“NON UNA PILLOLA IN PIÙ DEL NECESSARIO”

Il Progetto “Liberi dalla Contenzione” – raccontato dal Direttore della Casa Residenza Anziani (CRA) Anni Azzurri – Villa dei Ciliegi Stefano Crociani – è un esempio calzante di una filosofia di cura che parte dalla relazione umana con le persone fragili

 

“Ci sono momenti carichi di gioia personale, oltre che professionale, nell’assistenza agli anziani. Da qui mi piace iniziare: dal sorriso, dai momenti divertenti, dal calore umano e dalla carica di affetto che pervade le relazioni. Ricevere una persona ultraottantenne allettata, accompagnarla in un percorso di riabilitazione funzionale per poi vederla tornare a casa camminando è una grande soddisfazione. Ma – come spiega il Direttore Stefano Crociani – la vocazione della Residenza “Villa dei Ciliegi”, appartenente al Gruppo Kos – Anni Azzurri, è di accogliere nei suoi settanta posti letto soprattutto persone in età avanzata, parzialmente o totalmente non autosufficienti, fra i quali una parte significativa di ospiti con grave decadimento cognitivo, con demenza, con problematiche comportamentali che richiedono una specifica formazione e professionalità. È possibile effettuare ricoveri in lungodegenza o residenza temporanea, in seguito ad eventi acuti oppure a seguito di ospedalizzazioni, nonché “ricoveri di sollievo”.

“Il Gruppo Kos opera nell’assistenza e nella cura degli anziani tramite una rete di strutture residenziali attraverso la società Kos Care con il marchio Anni Azzurri; fare parte di un grande gruppo è una opportunità – spiega Crociani – perché si sviluppano sinergie e scambio di esperienze. Abbiamo la possibilità di avere il supporto competente di alte professionalità che ci consentono di pianificare la crescita e lo sviluppo di Villa dei Ciliegi in un’ottica di miglioramento continuo”.

“Se prendersi cura di una persona anziana significa sostenerla ed accompagnarla ad una buona qualità di vita, allora le cure non possono che essere individuali, costruite attorno ai bisogni assistenziali e sanitari del singolo e, ove presente, a supporto della sua famiglia. Bisogna riconoscere le sue debolezze e valorizzare i suoi punti di forza con l’obiettivo di conservare e fargli riguadagnare, quanto più possibile, la sua sfera di autonomia e di libertà”.

Un esempio che Crociani – una laurea in Pedagogia, una specializzazione in Psicosintesi e una vita spesa nel sociale alle spalle – considera particolarmente adatto a rendere l’idea è il Progetto “Liberi dalla Contenzione” che si sta realizzando con il programma di s-contenzione degli ospiti.

Villa dei Ciliegi insieme alle altre CRA del territorio aderisce a questo importante progetto promosso dalla AUSL di Bologna. “È un felice incontro tra la cultura e le esperienze maturate nelle residenze Anni Azzurri della Società Kos Care con la visione della Azienda USL di Bologna: una filosofia avanzata di assistenza che si astiene, finché possibile, dal contenere un paziente attraverso farmaci o restrizioni fisiche. «Non una pillola in più del necessario» potrebbe essere uno slogan che riassume il concetto – spiega Crociani. Ciò non significa assumere una posizione critica sui farmaci, se sono necessari a protezione del paziente. Al contrario. Il punto è capire che, quando una persona ha problematiche tali da mettere in pericolo l’incolumità propria o altrui, il contenimento se non è gestito con estrema cautela e con determinate precauzioni (nel rispetto dei protocolli previsti), può rappresentare una facile scorciatoia. Possiamo contenere o sedare il paziente ma, così facendo, rischiamo di ignorare la persona che probabilmente con quel comportamento, a modo suo, ci sta dicendo qualcosa”.

“La nostra intera filosofia, l’approccio professionale sul quale investiamo, è, invece, la personalizzazione degli interventi e delle prestazioni. Il paziente anziano, ammalato, confuso, fragile è, prima di tutto, una persona; ad essa ci rivolgiamo cercando di coniugare alta professionalità tecnica, procedure organizzative rigorose, controlli e verifiche di qualità accurate, con il punto centrale del nostro operare: la relazione con la persona”.

“In questi mesi stiamo sperimentando casi individuali dove abbiamo potuto constatare come sia realmente possibile ridurre le terapie farmacologiche (in accordo con il Medico di struttura e i familiari), introducendo contemporaneamente, in modo controllato, attività animative (individuali e di gruppo). Ecco perché la formazione del personale diventa centrale e fondamentale: formare all’ascolto, all’osservazione, alla relazione: formare gli operatori all’apprendimento di terapie non farmacologiche”.

“È un approccio – ammette Crociani – che, ovviamente, richiede molto impegno da parte di tutta la équipe: i programmi individuali sono messi a punto, monitorati costantemente dalla équipe di struttura che è composta dal Medico, dalla Responsabile Attività Sanitarie, la Responsabile Attività Assistenziali, la Animatrice e la Fisioterapista. Il servizio infermieristico (veramente di alta qualità professionale) è attivo h24 e gli operatori socio-assistenziali Oss costituiscono un fattore essenziale nell’economia del funzionamento e per la realizzazione della qualità complessiva del Servizio. Gli Oss, in particolare, svolgono un mestiere non sufficientemente valorizzato; personalmente ho la fortuna di avere incontrato a Villa dei Ciliegi un gruppo di operatori competenti e professionali; gli sono molto grato per l’impegno e la dedizione con cui si applicano ogni giorno, con affetto, alla cura dei nostri ospiti”.

