PIEMONTE: IL PASSAGGIO DI COMPETENZE NELLA GESTIONE DEL RISCHIO

44 tra Risk Manager e collaboratori della Qualità e 554 professionisti coinvolti sul campo in 25 Unità operative di ostetricia e 28 tra RSA e Strutture Sanitarie Private Accreditate: questi i numeri del progetto Piemonte-Sham 2018. 310 azioni di miglioramento; 2627 rischi mappati; la trasmissione di una metodologia per contenerlo: ecco i frutti di un anno di lavoro

È stato presentato lunedì 18 marzo un grande progetto di mappatura del rischio effettuato nell’arco del 2018 dalla Regione Piemonte con il coordinamento della Mutua Sham.

Due gli ambiti di lavoro. Il primo una mappatura attuale e armonizzata (stesso metodo, strumento e criterio di valutazione) delle modalità di gestione del rischio poste in essere sul territorio da 18 Strutture Sanitarie private accreditate e 10 RSA. Il secondo l’analisi a priori del «percorso della persona assistita in ostetricia» per tutte le 25 Unità operative Ostetriche a gestione diretta SSR pubbliche presenti sul territorio piemontese.

Il lavoro che ha coinvolto 44 tra Risk Manager e collaboratori della Qualità e 554 professionisti ha portato alla mappatura di 2627 rischi e alla formulazione di 310 azioni di miglioramento che verranno implementate nei prossimi 3-5 anni.

“Ma al di là dei numeri, che pur sono molto significativi – spiega la Risk Manager Sham e coordinatrice del progetto Anna Guerrieri – quello che è importante sottolineare è il valore pratico e concreto della formazione. Tutti gli attori coinvolti sono, oggi, capaci di replicare nei rispettivi ambiti di lavoro – reparti, UO, servizi e distretti – le metodologie di analisi applicate sul campo”.

La metodologia in questione si sviluppa attraverso una mappatura del rischio attraverso  intervista semistrutturata con référentiel specifico e un’analisi a priori dei processi con il Metodo Cartorisk di Sham.

Il valore di questo approccio è quello di fornire uno strumento pratico e concreto che sono i professionisti stessi ad applicare. Gli stessi che sono chiamati, ogni giorno, ad erogare le prestazioni. Un metodo che ha la finalità di misurare e tracciare e pertanto meglio gestire e contenere i rischi.

“Si è realizzata, di fatto, una rete di collaborazione attiva interna alle strutture sanitarie, attraverso lo scambio ed il confronto tra tutti gli RM e professionisti facenti parte del GDL regionale, ed esterna con RSA e Cliniche private che hanno aderito al progetto”.

“Questa rete è il simbolo di una crescita culturale sul tema gestione del rischio all’interno della comunità medica piemontese che è andata progressivamente crescendo negli ultimi anni”.

Tutto quanto posto in campo produrrà i suoi effetti positivi e misurabili nei prossimi 3-5 anni, a condizione che:

  • i monitoraggi delle azioni in corso siano effettuati
  • implementate, se necessario, le opportune variazioni
  • stimolata la comunità medica sull’importanza di misurare e tracciare qualunque fenomeno, al fine di cambiare i comportamenti professionali e quotidiani di tutti gli attori del sistema salute

“Di fatto è la strada maestra percorribile per migliorare i livelli di sicurezza e gestione del rischio, per operatori e pazienti, nelle strutture socio-sanitarie”.

Uno degli indicatori possibili per misurare tale processo di miglioramento è il numero sinistri denunciati ovvero eventi avversi per anno di accadimento. Pertanto nuovi progetti di studio potrebbero essere orientati a porre in relazione quanto effettuato con l’analisi proattiva al complessivo sinistri denunciati e gestiti per tipologia di evento e per anno di accadimento.

“Mi auguro – conclude Guerrieri – che, nei monitoraggi periodici e nei futuri progetti di studio si possa misurare non solo il rischio, ma anche la diminuzione del rischio che la diffusione di buone pratiche e la cultura delle prevenzioni permetterà di registrare”.

LA PRIMA MAPPA DEL RISCHIO SUL TERRITORIO IN LOMBARDIA

Terminato dopo un anno di lavoro il progetto coordinato da Sham sulla mappatura del rischio nei Servizi Socioassistenziali di ASST Santi Paolo e Carlo, ASST Pavia, ASST Ovest Milanese

La mappatura del rischio nei servizi sanitari erogati sul territorio presentata il 14 marzo 2019 in seno al Network dei Risk Manager di regione Lombardia riveste particolare rilevanza per Sham in quanto è il primo progetto interaziendale che vede la partecipazione attiva dell’Università.

Il progetto è nato dalla partnership tra la Scuola di Specializzazione in Igiene e Medicina Preventiva Università Studi di Milano, la Mutua Sham e alcune strutture sanitarie lombarde associate: ASST Pavia, ASST SS Paolo e Carlo Milano, ASST Ovest Milanese, IRCCS Cà Granda Milano.

“La finalità – spiega la Risk Manager Sham Anna Guerrieri – è stata quella di realizzare congiuntamente una mappatura attuale ed armonizzata (stesso metodo, strumento e criterio di valutazione) delle modalità di gestione del rischio poste in essere nei principali servizi erogati sul territorio oggi di competenza della ASST quali Consultori, Vaccinazioni, Distribuzione presidi, Salute Mentale. Ambito poco mappato e ancor prima poco conosciuto nelle sue declinazioni specifiche.

“L’utilizzo del medesimo metodo e strumento di analisi ha permesso e permetterà in futuro la realizzazione di benchmark di riferimento nazionali, regionali ed internazionali”.

Per realizzare la mappatura è stato applicato sul campo il metodo Sham per la mappatura del rischio socio-sanitario.

