I 4 PROGETTI DALL’ATS BERGAMO AL PREMIO SHAM 2018

Dalle malattie infettive nelle comunità scolastiche ad un livello ulteriore di screening per il tumore della mammella sulla base della familiarità ereditaria

 

Sono i 4 i progetti presentati dalla ATS della città di Bergamo al Premio SHAM 2018; che condivide il primato solo con AUSL Bologna.

Il Progetto AMICO comporta l’introduzione dell’Audit per prevenire il rischio clinico nella gestione delle malattie infettive nelle collettività scolastiche. Si tratta di un contesto complesso perché, rispetto per esempio all’ambiente famigliare, la diffusione delle malattie può contare su un vasto numero di contatti mentre la risposta deve basarsi sulla tempestiva valutazione e comunicazione tra numerosi soggetti da coordinare: dai pediatri alle famiglie, dai medici di Medicina Generale a quelli ospedalieri. Per superare questa difficoltà l’ATS ha predisposto una progettualità per migliorare la gestione utilizzando la metodologia dell’Audit e formando gli operatori attraverso lo studio di casi complessi per prepararli a raccogliere tutte le informazioni rilevanti e analizzarle con tempestività.

I “Giri per la sicurezza” è il secondo progetto presentato dall’ATS di Bergamo: un’iniziativa interaziendale in collaborazione con le Aziende Socio Sanitarie Territoriali nella quale team congiunti di operatori hanno applicato un metodo strutturato e validato a livello internazionale per mappare il rischio per l’utenza Servizio di Continuità Assistenziale della provincia di Bergamo e l’implementazione di misure di miglioramento.

Un terzo progetto è stato mirato alla riduzione del rischio di infezioni legate all’assistenza nelle Residenze RSA; mappatura alla quale hanno fatto seguito corsi di formazione per il personale di assistenza in tema di diagnostica delle infezioni e attuazione di strategie adeguate all’uso di pratiche assistenziali “sicure”.

Quarto ed ultimo progetto presentato dalla ATS di Bergamo è stato un potenziamento dello screening per il tumore della mammella che ha previsto una visita aggiuntiva per le donne con un livello di rischio superiore dovuto alla familiarità ereditaria.

IL RISCHIO NELLA RESIDENZIALITÀ PSICHIATRICA

L’esperienza di Colle Cesarano, la più grande realtà riabilitativa per i pazienti psichiatrici del Centro-Sud Italia, mette in risalto la particolarità del Risk Management in un territorio in gran parte inesplorato: un ambito nel quale è la malattia stessa a tracciare un confine impalpabile tra quantificazione e stima del rischio. La condivisione delle pratiche è alla base di una letteratura ancora in gran parte da scrivere.

 

Intervista a Guido Lanzara, Risk Manager Colle Cesarano, tratta in esclusiva per Sanità 360° dalla monografia “C’è chi nasce due volte nel mondo dei matti” di prossima pubblicazione.

“L’introduzione della legge n.24/2017 ha contribuito in maniera significativa a rafforzare e definire il ruolo del Risk Management in Italia, stabilendo che gestire il rischio è un dovere in sanità e una parte integrante di qualsiasi attività clinica e gestionale. Sebbene questa sia una conquista e uno spartiacque di importanza storica, il lavoro è appena iniziato e lo è, in particolar modo, per quanto riguarda la condivisione di buone pratiche nell’ambito della residenzialità psichiatrica: un ambito che rimane ancora in gran parte inesplorato nella letteratura medica”.

Guido Lanzara è il Risk Manager di Colle Cesarano che, con i suoi 200 posti letto, 170 operatori e 700 ricoveri all’anno, è la struttura polivalente più grande del Centro-Sud dedicata alla residenzialità e riabilitazione psichiatrica. Oltre ad una piccola porzione di pazienti non autosufficienti con elevata necessità di tutela sanitaria – ospitati nella RSA – Colle Cesarano ricovera persone affette da gravi disturbi psichici e doppia diagnosi di disturbo psichico e dipendenza, dove la prima è prevalente sulla seconda. Colle Cesarano affronta, quindi, l’intero spettro dei sintomi correlati alle patologie psichiatriche gravi: delirio, decadimento fisico, completa esclusione o autoesclusione sociale, sindromi schizoaffettive, gravi disturbi bipolari, perduta autosufficienza nell’igiene, vestizione, alimentazione personale, cumulati, spesso, con dipendenza da stupefacenti e alcolismo, non di rado compresenti nei singoli pazienti.

“In questo contesto – riprende Lanzara – la gestione del rischio affronta molti dei rischi comuni alle strutture sanitarie quali il rischio caduta, le infezioni correlate all’assistenza, il percorso del farmaco o l’igiene delle mani. Ma, in aggiunta, fronteggia altri rischi che sono correlati alla natura particolare della malattia psichiatrica e alla sua fondamentale impalpabilità. La malattia psichiatrica, infatti, non può essere compresa fino in fondo e, di conseguenza, si presta meno ad un inquadramento rigidamente statistico. Le metodologie di gestione del rischio in questo contesto vengono testate a loro limite, perché il rischio stesso che può essere quantificato in un reparto di chirurgia è diverso da quello che, oltre un certo grado, in una struttura psichiatrica può essere solo stimato”.

“Come si fa, infatti, a valutare con precisione il rischio di suicidio quando sono numerosi gli ospiti a blandirlo? Come sviluppare un protocollo che vada a salvaguardare in maniera mirata solo coloro che ne hanno realmente bisogno senza venire ‘sommersi’ da falsi positivi? Come valutare il rischio di caduta quando gli ospiti di Colle Cesarano si muovono autonomamente tutto il giorno? Che scala usare per il rischio di allontanamento o il danno auto-inflitto e come affrontare il percorso del farmaco, quando il pericolo non si annida solo nell’erogazione del farmaco stesso – com’è per tutta la Sanità – ma si espande in un territorio peculiare solo alla psichiatria: il rapporto tra la persona e il farmaco che oscilla tra il rifiuto e l’assunzione incontrollata?”.

“Per tutti questi ambiti – dice Lanzara – la letteratura medica deve ancora essere scritta”. Per costruirla è necessario creare un canale di comunicazione tra strutture e istituzioni, condividendo metodi, analisi, successi e difficoltà. “Per questo i nostri risultati, i progressi e gli ostacoli vengono condivisi sia internamente che con le autorità preposte a sviluppare misure di prevenzione da applicare in tutte le realtà sanitarie del territorio, nel nostro caso il Centro Regionale Rischio Clinico della Regione Lazio”.

Secondo il Risk Manager, infatti, le dimensioni e la complessità di Colle Cesarano lo candidano a divenire “struttura pioniere, capace di aprire la via che altre strutture nel Paese seguiranno”.

Struttura polivalente di Colle Cesarano

Il primo fondamentale ingranaggio di questo meccanismo virtuoso è, perciò, la trasparenza: “Il vero volano della prevenzione”.

La trasparenza, spiega Lanzara, si riflette sia dentro le mura di una struttura che nella condivisione di dati e pratiche all’esterno ed “è una conquista culturale prima che di prassi perché richiede l’accettazione di una filosofia che la letteratura anglosassone ha definito “No Blame”: senza colpa. Il cuore del Risk Management, infatti, è un esame reattivo degli eventi dannosi o degli eventi che stavano per materializzarsi in un danno. Il fine di questa analisi è capire dove si annidino i rischi e correggere tutte le procedure organizzative o cliniche che si sono rivelate migliorabili. L’incident reporting a Colle Cesarano prevede l’analisi minuziosa, includendo le diverse prospettive professionali coinvolte (risk manager, psichiatri, psicologi, infermieri, educatori, esperti legali), di tutte le cartelle cliniche, le segnalazioni e i contenziosi pregressi. Per questo il Comitato di Gestione del Rischio Clinico a Colle Cesarano è chiamato “Integrato”: perché si basa sul confronto e sulla conoscenza di tutti gli attori che possono influire sul processo. È solo la conoscenza intima di quanto è avvenuto, infatti, che permette di capire come prevenirlo in futuro. Da tutto ciò emerge, perciò, che nessuna attività di gestione del rischio può avere successo senza il contributo – attivo e quotidiano – dell’intero personale sanitario. Sono coloro che operano a tutti i livelli nei reparti a dover segnalare cosa non funziona e, nel contempo, ad applicare i nuovi protocolli sviluppati in risposta. Solo tenendo conto di ciò si capisce perché la rivoluzione del Risk Management parte dalla cultura: l’evento avverso, l’incidente o il near miss non sono e non devono essere considerati una colpa. Sono eventi fisiologici in una qualsiasi struttura sanitaria e devono essere segnalati senza vergogna o pudori perché è solo attraverso la trasparenza interna che si conquista il miglioramento. Passo dopo passo. Il rischio non è un errore nelle cure. Il rischio c’è e ci sarà sempre. A fare la differenza è la capacità di accettare la sua presenza e costruire, di conseguenza, barriere che lo contengano e gli impediscano di diventare danno”.