Neppure è possibile dimenticare, per il buon funzionamento di una residenza, i servizi alberghieri, dalle pulizie alla cucina: abbiamo una cucina interna di qualità e questo è motivo di orgoglio e soddisfazione. Basti pensare all’importanza che costituisce il momento del pasto, in particolare per una persona anziana, per il proprio piacere e per la propria salute: avere una cucina interna con personale professionale e preparato è un valore aggiunto, per l’ospite e i suoi familiari”.

“Da parte mia – conclude il Direttore Crociani – è sempre un piacere quando, fra una incombenza quotidiana e l’altra, posso trascorrere un poco di tempo con i nostri ospiti, perché fra un racconto e l’altro, c’è sempre spazio e voglia di chiacchierare e per ridere insieme”.

 

Anni Azzurri e Villa dei Ciliegi si presentano:

Le Residenze Anni Azzurri offrono ambienti accoglienti in cui vivere, interagire e ricevere visite, perché la terza età sia un periodo sereno. L’impegno costante del personale è, infatti, quello di far sentire ogni ospite a casa propria, per quanto possibile. La qualità del soggiorno che tutte le residenze offrono è monitorata costantemente secondo procedure applicate all’intera rete di accoglienza e presa in carico degli ospiti, con l’obiettivo di mantenere standard di servizio ad alti livelli per la piena soddisfazione delle attese.  Il sorriso e il clima familiare rappresentano il tratto caratteristico del soggiorno nelle residenze Anni Azzurri, come “metodo terapeutico” che rafforza l’efficacia dell’assistenza medica specialistica e delle più attuali tecniche di riabilitazione e stimolazione cognitiva. La Residenza Villa dei Ciliegi fa parte della rete dei Servizi territoriali della Azienda USL del Distretto di Casalecchio di Reno e opera in stretta collaborazione con il Comune Valsamoggia. Grazie alla collocazione nel verde della campagna, ai piedi delle colline bolognesi della località Monteveglio, la struttura si presenta gradevole e accogliente. Kos Care ha pianificato azioni tese al miglioramento dell’organizzazione interna, della sicurezza, nell’uso degli spazi esistenti, investendo importanti risorse economiche anche nell’acquisto di nuovi ausili, arredi e attrezzature. Nei prossimi mesi si realizzerà una prima ristrutturazione interna, per migliorare gli spazi a disposizione; contemporaneamente stiamo mettendo a punto un progetto di ampliamento della struttura che ci potrà consentire una maggiore capacità ricettiva del servizio. Il territorio potrà così beneficiare di una migliore possibilità di risposta ai bisogni dei cittadini.

Fonte: Gruppo Kos

 L’INNOVAZIONE DEL PRIMARY NURSING

Partirà a breve presso l’AOU “Maggiore della Carità” di Novara il primo studio multicentrico italiano sulla valutazione dell’impatto del Primary Nursing, una nuova modalità organizzativa dell’assistenza che prevede l’introduzione della figura dell’infermiere Primary all’interno di ospedali e strutture sanitarie di alcune regioni del nord Italia

 

Lo scorso 27 maggio 2019 all’Università del Piemonte Orientale (UPO), sede di Novara, si è concluso per 27 studenti il primo Corso di Perfezionamento per Infermieri Formatori in Primary Nursing.

Gli studenti sono stati formati allo scopo di collaborare con i direttori e i dirigenti delle Professioni Sanitarie delle proprie aziende al fine di adottare, in alcune specifiche aree assistenziali, il modello di cura Primary Nursing.

Il corso era stato progettato grazie alla partnership tra Scuola di Medicina dell’Università del Piemonte Orientale, Centro Studi Professioni Sanitarie (CESPI) di Torino, rappresentato dalla Dott.ssa Maddalena Galizio, che da anni è promotrice e sostenitrice a livello nazionale della diffusione del Primary Nursing, e con l’ASL di Biella che ha messo a disposizione sia i suoi servizi, sia il know how acquisito in questi ultimi anni proprio grazie a un progetto – sostenuto da Cespi – di implementazione in tutta l’Azienda di tale modalità organizzativa dell’assistenza.

“È rilevante sottolineare — spiega il direttore del corso di perfezionamento UPO, Professor Alberto Dal Molin — che gli infermieri hanno partecipato al corso su mandato delle loro Direzioni che hanno deciso di impegnarsi nel progetto. Il corso di perfezionamento universitario come base sia per la realizzazione intra-aziendale del Primary Nursing, sia come attivatore di una rete regionale che potrà determinare un reale valore aggiunto alla cultura organizzativa in termini di confronto, di sperimentazione e di ricerca”

Che cos’è il Primary Nursing

Il Primary Nursing è una modalità di organizzazione dell’assistenza infermieristica che si è sviluppata negli Stati Uniti a partire dagli anni settanta con l’intento di sostituire l’attività infermieristica di équipe o funzionale (per compiti) al fine di migliorare sia la qualità della cura che il livello professionale degli infermieri stessi. In questa modalità il paziente è affidato ad un unico infermiere (infermiere referente/di riferimento o infermiere Primary) che ha la responsabilità di pianificare l’assistenza per tutta la durata del suo ricovero.

Il Primary Nursing si focalizza sulla relazione infermiere-paziente e facilita la partecipazione del paziente e della sua famiglia alla pianificazione degli interventi creando, così, un rapporto di partnership terapeutica, anziché di relazione gerarchica. L’infermiere referente identifica i bisogni della persona; concorda il piano assistenziale e lo valuta; fornisce assistenza diretta e rende fruibile il piano degli interventi agli altri membri del team. In assenza dell’infermiere referente, l’infermiere associato garantisce l’esecuzione del piano assistenziale programmato, modificandolo solo quando le condizioni della persona assistita giustificano un cambiamento. Gli infermieri associati sono assegnati con la massima coerenza possibile per garantire la continuità assistenziale e ridurre il numero di professionisti sanitari dedicati paziente.