“É uno strumento pratico e concreto – spiega Guerrieri – che si basa su interviste semistrutturate condotte insieme ai responsabili e operatori socio-sanitari dei singoli servizi, gli stessi attori che li erogano quotidianamente. Lo strumento utilizzato è un référentiel specifico costituito da circa 90 elementi di valutazione strutturato per temi e domini, che costituisce il filo conduttore dell’intervista e di cui, per ogni elemento, si riscontrano le modalità di applicazione sul campo.

Avviato nel novembre 2017 il progetto si è concluso a marzo 2019 con 22 Servizi mappati, 150 professionisti sanitari e socio-sanitari coinvolti in 30 interviste e 1.667 elementi di valutazione riscontrati ed analizzati.

“La mappatura – conclude Guerrieri – ha permesso di conoscere meglio le modalità organizzative dei servizi socio-assistenziali erogati sul territorio e le modalità di gestione del rischio poste in atto, oltre che di individuare le aree di miglioramento su cui proporre ed avviare azioni mirate.

“Parallelamente l’esperienza realizzata sul campo, facilitando la conoscenza diretta e reciproca tra gli attori territoriali ed ospedalieri, ha avviato relazioni per una maggiore armonizzazione e coordinamento delle attività tra territorio e ospedale a beneficio dei pazienti, degli operatori sanitari e dell’organizzazione sanitaria nel suo complesso”.

COME CREARE UN OSPEDALE A MISURA DI DONNA

Perché la formula dell’Open Day BenEssere Donna funziona. Visite gratuite e senza prenotazione hanno portato 843 donne e 323 nuovi accessi all’ASST Cremona l’8 marzo 2019: numeri 10 volte superiori a dieci anni fa. La ragione non è solo un’opportunità di cura in più. L’ospedale stesso cambia nel giorno di festa, attirando un target di persone che difficilmente avrebbero fatto prevenzione

 

Fare prevenzione; far conoscere i servizi ospedalieri e territoriali; dare risposte a problemi che esistono ma che molte donne, per impegni o riserbo, trascurano. A volte finché non è troppo tardi per effettuare una diagnosi precoce.

Questi sono gli obiettivi di Open Day BenEssere Donna, la giornata di visite gratuite e senza prenotazione che da dieci anni l’ASST Cremona organizza durante l’8 marzo.

“Quel giorno l’ospedale stesso cambia volto – spiega la responsabile Comunicazione Aziendale Stefania Mattioli – ed è questo cambiamento una delle ragioni per le quali donne di ogni condizione ed estrazione culturale decidono di farsi visitare”.

Nei due Ospedali di Cremona e Casalmaggiore, nei consultori e presso l’Opera Pia Fondazione Don Luigi Mazza le donne hanno potuto presentarsi ed accedere a visite senologiche e ginecologiche, al test valutazione del rischio di tromboembolismo venoso o partecipare agli incontri informativi su temi quali la preparazione al parto e all’allattamento, approccio alla menopausa e rapporto con i figli adolescenti. Quest’anno ha partecipato anche il SERD per parlare alle donne con problemi di gioco d’azzardo: un fenomeno che riguarda sempre di più anche la sfera femminile, ma nel quale le persone, e le donne in particolare, raramente chiedono aiuto.

All’Open Day BenEssere Donna 2019 si sono presentate 843 donne tra le quali 323 che non avevano partecipato alle edizioni precedenti. Quando l’iniziativa venne lanciata, circa 10 anni fa, erano meno di 100.

“Conta molto il passaparola – spiega Mattioli – ma conta, anche, la formula e l’atmosfera che si respira perché mette a proprio agio. L’8 marzo gli ospedali e consultori sono interamente dedicati alle donne. Ci sono banchetti informativi che indirizzano le partecipanti ai diversi ambulatori e oltre 50 volontari di varie associazioni che dismettono i panni della loro specificità e si mettono al servizio dell’organizzazione. Abbiamo code autogestite che portano agli ambulatori dove medici e operatori sanitari (in tutto 46) partecipano con il loro lavoro al buon esito dell’iniziativa”.

“Sono molte le ragioni per le quali una donna può trascurare la prevenzione: impegni di lavoro e a casa, barriere culturali e linguistiche, la procedura burocratica per prenotare una visita o, da non sottovalutare, la paura della diagnosi che, solo a prima vista paradossalmente, può diventare più grande al crescere dell’informazione e consapevolezza sui rischi che si corrono. L’Open Day risponde a questa galassia di problemi, offrendo l’occasione di visitarsi ad un target vario di persone che, per una ragione o per l’altra, non l’avrebbero mai fatto. Abbiamo donne di ogni condizione che arrivano con un’amica, con la figlia o con la madre. Anche diverse donne straniere per accogliere le quali possiamo contare su mediatori culturali che forniscono un tramite tra paziente e operatore”.

“La stessa formula dell’Open Day funziona anche per altri ambiti, come la nefrologia. Ogni volta intercettiamo, in un certo numero di pazienti, problemi che sarebbero rimasti nascosti e con gravi conseguenze”.

Raggiungere i pazienti nelle loro vere esigenze e lavorare a fianco degli operatori è, per me e miei collaboratori, il vero senso della comunicazione in sanità che non è, come può essere frainteso, mera attività informativa di ufficio stampa, ma di costruzione di narrazioni e scenari possibili capaci di parlare alle persone”.

“Molte più donne di quanto si pensi trascurano la prevenzione – conclude Mattioli – la rimandano perché non trovano il tempo, non conoscono i servizi che possono aiutarle o, semplicemente, hanno paura ad entrare in ospedale. Per tutte l’Open Day dell’8 marzo è un regalo che fanno a loro stesse. Un momento in cui gli ospedali e i servizi dell’ASST di Cremona sono a misura di donna, colmi di solidarietà, di comprensione con professionalità e leggerezza. Per questo, ogni anno, decidiamo di riproporre l’iniziativa nonostante le energie e lo sforzo organizzativo che richiede. Perché è la formula giusta per raggiungere un target di persone che non saremmo riusciti a raggiungere altrimenti”.

