioni che riguardano le proprie condizioni di salute”.

Inizialmente sono state quattro le campagne di comunicazione promosse attraverso pettorine e cartelli informativi, predisposti cercando di usare un linguaggio comprensibile ai non addetti ai lavori, con l’intento di diffondere tra i cittadini: l’esistenza del consenso informato (di cui è un diritto chiedere chiarimenti qualora il linguaggio specialistico usato dai sanitari non venisse compreso); l’importanza di mantenere indosso il braccialetto identificativo (il paziente comprenderà perché si sentirà chiedere spesso di identificarsi, ma la richiesta di identificazione è una modalità per contenere il rischio di errore); infine, la necessità di avere sempre a portata di mano la lista delle medicine e la cartella clinica con tutti gli esami, per collaborare con gli operatori sanitari e ridurre il rischio di errori nella prescrizione di terapie e esami.

L’idea di predisporre poster informativi e pettorine – prosegue Mineccia – può essere considerata uno strumento semplicistico, che non sempre garantisce che vi sia stata la comprensione da parte delle persone interessate. D’altronde si deve sempre partire da un’informazione veritiera per costruire un rapporto civile”. I poster sono affissi in ogni struttura di degenza, day hospital, pronto soccorso o nelle sale d’attesa e verranno diffusi non solo in tutto l’Ospedale, ma anche sul web.

Tante le iniziative che si aggiungeranno per diffondere la corretta informazione. Sono ad esempio in programma, presso la biblioteca pubblica di recente inaugurata al San Luigi grazie alla Onlus San Luigi, incontri rivolti ai cittadini per promuovere l’importanza del loro coinvolgimento. L’obiettivo è organizzare più incontri nel 2020 per coinvolgere anche le associazioni di volontariato e quelle di rappresentanza dei cittadini.

Infine, un altro confronto è quello in programma il prossimo 27 novembre presso l’Ospedale San Luigi, in cui direttori clinici e coordinatori infermieristici si misureranno sulla Legge 219, con un bioetico, un magistrato penalista, un avvocato civilista, uno psichiatra, specialisti di patologie croniche del San Luigi, un referente delle cure palliative e un rappresentante dei cittadini.

APPROPRIATEZZA DELLA TERAPIA ANTIBIOTICA IN ASL CN1

Il metodo della doppia misurazione prima e dopo l’intervento di stewardship convalida la bontà di una pratica che ha ridotto il rischio di antibiotico resistenza migliorando l’appropriatezza e l’uso delle risorse con beneficio per il paziente e la collettività. “Un ciclo che, in buona sostanza, è di formazione e miglioramento – dice l’RM Maurizio Salvatico – e va rinfrescato, come da letteratura, dopo qualche anno, per mantenere alto il livello di guardia e coinvolgere il personale che è arrivato nel frattempo”

 

Il progetto può essere condotto in 6 mesi di lavoro da un gruppo multidisciplinare formato da un farmacista, un infettivologo, un microbiologo e un facilitatore per la patient safety (secondo quanto prescritto dalle Linee Guida della Infectious Diseases Society Of America – IDSA).

Lo ha condotto la ASL CN1 Cuneo nel reparto di Rianimazione e Terapia intensiva dell’Ospedale di Savigliano riducendo la pressione e la spesa antibiotica di un terzo e un quarto, rispettivamente tra il 2016 e il 2018. “Ciò implica – spiega il Risk Manager Maurizio Salvatico – l’aumento di appropriatezza delle prescrizioni: un traguardo dal quale derivano poi, nell’ordine, un beneficio immediato per il paziente, il contenimento, a medio lungo termine, della resistenza della flora batterica e, collateralmente, una riduzione della spesa totale. Riduzione, non razionamento per il singolo paziente. Al contrario, nel nostro caso ha significato aumentare la spesa per singola prescrizione diminuendo il numero delle prescrizioni. In una frase: spendere meno perché si spende meglio e dove/quando serve [1]”.

Vista la soddisfazione, il lavoro del gruppo di antibiotic stewardship, nella rotazione delle numerosissime strutture aziendali, ha ora interessato le medicine interne e le chirurgie, dove si è quasi terminato il ciclo, ed è appena partita l’attività in DEA-PS.

Maurizio Salvatico, Risk Manager

I risultati del progetto in Terapia Intensiva, intanto, sono stati presentati il 15 ottobre 2019 durante la Prima Giornata Regionale delle Buone pratiche per la sicurezza delle cure, organizzata dal Centro per la gestione del rischio sanitario e la sicurezza del paziente del Piemonte.

“Si tratta di un ciclo che, in buona sostanza, è di formazione e miglioramento –  afferma Maurizio Salvatico – e va rinfrescato, come da letteratura, dopo qualche anno, per mantenere alto il livello di guardia e coinvolgere il personale che è arrivato nel frattempo”.

La giornata, infatti, aveva lo scopo di mostrare, davanti ai responsabili della Qualità e Risk Management dell’intera Regione, le buone pratiche presentate da ogni singola ASL alla 12a Call di Agenas, in modo che ognuno potesse trarre spunto dal lavoro dei colleghi in Regione.

[1] Nota dell’intervistato: “Su quantità e qualità di prescrizioni e sulla spesa le variazioni sono state statisticamente significative; sugli esiti paziente e sulla variazione delle sensibilità batteriche i risultati sono molto positivi ma la P non è significativa, a causa dei piccoli numeri e di altre variabili molto influenti come il case mix e la provenienza da altri ospedali”.