Università del Piemonte Orientale (UPO), sede di Novara

Perché è importante valutare l’impatto di questa modalità organizzativa

I risultati di un recente studio condotto dalla Direzione delle Professioni Sanitarie di Biella, diretta dalla Dott.ssa Antonella Croso, in collaborazione con il CESPI, sembrano indicare un effetto positivo sia sugli esiti clinici dei pazienti, sia sugli outcome organizzativi e relativi allo staff. Tuttavia, nonostante questi risultati siano incoraggianti, è necessario documentare in modo più analitico i benefici derivanti dall’introduzione di questo modello, soprattutto in termini di esiti sulla persona assistita come, ad esempio, infezioni, cadute, lesioni da pressione e complicanze. Per questo motivo, un gruppo di ricerca coordinato dall’Università del Piemonte Orientale, con il coinvolgimento del Direttore delle Professioni Sanitarie dell’AOU di Novara Dott.ssa Cristina Torgano come capofila, condurrà uno studio multicentrico per valutare l’impatto che l’introduzione di tale modalità organizzativa avrà all’interno delle singole aziende in cui verrà adottato. Dal benchmarking della sperimentazione interaziendale potranno scaturire dati interessanti per il confronto tra le esperienze applicative del modello, garantendo un processo di miglioramento dell’assistenza globale al paziente.

APPARENTEMENTE SANI: ESITO DI UNO SCREENING

L’esperienza nel territorio dell’ASST Lariana del Truck Tour Banca del Cuore 2019: le visite cardiologiche scoprono i malati che non sapevano di esserlo

 

273 persone visitate in tre giorni: 156 donne e 117 uomini, un’età media di 65 anni per gli uomini e di 62 per le donne. Sono i numeri che hanno caratterizzato, nella penultima settimana di luglio, la tappa a Como del progetto nazionale di prevenzione cardiovascolare “Truck Tour Banca del Cuore 2019” promosso dalla Fondazione per il tuo cuore – Hcf onlus dell’Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri.

Ad assistere i cittadini che si sono presentati in piazza Cavour per sottoporsi allo screening cardiologico gratuito, c’erano anche i medici e gli infermieri del reparto di Cardiologia dell’ASST Lariana. “Abbiamo visitato soprattutto comaschi – spiega il primario Carlo Campana – qualche canturino, diverse persone dei paesi limitrofi e anche qualche milanese. Grazie ai controlli abbiamo intercettato alcuni pazienti, apparentemente in buona salute, i cui esami, però hanno evidenziato una situazione clinica anomala con ipertensione associata ad un diabete mellito scompensato. Durante la visita hanno ammesso di provare più sete e di aver riscontrato un certo calo ponderale ma, essendo tutti sintomi senza un franco malessere, non li avevano associati ad alcuna malattia e non ne avevano parlato con il proprio medico”.

“Queste iniziative hanno un ruolo sociale notevole – aggiunge Campana – sia sotto il profilo della prevenzione primaria, che punta ad evitare che la malattia insorga, che di quella secondaria, che punta ad un appropriato controllo dei fattori di rischio e a un miglioramento prognostico di chi è già cardiopatico. Già a partire dai cinquant’anni bisogna entrare nell’ottica di un’attenta prevenzione rispetto ai rischi cardio-vascolari e spesso ad alcuni cambiamenti non prestiamo la giusta attenzione”.

Truck Tour Banca del Cuore 2019

Il reparto di Cardiologia dell’ASST Lariana può contare su un’attività ambulatoriale, articolata in prevalenza su attività di secondo livello e a cui possono pertanto rivolgersi anche pazienti già valutati presso le attività di cardiologia specialistica territoriale. Tra le attività ricordiamo, ad esempio, l’ambulatorio della cardiopatia ischemica, dello scompenso cardiaco, delle aritmie e dell’ipertensione polmonare, attività cui i cittadini possono accedere previo rilascio della prescrizione da parte del medico di base.

Nel dettaglio:

Nella tre giorni comasca sono stati offerti gratuitamente uno screening di prevenzione cardiovascolare comprensivo di esame elettrocardiografico e screening aritmico; una stampa dell’elettrocardiogramma con tutti i valori pressori e anamnestici presenti su BancomHeart; lo screening metabolico con il rilievo (estemporaneo) di 9 parametri metabolici con una sola goccia di sangue: Colesterolo Totale, Trigliceridi, Colesterolo HDL, Rapporto Colesterolo HDL / LDL, Colesterolo LDL, Colesterolo non HDL, Glicemia, Emoglobina glicata e Uricemia; la stampa del profilo glicidico, lipidico, uricemico e del proprio rischio cardiovascolare; la consegna del kit di 11 opuscoli di prevenzione cardiovascolare realizzati dalla Fondazione per il Tuo cuore e il rilascio gratuito della card BancomHeart (una card che permette l’accesso 24 ore su 24 al proprio elettrocardiogramma, ai valori della pressione arteriosa, alle patologie sofferte, alle terapie assunte, agli stili di vita praticati e a tutti gli esami cardiologici e di laboratorio eseguiti e i cui dati possono essere messi a disposizione in caso di ricovero).