IL NUOVO MODELLO DI INTEGRAZIONE OSPEDALE-TERRITORIO

La copertura dei bisogni assistenziali, il potenziamento delle prestazioni residenziali extraospedaliere e la contemporanea riorganizzazione della rete ospedaliera nell’esperienza della ASL Brindisi

 

Di Giuseppe Pasqualone, Direttore Generale dell’ASL Brindisi

Con il DM 70/2015 e con la Legge di Stabilità 2016 sono stati individuati su tutto il territorio nazionale i nuovi standard qualitativi, tecnologici e quantitativi al fine di portare le reti ospedaliere all’interno di omogenei parametri di sicurezza, efficacia di cura ed efficienza gestionale.

Contestualmente, è stato riconosciuto che la riorganizzazione delle reti ospedaliere, necessaria per garantire i predetti standard nella gestione delle malattie tempo dipendenti, non poteva essere sufficiente rispetto all’esigenza di garantire una copertura piena dei mutati bisogni assistenziali (ad esempio l’aumento della cronicità) in una logica di maggiore integrazione/interazione funzionale tra le strutture ospedaliere e quelle territoriali.

In questa ottica la Regione Puglia, con i vari regolamenti regionali approvati dal 2015 ad oggi, ha inteso determinare un incremento dell’offerta di assistenza sanitaria territoriale attraverso la riconversione di alcune strutture ospedaliere in strutture territoriali di assistenza. Denominate Presidi Territoriali di Assistenza (c.d. PTA), tali strutture hanno l’obiettivo, appunto, di potenziare l’offerta sanitaria di prestazioni residenziali extraospedaliere per persone gravemente non autosufficienti e affette da patologie croniche.

Parallelamente, si è voluto qualificare l’offerta ospedaliera ridefinendo una rete di Presidi a ciascuno dei quali è stato assegnato un ruolo specifico, in modo da garantire tempestività della diagnosi, appropriatezza e sicurezza delle cure in un’ottica di razionalizzazione dei percorsi. La ridefinizione della nuova rete ospedaliera è stata accompagnata da una nuova programmazione delle risorse per il potenziamento delle strutture ospedaliere e per la realizzazione di nuovi ospedali (vedasi la realizzazione del nuovo Ospedale Monopoli-Fasano) e dalla realizzazione di percorsi assistenziali in rete.

In questo modo, la riorganizzazione dell’offerta ospedaliera e di quella territoriale sono avvenute contemporaneamente.

Contestualizzata accanto alla definizione della nuova rete ospedaliera, l’organizzazione di una nuova rete territoriale di assistenza ha rappresentato, infatti, il completamento necessario per la razionalizzazione di tutta l’offerta sanitaria. Nel nuovo disegno della rete dei servizi territoriali di assistenza è stato ritenuto strategico assicurare ai cittadini un presidio sanitario non ospedaliero per garantire, in un unico luogo, l’offerta dei servizi di assistenza primaria e intermedia (a.e. l’Ospedale di Comunità).

In questo nuovo disegno della rete dei servizi territoriali, il Presidio Territoriale di Assistenza ha rappresentato il nuovo modello di riorganizzazione dell’assistenza che pone al centro il paziente, facilitando allo stesso l’accesso ai servizi sanitari territoriali e l’iter assistenziale complessivo.

In sostanza, il PTA rappresenta la porta di accesso del cittadino ai servizi territoriali, aggregando e integrando funzionalmente le diverse componenti dell’assistenza territoriale, secondo livelli di complessità variabili a seconda di fattori di comorbilità.

La Regione Puglia, con i regolamenti del 2018, ha previsto l’istituzione di N. 29 PTA in corrispondenza di strutture ospedaliere riconvertite e che saranno riqualificate da un punto di vista strutturale, tecnologico e dei percorsi con l’impiego di importanti risorse comunitarie per il finanziamento di tutti gli investimenti necessari alla riconversione e alla implementazione di luoghi di cura conformi alle norme sull’accreditamento.

Per la ASL di Brindisi la Regione Puglia ha previsto N. 5 PTA negli ex ospedali di Fasano, Cisternino, Ceglie Messapica, Mesagne e San Pietro Vernotico.

La ASL di Brindisi, in coerenza con la programmazione regionale in materia di organizzazione dell’offerta sanitaria e di investimenti infrastrutturali e strutturali, fermo restando il set minimo dei servizi da garantire, ha definito specifici servizi sanitari, sociosanitari e sociali da implementare in ciascun PTA. Da un punto di vista strutturale, inoltre, ciascun PTA includerà differenti tipi di spazi suddivisi in macro-aree omogenee raggruppate per funzione. In particolare, sono previste tre macro aree di attività: Pubblica, Clinica e di Direzione.

In definitiva, il PTA diventa la chiave di volta del nuovo modello organizzativo della sanità pugliese in quanto rappresenta un luogo che fisicamente consente il superamento della dispersione dei servizi sul territorio a favore di un forte coordinamento all’interno di percorsi diagnostico-terapeutici condivisi.

All’interno dei PTA si trovano gli Ospedali di Comunità (OdC) che sono strutture di ricovero breve rivolte a pazienti che necessitano di interventi sanitari a bassa intensità clinica, gestiti dai Medici di Medicina Generale mediante apposi protocolli operativi. L’OdC rappresenta una sorta di “domicilio allargato” per quei pazienti che necessitano di completare il processo di stabilizzazione clinica, con una valutazione prognostica di risoluzione a breve termine ovvero di una fase di osservazione e continuità terapeutica e riabilitativa. L’obiettivo principale dell’OdC è il recupero funzionale cercando di evitare un re-ricovero a breve distanza di tempo.

