RIDURRE GLI INFORTUNI SUL LAVORO

Il progetto del Centro di Riferimento Oncologico di Aviano, basato sul protocollo Behaviour-Based Safety, ha esaminato 13mila check-list e 156mila comportamenti

 

Riduzione del rischio clinico e degli infortuni. È questo l’obiettivo di un progetto innovativo attuato all’IRCCS Centro di Riferimento Oncologico (CRO) di Aviano, che si basa sull’introduzione del protocollo Behaviour-Based Safety. Di cosa si tratta?

La Behaviour-Based Safety (B-BS) è un protocollo Evidence-Based, messo a punto dalla Psicologia del Comportamento, che ha l’obiettivo di ridurre gli infortuni sul lavoro aumentando i comportamenti di sicurezza. La B-BS si basa sul paradigma del “Condizionamento Operante” di F.B. Skinner (1953), secondo il quale sono le conseguenze di un dato comportamento a modificarne la probabilità di ricomparsa.

Il Protocollo prevede che gli operatori di una stessa area si osservino reciprocamente (in forma anonima) e compilino una check-list contenente i comportamenti sicuri da adottare. Alla misurazione segue l’erogazione di un feedback immediato da parte dell’osservatore, che può essere sia positivo che correttivo: quest’ultimo mira ad analizzare le cause che hanno portato alla messa in atto del comportamento a rischio. I comportamenti da inserire in check-list vengono identificati da un Gruppo di Progetto (GdP), formato da lavoratori, che li identificano in base alla rilevanza per la sicurezza e al numero degli infortuni occorsi negli ultimi tre anni.

Centro di Riferimento Oncologico di Aviano

Attraverso la compilazione di check-list di sicurezza vengono, perciò, misurati e messi a confronto i comportamenti sicuri e a rischio, attuati dagli operatori sanitari coinvolti nell’attività oggetto dell’osservazione.

Tra giugno 2014 e 31 dicembre 2017 sono state compilate 13.182 check-list e misurati 156.769 comportamenti sui quali sono stati erogati 7.585 feedback. Tutti i dati sono stati inseriti in un software statistico dedicato, che ha permesso la produzione di grafici di andamento, presentati durante brevi incontri mensili a tutti gli operatori coinvolti.

L’esito del monitoraggio dimostra come l’applicazione del protocollo B-BS abbia:

  • ridotto notevolmente l’occorrenza degli infortuni

  • azzerato, secondo la UNI 7249, l’Indice di Gravità Infortunistica (Fig. 3)

 

IL CIRCOLO VIRTUOSO DI CARTORISK

La diffusione delle mappature del rischio a partire dal progetto Piemonte-Sham 2018 nell’esperienza dei Risk Manager nelle aziende sanitarie di Asti e Vercelli

 

Il progetto Piemonte-Sham 2018, presentato a marzo 2019, ha coinvolto 44 tra Risk Manager e collaboratori della Qualità e 554 professionisti sanitari sul campo nella mappatura del rischio di 25 Unità operative di ostetricia e 28 tra RSA e Strutture Sanitarie Private Accreditate impiegando il metodo CartoRisk della Mutua Sham. Sanità 360° dà voce agli operatori che sono in prima linea ogni giorno nella gestione del rischio: sono loro a raccontare la loro esperienza; i pregi e i punti deboli dello strumento e gli ulteriori sviluppi del progetto di mappatura.

ASL ASTI: Anna Mesto, Risk Manager

“Abbiamo applicato il metodo CartoRisk nel percorso ostetrico del Dipartimento Materno-Infantile nel novembre 2018. Nel 2019, abbiamo esteso la mappatura al percorso chirurgico dell’emergenza e al percorso del farmaco. Stiamo pianificando l’applicazione futura nel percorso dell’identificazione del paziente. Questa continuità è un metro della nostra soddisfazione, per un metodo che ci ha permesso di formulare delle risposte molto concrete portando alla definizione di interventi apparentemente semplici che hanno, però, avuto una ricaduta notevole sulla sicurezza dei pazienti, soprattutto nei presidi territoriali.