AGGREDIRE IL SINISTRO: UN NUOVO RUOLO DELL’INCIDENT REPORTING AL GEMELLI

Al Policlinico Gemelli l’integrazione tra Gestione del Rischio e Gestione del Sinistro assume una nuova valenza: affrontare l’evento avverso prima del claim. Una pratica che tende a dimezzare l’importo degli indennizzi, riduce la pressione sugli operatori e favorisce la comprensione tra le parti. Un circolo di sostenibilità, comprensione e perdono che parte dalla cultura della segnalazione e dal superamento della logica della colpa

 

Giuseppe Vetrugno, Professore Associato di Medicina Legale presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, è il Risk Manager della Fondazione Policlinico Gemelli di Roma. La sua struttura operativa abbraccia sia la Gestione del Rischio Clinico che la Gestione del Rischio Assicurativo. “Questo significa che ci occupiamo sia di Risk Management tradizionalmente inteso che di gestione dei sinistri e del contenzioso. Non si tratta di un affiancamento senza precedenti: di prassi, anzi, la gestione dei sinistri è uno strumento di gestione del rischio reattivo, ovvero studia gli eventi avversi che si sono tradotti in contenzioso per capire come ridurne portata e incidenza. Al Gemelli, però, abbiamo fatto un passo in più. Per quanto il termine posso essere un po’ abusato ultimamente, la definizione di gestione dei sinistri proattiva si adatta a quello che facciamo: aggrediamo il sinistro grazie ad una forte cultura di segnalazione interna”.

Non aspettiamo più il claim – ovvero la richiesta di risarcimento – ma riceviamo la segnalazione dal nostro reparto dell’evento avverso e, valutatane la portata e stimatane la possibile evoluzione verso un contenzioso quasi certo, entro una settimana dalla segnalazione, sviluppiamo una strategia e contattiamo il paziente per riconoscere il danno e chiudere il contenzioso prima ancora che nasca”.

“Può apparire una strategia molto aggressiva, detta a parole, ma, nella pratica, si sta dimostrando, almeno nel nostro caso, la migliore dal punto di vista della sensibilità e del dolore personale nonché, di gran lunga, la più sostenibile dal punto di vista finanziario”.

Il succo del ragionamento – spiega il Risk Manager – è che i contenziosi chiusi prima dei 18 mesi costano meno di quelli chiusi in 24 o 36. E costano molto, molto meno, dei risarcimenti decisi per sentenza del tribunale. La nostra casistica ovviamente rappresenta solo uno spicchio di una realtà, quale quella del contenzioso per responsabilità professionale, che è assai più ampia e varia, ma, dai dati in nostro possesso, il risparmio si situa attorno alla metà. Da tempo ormai, seguendo questa strategia, i risarcimenti erogati si collocano all’interno dei fondi allocati in previsione e, con il passare del tempo, la stima delle riserve si è fatta sempre più raffinata e prossima al valore di quello che poi verrà ad essere realmente risarcito”.

“Il lato della spesa – poi – non è neppure il più importante. Chiudere i contenziosi riduce un danno ben maggiore: quello di immagine. Il danno di immagine, a sua volta, agisce a cascata sulla sicurezza dei pazienti, perché può indurre questi ultimi ad evitare centri specialistici di elevato profilo, ma colpiti mediaticamente dalla risonanza negativa di un evento avverso: eppure sono proprio quei centri che, per i grandi numeri di interventi che eseguono annualmente, sono più sicuri a dispetto di quei pochissimi eventi avversi che, statisticamente, sono pressoché inevitabili”.

“Anche la sofferenza umana conta nel ragionamento, sia quella del paziente o dei suoi familiari, sia quella del personale sanitario. È il sanitario, infatti, la seconda vittima del sinistro. Aggredire il sinistro con una strategia che chiude il contenzioso significa chiudere con la logica della colpa e sollevare il personale dal peso dell’incertezza e delle vicende che si trascinano per mesi. Centrale, in questa dinamica e nell’intero processo di segnalazione interna che permette di affrontare il danno in maniera tempestiva, è la fiducia della persona. È il personale – spiega Vetrugno – che segnala gli eventi avversi e, per farlo, deve sapere che la struttura sanitaria utilizza le sue segnalazioni non per colpevolizzarlo, ma per proteggerlo. Con questo messaggio la Fondazione Policlinico Gemelli ha rinunciato, già nel 2016, al diritto di rivalsa nei confronti dei suoi dipendenti e collaboratori assumendosi la piena responsabilità di quanto avviene tra le sue mura (vedi precedente approfondimento su Sanità 360° ndr). Anche nel caso di danno al paziente si applica questa filosofia dell’incident reporting: non cerchiamo colpe ma occasioni di miglioramento/azioni riparative. Recentemente abbiamo anche avviato un coinvolgimento del servizio psicologico a sostegno degli operatori che abbiano sperimentato il trauma di un incidente”.

Infine, centrale è la dignità sia del paziente che dei familiari. Riconoscere il danno, assumersi la responsabilità come struttura sanitaria, offrire quello che non è – e non può essere – un risarcimento, ma che è, più propriamente, un indennizzo, aiuta ad affrontare il dispiacere o il dolore. Diventa una giusta consolazione. Non è la formula di una sicura riconciliazione, però, senz’altro avvicina le parti anche a livello emotivo. È, al tempo stesso, un’ammissione e un’occasione di comprensione che, speriamo, possa diventare anche di superamento del dolore rivendicativo e di approdo alla dimensione cristiana del perdono. Sono convinto che anche per chi ha subito un danno e per i suoi familiari, nel complesso sia meglio chiudere il contenzioso subito, evitando che la vicenda si trascini per anni, con le inevitabili amarezze che un lungo procedimento comporta. Anche qui non si può annullare il lutto o il danno, ma si può togliere un peso aggiuntivo e, sostanzialmente, inutile e controproducente per tutti quelli coinvolti”.

