IL SALTO DI QUALITÀ PARTE DALL’UTENZA

Il progetto dell’ASL VCO, tra i tre vincitori del Premio Sham 2018, raccontato dai professionisti sanitari che l’hanno concepito e messo in pratica. Grazie ai video di addestramento, incentrati sulla dialisi peritoneale e dedicati a pazienti e caregiver, è stata aumentata la sicurezza della pratica a domicilio

 

“La dialisi peritoneale è una terapia salvavita che ha la peculiarità di poter essere gestita dal paziente e care giver a domicilio”. Michela De Nicola, infermiera presso il servizio di Dialisi Peritoneale dell’Asl Verbano-Cusio-Ossola, spiega che, però, è “necessario un percorso di addestramento”. É stata proprio l’esigenza di aggiornare la preparazione a dare origine ad uno dei tre progetti vincitori del Premio Sham 2018. “Il progetto” spiega il direttore della Nefrologia Maurizio Borzumati “nasce soprattutto dagli infermieri del team della dialisi peritoneale” al fine di trovare un medium – aggiornato ai tempi e alle nuove esigenze – per trasmettere ai pazienti gli elementi necessari a svolgere in tranquillità e sicurezza la dialisi a domicilio.

Il risultato sono state delle video-procedure richiamabili anche su smartphone e tablet attraverso QR code. “È stato un salto di qualità – riprende De Nicola – che ha risposto all’evoluzione dell’utenza nell’ultimo decennio”. Non solo i pazienti ma anche i care giver, infatti, provenivano da diverse culture e le brochure in italiano non consentivano più di comunicare in maniera efficace. I video, invece, trasmettono le “procedure aziendali che seguono i protocolli internazionali, permettendo al paziente e a coloro che lo assistono di imparare la metodica di gestione”.

Grazie a questa innovazione, oggi, pazienti, familiari e caregiver possono accedere in ogni momento ai video da cui poter apprendere o rivedere le procedure più idonee.

Il risultato apprezzato è stato la riduzione del rischio di complicazioni (infezioni e peritoniti) fino al 30 per cento. “Altro aspetto estremamente importante – conclude il dottor Burzumati – è stata la riduzione delle chiamate dal domicilio del paziente al Servizio di Dialisi Peritoneale. Il poter usufruire delle video-procedure e l’avere il conforto delle immagini ha sicuramente tranquillizzato il paziente che ha ritenuto in una minore percentuale di casi di dover ricorrere al contatto telefonico”

 

LA MAPPATURA DEI PROCESSI NELLA ASL TO 4

L’impiego del metodo Sham – CartoRisk ha coinvolto direttamente 204 operatori sanitari nella quantificazione e mappatura di cinque grandi percorsi sanitari in tutti e tre i presidi di Chivasso, Ciriè ed Ivrea

 

CartoRisk è il metodo sviluppato dalla Mutua Sham per mappare il rischio a priori nei processi sanitari. “È un metodo pratico e concreto – spiega Anna Guerrieri, Risk Manager di Sham – che coinvolge team multidisciplinari di operatori sanitari nella formazione sul metodo e nella stesura effettiva della mappatura”.

In un periodo di lavoro che ha attraversato l’intero 2018, CartoRisk è stato applicato ai processi dell’intera Asl TO 4 focalizzandosi sulle cinque principali aree del rischio identificate dalla letteratura: l’Identificazione del Paziente; il Percorso del Farmaco; il Percorso Chirurgico; il Percorso Ostetrico; il Percorso di Emergenza/Urgenza.

La mappatura effettuata da 204 operatori in tutti e tre i presidi della Asl TO 4 – Chivasso, Ciriè e Ivrea – ha identificato 137 possibili azioni di miglioramento, alcune delle quali a breve termine, già implementate sul campo, le altre poste al vaglio della Direzione Generale per la validazione e successiva applicazione.