Questa consapevolezza è la prima vittoria della prevenzione e il capitale umano di Colle Cesarano si è dimostrato inestimabile nel contribuire a sviluppare uno strumento di incident reporting calibrato sulle caratteristiche peculiari della Residenzialità Psichiatrica.  Il lavoro ha richiesto oltre un anno di studio e, come qualsiasi strumento di gestione del rischio, continua ad essere migliorato man mano che gli effetti della sua applicazione vengono a loro volta riportati e discussi. Da questa dinamica emerge chiaramente un altro elemento cruciale del Risk Management: la formazione continua. A Colle Cesarano, ed in ogni realtà sanitaria che investa nella prevenzione, gli incontri formativi sono periodici per tutte le categorie di professionisti e sono biunivoci: i professionisti vengono sensibilizzati sulle procedure da applicare per ridurre il rischio e, nello stesso tempo, contribuiscono a sviluppare quelle stesse procedure basandosi sulla loro conoscenza della realtà nelle quali operano tutti i giorni”.

È letteralmente un circuito virtuoso sul quale la trasparenza si inserisce una seconda volta: nella condivisione dei risultati all’esterno della struttura.

“Anche qui c’è una grande battaglia culturale da affrontare perché una struttura che sia trasparente sui propri rischi appare, paradossalmente, meno sicura rispetto ad altre realtà che tendono a non pubblicizzarli. È vero il contrario. Le strutture che parlano apertamente di rischio clinico sono quelle che dimostrano di prenderlo maggiormente sul serio e di investire di più nella sua prevenzione”.

“Sia con l’esempio che con il nostro lavoro Colle Cesarano sta aprendo la strada in un territorio in gran parte inesplorato e ci auguriamo che tante strutture omologhe potranno seguirne la traccia nel breve futuro”.

RISK MANAGEMENT UNITARIO

L’esperienza del Gruppo KOS, una delle più importanti realtà private in ambito sanitario: dove l’Audit interno è un meccanismo fisiologico e il rischio mappato non è solo quello in corsia

 

Intervista a Laura Spennagallo, Direttore Risk Management e Internal Audit presso il Gruppo KOS

“Il rischio in sanità non si esaurisce nell’erogazione delle cure ma è intrinseco di ogni aspetto della gestione sanitaria: clinica e organizzativa”.

Laura Spennagallo lavora in KOS[1] da oltre dieci anni e, a partire dal 2010, è la direttrice del Risk Management dell’intero Gruppo sanitario che gestisce 7900 posti letto divisi tra Gran Bretagna, India e 83 strutture presenti in 11 regioni italiane. Le cure erogate spaziano dalla residenzialità per anziani, nella quale Kos è il primo operatore in Italia, alla Long Term Care, dalla riabilitazione psichiatrica ai servizi di diagnosi, medicina nucleare e radioterapia.

“Sia le dimensioni che la diffusione geografica del Gruppo ci hanno spinti, fin dal 2010, a creare una metodologia che permettesse di mantenere alto ed omogeneo il livello della prevenzione e della gestione del rischio in ogni singola struttura. Ciò che ci caratterizza, perciò, è l’aver sviluppato delle procedure di sicurezza che potessero essere utilizzate da oltre 6400 dipendenti, uno strumento di mappatura del rischio che ne verificasse l’applicazione ed un’unica direzione di Risk Management che riunisse, in due team di lavoro, la gestione del rischio sia dal punto di vista clinico che negli ambiti legati alla gestione e all’organizzazione sanitaria. Per ogni area i rischi sono valutati su 4 livelli di gravità e probabilità e, sulla base di questa mappatura, si identificano i processi sensibili e si definisce un calendario di implementazione e verifica. Abbiamo, così, la possibilità di mettere a fattore comune ogni miglioramento, condividendo le analisi e le più efficaci misure di calmierazione del rischio con ogni singola struttura del Gruppo”.

“Come è emerso positivamente anche nel recente confronto con le metodologie di mappatura della Mutua Sham, l’attenzione al rischio nell’ambito gestionale e la sua integrazione con il Risk Management sanitario-assistenziale, in una visione unitaria è un’altra particolarità del Gruppo: dal percorso e dalla conservazione del farmaco alla verifica dei curricula sanitari, dalla gestione dei rifiuti speciali alla verifica dei profili assicurativi dei singoli professionisti, sono molti gli aspetti amministrativi e le prassi organizzative che rientrano nell’ambito della gestione del rischio”.

“Dopo 8 anni di lavoro abbiamo recentemente rinnovato l’impianto di mappatura stilando un elenco di 109 rischi che si applicano uniformemente alle varie aree di attività e che sono stati delineati attraverso capillari interviste ai responsabili e professionisti dei diversi ambiti lavorativi”.

“Lo strumento principe di implementazione e verifica di questo meccanismo di prevenzione è l’Audit interno, un processo che KOS ha trasformato in un’attività fisiologica: ogni anno, infatti, si svolge in 35 strutture e sedi amministrative scelte a rotazione. Un nostro team si reca in loco e dedica 3-4 giorni alle interviste e all’analisi di procedure e documentazioni, per poi stilare un report segnalando in maniera sintetica, ma visivamente efficace, gli esiti non conformi agli standard del Gruppo con i suggerimenti per migliorare. E ciò avviene sia per l’analisi del rischio clinico che, indipendentemente, per quello gestionale”.

“Il continuo scambio di informazioni tra realtà locali e direzione centrale permette di individuare velocemente quali, tra le procedure sensibili per il rischio, rivelano statisticamente una tendenza a deviare dallo standard, aiutandoci a intervenire anche preventivamente nel correggere la tendenza”.

Laura Spennagallo, Direttore Risk Management e Internal Audit presso il Gruppo KOS

“L’Audit, infine, è uno strumento molto efficace per integrare le strutture appena acquisite dal Gruppo, riorganizzando e armonizzando le loro procedure interne”.

“È evidente che, al fine di mantenere un simile meccanismo su un grande numero di realtà e ambiti sanitari, alcuni elementi emergono dalla nostra esperienza come fondamentali. Da una parte una stretta relazione tra documentazioni, procedure e criteri di mappatura impiegati nell’Audit, in modo tale che esista una diretta corrispondenza tra le procedure stesse e lo strumento impiegato per verificarne l’implementazione. Dall’altra è fondamentale trasmettere ad oltre 6mila dipendenti la conoscenza e l’importanza delle procedure. Per questo gli Audit vengono fatti in loco, assieme alle persone che lavorano; per questo è essenziale far capire che le procedure richieste per la gestione del rischio non sono meri adempimenti aziendali, ma azioni con uno scopo ben preciso. È comunicando la ragione delle procedure di sicurezza – e le conseguenze che possono nascere dalla loro non conformità – che ogni singolo professionista sanitario diventa un alleato delle politiche di gestione del rischio”.