 

RISARCIMENTO SINISTRI: UNA POSIZIONE CORAGGIOSA

In questo numero di Sanità 360° la prassi del Gemelli rappresenta una scelta che può essere di spunto all’intero mondo della sanità

Nella bella e concisa intervista di Giuseppe Vetrugno – Professore Associato di Medicina Legale presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore e Risk Manager della Fondazione Policlinico Gemelli di Roma – si presenta una strategia molto netta di “aggressione del sinistro”. Una strategia, cioè, che punta a chiudere il contenzioso prima ancora che insorga attraverso una politica molto decisa di risarcimenti concepita per ridurre sia i costi, sia il peso emotivo sul personale medico, sulla vittima del danno e i suoi familiari.

È un caso studio che invitiamo tutti i nostri lettori ad approfondire: pensiamo che sia una pratica buona se non altro per il fatto che alza in maniera coraggiosa il livello e la qualità del dibattito e porta ogni attore nel mondo della responsabilità civile in sanità a rispecchiarsi in essa e riflettere sul confronto.

Ma, per quanto significativo, non è l’unico tema che affrontiamo in questo numero. Nelle notizie anche l’esito di una tre giorni di screening cardiologico “mobile” nel territorio della ASST Lariana; il progetto di Primary Nursing all’Università del Piemonte Orientale e l’esperienza della Casa Residenza Anziani Anni Azzurri – Villa dei Ciliegi nel ridurre la contenzione fisica e farmacologica nei casi di aggressività e demenza senile.

Buona lettura

 

Roberto Ravinale

Direttore Esecutivo di SHAM in Italia

PUBBLICO E PRIVATO SULLO STESSO PIANO GRAZIE AL PREMIO SHAM

Per la prima volta tre grandi associazioni della sanità, sia pubblica che privata, concedono il proprio patrocinio al Premio Sham per la prevenzione dei rischi. Strutture private con AIOP, senza fine di lucro con ARIS e ASL pubbliche con FEDERSANITÀ partecipano assieme per promuovere i progetti che rendono le cure più sicure

 

Formalizzato il patrocinio dell’Associazione Italiana Ospedalità Privata (AIOP) alla IV edizione del ‘Premio SHAM per prevenzione dei rischi’, un’iniziativa unica in Italia che ha come scopo promuovere, conoscere e premiare economicamente i progetti sanitari che rendono le cure più sicure. Caso unico in Italia è, anche, l’incontro e il confronto di progetti pubblici e privati dedicati alla prevenzione e al miglioramento di qualità e gestione del rischio.

“Queste – inizia Roberto Ravinale, Direttore esecutivo di SHAM in Italia – sono state, fin dall’inizio, le finalità del Premio: diffondere la cultura della prevenzione, far conoscere e replicare a livello nazionale le migliori pratiche locali; restituire a livello mediatico un’immagine veritiera dell’ecosistema sanitario italiano che, quotidianamente, investe in sicurezza e prevenzione”.

“Sono valori che sposiamo in pieno, rispetto ai quali siamo felici di contribuire sensibilizzando i nostri associati a partecipare al Premio Sham 2019 –  spiega Filippo Leonardi, Direttore della Sede nazionale AIOP. Dal punto di vista della sicurezza del paziente, pubblico e privato devono divenire intercambiabili. I pazienti sono gli stessi; ma sulla qualità delle cure bisogna fare a gara per dare il meglio, sia dal punto di vista tecnologico che organizzativo. Come Associazione siamo fortemente impegnati nel favorire e promuovere il confronto e il miglioramento nella cultura e nella pratica della gestione del rischio”.

Negli ultimi tre anni il Premio ha ricevuto, raccontato e promosso oltre 100 progetti da tutta Italia. Nel 2019 e per la prima volta, il Premio accoglierà progetti provenienti dall’intero ecosistema della sanità italiana: strutture pubbliche – con il patrocinio di FEDERSANITÀ-ANCI; private no profit – con il patrocinio di ARIS; e private con il patrocinio di AIOP.

“La sicurezza è un ottimo comun denominatore per la sanità italiana – conclude Ravinale di SHAM. Pubblico, Privato e Privato no Profit devono potersi incontrare e spesso, al fine di sviluppare una gestione del rischio omogenea e uniforme. Contribuire a diffondere questa cultura della sicurezza condivisa e le buone pratiche che l’accompagnano è uno degli obiettivi fondativi di SHAM: una Mutua che, da oltre 90 anni, non si limita ad assicurare il rischio ma promuove percorsi di miglioramento all’interno delle strutture sanitarie con conoscenze specializzate e iniziative aperte a tutti gli attori sanitari, indipendentemente dall’essere essi nostri associati o meno”.

Il premio SHAM è una di queste iniziative e, anche quest’anno, una speciale commissione di Risk Manager sceglierà tre progetti vincitori assegnando i premi di 6mila euro che verranno reinvestiti in prevenzione. La premiazione avverrà durante Forum Risk Management Sanità a Firenze tra il 26 e il 29 novembre 2019.