Sebbene, infatti, la mappatura mantenga un margine di soggettività – si basa su una stima concordata all’interno di un gruppo multidisciplinare e multiprofessionale – questa soggettività si rivela un valore aggiunto, nel momento in cui vogliamo diffondere la consapevolezza del rischio tra gli operatori che erogano i servizi quotidianamente, oltre che coinvolgerli nella formulazione delle misure di miglioramento. Ciò in quanto l’elemento soggettivo consente di ripensare in modo critico, ma allo stesso tempo libero da vincoli, il proprio operato e i propri strumenti di lavoro. Il metodo dà agli operatori la soddisfazione di poter riflettere e intervenire nella gestione del rischio offrendo, inoltre, lo stimolo e uno strumento di paragone per ripetere la mappatura periodicamente, al fine sia di confrontare il progresso delle misure adottate anche sul medio e lungo periodo. Non da ultimo, offre un terreno e uno strumento condiviso non solo all’interno di una singola Azienda sanitaria, ma tra i Risk Manager di diverse aziende regionali. Una rete della quale abbiamo bisogno per confrontarci e coordinarci sugli interventi di gestione del rischio e di implementazione delle raccomandazioni ministeriali utilizzando un linguaggio comune”.

Anna Mesto, Risk Manager ASL Asti

ASL ASTI: Patrizia Bergese Bogliolo, Servizio Qualità

CartoRisk si è rivelato uno strumento aggregante per i diversi professionisti sanitari coinvolti nella mappatura: uno stimolo al confronto multidisciplinare per raggiungere un consenso condiviso sulla valutazione e misurazione del rischio. È uno strumento che richiede la presentazione e condivisione preliminare della metodologia, perché è importante spiegare agli operatori che è proprio la loro valutazione soggettiva a rappresentare il valore peculiare della mappatura: ci consente, infatti, di ‘leggere’ la nostra stessa pratica quotidiana come se la guardassimo con un’altra ‘lente’. Ed è, anche, uno strumento che accende un dibattito interno molto costruttivo, soprattutto nella valutazione dei mezzi di contenimento del rischio, le cosiddette barriere: la fase a mio giudizio più arricchente perché vede la maggior parte dei contribuiti individuali.

Un aspetto da considerare è la trasversalità dello strumento che rappresenta un punto di forza ma che, nella sua applicazione a diversi contesti sanitari, anche di diversi Paesi europei, può richiedere adeguamenti relativamente alla specifica prassi professionale in uso. Questa caratteristica richiede una fase di declinazione per adattare i parametri alla singola realtà nella quale si esegue la mappatura”.

ASL VERCELLI: GIORDANO GERMANO, Risk Manager

“Posso dire solo bene di CartoRisk: uno strumento agile che può essere adattato alle diverse realtà cliniche. Dopo la prima esperienza, abbiamo deciso di estendere la mappatura all’intera struttura ospedaliera. Sono molto soddisfatto delle valutazioni che ritengo vicine ai risultati dell’FMEA, ma più veloci: un elemento che facilita ulteriormente la mappatura nei reparti dove medici, infermieri e operatori si troverebbero in difficoltà nel sottrarre tempo ed energie prolungati alle attività cliniche.

In attesa di conoscere i risultati delle prossime mappature, perciò, vorrei riconoscere alla Mutua Sham il merito non solo di aver sviluppato questo strumento, ma di lasciarlo liberamente condividere da chiunque desideri applicarlo in proprio. Non è da tutti, soprattutto in ambito assicurativo”.

 

UNA BORSA DI STUDIO PER LA GESTIONE DEL RISCHIO

All’università di Torino è stata assegnata, presso il Dipartimento di Management, la borsa di studio sostenuta dalla Mutua Sham. Servirà a favorire una visione sinergica tra Risk Management e gestione degli eventi dannosi

 

La Borsa, per un totale di 6.796 Euro, sosterrà una ricerca di sei mesi dedicata alle attività di analisi preventiva dei rischi collegabili ai principali percorsi e processi sanitari nell’ottica del miglioramento della sicurezza delle cure e della relativa sostenibilità economica.