La ASL di Brindisi è stata la prima Azienda pugliese ad implementare il nuovo modello di assistenza sanitaria territoriale, seppur non prevedendo il setting minimo assistenziale previsto dalla recente programmazione regionale, con i PTA di Cisternino (nel 1999) e di Ceglie Messapica (nel 2011), conseguendo importantissimi risultati in termini di gestione delle cronicità con particolare riferimento ai pazienti affetti da BPCO, cardiopatie scompensate, diabete mellito, neoplasie avanzate in terapia palliativa. Nelle esperienze fatte a Ceglie e Cisternino, inoltre, è stato sviluppato un iter riabilitativo in soggetti con fratture di femore e artroprotesi in dimissione precoce da reparti per acuti, con una casistica che praticamente ha azzerato i ricoveri della popolazione di questi due paesi in strutture riabilitative convenzionate.

Nelle esperienze di Cisternino e Ceglie si è assistito a un’importante sinergia con gli ospedali per acuti per i trasferimenti di pazienti in dimissione protetta o riabilitazione post-acuzie. A Ceglie, in particolare, si è anche avviato un progetto sperimentale di telemedicina che ha consentito di migliorare ulteriormente gli standard assistenziali. Abbiamo così assistito ad una degenza territoriale, con il supporto anche di specialisti ambulatoriali concentrati nel PTA, che, da una parte, è stata largamente accettata dai pazienti inquadrabili nelle cure intermedie prima del rientro a domicilio e, dall’altra parte, ha fornito un eccellente filtro per le condizioni di cronicità non sempre gestibili in ambiente specialistico o non supportate dal contesto familiare e sociale.

È importante sottolineare che l’ambito operativo e il coordinamento tra i diversi livelli istituzionali sono progrediti parallelamente contribuendo entrambi a dare forma al modello dei PTA.

Giuseppe Pasqualone, Direttore Generale dell’ASL Brindisi

Le esperienze a Cisternino e Ceglie, per esempio, sono state molto importanti perché hanno rappresentato un importante punto di riferimento, all’interno della ASL di Brindisi, per avviare la riconversione dei Presidi di Fasano, Mesagne e San Pietro Vernotico con dei protocolli sottoscritti dai rappresentanti regionali, aziendali e dei Comuni interessati. Ciò è avvenuto nel 2015, ovvero nell’anno che ha visto l’approvazione del regolamento regionale sulla nuova rete ospedaliera. Dalla firma di questi protocolli operativi è scaturito il regolamento regionale sui PTA approvato dalla Giunta regionale pugliese con DGR N. 2025 del 15 novembre 2018.

Da allora, i nuovi PTA di Fasano e Mesagne si sono caratterizzati per un’importante attività di Day service, di prestazioni ambulatoriali e di Ospedale di Comunità. In particolare, Fasano ha sviluppato l’attività ambulatoriale oncologica e reso disponibili immediatamente 12 posti letto sui venti previsti nell’Ospedale di Comunità. Attività che saranno ulteriormente potenziate nel prossimo anno una volta completati i lavori di ristrutturazione dell’intera struttura. Il PTA di Mesagne contempla anche un’importante area dedicata ai 16 Posti letto di Hospice. Per il PTA di San Pietro Vernotico, infine, è in itinere un importante progetto di ristrutturazione che prevede l’avvio di 80 posti letto di riabilitazione e 20 posti letto per la REMS (Residenza per Esecuzione di Misure di Sicurezza nei confronti di soggetti psichiatrici autori di reato). Il PTA erogherà anche ulteriori prestazioni di Day service chirurgico non appena ultimate le forniture relative alle nuove sale operatorie.

Nella tabella seguente è rappresentato il volume di attività registrato nel 2018 dai 5 PTA attivi nella ASL di Brindisi.

CONCLUSIONI

I dati registrati nel 2018 evidenziano un’importantissima attività erogata all’interno dei PTA (attività anche in forte crescita) e, contestualmente, un sensibile miglioramento degli indicatori di efficienza delle strutture ospedaliere. In particolare, è migliorato l’indice di complessità dei ricoveri del 4%, ed è aumentato dell’8% il numero dei casi acuti trattati. Dati che dimostrano come la creazione di una rete territoriale influisca positivamente sull’attività degli ospedali, permettendo loro di focalizzare le energie sui casi più gravi e urgenti. A questo si aggiunge che l’attività ospedaliera ha iniziato già dal 2016 a registrare importanti miglioramenti anche sotto l’aspetto della economicità (ovvero del rapporto costi/ricavi). Le ultime analisi pubblicate dalla Regione Puglia dimostrano che la ASL di Brindisi è l’unica ASL pugliese ad aver registrato già nel 2016 un rapporto costi/ricavi addirittura migliore dei costi standard ministeriali di riferimento.

Due indicazioni emergono da questo quadro: primo, che i servizi territoriali possano essere gestiti meglio se si concentrano in strutture che offrano un unico punto di riferimento ai cittadini; secondo, che l’integrazione dell’ospedale con servizi territoriali gestiti secondo questa formula migliora le performance di entrambi sia in termini di efficacia che di efficienza ed economicità.

I CASI STUDIO DEL NUOVO ORIZZONTE OSPEDALE-TERRITORIO

Il territorio è un nuovo orizzonte per la sanità italiana. Un ambito di servizi importanti per la persona; un ambito di cura; un elemento di equilibrio nella focalizzazione ospedaliera sull’acuzia e la complessità

 

Non esiste riorganizzazione ospedaliera che possa prescindere da una parallela riorganizzazione dei servizi territoriali. É questo dato ad emergere con forza nel contributo del Direttore Generale dell’ASL Brindisi Giuseppe Pasqualone, ospitato in esclusiva sul numero odierno di Sanità 360°. Oltre a questo dato, ad emergere è anche un modello concreto, già applicato, seguendo il quale la riorganizzazione Ospedale-Territorio può dipanarsi per migliorare sia l’efficacia delle cure che la loro capacità di adattarsi alle esigenze delle persone.