“CartoRisk, infatti, non è un metodo di valutazione qualitativo, ma uno strumento di miglioramento pratico che incrementa in maniera mirata la sicurezza dei processi”, spiega Anna Guerrieri. Il percorso prevede due giornate lavorative per operatore e si sviluppa analizzando ogni singolo processo e sotto-processo sanitario coinvolto nella mappatura, quantificando, sulla base di parametri, i rischi che possono incorrere in ogni passaggio e l’efficacia delle barriere già in essere volte a contenerlo. Tutte le attività sono state accreditate ECM e sono gli stessi medici, infermieri e professionisti sanitari ad effettuare la mappatura e a proporre le azioni di miglioramento ritenute opportune per ridurre il rischio residuale, ovvero quello che rimane dopo aver valutato l’impatto delle barriere preesistenti.

“La conoscenza degli operatori è fondamentale – continua la Risk Manager Sham – perché sono loro ad impegnarsi ogni giorno per erogare le cure in sicurezza e nessuno meglio di loro può capire dove si annidi il rischio e come migliorare i processi.

CartoRisk è lo strumento che permette loro di aumentare la propria consapevolezza circa le azioni che svolgono ogni giorno e, nello stesso tempo, permette di “misurare” e tracciare   i rischi. Conseguentemente aiuta a motivare, sulla base dei dati raccolti, le eventuali richieste/proposte di variazioni organizzative o criticità rilevate alla Dirigenza della struttura, al fine della necessaria condivisione e validazione dei progetti di miglioramento. Infine CartoRisk è una metodologia che si può applicare a qualsiasi processo sanitario e che permette, una volta appresa, di essere messa in pratica autonomamente dai professionisti sanitari ogni volta che ne sentano la necessità, sia applicando i parametri affinati da Sham in decenni di esperienza, sia sviluppandone di nuovi per adattarsi alle situazioni particolari delle diverse discipline sanitarie.

LA MOSSA DEL CHIRURGO

Prevedere l’imprevisto: la strategia del Comitato Gestione Rischi (Co.Ge.Ri) all’AO Marche Nord per scongiurare gli eventi inattesi. Intervista al Risk Manager Nicola Nardella e alla responsabile del Comitato Cristiana Cattò

 

“Gli effetti collaterali possono essere scongiurati in due modi: sviluppando tutti gli accorgimenti possibili per ridurre la probabilità che si verifichino ed essere pronti a gestirli se ciò avviene comunque. All’AO Marche Nord percorriamo entrambe le strade”. Per Nicola Nardella, Risk Manager dell’Azienda Ospedaliera di Pesaro e Fano “Ogni volta che si verifica un evento inatteso – dannoso o potenzialmente tale – se quest’evento viene documentato, analizzato e registrato ci offre una concreta possibilità di miglioramento: un’azione che impedisca all’evento di capitare nuovamente o, alternativamente, un’azione che impedisca all’evento di creare un danno qualora si manifesti una seconda volta.  “Questa è la mossa del chirurgo: sapere dove intervenire per non ledere alcun vaso; ma sapere anche cosa fare nell’istante nel quale inavvertitamente il vaso venga danneggiato”.

Il Comitato Gestione Sinistri (CO.GE.RI.) è il luogo dove tutte le informazioni convergono, vengono analizzate in maniera proattiva – per prevedere le eventualità – e reattiva – per prevenire che un evento avverso si verifichi nuovamente. “È un crocevia – spiega la responsabile Cristiana Cattò – dove le informazioni arrivano da tutte le fonti, coinvolgono tutti gli attori e sono tradotte in nuove procedure e accorgimenti che ritornano ai reparti e influenzano i percorsi clinici e organizzativi”.

“Ci sono due grandi ambiti di intervento – riprende Nardella – Assicurarsi che le procedure siano efficaci nel prevenire il rischio ed assicurarsi che i professionisti sanitari non solo seguano le procedure, ma documentino il percorso che intraprendono. La raccolta dei dati è, infatti, la pietra angolare che garantisce la sicurezza del paziente e dell’operatore: i documenti permettono di ricostruire quanto avvenuto, permettono di capire cosa migliorare per la salute del paziente, ma permettono, anche e nello stesso tempo, al professionista di dimostrare la bontà della sua condotta. Per questo l’ambito medico legale e quello della gestione del rischio non sono scindibili. Le informazioni si trasmettono dall’uno all’altro senza soluzione di continuità”.