In particolare, la giovane borsista incaricata della ricerca si concentrerà su una review della letteratura, italiana ed internazionale, finalizzata alla ricognizione dello stato dell’arte nel tema della ricerca con l’obiettivo, in particolare, di favorire una sinergia strategica fra le attività di Risk Management nelle strutture sanitarie e la gestione degli eventi dannosi, anche alla luce dell’introduzione della legge n. 24/2017.

“Ogni attività legata alla gestione del rischio e alla gestione dei sinistri è rilevante in sé stessa – spiega il Direttore Esecutivo di Sham in Italia Roberto Ravinale – Ma è la consapevolezza della loro interazione a permettere un salto di qualità, una comprensione della fondamentale relazione tra analisi dei sinistri, gestione del rischio clinico e gli interventi di miglioramento che originano dai dati misurati in entrambi gli ambiti. Questo approccio, prima che tecnico, è un elemento portante della crescente cultura della prevenzione”.

GESTIRE RISCHIO E STRESS IN SALA PARTO: IL PROGETTO DELLA FONDAZIONE POLIAMBULANZA

Intervista al professor Paolo Villani e alla dottoressa Sabrina Maioli, responsabile della formazione sui benefici e le potenzialità di simulare una nascita

 

Gestire il rischio in situazioni di stress. Creare una forte sinergia di gruppo. Può essere ancora più lungo l’elenco dei benefici del progetto di simulazione robotica della Fondazione Poliambulanza. A maggio un simulatore mamma, un simulatore neonato a termine e un simulatore bimbo prematuro occuperanno la sala parto della Fondazione che sarà costruita ad hoc per simulare la realtà. Con quale finalità? Lo scopo sarà quello di far trovare l’equipe davanti a situazioni imprevedibili che dovranno saper gestire con razionalità e professionalità. Tutto dovrà rigorosamente riprodurre la realtà.

Un esperimento che sarà possibile realizzare grazie al contributo delle Aziende bresciane, le quali finanzieranno l’acquisto di tutte le strumentazioni necessarie. Il professor Paolo Villani, responsabile della TIN e Neonatologia, ha spiegato in modo esaustivo vantaggi e potenzialità della simulazione robotica che prende spunto da quella utilizzata nell’aviazione americana. «Lo scopo – ha evidenziato Villani – è quello di aumentare le competenze senza perdita di tempo e districarsi in situazioni di emergenza. Bisogna ricordare che il parto è uno degli eventi più delicati: statisticamente, su 10 bambini che nascono su tre non sappiamo come evolverà, anche se oggi con la medicina moderna riusciamo a prevenire quasi tutto. Spesso è possibile trovarsi in situazioni in cui è possibile avere conseguenze maggiori nelle quali è necessario essere sempre pronti e svolgere la propria funzione rapidamente».

Si tratta della prima stazione di simulazione in Lombardia e per il dottore Villani non ci sono dubbi che «potrà essere una risorsa per tutti quelli che lavorano in sala parto perché permette di creare situazioni che sono verosimili e ha dei vantaggi enormi rispetto ai manichini del passato. È un progetto pilota in Italia anche se ci sono alcune aziende che lo hanno già attivato perché la simulazione è considerata la scala per governare situazioni difficili. Lo scopo è proprio quello di imparare a gestire lo stress, in particolare negli ospedali in cui il personale è meno preparato ad affrontare situazioni di emergenza. Il parto in sé è un momento critico e le cause possono essere tantissime. Le aziende, quindi, sono molto interessate anche perché a volte da tali situazioni vengono fuori procedimenti penali, ma soprattutto è importante per tutelare il bene dei bambini. Bisogna sapersi comportare come fa il pilota di un aereo. Il rischio va gestito con tempestività e in gruppo».

Fondazione Poliambulanza

Affinché tutto funzioni alla perfezione diventa fondamentale la formazione. Qui si inserisce il lavoro della dottoressa Sabrina Maioli, responsabile della Formazione di Fondazione Poliambulanza: «I simulatori sono innovativi ma da soli non sono sufficienti. Cioè, non basta avere un super simulatore se non hai formatori capaci. Si tratta di un lavoro che stiamo portando avanti da tempo e che, comunque, anche i professionisti più anziani riescono a recepire. Certamente i giovani medici entrano subito in quest’ottica».