 

Laura SpennagalloRisk Management e Internal Audit

Dal 1996 al 2007 ha lavorato in KPMG Advisory contribuendo allo sviluppo della Business Unit Sanità. Ha maturato nel periodo esperienza nel settore sanitario e socio-sanitario sviluppando progetti per strutture sanitarie e socio-assistenziali, pubbliche e private, e progetti ai diversi livelli istituzionali (Comuni, Regioni e Ministero). In precedenza, ha partecipato a commissioni tecniche con i maggiori esponenti del mondo dell’assistenza ad anziani, cronici e malati terminali ed è stata Project Manager, per l’area anziani e disabili, del Progetto Mattoni del Sistema Sanitario Nazionale del Ministero della Salute. Si è laureata in Economia Aziendale presso l’Università Bocconi di Milano nel 1996.

 

[1] Il Gruppo KOS è presente in 11 regioni italiane e due stati esteri, per un totale di oltre 7900 posti letto. Kos gestisce 83 strutture in Italia di cui: 50 residenze per anziani; 14 centri di riabilitazione; 12 comunità terapeutiche psichiatriche e 5 cliniche psichiatriche; 2 ospedali. KOS, inoltre, è attivo con 24 centri ambulatoriali di riabilitazione e diagnostica e 27 sedi di service per diagnostica e terapia (di cui 8 in Italia, 14 in India e 2 in UK). Sono oltre 7400 i collaboratori di cui 6400 dipendenti del gruppo. Il Gruppo KOS è il primo operatore nazionale in termini di posti letto riservati a pazienti in stato vegetativo sia in fase riabilitativa sia nella fase della cronicità, gestisce il parco tecnologico di due dei più grandi ospedali europei dedicati all’oncologia, in Italia, e con oltre 4500 posti letto detiene il maggior numero di posti letto dedicati all’assistenza anziani. Kos ha attivato una delle prime forme di sperimentazione in Italia di gestione di un ospedale pubblico da parte di una società privata, l’Ospedale di Suzzara.

 

TRE ANNI DI SPERIMENTAZIONE: IL TELEMONITORAGGIO DI 256 PAZIENTI CRONICI OFFRE MIGLIOR CONTROLLO DELLE CURE E MAGGIOR RISPARMIO

Giuseppe Pasqualone, Direttore Generale dell’ASL Brindisi, racconta lo sviluppo di TeleHomeCare, il progetto che ha permesso ai Medici di Medicina Generale di seguire i propri pazienti a domicilio e del quale la Regione Puglia ha autorizzato l’estensione all’intera Provincia sulla base dei risultati raggiunti. Si prevede che l’impiego a pieno regime di tutti i 137 device permetterà di liberare oltre 800.000 Euro annui da reinvestire nelle cure

 

La dinamica demografica e la modificazione dei bisogni di salute della popolazione evidenzia una quota crescente di popolazione over 65, rendendo non più procrastinabile un ridisegno strutturale ed organizzativo della rete dei servizi assistenziali con particolare riferimento al setting dell’assistenza territoriale. L’innovazione tecnologica e, in particolare, la telemedicina può contribuire in modo significativo a tale riorganizzazione, assicurando una migliore qualità dell’assistenza nell’erogazione delle prestazioni sanitarie e sociosanitarie, con economie di spesa da non trascurare.

L’ESPERIENZA A CEGLIE MESSAPICA (Ottobre 2015-Marzo 2018)

Il Progetto TeleHomeCare, attivato nel territorio di Ceglie Messapica a partire dal mese di ottobre 2015, è stato proposto come supporto tecnologico dell’attività già strutturata di assistenza domiciliare, al fine di migliorare l’erogazione delle prestazioni sanitarie nell’Ospedale di Comunità (attivato all’Ospedale di Ceglie Messapica riconvertito in Presidio Territoriale di Assistenza) e presso il domicilio dei pazienti, contribuendo ad assicurare equità nella fruizione delle cure territoriali, supporto nella gestione della cronicità, maggiore accessibilità, migliore continuità delle cure e maggiore efficacia degli interventi, attraverso il confronto multidisciplinare e l’integrazione tra professionisti.

I destinatari del servizio sono stati pazienti affetti da patologie croniche – prevalentemente Broncopneumopatia Cronico-Ostruttiva (BPCO), diabete e scompenso cardiaco – in fase di instabilità clinica, mentre gli attori del progetto sono stati i Medici di Medicina Generale (MMG), gli specialisti di branca, gli infermieri dell’ADI (Assistenza Domiciliare Integrata), i caregiver e i familiari. I pazienti, opportunamente selezionati secondo il livello di fragilità, sono stati arruolati e seguiti dai propri medici di famiglia attraverso il telemonitoraggio dei parametri vitali mediante l’utilizzo di device carrellabili H@H (Hospital at Home), in grado di rilevare i principali parametri clinici e strumentali.

Oltre a un miglioramento organizzativo ed assistenziale, con consolidamento dei rapporti di collaborazione ed integrazione tra le figure professionali impegnate nel progetto (elemento da non trascurare considerato l’atavico distacco tra attività dei medici di medicina generale e dei medici specialisti), i risultati clinici hanno evidenziato un miglior controllo della patologia attraverso il monitoraggio dei parametri vitali che ha consentito di intervenire tempestivamente modificando il trattamento farmacologico e ottimizzando i tempi di stabilizzazione clinica del paziente.

L’analisi costo/beneficio con riferimento al numero dei ricoveri evitati e alla riduzione delle giornate di degenza ha evidenziato un risparmio economico, anche in termini di risorse liberate. Su un totale di 256 pazienti arruolati nel periodo ottobre 2015 – marzo 2018, mediante l’utilizzo di 11 device, n° 61 pazienti risultavano affetti da BPCO, n° 16 dei quali con comorbilità; n° 77 affetti da scompenso cardiaco, n° 42 dei quali con comorbilità; n° 118 pazienti diabetici, n° 43 dei quali con comorbilità. I risultati hanno evidenziato complessivamente un miglior controllo della patologia, attraverso il monitoraggio quotidiano dei parametri vitali (tempo medio di monitoraggio pari mediamente a 25 giorni), che ha consentito di intervenire tempestivamente modificando il trattamento farmacologico.

Il costo del servizio di telemedicina è stato pari a circa Euro 30,50 per paziente al giorno. L’analisi costo/beneficio, con riferimento al numero di ricoveri evitati (n° 15 nel periodo esaminato) per patologie DRG-correlate nei pazienti residenti a Ceglie Messapica, confrontati con i ricoveri di tutti i residenti nella ASL di Brindisi registrati ad esempio nel periodo 2016-2017, ha consentito di stimare un risparmio netto (ossia detraendo il costo del servizio di telemedicina attivato in favore degli stessi pazienti) pari ad Euro 26.665. Considerando, inoltre, il numero delle giornate di degenza, si è ottenuto un risparmio netto pari ad Euro 46.222. Complessivamente il risparmio netto conseguito in due anni (2016-2017) mediante l’utilizzo di soli 11 device è stato pari ad Euro 72.887.

Giuseppe Pasqualone, Direttore Generale dell’ASL Brindisi

L’ESTENSIONE DEL PROGETTO SULL’INTERO TERRITORIO DELLA ASL

Sulla base dei risultati positivi conseguiti nella fase di sperimentazione triennale a Ceglie Messapica, è stata proposta agli organi regionali l’implementazione di tale progettualità sull’intero territorio aziendale. Tale progettualità è stata autorizzata in data 13 marzo 2017 dal Coordinamento regionale della telemedicina e quindi inserita nella prima trance di finanziamenti erogati alla ASL BR, a valere sulle risorse del PO FERS 2014/2020. Si è, quindi, proceduto all’indizione della gara che è stata aggiudicata alla ditta ITEM-Oxygen nei primi mesi del 2018; è stato quindi sottoscritto il contratto, definito il cronoprogramma delle attività con la consegna dei device presso le sedi dei Distretti Socio Sanitari (41 apparecchiature carrellate e 96 portatili, complessivamente quindi n° 137 device) e il successivo collaudo concluso nel dicembre 2018. Contestualmente è stato attivato presso il PTA (Presidio Territoriale di Assistenza) di Ceglie Messapica il Centro Servizi Telemedicina (CST), presieduto da personale operante h. 12; è stata inoltre avviata e conclusa la formazione teorica del personale con la realizzazione di due eventi formativi, rispettivamente in data 22 settembre e 15 dicembre 2018, mentre è tuttora in atto la formazione pratica sul campo.