 

LA SICUREZZA COME DRIVER DI CAMBIAMENTO

Dubai 2020: pianificato il confronto sulle esperienze delle strutture sanitarie dell’aria mediorientale che hanno aumentato la sicurezza delle cure per ridurre il contenzioso medico legale e aumentare la qualità assistenziale. Lo promuoverà l’Associazione Scientifica Hospital & Clinical Risk Managers (HCRM)

 

“I Paesi dell’area mediorientale non hanno sistemi sanitari pubblici performanti. Le principali reti assistenziali risultano essere private e comunque molte strutture sanitarie sono accreditate all’eccellenza. Proprio il fatto che sia un sistema semplice e relativamente omogeneo, però, lo rende facile da studiare e ci permette di focalizzarci su alcune dinamiche specifiche, capirle e considerare l’eventuale riproducibilità anche in Italia. Il rapporto tra sicurezza delle cure e assicurazione è una di queste dinamiche e sarà quella che affronteremo, con il Patrocinio del Ministero della Salute, in un workshop a Dubai 2020″. Alberto Firenze, Assistant Professor all’Università di Palermo e Presidente dellAssociazione Scientifica Hospital & Clinical Risk Managers (HCRM).

Uno degli scopi della società scientifica è il confronto e la contaminazione con altre realtà, vedere cosa funziona nei sistemi sanitari degli altri Paesi e valutare se si possa importare in Italia o in Europa. Vedere il resto del mondo come una carta geografica divisa tra paesi sviluppati o in via di sviluppo è, infatti, riduttivo e limitante. “La sanità è composta da infiniti processi ed è ragionevole aspettarsi che diversi Paesi sviluppino alcuni processi in maniera migliore di quanto abbiamo fatto noi. Un esempio potrebbe essere il Kazakistan che negli ultimi anni sta investendo molto per migliorare la portata e l’efficienza delle cure ai cittadini. Certamente, la sua sanità non può ancora paragonarsi a quella europea ma in un campo, però, ci superano. Hanno messo a punto un sistema per la valutazione delle tecnologie sanitarie che altri paesi, anche europei, dovrebbero importare. Nel nostro Paese, infatti, si compra la tecnologia che costa meno sul momento senza pensare che, per diversi motivi che vanno dalle mancate diagnosi ai risarcimenti, con il passare del tempo i costi potrebbero essere superiori. In altre parti del mondo, invece, fanno il contrario: si chiedono cosa comprare al fine di avere una resa migliore in termini di salute sul lungo periodo”. Applicano cioè a pieno l’HTA (Health Technology Assessment).

 

“Il caso altresì di alcuni Paesi anche dell’area mediorientale. C’è una fortissima ricerca della sicurezza delle cure e prevenzione dei sinistri. Questa ricerca è guidata da un interesse altrettanto forte: più una struttura sanitaria investe in gestione del rischio clinico, maggiore è il cambiamento che si realizza, anche attraverso una maggiore performance in ambito di contenzioso. E non è una semplice dinamica che si risolve nell’ambito del rapporto tra struttura, paziente ed assicurazioni. Difatti anche i premi delle polizze dei professionisti sanitari che operano in una struttura virtuosa diventano meno care di conseguenza”.

“Stiamo raccogliendo ancora diversi dati in vista dell’appuntamento di Dubai del 2020 ma la tendenza di fondo che emerge confrontando dati sia italiani che di altri Paesi dell’area mediorientale  e comunque del bacino del mediterraneo, è chiara: da una parte lo studio del contenzioso con coperture assicurative per le strutture sanitarie può essere un driver di sicurezza e, sul lungo periodo, di risparmio. Dall’altro, l’autoassicurazione comporta spese maggiori, nessun beneficio in sicurezza e rimborsi più lenti per chi ha subito un danno”.

Appuntamento intermedio sarà a Napoli il 4 e 5 novembre 2019 per raccogliere testimonianze e pareri sul workshop di Dubai a margine dell’HACKATHON ICA, dedicato al contenimento delle Infezioni Correlate all’Assistenza che si svilupperà in quella sede.

FONDAZIONE CAMPLANI: LA SICUREZZA UNISCE PUBBLICO E PRIVATO

La mappatura del percorso del farmaco con il metodo Carto Risk nei presidi di Brescia, Mantova e Cremona è una tappa di un costante processo di miglioramento interno alla Fondazione sanitaria senza fine di lucro; ma è, anche, il segno di una tendenza di lungo corso in Lombardia: uniformare Qualità e Risk Management tra privato non-profit e sanità pubblica

 

Nel giugno 2019 è stata completata la mappatura del rischio a priori del percorso del farmaco nei tre presidi di Brescia, Mantova e Cremona della Fondazione Teresa Camplani. La Fondazione è una realtà sanitaria senza scopo di lucro promossa dalla Congregazione delle Suore Ancelle della Carità di Brescia e attiva dal 2013. I servizi erogati si incentrano sulla riabilitazione specialistica, ma includono anche attività di chirurgia Ortopedica e Generale, nonché alcuni posti letto di Cure Palliative.

“L’applicazione del metodo Carto Risk SHAM – spiegano il Direttore Sanitario e Risk Manager Pier Vincenzo Storti e la Responsabile Affari Generali e Legali Gaia Camerini – ha permesso di analizzare l’intero processo riunendo, in un gruppo di lavoro, sia i farmacisti che i diversi ruoli sanitari coinvolti nella somministrazione dei farmaci. In questo modo abbiamo colto spunti e occasioni di miglioramento che, con un approccio meno coinvolgente e multidisciplinare, non sarebbero probabilmente emersi”.

Carto Risk è, infatti, uno strumento di mappatura del rischio a priori perfezionato dalla Mutua SHAM e considerato, da diversi addetti ai lavori intervistati da Sanità 360°, tra i più efficienti e concreti a disposizione dei Risk Manager e operatori sanitari. Uno strumento che, sulla scorta di un référentielle specifico, permette agli operatori stessi di stimare il rischio e le misure di miglioramento necessarie ai processi sanitari che erogano quotidianamente.