Si punta tantissimo sulla formazione perché la sperimentazione non si ferma. «Il passo successivo? Bisogna aumentare il numero dei formatori – ha spiegato la dottoressa Maioli – incrementare l’equipe e i corsi per i formatori. Ecco perché è necessario coinvolgere altri dipartimenti che è quello che già stiamo facendo. Abbiamo iniziato con la Rianimazione e avevamo medici con competenze avanzate. Inizialmente poteva esserci un po’ di diffidenza, ma adesso assolutamente no. Basti pensare che in Spagna c’è un ospedale trasformato completamente in un ospedale simulato. Questo è il futuro: il simulatore dà un senso di sicurezza e consente l’integrazione dell’equipe».

UN PROGETTO DI RICERCA UNIVERSITARIO PER MISURARE L’IMPATTO DEL RISK MANAGEMENT

La Mutua Sham ha finanziato una borsa di studio presso il Dipartimento di Management dell’Università di Torino

 

Come leggerete nella News 1, la ricerca semestrale sarà dedicata ad incrementare i dati scientifici relativi alla gestione del rischio con l’obiettivo di indagare, in maniera quantitativa, la relazione virtuosa che esiste tra Risk Management e gestione dei sinistri. L’ambito di ricerca, perciò, comprende sia una review della letteratura esistente che un’analisi sull’andamento e sulla variazione dei sinistri in seguito agli interventi di Risk Management.

Si tratta di un passaggio fondamentale nel diffondere la cultura e la prassi della prevenzione perché non si limita a postulare una relazione tra gestione del rischio e riduzione dei sinistri, ma intende dimostrare questa relazione attraverso la quantificazione del beneficio.

Sia la lunga sinergia con il Dipartimento di Management dell’Università di Torino che l’attenzione alla riproducibilità e verifica degli interventi fanno parte del Dna di Sham: una Mutua che non si limita ad assicurare il rischio ma si impegna ad avviare percorsi di miglioramento ed è pronta a condividere con tutti gli attori del panorama sanitario gli strumenti e le conoscenze che rendono le cure più sicure.

La borsa di studio è un altro concreto passo in questa direzione ed uno particolarmente importante perché, oltre ad aumentare il raggio e la profondità della riflessione accademica sulla Gestione del Rischio, contribuisce a formare sul campo una nuova generazione di professionisti sanitari per i quali la prevenzione è parte integrante della prassi quotidiana.

 

Roberto Ravinale

Direttore esecutivo di Sham in Italia

MANTENERE LA PRESSIONE AMBIENTALE IN SALA OPERATORIA

Un percorso per ridurre il rischio di contaminazione microbiologica dovuto alla depressione ambientale parte da una check list sulla strumentazione chirurgica

 

Il controllo del gradiente pressorio ambientale nelle sale operatorie è stato al centro del progetto presentato dall’Ospedale Evangelico Betania Napoli al Premio Sham 2018.

La pressione ambientale in sala operatoria gioca un ruolo significativo nella prevenzione delle infezioni correlate all’assistenza. La depressione ambientale è, infatti, un fattore di rischio della contaminazione microbiologica. Tale depressione avviene ogni volta che le porte delle sale si aprono per ripristinare il giusto gradiente pressorio è necessario un tempo variabile di ripristino tra i 10 e 20 minuti, definito recovery time.

Obiettivo del progetto è stato, pertanto, la standardizzazione dei rifornimenti delle sale operatorie attraverso la creazione di un sistema di check list tecniche che hanno lo scopo di anticipare tutto il materiale necessario all’esecuzione dell’intervento e ridurre al massimo le interruzioni, gli spostamenti e l’apertura delle porte per i rifornimenti.

La prima fase ha visto l’istituzione di 4 gruppi di lavoro composti da infermieri di sala operatoria e medici specialisti delle singole branche chirurgiche al fine di identificare lo strumentario e i presidi necessari per ogni singolo intervento. Successivamente è stato organizzato un unico gruppo operativo per l’allestimento delle check list, individuando lo schema e i colori più idonei a facilitare la rapida consultazione. A questa è seguita la formazione del personale con il doppio obiettivo di implementare le attività progettate e favorire la collaborazione di tutti gli operatori attraverso la condivisione del progetto. In questa fase è stato pianificato anche il timing e le modalità di approvvigionamento.