Preliminarmente alla fase di avvio delle attività si è proceduto alla definizione e condivisione tra la Direzione Aziendale e i MMG di un protocollo d’intesa allo scopo di definire sia gli aspetti organizzativo-gestionali (definizione di ruoli e funzioni dei vari attori coinvolti, definizione delle patologie croniche e dei criteri di eleggibilità dei pazienti, protocolli di monitoraggio, integrazione con gli specialisti di branca, etc), di quelli di natura giuridico-amministrativa (informativa e consenso informato del paziente, trattamento dei dati personali e sensibili, copertura assicurativa dei medici, etc), e di quelli di natura economica (previsione di incentivi/remunerazione rispetto alle prestazioni erogate in telemedicina sia presso gli OdC che presso il domicilio dei pazienti).

La previsione di risparmio netto complessivo, con l’impiego a pieno regime di tutti i 137 device, è di almeno 800.000 Euro annui.

 

Giuseppe Pasqualone

Direttore Generale

Azienda Sanitaria Locale di Brindisi

I DIVERSI VOLTI DEL RISK MANAGEMENT

Questa di febbraio è un’edizione particolarmente ricca di contenuti e spunti per Sanità 360°, un numero che esprime al meglio la vocazione di diffondere le buone pratiche di innovazione in ambito sanitario e di Risk Management in particolare

 

Apriamo con un progetto sperimentale durato tre anni su oltre 200 pazienti i risultati del quale, raccontati in prima persona dal Direttore Generale dell’ASL Brindisi Giuseppe Pasqualone, hanno dimostrato, numeri alla mano, l’impatto della tecnologia nell’efficacia delle cure e nel risparmio di risorse.

Negli articoli che seguono è la crescente cultura della prevenzione e della gestione del rischio in Italia ad emergere come tratto unitario: una crescita che rende più marcate le peculiarità del Risk Management nei diversi ambiti di applicazione. Alla News 1 Laura Spennagallo racconta, infatti, l’esperienza di un grande gruppo internazionale – il gruppo KOS – e una gestione del rischio unitaria attraverso le sue 83 strutture in 11 Regioni italiane.

Lo stesso tema assume una connotazione diversa nell’ambito unico della residenzialità psichiatrica, nell’intervista di Guido Lanzara, Risk Manager nella più importante struttura del Centro e Sud Italia per la riabilitazione dei pazienti affetti da malattie mentali: la laziale Colle Cesarano.

Infine, alla News 3, presentiamo una sintesi di ben 4 progetti di prevenzione presentati dalla ATS Bergamo al Premio SHAM 2018, un altro esempio dei diversi volti che può assumere l’investimento nella sicurezza delle cure.

 

Anna Guerrieri

Risk Manager Sham

LEAN MANAGEMENT NELLA GESTIONE AZIENDALE DEL SINISTRO ALL’AUSL BOLOGNA

Il progetto dell’AUSL Bologna, uno dei tre vincitori del Premio Sham 2018, raccontato da chi l’ha concepito e messo in pratica. L’obiettivo è stato l’analisi e riprogettazione della procedura riferita ai sinistri per la minimizzazione del tempo che intercorre tra l’avvio e la conclusione delle pratiche

 

Un protocollo operativo per aggiornare i percorsi operativi nella gestione dei sinistri. È uno dei progetti presentati dall’AUSL Bologna e vincitore dell’edizione 2018 del premio Sham.

“La personalizzazione dei servizi in rapporto alle esigenze dell’azienda e dei nostri assistiti e il miglioramento continuo delle tecniche di gestione nell’ambito del programma sinistri aziendali – spiega Andrea Minarini, Direttore Medicina Legale e Gestione del Rischio Clinico – sono i due elementi fondamentali che ci hanno spinto a riconsiderare le procedure riferite ai sinistri”.

“Le contromisure sono orientate sostanzialmente alla definizione di un protocollo operativo volto a garantire standardizzazione, eliminazione delle ridondanze, accelerazione dei processi di gestione del sinistro con riduzione della tempistica di lavorazione delle pratiche”, sottolinea la responsabile del progetto Teresa Palladino. “Il progetto – prosegue – ha previsto il coinvolgimento di un team work costituito da tutti gli attori che intervengono in termini di attività e responsabilità nelle varie fasi del processo di gestione del sinistro. L’obiettivo è stato quello di ridurre il tempo che intercorre dalla fase di input (apertura del sinistro) e la fase di output (formulazione di una proposta di transattiva o di rigetto) aggredendo quelle attività che valore non portano ma che valore consumano, i cosiddetti sprechi improduttivi. Per raggiungere questo obiettivo l’analisi è stata svolta nel luogo dove i professionisti producono il valore attraverso gli strumenti della filosofia Lean”.

“La metodologia Lean – conclude Palladino – ha permesso di mappare la situazione allo stato attuale quindi verificare come le attività vengono effettivamente svolte, misurarne i tempi, individuare i colli di bottiglia e gli sprechi improduttivi, individuando tutte quelle attività ‘non a valore’ che devono essere rimosse e favorendo il miglioramento in tutte le attività a valore o di quelle non a valore che, però, non possono essere rimosse”.

 

ALCUNE PRONUNCE GIURISPRUDENZIALI RELATIVE ALLA LEGGE N. 24/2017 (C.D. LEGGE GELLI-BIANCO)

Continua la collaborazione con l’Avv. Ernesto Macrì, che dal 2007 ha focalizzato il suo impegno professionale nel campo del diritto assicurativo, della responsabilità sanitaria e del risarcimento del danno. Consulente legale della Società Italiana di Ortopedia e Traumatologia, del Sindacato degli Ortopedici e Traumatologi Italiani e dell’Ordine dei Medici di Roma, Macrì si è parimenti dedicato all’attività forense, alla formazione permanente e alla divulgazione come autore di libri e di articoli su riviste scientifiche e quotidiani nazionali, divenendo, nel tempo, una voce autorevole nel campo della responsabilità e dell’assicurazione in sanità

 

Premessa   

Il 1° aprile del 2017 è entrata in vigore la legge n. 24 (cd. Legge Gelli-Bianco), accompagnata da inusitate voci acclamanti, che hanno finito per alimentare enormi (quanto vane?) speranze nei professionisti sanitari.

Una riforma che il nostro legislatore ha voluto di ampio respiro, con l’ambizione di rimodulare la disciplina sostanziale della responsabilità professionale e di valorizzare le misure di prevenzione, per poi, tuttavia, declinarla per principi, finendo così per rimetterne la specifica definizione alla decretazione delegata, che, ad oggi, ha prodotto come unico risultato quello di avere una legge inapplicabile in alcune sue parti fondamentali, come ad esempio quella che concerne le norme di diritto assicurativo.

Queste brevi note, intendono presentare una sintesi – senza entrare nel merito delle decisioni – dello stato dell’arte sotto l’angolo prospettico della giurisprudenza, soffermandosi esclusivamente su quelle sentenze che hanno riguardato gli aspetti processuali e sostanziali della normativa in questione nell’ambito della responsabilità civile e amministrativo-contabile, tralasciando la responsabilità penale per palese incompetenza funzionale de materia da parte di chi scrive.

 

Sulla efficacia nel tempo della norma

Come più sopra ricordato, la l. 8 marzo 2017 n. 24 (pubblicata in G.U. 17 marzo 2017 n. 64) è entrata in vigore il 1° aprile 2017 e, cioè, il quindicesimo giorno successivo alla sua pubblicazione, in Gazzetta Ufficiale, avvenuta il 17 marzo 2017. A parte la previsione di entrata in vigore differita di alcune norme – di cui agli artt. 3, 4, 5, 10, 12 e 14 – per il resto il provvedimento non contempla delle norme transitorie, dirette a regolare i rapporti giuridici che sono sottoposti al c.d. ius superveniens. Detto altrimenti, la questione riguarda se la legge nuova vada a disciplinare anche fatti accaduti prima dell’entrata in vigore della riforma. Si tratta di una delle questioni affrontate – nella prima fase applicativa delle nuove disposizioni sulla responsabilità medica – tanto dai giudici civili quanto da quelli contabili.