Nel processo di strutturazione dei servizi territoriali nel sistema delle cure rientra anche un ulteriore tassello: applicare in maniera estensiva e quotidiana la stessa prassi e cultura di Gestione del Rischio che, finora, si è concentrata prevalentemente nelle strutture ospedaliere.

La Mutua Sham sta contribuendo a quest’evoluzione. Giovedì 14 e Lunedì 18 marzo sono state presentate le prime due mappature del rischio nei servizi territoriali effettuate in Italia, rispettivamente nella Regione Lombardia e nella Regione Piemonte.

Due realtà diverse che, però, impiegando la stessa metodologia hanno compiuto assieme il primo passo nel costruire un benchmark oggettivo e quantificabile del rischio nei servizi territoriali. Una piattaforma che può fungere sia da modello per le altre Regioni italiane sia da terreno di confronto con le esperienze degli altri Paesi europei.

 

Anna Guerrieri

Risk Manager SHAM

IL PROCESSO DI HANDOVER E LA SICUREZZA DELLE CURE

Checklist e linguaggio comune nel passaggio di consegne all’ASL 2 Savonese dell’Ospedale San Paolo Savona

 

La comunicazione tra professionisti della salute ha un’importanza strategica ma, al tempo stesso, è considerata ancora un’area critica che necessita di strumenti e interventi di governo per ridurre i rischi prevedibili e, soprattutto, per migliorare la sicurezza assistenziale.

Ecco perché diventa fondamentale standardizzare la comunicazione in ambito sanitario, rivolgendo particolare attenzione sia al linguaggio comune che alla modalità di trasmissione del messaggio e ai contenuti di ogni singolo individuo.

Ci ha provato l’ASL 2 Savonese dell’ospedale San Paolo che ha voluto sperimentare diverse metodologie per valutare l’efficacia dei sistemi comunicativi. In un progetto presentato al Premio Sham 2018, il Dipartimento di Medicina ha selezionato il metodo SBAR, focalizzato sulle diverse tipologie di comunicazione: faccia a faccia, scritta e telefonica.

In che cosa consiste?

Il primo step ha permesso di realizzare una checklist ad hoc, all’interno della quale sono stati ulteriormente specificati alcuni campi clinici, assistenziali e sociali, fondamentali per la presa in carico del paziente. Questo strumento ha analizzato altre variabili come la durata del briefing/debriefing e delle consegne, il personale coinvolto, le interruzioni di sistema e le divagazioni personali. Così, è stato inoltre inserito il registro delle criticità, un documento dove ogni operatore sanitario può annotare eventuali anomalie comunicative. Una novità tra gli strumenti comunicativi fino ad ora utilizzati.

Il progetto, inquadrato come piano di miglioramento, è stato inserito come obiettivo di budget 2017 e si è sviluppato in 5 fasi operative:

1) la formazione di una parte del personale medico e infermieristico attraverso la partecipazione ad una iniziativa ECM, che si è svolta da ottobre 2017 ad aprile 2018

2) l’individuazione, tra il personale formato, di due referenti per struttura e la successiva partecipazione al Corso specifico in tema di raccolta e gestione dati

3) l’osservazione del processo mediante l’uso di checklist con indagini di prevalenza (tra giugno e luglio 2018)

4) la formazione del personale restante (avvenuto nei mesi di settembre e ottobre)

5) l’osservazione del processo sempre con l’uso di checklist con indagini di prevalenza (settembre e ottobre)

L’obiettivo era quello di uniformare le modalità comunicative, ma il progetto sperimentato ha evidenziato, almeno a una prima valutazione, anche diverse fragilità nel registro comunicativo, alcune difficoltà nella raccolta degli eventi e qualche interruzione personale e di sistema.

Al tempo stesso, però, l’esperimento ha fatto emergere una maggiore attenzione degli operatori verso una modalità di comunicazione strutturata, puntuale, reale, coerente e tempestiva. Una maggiore consapevolezza alla compilazione della modulistica presente nella cartella clinica informatizzata. E, infine, una maggiore sensibilità – sempre da parte degli operatori – alla segnalazione delle criticità proprio attraverso l’uso dell’apposito registro.

 

IL DOSAGGIO DEI FARMACI NEI NEONATI

Il Monitoraggio terapeutico per la definizione del dosaggio corretto dei farmaci in pazienti nati pretermine e neonati (NeoTDM) all’A.O.U. San Giovanni di Dio e Ruggi D’Aragona

 

L’importanza della terapia ad personam. La farmacologia moderna si basa, in modo sempre più efficiente, sulla scelta non solo del farmaco più opportuno per ciascun paziente, ma anche sulla scelta del regime terapeutico ideale per la cura di ogni individuo.

Si tratta della cosiddetta “medicina personalizzata” fondata sulla biodisponibilità reale di un farmaco che è fortemente influenzata da fattori sia ereditari che fisiologici. Ecco perché la capacità di assorbire un farmaco ad azione sistemica è modificata da condizioni specifiche. Se tutto questo ha un ruolo importante nelle terapie adatte a individui che hanno raggiunto la completa maturazione dei tessuti e degli organi, è evidente che ciò può essere drammatico per pazienti il cui corpo è ancora in via di sviluppo.

In questo ambito si inserisce il progetto realizzato all’A.O.U. San Giovanni di Dio e Ruggi di Aragona di Salerno che ha sperimentato un metodo ottimale e funzionale al corretto dosaggio dei farmaci. L’obiettivo del progetto, che è stato presentato al Premio Sham 2018, è stato quello di ottimizzare e validare le metodiche per l’analisi quali-quantitativa di diverse tipologie di farmaci (quali antibiotici, antimicotici, anticonvulsivanti e stimolanti del sistema nervoso centrale) in pazienti in età neonatale. Tenendo conto della particolare categoria di pazienti a cui ci si è rivolti, è stato necessario scegliere un sistema di micro-campionamento, che consentiva il prelievo di campioni ematici da neonati anche 2-3 volte a settimana.