Il progetto ha sortito significativi risultati sia ottimizzando i tempi di preparazione delle sale operatorie che riducendo le aperture delle porte durante gli interventi chirurgici mantenendo il delta pressorio in un raggio di sicurezza.

MINORE PERMANENZA IN PRONTO SOCCORSO: UN MODELLO RIPRODUCIBILE

All’AOU Novara ridotta sotto le sei ore la permanenza per i pazienti anche al crescere dei codici gialli e rossi. Una batteria di processi coordinati e un alert informatico scattano all’aumentare della fila. Un progetto a iso-risorse esportabile ad altre realtà ospedaliere

 

Diminuire la permanenza in Pronto Soccorso sotto le sei ore per il 95 per cento dei pazienti anche nei periodi di maggiore criticità e affluenza come, per esempio, durante i picchi influenzali. Era questo l’obiettivo raggiunto dal progetto “Prevenzione del rischio di sovraffollamento in Pronto Soccorso (Ps): l’elaborazione di un modello efficace e facilmente riproducibile”, presentato al Premio Sham 2018 dall’AOU Novara.

L’idea ha origine dalla Direzione Sanitaria, quando nel novembre del 2015 ha inizio un primo monitoraggio della situazione, proseguito nel 2016-2017 e 2017-2018. Dopo un attento studio, è stato possibile realizzare un algoritmo in grado di attivare una batteria di processi coordinati e finalizzati a prevenire i livelli di criticità causati dal sovraffollamento.

Per esempio: quando i pazienti in triage e attesa superano i 50 e i codici rossi superano le cinque unità, un pop up informatico allerta tutte le postazioni di Pronto Soccorso e la Radiologia del Dea: il pronto soccorso entra, così, in codice rosso e si convoca un’unità di crisi. Seguendo un percorso prestabilito, vengono attivate nuove postazioni e richiamati medici e infermieri o allertati i reparti e la rianimazione per il supporto in pronto soccorso o il ricovero dei pazienti a seconda dell’esigenza.

Analizzando i dati raccolti nei monitoraggi degli ultimi tre anni, è emerso chiaramente un significativo aumento dei codici rossi, gialli e verdi, oltre ad una significativa riduzione dei codici bianchi. Che cosa significa? Considerando che nei codici bianchi sono inseriti molti dei ricoveri impropri, tutto ciò si traduce in un sostanziale aumento dell’efficienza del triage dopo l’introduzione delle nuove disposizioni che regolano il piano di gestione del sovraffollamento.

Ospedale Maggiore della Carità, Novara

Se nell’inverno del 2016/2017 un paziente in codice rosso rimaneva in Pronto Soccorso 377 minuti – cioè oltre 6 ore – prima di essere dimesso o ricoverato, nell’ultimo inverno, invece, la permanenza è diminuita a 334 minuti, ovvero circa mezz’ora in meno.

Ridotti anche i tempi per la dimissione dei codici gialli: da 366 a 342 minuti. E questo, appunto, nonostante un numero maggiore di pazienti in Pronto soccorso: 120 codici rossi e oltre 250 gialli in più rispetto all’inverno precedente.

GIOCO D’AZZARDO: LA MINACCIA NASCOSTA ALLA SALUTE DELLA DONNA

La patologia da gioco colpisce uomini e donne in egual misura, ma le donne chiedono aiuto ancora meno degli uomini. Un sommerso che il SERD dell’ASST Cremona sta cercando di portare alla luce

 

“In Italia la dipendenza da gioco è un fenomeno esteso e sommerso – spiega Roberto Poli, Direttore SERD dell’ASST Cremona – Esteso perché culturalmente l’abitudine al gioco, dal lotto ai ‘gratta e vinci’, è diffusa, ha una tradizione storica ed è socialmente accettata. Sommerso perché più la persona si indebita e consuma le risorse della famiglia, più si vergogna di un comportamento che non riesce a correggere e agli effetti del quale cerca di rimediare, il più delle volte, continuando a giocare”.

