CONTENZIONE MECCANICA: LA SCELTA CORAGGIOSA DELLA ASL VCO

Dal 2011 partono gli sforzi per bandirla completamente dal Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura. Ad oggi, l’Azienda di Verbano Cusio Ossola vanta un livello così basso da eguagliare le migliori esperienze europee. “Per noi non è ancora abbastanza – dice la RM Margherita Bianchi. L’obiettivo è rinunciarvi del tutto. Anche condividere i successi parziali è una buona pratica”.

Il 5% di pazienti oggetto di contenzioni meccaniche nel Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura (SPDC) dell’ASL VCO si classifica tra i più bassi in Italia e in Europa. “Eppure – spiega la Risk Manager [1] Margherita Bianchi – per noi è un insuccesso, perché il nostro vero obiettivo è di rinunciarvi del tutto”.

Cos’è la contenzione meccanica e quali sono i suoi effetti sul paziente?

“La contenzione meccanica – ovvero l’atto di contenere con dei supporti fisici le persone assistite in psichiatria nei momenti durante i quali c’è un forte rischio che arrechino danno a sé e agli altri – è stata normata fin dalla fine del XIX secolo ed è, attualmente, considerata una pratica che non rispetta la dignità dell’individuo e a forte impatto negativo sia per il paziente che la subisce che per il personale coinvolto, compreso il Responsabile del SPDC. La contenzione meccanica non è un atto terapeutico né risulta regolamentata o autorizzata sul piano legislativo. Essa deve essere praticata come misura eccezionale dettata unicamente da uno stato di necessità (art. 54 Codice Penale). È necessario tenere alta l’attenzione sulla pratica, in tutti i setting, al fine di evitare abusi e violazioni dei diritti della persona”.

Quali sono stati i risultati ottenuti dall’ASL VCO per ridurne l’utilizzo?

Dal 2013 al 2018, grazie al lavoro e all’attenzione del personale del Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura, diretto dalla Dr.ssa Ermelinda Zeppetelli, siamo passati dal 7,6% (una media di 21 pazienti su 290 ricoveri) al 5% di contenzioni al 30 giugno 2019 (7 pazienti su 140 ricoveri). Ogni paziente è contenuto in media circa tre volte e per pochissime ore durante il singolo episodio di ricovero. Un percorso iniziato nel 2011 con la validazione della prima procedura interna per la gestione della contenzione (che prevede un registro e delle schede di monitoraggio dedicate) e proseguita negli anni con il costante monitoraggio e la formazione del personale sanitario per riconoscere il rischio di violenza e attuare le strategie di de-escalation”.

“Quello che abbiamo intrapreso è un percorso impegnativo che, grazie a una buona pratica, ha consentito di tenere sotto controllo l’uso inappropriato della contenzione, a tutt’oggi molto diffusa, spesso non tracciata e quindi non rintracciabile nella documentazione sanitaria dei pazienti. L’intenzione – conclude la Dott.ssa Bianchi – è mettere a disposizione e condividere con i colleghi [2] un’esperienza che possa allargare la riflessione sulla necessità di far emergere, e quindi prevenire, situazioni di abuso, clinicamente inappropriate e fortemente rischiose”.

[1] Responsabile Governo Clinico Qualità Appropriatezza Rischio Clinico.

[2] La presentazione è avvenuta durante la 1a Giornata Regionale delle Buone pratiche per la sicurezza delle cure, svoltasi a Torino il 15 ottobre 2019, allo scopo di condividere tra i referenti della gestione del rischio delle ASL piemontesi, sotto l’egida del Centro Regionale per la gestione del rischio, le buone pratiche presentate alla 12a Call for Good Practice di Agenas.