GESTIONE DEL RISCHIO: LA VISIONE GLOBALE DELL’ATS BERGAMO

Il confronto delle diverse metodologie, la replicabilità dei progetti di prevenzione, la continuità tra ospedale e territorio: questi alcuni dei capisaldi dell’azienda bergamasca raccontati nel dettaglio dalla Risk Manager Carmen Tereanu

 

Intervista a Dr.ssa Carmen Tereanu, Dirigente medico Dipartimento di Igiene e Prevenzione Sanitaria – Ufficio Sanità Pubblica, Risk Manager ATS Bergamo.

 

Qual è il filo conduttore che unisce i diversi interventi di prevenzione della ATS Bergamo?

Gli interventi di prevenzione del rischio di eventi avversi per l’utenza portati avanti nell’ATS di Bergamo hanno come focus le aree di rischio prioritarie che la Direzione Generale Welfare di Regione Lombardia indica annualmente nelle sue Linee Operative Risk Management in Sanità. I progetti sono esplicitati nel Piano Annuale del Risk Management e rendicontati in Regione Lombardia a fine anno. Non ci limitiamo mai alle aree prioritarie e tanto meno al numero minimo di progetti richiesti da Regione Lombardia, in quanto in ATS vengono sempre formulate proposte spontanee di progetti di Risk Management, da parte di operatori sensibili alla materia. In quanto operatori di sanità pubblica ci interfacciamo con una fitta rete di profili professionali ed enti a livello territoriale, non solo dell’ambito sanitario. Il nostro operato si ripercuote su gruppi di popolazione piuttosto che sul singolo cittadino. Abbiamo come target gruppi di soggetti sani per i quali organizziamo iniziative di educazione alla salute o eventuale diagnosi precoce di alcune malattie; gruppi di soggetti portatori di malattie cronico-degenerative, famiglie o comunità (scolastiche o lavorative) a rischio di contrarre malattie infettive contagiose, lavoratori a rischio di malattie professionali o infortuni; ecc. A tutti quanti dobbiamo preservare la salute o facilitare la guarigione o limitare le complicanze. Vista la complessità di questo intreccio di rapporti e risvolti, è impensabile che non si possano mai verificare “défaillances” che mettano a rischio la sicurezza degli utenti. Spesso esse sono minime o rimangono casi isolati. Ma quando rivestono una certa gravità, oppure quando potrebbero diventare sistematiche, operatori dell’ATS propongono soluzioni e collaborano alla loro implementazione attraverso progetti spontanei di Risk Management.

 

Quali sono le costanti negli interventi (e nelle modalità) di miglioramento?

Ogni nostro intervento parte da una analisi dettagliata del problema, la quale consente di fissare obiettivi chiari e raggiungibili. Per quanto riguarda la metodologia, è una costante ormai nell’ATS di Bergamo attingere a strumenti e metodi di dimostrata efficacia in ambito di Risk Management, disponibili a livello nazionale e/o internazionale. Indiscutibilmente la stragrande maggioranza delle metodologie di identificazione e analisi del rischio di eventi avversi ha origine in ospedale, per prevenire i rischi nei pazienti che afferiscono a queste strutture. Adattare queste metodologie per renderle applicabili ed efficaci a livello extra-ospedaliero non è mai facile, ma (proprio per questo) è affascinate. A titolo d’esempio, qualche anno fa, siamo riusciti a validare da un punto psicometrico e quindi applicare agli operatori del Dipartimento di Prevenzione (medici, assistenti sanitari e infermieri, tecnici della prevenzione e altri profili professionali) il questionario americano Hospital Survey of Patient Safety Culture (HSOPSC), elaborato in e per l’ospedale. L’iniziativa era finalizzata ad indagare sulla loro percezione dei vari aspetti che rientrano nella cultura della sicurezza per prevenire gli errori, per avere una baseline su cui poter ulteriormente sviluppare gli aspetti carenti.

Poiché nessuna metodologia è in grado di individuare e/o di analizzare da sola tutti i rischi di errore, è una costante nella nostra ATS il ricorso a diverse metodologie che si completano. Ad esempio, per realizzare una FMEA applicata al processo di gestione dei contatti di casi affetti da tubercolosi abbiamo usato le informazioni del sistema incident reporting. Adesso abbiamo in corso un progetto nel quale stiamo integrando l’analisi di rischi relativi alla gestione delle malattie infettive in collettività scolastiche basata sul diagramma di Ishikawa per condurre un audit organizzativo.

È altrettanto importante avere nella squadra del progetto persone adeguatamente formate alla gestione del rischio e motivate; saper ascoltare le loro idee e proposte, saper riconoscere e sottolineare il loro contributo alla realizzazione del progetto e dare regolarmente dei feedback sull’andamento del progetto a tutte le persone coinvolte.

Il pieno supporto della direzione strategica aziendale è una condizione imprescindibile e si è rivelata anch’essa una costante nel tempo.

 

Quali le difficoltà riscontrate?

A parte le difficoltà di natura metodologica, vi sono sempre imprevisti. Vuoi perché un partner extra-istituzionale che si intende coinvolgere ha altre priorità oppure è diffidente, vuoi perché le risorse sono limitate, oppure perché in azienda persistono ancora nicchie dove la “no blame culture” non è ancora riuscita ad attecchire, direi in virtù dell’inerzia o resistenza al cambiamento, piuttosto che per ragioni oggettive. Ad esempio una difficoltà che ho avuto appena ho cominciato ad occuparmi di questa materia in azienda (ormai è superata) è stata spiegare ai colleghi del Dipartimento di Prevenzione in cui tutti quanti si occupano di “prevenzione del rischio” (si pensi alla prevenzione primaria e allo screening) o di “sicurezza” (si pensi alla sicurezza sul lavoro nelle ditte), che la prevenzione del rischio sulla quale si prefiggeva di lavorare il Risk Management, sulla scorta della prevenzione del rischio clinico che si fa in ospedale, si riferiva al rischio di causare un evento avverso o un danno all’utenza per un possibile errore nel nostro operato.