Dottor Poli, quand’è che il gioco viene classificato come malattia?

Quando impedisce alla persona di scegliere. La condizione che chiamiamo dipendenza è dipinta con precisione dalla radice latina della parola inglese addiction: il significato letterale è schiavitù. Quando i tentativi delle persone di smettere di giocare, fumare, assumere alcolici o stupefacenti si rivelano infruttuosi nonostante la sua volontà, allora la libertà è messa a tacere dal bisogno. Lì inizia la malattia.

Qual è l’incidenza della patologia da gioco nelle donne?

Uguale a quella degli uomini, ma ancora più difficile da intercettare. Le donne sono vittime di questa dipendenza, ma, ancora meno degli uomini sono inclini a chiedere aiuto.

Quand’è che una persona che gioca accede al vostro servizio?

Tendenzialmente ciò avviene negli stadi avanzati, quando la situazione economica è compromessa. Molto spesso i primi che vediamo sono i familiari che cercano di capire come affrontare il problema del congiunto.

Quali sono le vostre strategie per far sì che le donne chiedano aiuto?

Il SERD di Cremona ha creato un percorso di cura espressamente riservato alle donne che soffrono da dipendenza da gioco. Un percorso dove confidiamo le donne possano sentirsi più a loro agio e superare la ritrosia a intraprendere un percorso terapeutico. Parallelamente, ci sforziamo di comunicare che questo servizio esiste. Un esempio è stata la partecipazione all’Open Day BeneEssere Donna, la giornata dedicata dall’ASST Cremona alle visite gratuite e senza prenotazione in ambito senologico, ginecologico e ai servizi territoriali collegati alla maternità e alla salute femminile.

Quale forma assume la dipendenza da gioco nelle donne?

Spesso si esprime nel consumo di ‘gratta e vinci’ e simili, meno attraverso le sale scommesse, le macchinette nei bar o nelle sale da gioco che sono ambiti prevalentemente maschili.

Quanto è esteso il fenomeno della dipendenza da gioco d’azzardo?

Molto. Le stime variano, ma moltissime più persone avrebbero bisogno di essere seguite di quante effettivamente accedano ai servizi. Il SERD dell’ASST Cremona ne ha in carico 52: una frazione di quelli che speriamo di coinvolgere nei percorsi di cura. É una tematica molto sentita a livello regionale al punto che stiamo per ricevere finanziamenti specificamente diretti ad intercettare il bisogno sommerso di cure attraverso un importante investimento in comunicazione e sensibilizzazione, oltre che, ovviamente, di prevenzione nelle scuole.

Qual è il percorso di cura?

Premetto che la cura è sempre su base volontaria e che le persone che si presentano lo fanno, spesso, quando la situazione economica è già compromessa. Alla luce di questi elementi il SERD offre due grandi ambiti di aiuto. Il primo è un percorso psicoterapeutico, a volte individuale, al quale si affiancano i gruppi di auto aiuto guidati da una persona che ha avuto lo stesso problema e sostiene le altre nel superarlo. Il secondo è rappresentato da misure che arginano il rischio di spendere perché limitano le possibilità di spesa, sia attraverso un amministratore di sostegno (sempre volontario) sia attraverso un controllo periodico dei conti fatto assieme all’assistenza sociale del SERD e, spesso, con a fianco un familiare.

Roberto Poli, Direttore SERD dell’ASST Cremona

Nel profilo delle persone che sviluppano dipendenza da gioco ci sono degli elementi ricorrenti?

Sì. I più frequenti sono il consumo di bevande alcoliche e l’assunzione di cocaina, ovvero sostanze disinibenti ed eccitanti. Molto frequente, anche, la compresenza di stati di ansia, disturbi psichiatrici e depressione. Una percentuale statisticamente ragguardevole delle persone che il gioco d’azzardo rovina partono da una condizione economica già disagiata e non hanno un livello di istruzione alto. In pratica, il gioco tende ad impoverire ulteriormente persone che sono povere di partenza. Anche per questo l’accesso al SERD è costruito per essere molto facile e assolutamente gratuito: basta una telefonata, una mail o, semplicemente, accedere alla struttura.

Ci sono analogie tra il gioco d’azzardo e altre dipendenze?