Tutto ciò è stato realizzato con tecniche molto accurate. Tale ricerca si è concentrata, fino a questo momento, soprattutto su antibiotici beta-lattamici (imipenem e meropenem), penicilline (amoxicillina ed ampicillina) e amminoglucosidici (gentamicina e streptomicina), antimicotici (fluconazolo), anticonvulsivanti (phenobarbital) e stimolanti del sistema nervoso centrale (caffeina). Per ciascuna di queste molecole è stato messo a punto e validato un protocollo analitico. In tutti i casi oggetto di studio, sono emerse concentrazioni limite rilevabili e intervalli di linearità della risposta analitica idonei a quanto richiesto, sulla base degli intervalli terapeutici previsti per ciascun farmaco.

A.O.U. San Giovanni di Dio e Ruggi D’Aragona, Salerno

Nello specifico, i campioni ematici sono stati prelevati da neonati ricoverati nel reparto di Terapia intensiva neonatale dell’A.O.U. San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona di Salerno e sottoposti a specifici trattamenti farmacologici. È stato utilizzato uno specifico protocollo di prelievo su carta sul quale il personale del reparto era stato istruito. I risultati ottenuti hanno permesso di determinare la concentrazione ematica dei farmaci ricercati e l’analisi accurata di queste concentrazioni ha consentito di valutare l’idoneità del trattamento farmacologico. In alcuni casi sono stati evidenziate anche eventuali situazioni nelle quali era necessario un cambio di terapia.

Quali sono stati, quindi, gli obiettivi raggiunti? In questo modo, è stato possibile definire un protocollo per il monitoraggio terapeutico di tutti i neonati e per i nati prematuri sottoposti a trattamento con farmaci, che hanno un ridotto intervallo terapeutico o la cui efficacia è in ogni caso soggetta a una grande variabilità interindividuale. Ma, soprattutto, uno degli aspetti più importanti è la possibilità di ridurre gli eventi avversi causati da un sovradosaggio da farmaci tossici. E non solo. Infatti, è possibile ridurre i casi di sotto-dosaggio di farmaci antimicrobici o antimicotici che può causare un persistere o un aggravarsi dell’infezione.

LA FORMAZIONE DEL REFERENTE DEL RISCHIO CLINICO

Un modello di apprendimento cooperativo ASL 5 LIGURIA, La Spezia. Il referente del rischio clinico (RRC) rappresenta un elemento fondamentale per la corretta gestione del rischio. Ecco perché la sua formazione richiede una particolare attenzione

 

Così l’ASL 5 Liguria ha deciso di dare il via a un progetto innovativo sperimentando un modello didattico basato sull’apprendimento cooperativo che è stato anche presentato al Premio Sham 2018.

In collaborazione con la SS Qualità e Accreditamento e con il servizio Aggiornamento e Formazione, è stato organizzato un corso (formato da 6 edizioni di 2 sessioni ciascuna 4+4h), interattivo e con lavori in piccoli gruppi. In che modo? In realtà, ogni edizione era riservata ai referenti del rischio clinico di 1-2 dipartimenti e in questo modo era possibile affrontare tematiche comuni attraverso lavori di gruppo. Si è trattato di una modalità che ha avuto successo e i risultati ottenuti lo hanno confermato.

Infatti, si è registrata una elevata partecipazione dei RRC – il 91%, ovvero 145/158 – più altre 64 persone, quindi con un totale di 209 partecipanti in ben 44 gruppi di lavoro. Ma, soprattutto, il dato più positivo è stato senza dubbio l’alto rendimento con il 100% dei documenti di sicurezza elaborato in sole 8 settimane. Insomma, un successo in termini di produttività ma anche di gradimento: per l’80% di loro la qualità educativa è stata considerata buona-eccellente.

ASL 5 Liguria, La Spezia

In particolare, in quel periodo si è avuto un aumento significativo e persistente delle attività di audit e di segnalazione da parte dei RRC. Tutto ciò a che cosa è servito? A dimostrare in modo tangibile e concreto che il costante incremento delle attività dei referenti del rischio clinico rispetto al passato è un’ulteriore prova dell’efficacia del percorso formativo. I frutti del progetto si sono toccati con mano e hanno permesso all’ASL 5 di evidenziare come tale esperienza non solo ha avuto un impatto positivo e importante sulle persone in termini di motivazione e rendimento, ma ha avuto inoltre una funzione significativa sul sistema perché è stato possibile dare un maggiore impulso al miglioramento senza utilizzare tecnologie particolari ma puntando su un sinergico, efficace e produttivo lavoro di gruppo.

Il successo di tale progetto ne fanno sicuramente un modello da esportare in altre organizzazioni per fare in modo che, attraverso la centralità della formazione, si arrivi a una maggiore efficienza del servizio dei referenti del rischio clinico.

GESTIONE DEL RISCHIO: LA VISIONE GLOBALE DELL’ATS BERGAMO

Il confronto delle diverse metodologie, la replicabilità dei progetti di prevenzione, la continuità tra ospedale e territorio: questi alcuni dei capisaldi dell’azienda bergamasca raccontati nel dettaglio dalla Risk Manager Carmen Tereanu

 

Intervista a Dr.ssa Carmen Tereanu, Dirigente medico Dipartimento di Igiene e Prevenzione Sanitaria – Ufficio Sanità Pubblica, Risk Manager ATS Bergamo.

 

Qual è il filo conduttore che unisce i diversi interventi di prevenzione della ATS Bergamo?