Orbene, non sono mancate differenti prese di posizione, sostanzialmente riconducibili a due linee interpretative: i) da una parte, coloro che sostengono che la legge nuova non possa essere applicata, oltre ai rapporti giuridici esauritisi prima dell’entrata in vigore della legge, a quelli sorti anteriormente ancora in vita; ii) dall’altra parte, chi ritiene che le regole introdotte nel 2017 hanno veste di norme di interpretazione autentica, con l’ovvio corollario che le stesse trovano applicazione nei giudizi in corso.

Al primo filone, si ascrive una pronuncia del Tribunale Roma, sentenza del 4 ottobre 2017, la quale ha precisato che «(…) il principio della irretroattività della legge, contenuto nell’art. 11 delle disposizioni preliminari al codice civile, comporta che la legge nuova non possa essere applicata, oltre ai rapporti giuridici esauritisi prima della sua entrata in vigore, a quelli sorti anteriormente ancora in vita se, in tal modo, si disconoscano gli effetti già verificatisi nel fatto passato o si venga a togliere efficacia, in tutto o in parte, alle conseguenze attuali o future di esso; la legge nuova è, invece, applicabile ai fatti, agli “status” e alle situazioni esistenti o sopravvenute alla data della sua entrata in vigore, ancorché conseguenti ad un fatto passato, quando essi, ai fini della disciplina disposta dalla nuova legge, debbano essere presi in considerazione in se stessi, prescindendosi totalmente dal collegamento con il fatto che li ha generati, in modo che resti escluso che, attraverso tale applicazione, sia modificata la disciplina giuridica del fatto generatore». In particolare, «Per quanto riguarda le norme sostanziali, il principio di irretroattività, in assenza di diverse disposizioni, comporta che la legge nuova possa essere applicata ai fatti, agli status e alle situazioni esistenti o sopravvenute alla data della sua entrata in vigore, ancorché conseguenti ad un fatto passato, quando essi, ai fini della disciplina disposta dalla nuova legge, debbano essere presi in considerazione in se stessi, prescindendosi totalmente dal collegamento con il fatto che li ha generati, in modo che resti escluso che, attraverso tale applicazione, sia modificata la disciplina giuridica del fatto generatore».

Del medesimo avviso Tribunale Avellino, sentenza del 12 ottobre 2017, n. 1806, che ha sottolineato come «(…) l’applicazione della c.d. legge Gelli a fatti già verificatesi al momento della sua entrata in vigore inciderebbe negativamente sul fatto generatore del diritto alla prestazione, ledendo, così, ingiustificatamente il legittimo affidamento dei consociati in ordine al regime contrattuale della responsabilità del medico». Da ciò ne consegue che, «le fattispecie perfezionatesi in epoca antecedente all’entrata in vigore della riforma de qua dovranno continuare ad essere regolate dai principi del previgente quadro normativo e giurisprudenziale, sicché si dovrà applicare la normativa della responsabilità contrattuale anche al medico – a prescindere da un formale rapporto di dipendenza – in quanto fondata sulla oramai ben nota teoria del contatto sociale».

Non si discosta da questo indirizzo ermeneutico Tribunale Catania, sentenza del 3 aprile 2018, n. 1456, nella quale il Giudice ha sottolineato che «(…) in assenza di una norma transitoria che autorizzi l’applicazione retroattiva di tale ius superveniens ai fatti generatori di responsabilità pregressi rispetto alla sua entrata in vigore, deve ritenersi operante la regola generale di cui all’art. 11 disp. prel. cod. civ.». Pertanto, nella fattispecie sottoposta all’esame del Giudice etneo si è continuato a fare applicazione dei «(…) principi del previgente (…) quadro normativo e giurisprudenziale, con conseguente applicazione (…) del regime della responsabilità contrattuale sulla base della nota teoria del “contatto sociale”».

Da ultimo, si richiama Tribunale Brindisi, sentenza del 3 settembre 2018, n. 1298, che ha confermato che «(…) nel caso di specie, deve trovare applicazione il regime vigente al momento della proposizione della domanda, e non quello dettato della l. Gelli-Bianco (n. 24/2017) che è intervenuta in riforma della materia, qualificando come extracontrattuale la responsabilità dell’esercente la professione sanitaria, con il richiamo dell’art. 2043 c.c. (all’art. 7, commi 3, 4 e 5), e come contrattuale quella della struttura sanitaria di riferimento. L’applicazione della Legge Gelli-Bianco a fatti già verificatesi al momento della sua entrata in vigore inciderebbe infatti negativamente sul fatto generatore del diritto alla prestazione, ledendo così ingiustificatamente il legittimo affidamento dei consociati in ordine al regime contrattuale della responsabilità del medico».

Anche la giustizia contabile, con un orientamento sin qui pacifico, ha ritenuto non applicabile retroattivamente la novella legislativa.

In particolare, si segnala Corte Conti, sezione giurisdizionale per la Lombardia, sentenza n. 35/2018, che ha deciso, da un lato, per l’esclusione dell’applicabilità retroattiva di quanto disposto dall’art. 13 della legge 8 marzo 2017, n. 24 con riferimento all’obbligo di comunicazione all’esercente la professione sanitaria del giudizio basato sulla sua responsabilità; dall’altro lato, dell’art. 9, comma 5, in merito all’importo al quale sarebbe tenuto il professionista sanitario dipendente di struttura sanitaria pubblica, nel caso di condanna per responsabilità amministrativa. In specie, per quanto concerne l’art. 13, secondo il giudice contabile detta inapplicabilità «(…) è dettata da ragioni formali, in assenza di una espressa previsione di efficacia retroattiva della norma, e da ragioni sostanziali, in quanto ne deriverebbe una ingiustificata sterilizzazione di tutte le azioni risarcitorie in cui le Aziende Ospedaliere non abbiano seguito, in assoluta buona fede, una procedura all’epoca non prevista e non richiesta né da previsioni di legge né tantomeno regolamentari (cfr. in proposito sentenze di questa Sezione n. 191/2017 e 196/2017)».

Sul versante opposto – cioè, per l’applicazione della cd. legge Gelli-Bianco anche fatti accaduti prima dell’entrata in vigore della riforma – di sicuro interesse è la pronuncia del Tribunale Milano, sentenza del 16 febbraio 2018, che, a proposito del profilo concernente la quantificazione dei danni, ha ritenuto che «(…) concordemente all’orientamento seguito dalla Sezione, debba trovare applicazione l’art. 7, comma 4, l. n. 24 del 2017, che prescrive che il danno biologico e non patrimoniale conseguente all’attività dell’esercente la professione sanitaria sia da risarcire sulla base delle tabelle di cui agli artt. 138 e 139 del D.Lgs. 7 settembre 2005, n. 209». Infatti, sotto quest’angolo di prospettiva, «(…) l’applicazione della c.d. legge Gelli-Bianco a fatti già verificatesi al momento della sua entrata in vigore non incide negativamente sul fatto generatore del diritto alla prestazione, ma si limita a fissare i criteri di liquidazione del danno non patrimoniale sulla base, appunto, delle tabelle di cui agli artt. 138 e 139 del Codice delle assicurazioni».

Si è espresso di recente – per chiudere sul punto – il Tribunale Latina, sentenza del 27 novembre 2018, che ha stabilito che le disposizioni di cui all’art. 7 della legge Gelli-Bianco, «(…) trovano piena applicazione nel caso di specie, in quanto, in punto di qualificazione della responsabilità del sanitario e della struttura, la normativa sopravvenuta è di carattere sostanziale e non processuale e dunque trova applicazione anche nei processi in corso, sia in quanto previsioni aventi valore interpretativo (qualificazione della natura della responsabilità sanitaria) e dunque comunque applicabile retroattivamente».