Le dipendenze da sostanze o comportamenti hanno delle fortissime radici comuni, sia dal punto di vista delle dinamiche psicologiche che dei percorsi biochimici. Tutte le dipendenze hanno un forte rischio di cronicità e di ricadute. Tutte le dipendenze attivano il percorso della ricompensa, ovvero si inseriscono sui meccanismi di rilascio della dopamina. Sostanze come la nicotina o comportamenti come il gioco alterano questo percorso biochimico che genera appagamento e sul quale, una volta alterato, si innesta il meccanismo della dipendenza. Ci sono tante sostanze e tanti comportamenti che lo fanno e, infatti, si possono sviluppare dipendenze anche in ambiti che non vengono frequentemente associati a questa patologia, come lo sport. Ma esistono alcune sostanze e alcuni comportamenti che sono particolarmente efficaci nel generare scariche di dopamina e, conseguentemente, creare dipendenze più forti e più difficili da sradicare. Il gioco d’azzardo, purtroppo, è uno di questi.

MAPPATURA CARTORISK: UNA GUIDA AL MIGLIORAMENTO

Le considerazioni del Risk Manager Maurizio Salvatico e della dottoressa Roberta Miraglio nella mappatura dei servizi territoriali e dell’Unità Operativa di Ostetricia effettuata nella ASL 1 Cuneo

 

Il progetto Piemonte-Sham 2018, presentato a marzo 2019, ha coinvolto 44 tra Risk Manager e collaboratori della qualità e 554 professionisti sanitari nella mappatura del rischio di 25 Unità operative di ostetricia e 28 tra RSA e Strutture sanitarie private accreditate. Sanità 360° inizia nella ASL 1 Cuneo a raccogliere testimonianze dei Risk Manager direttamente coinvolti.

Maurizio Salvatico – Risk Manager

“Abbiamo affrontato la mappatura sentendoci come collaudatori di un prototipo, con l’obiettivo di testarne la validità per le strutture e i processi. CartoRisk emerge come uno strumento efficace ed efficiente perché restituisce un quadro realistico della gestione del rischio in atto. Non è preciso e fine come la FMEA, ma, d’altro canto, non è neppure lontanamente così esigente in termini di tempo e di impegno. Per fare un paragone, lo stesso numero di professionisti impegnati in una recente analisi FMEA di un processo di servizi per due interi mesi, ha effettuato una mappatura CartoRisk di una area clinica in due giorni. Alla praticità e immediatezza si può aggiungere un ulteriore punto di forza: è uno strumento già ampiamente testato che si basa su letteratura ed esperienze di risarcimento pregresse, e segnala in partenza le aree critiche.

Come la FMEA, evidenzia quanta strada ci sia ancora da percorrere in termini di valutazione della frequenza degli eventi non generanti sinistri; se si trova abbastanza facilmente un accordo nel gruppo di professionisti su gravità e identificabilità dei fallimenti, per la conta spesso si parte da una casistica personale – e sulla percezione e sulla memoria – più che da una raccolta sistematica. Constatare di persona quanto sopra produce un risultato sicuro: quello di avere dei nuovi colleghi convinti della necessità di spingere su incident report e raccolta non conformità.

Tale aspetto genera poi il fatto che anche questo strumento si riveli più utile ed affidabile nel confronto seriato interno, dopo cicli di miglioramento, che per i paragoni tra diverse strutture come forse originariamente è stato concepito.

L’esperienza di applicazione recentemente effettuata ha permesso di verificare che, sebbene lo strumento sia stato sviluppato originariamente in Francia, i contesti di sicurezza per il paziente sono universali.

Qualche piccolo limite: il primo è che lo strumento non considera il lato strutturale e tecnico puro, ma unicamente le condizioni organizzative, in tutte le dimensioni. Questo deriva, probabilmente, dall’origine transalpina, dove le caratteristiche delle strutture sanitarie sono più omogenee, in virtù di una maggiore centralizzazione e standardizzazione, rispetto all’eterogeneità di tipologie edilizie ospedaliere italiane, tendenzialmente anziane e in certi casi plurisecolari, ma anche nuove e usate parzialmente. Non che questo elemento sia necessariamente determinante nell’eziologia diretta degli eventi avversi e dei sinistri, ma è probabile che l’ergonomia ne sia compromessa, e questo influenzi in maniera più o meno marcata l’efficienza o la dispersione delle energie del personale.