Gli interventi di prevenzione del rischio di eventi avversi per l’utenza portati avanti nell’ATS di Bergamo hanno come focus le aree di rischio prioritarie che la Direzione Generale Welfare di Regione Lombardia indica annualmente nelle sue Linee Operative Risk Management in Sanità. I progetti sono esplicitati nel Piano Annuale del Risk Management e rendicontati in Regione Lombardia a fine anno. Non ci limitiamo mai alle aree prioritarie e tanto meno al numero minimo di progetti richiesti da Regione Lombardia, in quanto in ATS vengono sempre formulate proposte spontanee di progetti di Risk Management, da parte di operatori sensibili alla materia. In quanto operatori di sanità pubblica ci interfacciamo con una fitta rete di profili professionali ed enti a livello territoriale, non solo dell’ambito sanitario. Il nostro operato si ripercuote su gruppi di popolazione piuttosto che sul singolo cittadino. Abbiamo come target gruppi di soggetti sani per i quali organizziamo iniziative di educazione alla salute o eventuale diagnosi precoce di alcune malattie; gruppi di soggetti portatori di malattie cronico-degenerative, famiglie o comunità (scolastiche o lavorative) a rischio di contrarre malattie infettive contagiose, lavoratori a rischio di malattie professionali o infortuni; ecc. A tutti quanti dobbiamo preservare la salute o facilitare la guarigione o limitare le complicanze. Vista la complessità di questo intreccio di rapporti e risvolti, è impensabile che non si possano mai verificare “défaillances” che mettano a rischio la sicurezza degli utenti. Spesso esse sono minime o rimangono casi isolati. Ma quando rivestono una certa gravità, oppure quando potrebbero diventare sistematiche, operatori dell’ATS propongono soluzioni e collaborano alla loro implementazione attraverso progetti spontanei di Risk Management.

 

Quali sono le costanti negli interventi (e nelle modalità) di miglioramento?

Ogni nostro intervento parte da una analisi dettagliata del problema, la quale consente di fissare obiettivi chiari e raggiungibili. Per quanto riguarda la metodologia, è una costante ormai nell’ATS di Bergamo attingere a strumenti e metodi di dimostrata efficacia in ambito di Risk Management, disponibili a livello nazionale e/o internazionale. Indiscutibilmente la stragrande maggioranza delle metodologie di identificazione e analisi del rischio di eventi avversi ha origine in ospedale, per prevenire i rischi nei pazienti che afferiscono a queste strutture. Adattare queste metodologie per renderle applicabili ed efficaci a livello extra-ospedaliero non è mai facile, ma (proprio per questo) è affascinate. A titolo d’esempio, qualche anno fa, siamo riusciti a validare da un punto psicometrico e quindi applicare agli operatori del Dipartimento di Prevenzione (medici, assistenti sanitari e infermieri, tecnici della prevenzione e altri profili professionali) il questionario americano Hospital Survey of Patient Safety Culture (HSOPSC), elaborato in e per l’ospedale. L’iniziativa era finalizzata ad indagare sulla loro percezione dei vari aspetti che rientrano nella cultura della sicurezza per prevenire gli errori, per avere una baseline su cui poter ulteriormente sviluppare gli aspetti carenti.

Poiché nessuna metodologia è in grado di individuare e/o di analizzare da sola tutti i rischi di errore, è una costante nella nostra ATS il ricorso a diverse metodologie che si completano. Ad esempio, per realizzare una FMEA applicata al processo di gestione dei contatti di casi affetti da tubercolosi abbiamo usato le informazioni del sistema incident reporting. Adesso abbiamo in corso un progetto nel quale stiamo integrando l’analisi di rischi relativi alla gestione delle malattie infettive in collettività scolastiche basata sul diagramma di Ishikawa per condurre un audit organizzativo.

È altrettanto importante avere nella squadra del progetto persone adeguatamente formate alla gestione del rischio e motivate; saper ascoltare le loro idee e proposte, saper riconoscere e sottolineare il loro contributo alla realizzazione del progetto e dare regolarmente dei feedback sull’andamento del progetto a tutte le persone coinvolte.

Il pieno supporto della direzione strategica aziendale è una condizione imprescindibile e si è rivelata anch’essa una costante nel tempo.

 

Quali le difficoltà riscontrate?

A parte le difficoltà di natura metodologica, vi sono sempre imprevisti. Vuoi perché un partner extra-istituzionale che si intende coinvolgere ha altre priorità oppure è diffidente, vuoi perché le risorse sono limitate, oppure perché in azienda persistono ancora nicchie dove la “no blame culture” non è ancora riuscita ad attecchire, direi in virtù dell’inerzia o resistenza al cambiamento, piuttosto che per ragioni oggettive. Ad esempio una difficoltà che ho avuto appena ho cominciato ad occuparmi di questa materia in azienda (ormai è superata) è stata spiegare ai colleghi del Dipartimento di Prevenzione in cui tutti quanti si occupano di “prevenzione del rischio” (si pensi alla prevenzione primaria e allo screening) o di “sicurezza” (si pensi alla sicurezza sul lavoro nelle ditte), che la prevenzione del rischio sulla quale si prefiggeva di lavorare il Risk Management, sulla scorta della prevenzione del rischio clinico che si fa in ospedale, si riferiva al rischio di causare un evento avverso o un danno all’utenza per un possibile errore nel nostro operato.

Dr.ssa Carmen Tereanu, Dirigente medico Dipartimento di Igiene e Prevenzione Sanitaria – Ufficio Sanità Pubblica, Risk Manager ATS Bergamo

In entrambi i casi, che insegnamenti avete tratto dall’esperienza che potrete applicare e condividere?

Quelle che abbiamo individuato come costanti, ovvero punti forti della nostra esperienza, sono importanti e assolutamente da promuovere e condividere. La scelta di metodologie conosciute, quando disponibili, ha il vantaggio che, fino ad un certo punto, ci si può confrontare con altre strutture, evitando così di essere auto-referenziali. Purtroppo le esperienze di questo genere in ambito territoriale non sono così numerose come quelle in ambito ospedaliero.