La partecipazione della Compagnia di assicurazione all’ATP di cui all’art. 8 della legge Gelli-Bianco

Un’altra serie di pronunce concernenti la legge n. 24/2017, ha riguardato l’individuazione dei soggetti passivamente legittimati, nei procedimenti di accertamento tecnico preventivo ex art. 696-bis c.p.c. La l. 8 marzo 2017, n. 24, introduce, difatti, un nuovo tentativo di conciliazione, disciplinato dall’art. 8 che prevede che chi intende esercitare un’azione civile relativa ad una controversia di risarcimento del danno derivante da responsabilità medica e sanitaria è tenuto preliminarmente ad espletare, ai sensi dell’art. 696-bis c.p.c., una consulenza tecnica preventiva, pena l’improcedibilità della domanda. In realtà, tale condizione di procedibilità si pone in ottica alternativa all’esperimento del tentativo di media-conciliazione, già previsto dal comma 1-bis dell’art. 5 d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28. Con riguardo al procedimento di ATP si è posto un problema di diritto transitorio dell’applicabilità della norma (art. 12, comma 4) che prevede il litisconsorzio necessario dell’impresa di assicurazione e del sanitario nell’azione diretta svolta dal danneggiato [1].

Peraltro, sempre con riguardo all’azione diretta, mentre l’art. 8 è norma di immediata applicazione, le disposizioni di cui all’azione diretta nei confronti dell’assicurazione si applicano a decorrere dall’entrata in vigore del decreto ministeriale che dovrà essere emanato (a dire il vero doveva essere emanato entro 120 giorni dall’entrata in vigore della legge) a norma dell’art. 10, comma 6, ove devono essere dettati i requisiti minimi sulle polizze assicurative. Deve dunque valutarsi l’opportunità/necessità che le compagnie partecipino in ogni caso al procedimento ex art. 696-bis c.p.c. Sulla questione si registra un evidente contrasto giurisprudenziale. Secondo una parte della giurisprudenza di merito, la partecipazione è senz’altro ammissibile, anche alla luce della funzione conciliativa dell’ATP e del rilievo che, essendo di norma l’assicuratore il soggetto “pagante”, difficilmente potrà raggiungersi un accordo in sede di ATP in sua assenza.

Di tale avviso il Tribunale di Venezia, ordinanza del 18 gennaio 2018, che ha rigettato l’eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata dalla Compagnia di assicurazione convenuta in un procedimento di ATP, ritenendo «(…) irrilevante la mancata adozione dei decreti ministeriali alla cui entrata in vigore è subordinata l’esperibilità dell’azione diretta del danneggiato nei confronti dell’assicurazione della struttura sanitaria e del medico ex art. 12 della legge n. 24/2017: nel caso di specie, infatti, non si discute di un’azione diretta proposta dal danneggiato nei confronti dell’assicurazione, ma del tentativo obbligatorio di conciliazione previsto dall’art. 8 della legge n. 24/2017, il cui comma 4 prevede come “obbligatoria” la partecipazione di tutte le parti, e anche delle “imprese di assicurazione”; tale obbligo di partecipazione, ad una prima sommaria valutazione, appare indipendente dall’esperibilità dell’azione diretta e dall’entrata in vigore dei decreti ministeriali previsti dall’art. 12 della legge n. 24/2017 (…); infine, si osserva che la partecipazione dell’impresa di assicurazione appare conforme alla ratio della normativa e alla finalità conciliativa dello strumento processuale previsto dall’art. 696-bis c.p.c., essendo strumentale fornire all’assicurazione i possibili elementi di natura tecnica necessari all’eventuale formulazione di un’offerta di risarcimento che tenga conto dell’an e del quantum della responsabilità e che consenta la chiusura in via transattiva della controversia prevendo l’instaurazione di un giudizio di merito, anche solo nei confronti dell’assicurato».

Sulla stessa linea interpretativa anche Tribunale di Verona, sentenza del 10 maggio 2018, che aggiunge ulteriori considerazioni circa la possibilità di coinvolgere già nell’ATP le compagnie di assicurazione, evidenziando come ciò consenta «(…) anche sotto il profilo funzionale, di meglio perseguire la finalità conciliativa che caratterizza l’istituto e che vale a contraddistinguerlo, sotto tale profilo, dalla mediazione, che pure può essere esperita in alternativa all’ATP, ai sensi del comma 2 dell’art. 8, ma nella quale le compagnie di assicurazione raramente vengono coinvolte».

D’altra parte, a stare con il giudice di prime cure, «(…) giova anche evidenziare che, per molti anni a venire, gli ATP riguarderanno ipotesi di responsabilità da valutarsi sulla scorta delle discipline di diritto sostanziale anteriori alla legge Gelli (si tratta delle norme del codice civile e della l. 8 novembre 2012 n. 189, c.d. legge Balduzzi, per i fatti commessi dopo l’entrata in vigore della stessa), cosicché la definizione dell’ambito soggettivo dell’istituto non può dipendere dalla piena entrata in vigore delle nuove norme» (il carattere grassetto e sottolineato è aggiunto).

Non si discosta da un simile orientamento Tribunale di Benevento, sentenza del 24 ottobre 2018, che sottolinea – con considerazioni alquanto opinabili – come peraltro «(…) senza la Compagnia nell’ATP, (…) la CTU espletata nella fase sommaria non sarebbe a lei opponibile nel giudizio di merito, dove dovrebbe procedersi all’espletamento di una nuova consulenza, pertanto, anche se è vero che il danneggiato (o il suo erede) non ha ancora (prima dei decreti ministeriali attuativi) titolo per agire direttamente contro la Compagnia, il legislatore ha previsto espressamente la presenza della Compagnia di assicurazioni in questa fase proprio per garantire che l’ATP possa avere qualche possibilità di utile esito (ipotizzabile solo con la presenza della tasca solvile della Compagnia) e per evitare che la CTU debba essere rifatta nel giudizio di merito, dove comunque normalmente viene chiamata anche la compagnia assicurativa» (il carattere grassetto e sottolineato è aggiunto).

Altro indirizzo ritiene invece inammissibile il ricorso per ATP verso la Compagnia di assicurazione in mancanza dell’entrata in vigore dei succitati decreti.

In specie, si richiamano Tribunale di Milano, sentenza del 18 gennaio 2018 (inedita); Tribunale di Ivrea, sentenza del 16 aprile 2018 (inedita); Tribunale di Ferrara, sentenza del 23 maggio 2018 (inedita). In particolare, il giudice meneghino ha evidenziato come le Compagnie chiamate a partecipare all’ATP, vengono «(…) individuate non in via generale, ma sulla base dell’espresso richiamo all’art. 10. Tale norma prevede l’obbligo per le strutture sanitarie di dotarsi di copertura assicurativa e di rendere pubblica la denominazione dell’impresa che presta la copertura assicurativa, indicando per esteso i contratti e le clausole che determinano la copertura assicurativa. Non è stato però ancora emanato, come invece previsto dal medesimo art. 10, il decreto ministeriale che deve stabilire quali siano i requisiti minimi delle polizze, con conseguente inoperatività – allo stato – della previsione di cui al comma 1 e, conseguentemente, di quella ad essa collegata di cui all’art. 8. Coerentemente l’art. 12 comma 6 L. 24/17 prevede che l’azione diretta del danneggiato nei confronti dell’istituto assicurativo sarà possibile solo a decorrere dall’emanazione del citato decreto ministeriale».

Infine, merita di essere segnalata, per il percorso argomentativo seguito, Tribunale di Marsala, ordinanza del 7 dicembre 2017, non andata esente dal fascino dell’ammissibilità della chiamata della Compagnia di assicurazione nel procedimento di ATP, arrivando addirittura a prevedere una chiamata iussu iudicis ex art. 107 c.p.c.