Il secondo limite, probabilmente ancora collegato all’eredità francese, è lo standard sanitario richiesto da alcuni item nella mappatura delle RSA. Forse è troppo alto per le strutture residenziali per anziani italiane, dove di fatto la dimensione sociale è predominante rispetto a quella medica.

Nel complesso, CartoRisk emerge come uno strumento dalle grosse potenzialità: può essere una valida guida al confronto e ai miglioramenti, la sua riproducibilità in autonomia lo rende perfetto per misurare la qualità di un reparto nel corso di successive mappature.

Come Azienda intendiamo ora utilizzarlo anche in altre aree problematiche, con la fiducia che ci deriva dalla felice esperienza e con la curiosità di metterlo alla prova su campi dove la percezione dell’errore è più difficile e quindi i sinistri sono meno rappresentati”.

Maurizio Salvatico, Risk Manager

ROBERTA MIRAGLIO[1] – UFFICIO RISK MANAGEMENT

“Un metodo che ha dimostrato di saper fotografare nel dettaglio la situazione di controllo del rischio nei consultori e nei due punti nascita di Mondovì e Savigliano. Dall’iniziativa abbiamo identificato come necessario l’allineamento della documentazione tra tutti i consultori e diverse migliorie organizzative e di raccordo clinico in reparto che verranno proposte alla Direzione.

Lo strumento si presta molto bene ad essere impiegato autonomamente ed è abbastanza flessibile da permettere di declinare i parametri di misurazione sulle esigenze e caratteristiche delle singole realtà. È vero che questa adattabilità può ridurre la precisione nel confronto diretto tra ASL e territori diversi ma, d’altra parte, offre un ottimo elemento di paragone sul quale misurare i progressi di un singolo reparto o servizio territoriale nel tempo, ripetendo la valutazione ciclicamente. Il che ne fa uno strumento di Risk Management molto efficace sia nella diffusione della cultura della valutazione del rischio e nel miglioramento delle pratiche”.

 

 

[1] Dedicatasi da tempo alla gestione, alla qualità ed al Risk Management dopo quasi 15 anni di esperienza ostetrica ospedaliera e territoriale, Roberta Miraglio si è trovata in una posizione di esperienza diretta  favorevole per valutare la mappatura del percorso della persona assistita in ostetricia sia dal punto di vista gestionale che operativo  effettuata presso i Punti Nascita dell’ASL CN1 con l’applicazione del CartoRisk Sham.

LA VOCE DEI RISK MANAGER

La gestione del rischio è una frontiera in movimento, un processo empirico che cresce attraverso il confronto e la verifica. Ma quali sono gli elementi che i Risk Manager prendono in considerazione per valutare la bontà di uno strumento di prevenzione?

 

L’intervista del numero odierno di Sanità 360° offre una risposta. Dopo che L’ASL 1 di Cuneo ha applicato il metodo Carto Risk alla mappatura del rischio sia nei servizi territoriali che nell’unità operativa di Ostetricia, abbiamo chiesto ai referenti del progetto di analizzarne i punti di forza e debolezza dal loro punto di vista e secondo la loro esperienza.

Facendo questo seguiamo la vocazione di Sanità 360° di coinvolgere direttamente Risk Manager, Direttori, Medici e Infermieri impegnati nei progetti di prevenzione, e applichiamo il metodo attraverso il quale Carto Risk è stato sviluppato e costantemente aggiornato nel corso del tempo.

Da molti anni, infatti, la Mutua Sham favorisce l’incontro dei professionisti sanitari da tutta Europa per affrontare il problema comune del rischio e condividere gli strumenti che si sono rivelati efficaci nel ridurlo.

Questo confronto è parte integrante del processo di miglioramento e Sanità 360° è onorata di contribuirvi offrendo una tribuna dalla quale i Risk Manager e professionisti sanitari possono parlare in prima persona.

 

Anna Guerrieri

Risk Manager Sham