L’appunto che farei sulle difficoltà riscontrate è di affrontarle come sfide. Secondo me è un sano approccio che, se non altro, può stimolare tanto la creatività di chi se le trova davanti.

 

Quali sono gli attori professionali che la gestione del rischio ha dimostrato necessario coinvolgere simultaneamente?

Oltre l’ufficio Risk Management e la direzione strategica, direi che gli attori coinvolti nella gestione del rischio di eventi avversi dipendono dai contenuti di ogni progetto. Regione Lombardia promuove lo sviluppo di progetti inter-aziendali. Nell’ATS di Bergamo abbiamo appena concluso due progetti inter-aziendali triennali: uno sulla gestione del rischio eredo-familiare nello screening per il carcinoma della mammella (promosso e coordinato dal Responsabile della UOS Centro screening), basato sulla collaborazione con ospedali pubblici e privati e con i medici di medicina generale e l’altro sulla valutazione dell’approccio alle complicanze infettive per gli ospiti delle Residenze sanitarie assistenziali (RSA), basato sulla collaborazione tra l’ATS, l’ASST Papa Giovanni XXIII e un campione di RSA (promosso e coordinato dal Responsabile della UOS Prevenzione e Sorveglianza delle Malattie Infettive o SPEMI). In linea con le aree prioritarie di rischio individuate da Regione Lombardia, sempre l’anno scorso sono subentrati altri due progetti inter-aziendali pluriennali: uno per rinforzare la prevenzione delle infezioni associate alle pratiche assistenziali nelle RSA lombarde, che coinvolge (oltre alle RSA) tutte le ATS della Lombardia, ed un altro sull’aumento della sicurezza dei pazienti che afferiscono al servizio di continuità assistenziale (ex-guardia medica) che coinvolge l’ATS di Bergamo, le tre ASST e i medici di continuità assistenziale della provincia di Bergamo.

Il progetto AMICO, ovvero “Introduzione dell’Audit per prevenire il rischio nella gestione della Malattie Infettive in Collettività scolastiche”, che verte sull’applicazione audit organizzativo basato su analisi dei rischi è un esempio di progetto spontaneo, proposto da operatori ATS (medici igienisti e assistenti sanitari) coinvolti nella gestione delle malattie infettive. Oltre a diverse articolazioni organizzative interne dell’ATS (la UOSD Settore di Prevenzione, lo SPEMI, la UOC Promozione della salute e prevenzione dei fattori di rischio comportamentali, il Dipartimento delle Cure Primarie e l’Ufficio stampa e Comunicazione Istituzionale), partecipano al progetto le scuole dell’infanzia della provincia di Bergamo (referenti scolastici, insegnanti e alunni), le famiglie e la stampa locale (per testi divulgativi sulla prevenzione della diffusione delle malattie infettive nelle comunità scolastiche).

 

In tutti i progetti presentati al Premio Sham compare una forte componente territoriale. Quale nuovo orizzonte pone la crescente integrazione delle cure tra ospedale e territorio alla gestione del rischio?

È vero, per la sua natura l’ATS è chiamata in primis a gestire il rischio di eventi avversi a livello territoriale (prevenzione primaria, diagnosi precoce e prevenzione terziaria), mentre l’ospedale si concentra sui pazienti acuti. All’orizzonte appare sempre più evidente e importante la centralità del ruolo che l’ATS ha nella governance e coordinamento dei vari attori di sistema che operano in territorio bergamasco.

 

Quali dei progetti e delle metodologie sviluppate nell’ATS Bergamo può essere applicata da altre ASL a livello nazionale?

Tutti i progetti candidati al bando organizzato da SHAM e le loro metodologie possono essere applicati in altre ATS o ASL a livello nazionale. Anche i nostri progetti di Risk Management passati sono esportabili.

Ho un ricordo particolare del progetto IRIDE ovvero “Italia-Romania-Repubblica Moldova In Rete: imparando dagli errori verso una cultura della sicurezza dei pazienti/utenti”, realizzato nel periodo 2013-2016. L’ATS di Bergamo (allora ASL) col patrocinio dell’Associazione Latina per l’Analisi dei Sistemi Sanitari, ha consentito ai partner partecipanti di collaborare su temi di interesse comune in ambito di Risk Management. Alla rilevazione dei dati sul grado di sviluppo della safety culture hanno partecipato quasi una decina di ospedali est-europei e ben quattro ASL italiane: Bergamo, Monza e Brianza, Mantova (Lombardia) e Biella (Piemonte). Il questionario HSOPSC è stato validato appunto per poter essere applicato in altre realtà simili a quelle che hanno partecipato a questo interessante progetto.

TRE DECLINAZIONI DEL RISK MANAGEMENT: FORMAZIONE, DOSAGGIO DEL FARMACO PEDIATRICO, HANDOVER

Questo numero di Sanità 360° offre una interessante testimonianza di gestione del rischio nei servizi erogati sul territorio e tre approfondimenti tematici

Per la prima ringraziamo la dottoressa Carmen Tereanu, la Risk Manager dell’ATS Bergamo per il tempo dedicato a raccontarci, nel dettaglio, la visione e la prassi globale di una grande Azienda e il suo approccio unitario che unisce confronto tra le metodologie, replicabilità degli interventi e una visione di continuità tra ospedale e territorio.

Per i secondi, ringraziamo i partecipanti del premio Sham che ci offrono la possibilità di condividere e raccontare i progetti che cambiano la sanità italiana.

Nelle NEWS ne compaiono tre, ognuno dedicato ad un ambito specifico: formazione, dosaggio del farmaco in ambito pediatrico, handover del paziente. Tre parole per tre, tra le tante aree nelle quali la gestione del rischio è parte integrante del processo di cura.

 

Anna Guerrieri

Risk Manager Sham