Dr.ssa Carmen Tereanu, Dirigente medico Dipartimento di Igiene e Prevenzione Sanitaria – Ufficio Sanità Pubblica, Risk Manager ATS Bergamo

In entrambi i casi, che insegnamenti avete tratto dall’esperienza che potrete applicare e condividere?

Quelle che abbiamo individuato come costanti, ovvero punti forti della nostra esperienza, sono importanti e assolutamente da promuovere e condividere. La scelta di metodologie conosciute, quando disponibili, ha il vantaggio che, fino ad un certo punto, ci si può confrontare con altre strutture, evitando così di essere auto-referenziali. Purtroppo le esperienze di questo genere in ambito territoriale non sono così numerose come quelle in ambito ospedaliero.

L’appunto che farei sulle difficoltà riscontrate è di affrontarle come sfide. Secondo me è un sano approccio che, se non altro, può stimolare tanto la creatività di chi se le trova davanti.

 

Quali sono gli attori professionali che la gestione del rischio ha dimostrato necessario coinvolgere simultaneamente?

Oltre l’ufficio Risk Management e la direzione strategica, direi che gli attori coinvolti nella gestione del rischio di eventi avversi dipendono dai contenuti di ogni progetto. Regione Lombardia promuove lo sviluppo di progetti inter-aziendali. Nell’ATS di Bergamo abbiamo appena concluso due progetti inter-aziendali triennali: uno sulla gestione del rischio eredo-familiare nello screening per il carcinoma della mammella (promosso e coordinato dal Responsabile della UOS Centro screening), basato sulla collaborazione con ospedali pubblici e privati e con i medici di medicina generale e l’altro sulla valutazione dell’approccio alle complicanze infettive per gli ospiti delle Residenze sanitarie assistenziali (RSA), basato sulla collaborazione tra l’ATS, l’ASST Papa Giovanni XXIII e un campione di RSA (promosso e coordinato dal Responsabile della UOS Prevenzione e Sorveglianza delle Malattie Infettive o SPEMI). In linea con le aree prioritarie di rischio individuate da Regione Lombardia, sempre l’anno scorso sono subentrati altri due progetti inter-aziendali pluriennali: uno per rinforzare la prevenzione delle infezioni associate alle pratiche assistenziali nelle RSA lombarde, che coinvolge (oltre alle RSA) tutte le ATS della Lombardia, ed un altro sull’aumento della sicurezza dei pazienti che afferiscono al servizio di continuità assistenziale (ex-guardia medica) che coinvolge l’ATS di Bergamo, le tre ASST e i medici di continuità assistenziale della provincia di Bergamo.

Il progetto AMICO, ovvero “Introduzione dell’Audit per prevenire il rischio nella gestione della Malattie Infettive in Collettività scolastiche”, che verte sull’applicazione audit organizzativo basato su analisi dei rischi è un esempio di progetto spontaneo, proposto da operatori ATS (medici igienisti e assistenti sanitari) coinvolti nella gestione delle malattie infettive. Oltre a diverse articolazioni organizzative interne dell’ATS (la UOSD Settore di Prevenzione, lo SPEMI, la UOC Promozione della salute e prevenzione dei fattori di rischio comportamentali, il Dipartimento delle Cure Primarie e l’Ufficio stampa e Comunicazione Istituzionale), partecipano al progetto le scuole dell’infanzia della provincia di Bergamo (referenti scolastici, insegnanti e alunni), le famiglie e la stampa locale (per testi divulgativi sulla prevenzione della diffusione delle malattie infettive nelle comunità scolastiche).

 

In tutti i progetti presentati al Premio Sham compare una forte componente territoriale. Quale nuovo orizzonte pone la crescente integrazione delle cure tra ospedale e territorio alla gestione del rischio?

È vero, per la sua natura l’ATS è chiamata in primis a gestire il rischio di eventi avversi a livello territoriale (prevenzione primaria, diagnosi precoce e prevenzione terziaria), mentre l’ospedale si concentra sui pazienti acuti. All’orizzonte appare sempre più evidente e importante la centralità del ruolo che l’ATS ha nella governance e coordinamento dei vari attori di sistema che operano in territorio bergamasco.

 

Quali dei progetti e delle metodologie sviluppate nell’ATS Bergamo può essere applicata da altre ASL a livello nazionale?

Tutti i progetti candidati al bando organizzato da SHAM e le loro metodologie possono essere applicati in altre ATS o ASL a livello nazionale. Anche i nostri progetti di Risk Management passati sono esportabili.

Ho un ricordo particolare del progetto IRIDE ovvero “Italia-Romania-Repubblica Moldova In Rete: imparando dagli errori verso una cultura della sicurezza dei pazienti/utenti”, realizzato nel periodo 2013-2016. L’ATS di Bergamo (allora ASL) col patrocinio dell’Associazione Latina per l’Analisi dei Sistemi Sanitari, ha consentito ai partner partecipanti di collaborare su temi di interesse comune in ambito di Risk Management. Alla rilevazione dei dati sul grado di sviluppo della safety culture hanno partecipato quasi una decina di ospedali est-europei e ben quattro ASL italiane: Bergamo, Monza e Brianza, Mantova (Lombardia) e Biella (Piemonte). Il questionario HSOPSC è stato validato appunto per poter essere applicato in altre realtà simili a quelle che hanno partecipato a questo interessante progetto.