Così il giudice siciliano argomenta che: «(…) In relazione alla questione relativa a chi debba chiamare nel giudizio di accertamento tecnico preventivo la Compagnia di Assicurazioni, dopo l’introduzione dell’azione diretta e l’emanazione del decreto ministeriale attuativo può chiamare in sede di ATP la detta Compagnia anche direttamente il danneggiato», per poi proseguire precisando che «(…) Comunque, pur non essendo pacifico che la partecipazione obbligatoria all’ATP da parte della Compagnia di Assicurazioni prevista dall’art. 8 comporti litisconsorzio necessario della stessa prima che diventi operativa la possibilità di azione diretta in forza del citato decreto ministeriale, è preferibile ritenere che se nessuno chiama nel procedimento per ATP la detta Compagnia, allora sarà il giudice che ne disporrà la chiamata ex art. 107 c.p.c. a cura della parte ricorrente, pure tenuto conto di esigenze di economia processuale» (il carattere grassetto e sottolineato è aggiunto).

 

La breve rassegna giurisprudenziale citata conferma di quale trama complessa consta la riforma della responsabilità sanitaria operata dalla recente legge Gelli-Bianco, di cui, allo stato, dovrà essere sospesa ogni valutazione, almeno sino all’adozione definitiva della regolamentazione secondaria, che andrà finalmente a definire tutta una serie di aspetti nodali e alla luce della quale si potrà, davvero, misurare in maniera più compiuta l’effettiva portata dell’impianto riformatore.

[1] Su tale profilo di veda V. Amirante, La consulenza tecnica preventiva e la nuova condizione di procedibilità: disciplina, tempi, soggetti, su RIDARE, Focus del 18 luglio 2017; M. Vaccari, L’accertamento tecnico preventivo, Milano, 2018, p. 218  

DUE OCCHI DAVANTI ED UNO DIETRO. SPUNTI DI PREVENZIONE DAL SANT’ANNA DI TORINO

6.660 parti nel 2018 di cui oltre il 50% da gravidanze a rischio, 140 tra ginecologi, neonatologi e anestesisti al lavoro in 7 primariati: il Sant’Anna di Torino è il primo ospedale ostetrico e ginecologico d’Italia ed uno dei più importanti in Europa. Ma l’essere un punto di riferimento non è un traguardo stabile ma un processo sostenuto dalla continua ricerca di buone pratiche e miglioramenti organizzativi da introdurre basandosi su benchmark e azioni di Risk Management. L’ultima delle quali, in ordine di tempo, è la mappatura dei rischi attraverso il metodo Sham

 

Intervista a Claudio Plazzotta, Medico della direzione sanitaria dell’Ospedale ostetrico ginecologico Sant’Anna di Torino

“Tra le specialità mediche, una delle particolarità che contraddistingue la ginecologia e ostetricia è il dedicare una quantità singolarmente elevata di energie, prima che alla cura delle condizioni patologiche, alla loro prevenzione mantenendo o cercando di riportare la gravidanza entro parametri fisiologici. La prevenzione – spiega Claudio Plazzotta, Medico della direzione generale del Sant’Anna di Torino – abbraccia l’intero spettro delle persone coinvolte nella gravidanza, le ostetriche e i clinici in reparto, la gestante, i familiari, il medico di famiglia e del consultorio; e dei fattori che ne influenzano il corso, ovvero età, condizione di salute, educazione scolastica, stili di vita e molti altri. Molta enfasi è giustamente posta sull’osservazione continua al fine di individuare i fattori di rischio al loro primo manifestarsi”.

È questo l’orizzonte di una professione – l’ostetricia e ginecologia – conosciuta come ‘la vigile attesa’.

In Italia l’Ospedale Sant’Anna di Torino è in assoluto il primo centro ostetrico e ginecologico per numero di nascite, con 6.660 parti nel solo 2018 avvenuti nei 4 primariati di ostetricia del Presidio che si avvale della professionalità di 70 ginecologi, 40 neonatologi e 30 anestesisti. “La forte sinergia tra le tre specialità permette, inoltre, di concentrare le gravidanze a rischio presso il Presidio. Il Sant’Anna, che segue un quarto di tutti i parti dell’intera Regione Piemonte e ospita il 40 per cento dei parti gemellari, è uno dei sei centri di II livello (specialistici) della Regione in quanto dotato di terapia intensiva neonatale e coordina un servizio d’eccellenza per il trasporto dei neonati gravemente prematuri dai centri di I livello su ambulanze attrezzate con a bordo un neonatologo e un infermiere pediatrico[1]. Il collegamento con l’Ospedale Infantile Regina Margherita permette, infine, di coinvolgere gli specialisti pediatri nello studio delle malformazioni d’organo già durante la gravidanza, al fine di definire il miglior timing del parto”.

“La logica della suddivisione tra centri di I e II livello è di concentrare le gravidanze a rischio e neonati pre-termine nei luoghi che sono meglio attrezzati a trattarli. Questa concentrazione, però, ci mette di fronte a due sfide importanti: la prima è un continuo investimento nella gestione di un rischio, che, ovviamente, è più accentuato nel caso di gravidanze non fisiologiche; la seconda è un’organizzazione efficiente che permetta di non sovraccaricare i centri specializzati”.

“I due ambiti sono distinti ma richiedono costante integrazione – spiega Plazzotta – perché una buona organizzazione ha sempre delle buone ricadute cliniche”.

“Un elemento che ha grande potenzialità, per esempio, è l’integrazione tra ospedale e territorio, con maggiore valorizzazione del ruolo dei consultori che possono fare da filtro nell’indirizzare le donne nei centri di I o II livello. Il Piemonte ha sviluppato da tempo l’Agenda di Gravidanza come strumento cartaceo per la condivisione delle informazioni tra il professionista che segue la gravidanza e il clinico, al fine di addivenire a una raccolta ordinata e completa delle informazioni sulla gravidanza; la possibile adozione di una cartella clinica informatizzata condivisa tra i due settori (ospedale-territorio) consentirebbe di incrementare ulteriormente l’efficienza e la sicurezza”.

“Se il primo obiettivo dell’ostetricia e ginecologia è garantire lo sviluppo di una gravidanza fisiologica, il secondo passo è indirizzare le donne al setting assistenziale adatto alle loro esigenze. Infatti un’anamnesi completa e minuziosa, che sia integrata del lavoro dell’ostetrica e del ginecologo, consente di individuare eventuali fattori di rischio della gravidanza. Nel caso la gravidanza venga classificata come a basso rischio la paziente viene indirizzata al percorso del basso rischio ostetrico (BRO), come da indicazione ministeriale, un’area dell’ospedale dove l’assistenza in reparto, il travaglio e il parto vengono gestite interamente dalle ostetriche. Con questa organizzazione l’Ospedale Sant’Anna è riuscita a mantenere il tasso dei parti cesarei inferiore al 5% nel reparto a basso rischio, anche per quelle donne che accedono al pronto soccorso ostetrico senza essere conosciute in precedenza. Ciò dimostra che con una corretta anamnesi, il lavoro di equipe e l’adozione di protocolli chiari e condivisi, è possibile mantenere la fisiologia del parto nella gran parte dei casi”.

Altrettanto importante è individuare il corretto setting assistenziale per la gravidanza patologica (placenta previa, gravidanza gemellare monocoriale, preeclampsia, iposviluppo fetale, minaccia di parto pretermine). “In questi casi – spiega Plazzotta – due elementi hanno dimostrato di contribuire in maniera significativa alla sicurezza delle cure: il confronto tra centri di II livello per scambiarsi periodicamente aggiornamenti sulle procedure e i trattamenti speciali più efficaci e il coinvolgimento di altri specialisti. Al Sant’Anna ciò avviene in ambulatori ‘super specialistici’ dove cardiologi, nefrologi, anestesisti e ginecologi lavorano assieme. Molte di queste gravidanze a rischio vengono indirizzate o trasferite dai centri di I livello; analogamente al principio della presa in carico dei casi più gravi è stato strutturato il Back Transport, ovvero il ritorno delle donne nei centri di partenza una volta stabilizzata la patologia iniziale e al raggiungimento delle 33 settimane, quando è indicato partorire anche nei Punti Nascita di I livello”.

