OSPEDALE-TERRITORIO: COSA STA FACENDO L’ALTO ADIGE?
Il nuovo ruolo dei Medici di base, il rapporto tra cronicità e deprivazione economica, l’invecchiamento inesorabile della popolazione e gli ostacoli al cambiamento. Un’intervista a tutto campo con il DG dell’ASL Bolzano Florian Zerzer che parte da una radicale riorganizzazione dei servizi territoriali
Da circa un anno l’Alto Adige ha avviato un processo di riorganizzazione dei servizi territoriali per i suoi 524.000 abitanti partendo dall’esigenza di far fronte, e sul lungo periodo, all’aumento delle cronicità e dell’invecchiamento della popolazione. Tra le tante misure intraprese, una è l’organizzazione di oltre 280 medici di medicina generale in 27 Aggregazioni funzionali territoriali.“Questo – spiega il DG dell’ASL Bolzano, Florian Zerzer – ci ha permesso di garantire un orario di apertura mediamente di 12 ore”. Non è una misura isolata ma un esempio di una strategia più vasta. Da anni l’Alto Adige ha puntato su un sistema di servizi sociali che è divenuto il primo nel Paese con oltre 4.300 posti letto residenziali e servizi alla persona integrati da un assegno di cura per oltre 19.000 persone. Recentemente l’ASL ha adottato un Piano per le Cronicità modellato sulle esigenze particolari della Provincia e nel quale è centrale la definizione del rapporto tra ospedale e territorio.
Direttore Zerzer: perché è così importante definire i confini dell’assistenza ospedaliera e territoriale?
L’Italia è destinata a diventare nei prossimi anni il Paese più vecchio del mondo. L’anno scorso 24 milioni di italiani hanno dichiarato di essere affetti da una patologia cronica e nel 2028 il valore sarà di 25 milioni di cui 14 con multicronicità. Attualmente, si stima che si spendano circa 67 miliardi per affrontare il problema e la richiesta di risorse aumenterà, soprattutto se non si affrontano iproblemi socio-economici. È dimostrato che la percentuale di pazienti cronici aumenta in presenza di fenomeni di deprivazione.
Questa tendenza vale chiaramente anche in Alto Adige dove i 154.000 pazienti cronici sono destinati ad aumentare progressivamente fino a sfiorare i 190.000 nel 2035 e dove la spesa è per il 70% orientata alla loro assistenza.
I nuovi bisogni, sanitari e – sottolineo – sociali,possono essere affrontati con strumenti nuovi di riorganizzazione dell’assistenza primaria che vedono i medici di medicina generale, gli infermieri, il personale del sociale lavorare insieme secondo percorsi assistenziali condivisi.
Questa è la sfida che molte Regioni stanno affrontando secondo modelli organizzativi centrati sulla presa in carico della persona.
Quale principio deve regolare la relazione tra i due ambiti dell’assistenza?
L’assistenza ospedaliera deve focalizzarsi sul trattamento delle condizioni acute. Il principio guida è quello dell’intensità delle cure: percorsi interni diversificano il flusso dei pazienti, orientando i più gravi verso le aree a più elevata assistenza in regime di ricovero ordinario e i pazienti meno gravi verso modelli organizzativi “aperti” come il day service, la day surgery, il day hospital.
Il territorio, invece, deve dare risposte sia abisogni sanitari che sociali. Queste risposte devono essere integrate e devono poter garantire la continuità delle cure nel tempo anche nell’ottica di ridurre gli accessi ospedalieri ai soli casi appropriati. Per questo uno degli aspetti centrali dell’assistenza sul territorio è la coordinazione degli interventi tra molte e diverse figure professionali.
Nel prossimo futuro la spesa sociale è destinata ad aumentare come quella sanitaria e l’intercettazione dei pazienti fragili, prevalentemente cronici, non può che avvenire a carico dei servizi sul territorio. Certamente queste due metà della mela, ospedale e territorio, dovranno integrarsi in maniera crescente, definendo, in particolare, le modalità di transito dei pazienti da un ambito all’altro.

Florian Zerzer, DG dell’ASL Bolzano
Quali soluzioni sviluppate o applicate in Alto Adige possono divenire buone pratiche alle quali altre ASL potranno ispirarsi?
Alla fine del mese di gennaio i medici di medicina generale coinvolti dall’Azienda nell’arruolamento dei pazienti diabetici secondo un PDTA condiviso, saranno ricontattati ed inseriti in una piattaforma informatica collegata al fascicolo sanitario elettronico e ad un sistema di prenotazione che dovrebbe consentirci di governare meglio le liste di attesa. Altri percorsi assistenziali condivisi tra medici di medicina generale e specialisti ospedalieri sono in fieri e andranno ad arricchire il fascicolo e i sistemi di interconnessione tra servizi.
Sono partite importanti esperienze territoriali di integrazione con il mondo del sociale (punti unici di accesso), sono stati individuati i requisiti strutturali, tecnologici ed organizzativi dei posti letto di cure intermedie, sono stati avviati i primi corsi di formazione sul campo.
Quali elementi, infine, ostacolano l’evoluzione?
Il problema culturale è al centro di tutti i cambiamenti. Convincere ed orientare il personale medico e le altre professioni sanitarie e sociali a lavorare assieme è complesso. Negli ospedali questa cultura è più diffusa e favorita dalle ‘mura’ all’interno delle quali i servizi si sono sviluppati nel tempo. Non è così per il territorio dove i servizi, spesso lontani tra loro, non si interconnettono e non si scambiano informazioni. Anche la carenza di flussi informativi provenienti dai servizi territoriali è un problema in quanto non consente di conoscere i bisogni delle persone.
Anche per questosento di dover ringraziare i tanti gruppi di professionisti che hanno lavorato e stanno lavorando in Azienda su questi temi, ma anche le Associazioni dei cittadini con i quali abbiamo condiviso la Carta dei servizi, le Associazioni di volontariato che stiamo coinvolgendo in alcune iniziative, i Dirigenti dell’Assessorato che hanno portato avanti le delibere di Giunta e alla Giunta stessa che le ha prontamente adottate.
Penso che il bilancio della nostra esperienza fin qui sia positivo ma anche che il lavoro da fare sia ancora molto lungo.