“Ad esempio – spiega il Dottor Storti – la mappatura ci ha permesso di confrontare le attività di tre presidi distinti, ognuno con la sua storia e peculiarità, riscontrando sia l’efficacia di alcune misure precedentemente introdotte, sia l’opportunità di creare un coordinamento centrale tra i diversi servizi di Farmacia: un obiettivo al quale ci dedicheremo nei prossimi mesi”.

“La Fondazione è giovane – sottolinea Gaia Camerini – ma si è impegnata fin dall’origine per continuare ad aggiornare i protocolli e le misure organizzative che migliorano la sicurezza, a partire dalla cartella clinica elettronica. Questo risultato è possibile anche grazie alla strettissima vicinanza tra il team di lavoro del Risk Management, quello degli affari legali e il gruppo dedicato al monitoraggio e implementazione della qualità”.

“Ci caliamo – conclude Storti – in un costante processo di miglioramento interno che, però, non è isolato ma si riflette in un cambiamento del rapporto tra pubblico e privato in Lombardia. Ho lavorato a lungo nella Sanità pubblica e ricordo l’assenza di un confronto e di un coordinamento tra i due mondi. Oggi è diverso: ci si parla e ci si incontra con una certa regolarità. Il che è un ottimo segnale perché permette al privato di accedere al grande bacino di esperienza del pubblico nell’ambito della gestione del rischio e crescere, conseguentemente, con maggiore velocità nella cultura e nella prassi della sicurezza. Mi pare che ci sia una tendenza di fondo ad uniformare il livello di qualità tra i due ambiti sanitari, superando la distinzione di natura giuridica e concentrandosi sulla finalità della funzione. Ciò significa che, per quanto riguarda la persona assistita, pubblico e privato devono aspirare ad essere intercambiabili perché la qualità delle cure è – e deve essere – un denominatore comune e irrinunciabile per l’intero ecosistema sanitario”.

 

FONDAZIONE GEMELLI: LA FIDUCIA DEGLI OPERATORI È FATTORE DI PREVENZIONE

I sanitari seguono le procedure che contribuiscono a creare”. La strategia, le parole chiave e i casi studio della Fondazione Policlinico Gemelli di Roma per superare la logica della colpa e far abbracciare al personale l’Incident reporting come cultura e prassi quotidiana

 

“Le procedure di sicurezza devono essere pezzi di pratica molto prima che pezzi di carta”. Così Giuseppe Vetrugno, Risk Manager della Fondazione Policlinico Gemelli e Professore Associato di Medicina Legale presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore. Gli operatori sanitari devono venir coinvolti durante il disegno e in fase di stesura e devono ricevere riscontri tempestivi nella loro implementazione. Per far questo abbiamo bisogno di creare un clima di fiducia, fiducia che è la prima parola chiave all’interno della gestione del rischio. Sappiamo, infatti, che la segnalazione dell’evento avverso è fondamentale per affrontare il rischio clinico. Solo le segnalazioni del personale possono offrire i dati certi sui quali basare le azioni di miglioramento. Il personale, però, deve avere la certezza di essere tutelato dalla struttura, se vogliamo che riporti senza paura o ritrosie gli eventi avversi”.

Per ottenere questa fiducia, già nel 2016 – cioè ancor prima che la Legge 24 venisse promulgata – la Fondazione Gemelli ha rinunciato formalmente al diritto di rivalsa nei confronti dei suoi dipendenti e dei suoi collaboratori. “Di fatto – spiega Vetrugno – è come se la Fondazione dicesse ai propri dipendenti esercenti le professioni sanitarie: «Voi preoccupatevi solo di dare il meglio; se qualcosa va storto la responsabilità l’assume la struttura. Voi siete tutelati comunque». È stata una buona intuizione – prosegue il risk manager – perché dal punto di vista economico, con l’attuale assetto normativo, la rivalsa non conviene neppure, mentre, dal punto di vista della fiducia, la rinuncia a rifarsi sui dipendenti in caso di sinistro crea una grande effetto motivazionale. Le persone che lavorano si sentono e sono protette”.

La fiducia, però, non è l’unico ingrediente necessario. “Segnalare eventi avversi urta, spesso, la sensibilità dei professionisti e, non di rado, ferisce l’orgoglio. Medici, infermieri e tecnici sanitari devono capire perché è necessario farlo; devono entrare nei meccanismi della gestione del rischio guardandoli dall’interno”. Per far sì che questo proposito non rimanga lettera morta si devono tenere a mente altre due parole chiave: il tempo e la formazione.

Al Gemelli ci assicuriamo di rispondere ad ogni segnalazione nell’arco delle 48 ore. Ed è molto importante che ciò avvenga. I sanitari devono avere il riscontro delle loro azioni; vedere che quello che viene mandato dalla periferia trova una risposta immediata nel centro.  Dare una risposta veloce è un modo di riconoscere il contributo del singolo nel progresso generale delle sicurezze. Un altro è coinvolgere direttamente gli operatori sanitari nella stesura delle procedure di sicurezza. Un lavoro difficile che diventa, di fatto, una grande opera di formazione capillare a piccoli gruppi di operatori per volta che, confrontandosi sul rischio, offrono soluzioni che possono essere adottate dall’intera struttura”.

Nella storia recente del Policlinico Gemelli ci sono diversi casi studio che provano come si può applicare in pratica questa teoria.