“Infine, dato che i fattori di rischio sono tanti – dalle malattie autoimmuni alle condizioni patologiche preesistenti – ogni mattina viene effettuata nei reparti di degenza l’epicrisi di tutti i parti e dei ricoveri del giorno precedente; tale attività è gestita in sinergia dalle ostetriche e dai ginecologi”.

Ospedale ostetrico ginecologico Sant’Anna di Torino

“Tutti questi elementi – sottolinea Plazzotta – non assicurano permanentemente un gold standard al nostro ospedale. È vero, al contrario, che solo la continua ricerca universitaria, l’analisi delle procedure e le azioni di miglioramento permettono di mantenere nel tempo un alto livello delle cure. Cerchiamo di quantificare ogni azione attraverso benchmark perché siamo sempre alla ricerca di altri benchmark con i quali confrontarci”.

È all’interno di questo quadro che si cala l’ultima iniziativa di Risk Management intrapresa: la mappatura del rischio attraverso il metodo Sham che ha riunito gruppi di lavoro multidisciplinari dei quattro primariati, al fine di individuare e rafforzare gli aspetti della sicurezza dell’organizzazione e delle cure ritenuti più vulnerabili. A conclusione dei lavori sono state fissate le azioni di miglioramento da perseguire nel 2019 che coinvolgono i sotto processi dell’approvvigionamento di farmaci e dispositivi, la gestione del rischio di emorragia post partum e della depressione post partum.

“Da esperienze come la mappatura con Carto Risk – conclude Plazzotta – emerge come la prevenzione, più che un traguardo, sia un processo nel quale gli spunti possono arrivare da un gran numero di fonti, a partire dal confronto tra operatori e strutture diverse. Anche in un ospedale grande come il Sant’Anna, perciò, dobbiamo avere due occhi davanti ed uno dietro, per vedere la nostra attività quotidiana con una prospettiva diversa: come se le guardassimo dall’esterno chiedendoci continuamente se c’è un modo di fare meglio e come”.

[1] Trasporto Neonatale Avanzato della Provincia di Torino (TANTO)

L’ANALISI DI PROCESSO NEL GOVERNO SANITARIO

“La gestione sanitaria non può prescindere dall’analisi delle prestazioni”. Questa la motivazione principale del Corso Universitario di Aggiornamento e Formazione Professionale “Risk Management e gestione dell’evento dannoso nelle aziende sanitarie” all’Università di Torino nelle parole del Professore Enrico Sorano, Direttore del Corso. “Cresce la sensibilizzazione nella mappatura dei rischi e dei sinistri, ma le due logiche vanno integrate”

 

Intervista a Enrico Sorano, Professore del Dipartimento di Management dell’Università di Torino

Secondo Enrico Sorano, Professore del Dipartimento di Management dell’Università di Torino, “la logica nella gestione delle Aziende Sanitarie sta cambiando e quest’evoluzione è stata fortemente accelerata dalla legge n. 24/2017 Gelli-Bianco”. La garanzia della sicurezza delle cure implica, infatti, lo sviluppo e l’applicazione di quegli strumenti che permettono di valutare i dati relativi alle cure e migliorarne, sulla scorta di quelli, la qualità. “L’esito di questa evoluzione – riprende Sorano – è che il sistema di controllo della gestione sanitaria non può prescindere dall’analisi del governo clinico delle prestazioni. Per capire bisogna misurare, mappare e mettere in relazione i dati. Questi sono i campi del Risk Management e dell’analisi dei sinistri: due discipline che, però, troppo spesso vengono considerati come separate, quando, invece, i dati ricavati dall’analisi dei sinistri sono fondamentali nell’ingegnerizzare le azioni di miglioramento”.

“Il Corso Risk Management e gestione dell’evento dannoso nelle aziende sanitarie nasce esattamente per trasmettere questa consapevolezza ed offrire, in particolare agli impiegati delle Azienda Sanitarie coinvolti nei processi di gestione, le competenze tecniche e teoriche per applicarle nel loro lavoro”.

“C’è – continua Sorano – molta più sensibilità di un tempo, nelle Aziende Sanitarie, riguardo all’importanza di mappare i rischi e i sinistri. Quello che serve, ora, è integrare le due logiche mettendo in risalto la relazione che intercorre tra prevenzione e analisi dei sinistri, ovvero, il flusso di informazioni che intercorre tra due attività che vanno condotte e concepite parallelamente”.

“Comprendere la gestione sanitaria come un evento complesso e ramificato è il primo risultato del Corso e il prerequisito per collocare nella dinamica generale i singoli approfondimenti –- dalla prevenzione all’intero iter del sinistro – che vengono affrontati dai singoli docenti nelle 40 ore di lezione”.

RISCHIO CLINICO E SINISTRI: UN CORSO UNIVERSITARIO A TORINO DAL 12 MARZO

Il 12 marzo 2019 inizia “Risk Management e gestione dell’evento dannoso nelle aziende sanitarie”, la seconda edizione del Corso Universitario di Aggiornamento Professionale realizzato dal Dipartimento di Management dell’Università di Torino

 

Un corso che vede nella formazione dei dipendenti delle aziende sanitarie uno tra i migliori investimenti per garantire sia la sicurezza che la sostenibilità delle cure e che ruota attorno alla focale relazione tra l’analisi dei sinistri e la gestione del rischio.

Una delle missioni della Mutua Sham è quella di contribuire alla diffusione, nella Sanità italiana, della cultura della Prevenzione e del Risk Management: siamo convinti, infatti, che la trasmissione di competenze tecniche e le conoscenze connesse alla gestione del rischio e dei sinistri sia un valore aggiunto che beneficia sia la capacità professionale dei singoli che la realtà lavorativa nella quale sono inseriti. Per questo, e per la qualità dell’Istituzione che lo eroga, consigliamo fortemente la partecipazione a questo corso.

È dall’analisi dei dati degli eventi dannosi, infatti, che si traggono gli elementi sui quali fondare le azioni di miglioramento. Risk Management e gestione dei sinistri, perciò, non sono due ambiti distinti ma un unico flusso di informazioni che attraversa alcune delle dinamiche più importanti della sanità contemporanea: la prevenzione e la gestione del rischio sanitario, l’utilizzo delle risorse disponibili e della tutela del paziente, l’analisi economica e di esito, l’applicazione della legge n. 24/17, l’analisi reattiva dei sinistri e la gestione dell’evento dannoso, dal reclamo alla soluzione del conflitto.

Tutti questi elementi sono importanti, presi singolarmente, ma è la comprensione della loro interazione a permettere un salto di qualità ed uno strumento di lavoro imprescindibile nell’ambito delle aziende sanitarie, sia in ottemperanza al nuovo quadro normativo sia in considerazione della strettissima relazione tra sicurezza e sostenibilità. Questa consapevolezza culturale e le competenze tecniche che la sostanziano saranno l’obiettivo del Corso al quale Sham è felice di dare il suo contributo per il secondo anno di seguito.

Roberto Ravinale, Direttore Tecnico Sham Italia

Dal 12 marzo 2019 al 9 aprile, perciò, in 40 ore di formazione divise in 5 incontri, le lezioni si concentreranno sulla visione globale del rapporto tra Risk Management e gestione dei sinistri esplorando, poi, tutti gli ambiti analitici, gestionali ed economici nei quali questa si esplica.

Siamo convinti che l’aggiornamento e la formazione – il Corso ha ricevuto l’accreditamento per 50 crediti ECM – offriranno un bagaglio di conoscenze concrete e applicabili che contribuiranno a diffondere sia la cultura che la prassi della prevenzione conformandosi, così, ad uno dei principi fondanti di Sham nei suoi novant’anni di storia.

Ringraziando l’Università di Torino, il Dipartimento di Management e il Professor Enrico Sorano per questa nuova opportunità dedicata al mondo sanitario, invito a scoprire i dettagli e le modalità di iscrizione del Corso al sito web dell’Università degli Studi di Torino.

 

 

Roberto Ravinale

Direttore Tecnico Sham Italia