Il primo caso riguarda il trattamento dei pazienti ricoverati al Gemelli che manifestino, oltre alla malattia che è all’origine del ricovero, anche una patologia psichiatrica. I nostri psichiatri ambulatoriali hanno contribuito a realizzare una procedura che, oltre a migliorare l’offerta assistenziale per questa tipologia di pazienti quando degenti presso un Policlinico non direttamente collegato ad un SPDC, ha posto le premesse per un’integrazione concreta tra Policlinico e gli SPDC del territorio, che, già per alcune realtà, si è tradotta in una prassi di ottimizzazione dei trasferimenti di pazienti tra Presidi dotati di SPDC e Gemelli e viceversa, a seconda delle esigenze dei pazienti.

Il secondo caso nasce dall’aumentata sensibilità degli infermieri sul tema delle cadute stimolata dalle segnalazioni che ha suggerito loro di estendere la portata dall’educazione sanitaria per la prevenzione delle cadute ospedaliere anche in ambito ambulatoriale, promuovendo la realizzazione di una informativa mirata ai pazienti che tornano a casa contenente piccoli suggerimenti comportamentali da mantenere a domicilio per limitare  il rischio cadute anche oltre le mura della struttura sanitaria. Questo contributo del personale, del resto, non è stato un caso isolato e improvviso, ma il risultato di un percorso. Già prima, infatti, il Gemelli non si era accontentato del formalismo ‘difensivo’ delle procedure cartacee ma aveva provato a sviluppare, con il personale dei reparti, una serie di azioni pratiche: dalla riduzione dell’altezza dei letti al contenimento del tempo di attesa tra la chiamata e l’arrivo dell’infermiere per alzarsi dal letto. Sempre con gli infermieri abbiamo verificato “sul campo”, durante i turni notturni, l’applicazione e l’applicabilità degli accorgimenti e siamo stati premiati con una riduzione dell’entità delle cadute in determinate fasce orarie. Un risultato che ha ulteriormente incoraggiato il personale a fare segnalazioni e suggerimenti per contribuire al miglioramento della sicurezza.

Anche il terzo caso nasce da una segnalazione di evento avverso che ha portato al disegno sperimentale di introduzione di due addetti alla riabilitazione motoria e respiratoria in terapia intensiva. Il razionale che sostiene la sperimentazione è la previsione che, grazie ad una riabilitazione precoce, si potrà ridurre il tempo di degenza, migliorare il recupero del paziente e limitare il rischio di contrarre infezioni.

Un ulteriore disegno sperimentale prevede la prossima introduzione di un sistema di ripresa audio-video in una sala operatoria, grazie al quale sarà possibile per l’equipe rivedersi in azione, valutare la coordinazione tra i membri e, ove possibile, migliorare l’omogeneità delle azioni, e anche di un sistema di ripresa audio-video dei colloqui informativi funzionali all’acquisizione dei consensi informati ai piani di cura in una specifica unità operativa.

“Esiste un minimo comun denominatore di tutti questi esempio – conclude Vetrugno – ed è l’attenzione all’unicità delle persone. Non esistono interventi di Risk Management preconfezionati. Se vogliamo sviluppare una procedura che funzioni, dobbiamo partire sempre dalle persone che saranno chiamate a farla funzionare: dalla storia, dalle loro opinioni, dalla loro fiducia in quello che stanno facendo”.

 

 

PUBBLICO E PRIVATO SI INCONTRANO ALL’INSEGNA DELLA SICUREZZA GRAZIE AL PREMIO SHAM

Per la prima volta in Italia un unico appuntamento per confrontare la gestione del rischio nell’intero ecosistema sanitario

 

In questo numero diamo l’annuncio di un’importante meta raggiunta dal Premio Sham. Per la prima volta in Italia, infatti, strutture sanitarie private, private – no profit e pubbliche partecipano ad un unico concorso per confrontare le pratiche legate alla sicurezza delle cure e alla gestione del rischio. Con il patrocinio, rispettivamente di AIOP[1], ARIS[2] e, per il quarto anno consecutivo, di FEDERSANITÀ ANCI,  il Premio Sham è arrivato ad accogliere progetti di prevenzione  che permettono all’intero ecosistema sanitario italiano di confrontarsi sui temi della sicurezza e della prevenzione.

Sempre aperto a tutti gli attori della sanità è anche lo scambio di esperienze su Sanità 360°. In questo numero ne ospitiamo ben tre, ognuna molto interessante. La prima è l’intervista a  Giuseppe Vetrugno, Risk Manager della Fondazione Policlinico Gemelli, incentrata sul rapporto tra fiducia del personale sanitario, partecipazione nella stesura delle procedure e conseguente incremento nella sicurezza.

Il secondo contributo viene dalla Fondazione Teresa Camplani e racconta come, nell’implementazione della Mappatura Carto Risk, sia emerso l’importanza di far lavorare fianco a fianco i team del Risk Management e della Qualità.

Infine, anticipiamo una importante ricerca che Alberto Firenze, Assistant Professor all’Università di Palermo – e presidente dellAssociazione Scientifica Hospital & Clinical Risk Managers (HCRM) – sta realizzando con l’intento di presentarla al padiglione italiano di EXPO DUBAI 2020. Una ricerca che mette in risalto, con i dati raccolti in diversi Paesi extraeuropei, il contributo delle assicurazioni all’incremento della sicurezza nelle strutture sanitarie.

Buona lettura e grazie, come sempre, per l’attenzione riservata alla nostra pubblicazione.

 

Roberto Ravinale

Direttore Esecutivo SHAM in Italia

 

[1] Associazione Italiana Ospedalità Privata

[2] Associazione Religiosa Istituti Socio-Sanitari