Queste informazioni arrivano al CO.GE.RI. dal Comitato Valutazione Sinistri (Dottoressa Luana Stefanelli), dalle segnalazioni spontanee, dalle periodiche revisioni delle cartelle cliniche, dalle schede delle cadute accidentali, dalle istanze del Tribunale del Malato e dagli audit di processo che vengono effettuati nel corso dell’anno.

Da sx: Luana Stefanelli (CO.VA.SI); Nicola Nardella (Risk Manager); Cristiana Cattò (CO.GE.RI.) AO Marche Nord

“Qualora si verifichino delle complicanze in una tipologia di intervento – spiegano Nardella e Cattò – raccogliamo i dati, verifichiamo la distribuzione degli eventi tra gli operatori e contattiamo il centro di riferimento nazionale per un confronto sulle procedure a cui diamo seguito attraverso un ciclo di formazione. Partendo da un percorso dei campioni istologici che prevedeva la raccolta in tre ospedali, l’analisi in uno solo di questi e almeno due punti di raccolta intermedi, abbiamo analizzato ogni singolo passaggio per capire quali fossero i requisiti di un percorso “a prova di smarrimento” e solo sulla base di quell’analisi abbiamo prodotto un protocollo molto rigido che lo garantisse. Quando ci siamo accorti che i nuovi contenitori per le soluzioni fisiologiche (quadrati e in plastica) erano simili a quelli di una particolare categoria di antibiotici, abbiamo avviato una procedura con il Ministero per prevenire il rischio di scambiarle nell’attività quotidiana di reparto. Quando abbiamo ricevuto evidenza che due procedure, entrambe considerate corrette, in alcuni casi potevano dare esiti diversi da quelli attesi, ci siamo focalizzati sulle caratteristiche di quei casi per avere la risposta giusta la prossima volta che si fossero presentate le medesime condizioni. Nulla di tutto ha a che fare con il rispetto formale delle procedure e spesso neppure con la singola procedura in quanto tale – sottolineano entrambi – ma con la loro efficacia sostanziale una volta inserite nella complessità del percorso di cura”.

Sviluppare questa strategia nella pianificazione sanitaria richiede che tutti gli attori interessati ad ogni livello del percorso in esame siano presenti nel momento in cui le evidenze vengono discusse. Per questo il Comitato Gestione Rischi viene presieduto dal Responsabile del Risk Management, vede sempre la presenza della Dottoressa Cattò e della Dottoressa Stefanelli (COVASI), entrambe medici legali, coinvolge il Direttore Generale, Maria Capalbo, Il Direttore Sanitario, Edoardo Berselli, e, in successione, il Direttore Medico del Presidio, il Responsabile dei flussi sanitari, il Dirigente di Comparto della funzione infermieristica, nonché, ovviamente, i referenti della materia in oggetto. “Le sedute ‘plenarie’ sono circa 9 all’anno – spiega Cattò – ma il Comitato è attivo ininterrottamente interessando anche gruppi di lavoro focalizzati che si dividono tra analisi, formazione e sviluppo delle linee di miglioramento”.

Ogni gruppo di lavoro dedicato alla Gestione del Rischio è, di per sé, un gruppo di formazione e di miglioramento – conclude Nardella – e la partecipazione alle attività del CO.GE.RI. è giustamente riconosciuta come tale anche nella certificazione ECM. Per gestire il rischio, infatti bisogna conoscerlo e ciò non può essere fatto senza una profonda, globale e continuamente aggiornata comprensione di tutti gli aspetti del processo sanitario del quale ogni operatore è parte”.

UN NUOVO STRUMENTO PER RIDURRE IL RISCHIO FARMACOLOGICO

Il sistema di supporto alle decisioni cliniche (CDSS) MEDIDSS è stato impiegato per un Clinical Trial all’ospedale di Vimercate. Un progetto di ricerca realizzato tra la società Medilogy e l’Università di Milano, la Regione Lombardia e il Ministero della Salute che ha coinvolto 7mila pazienti con l’obiettivo di misurare l’impatto dei CDSS nella pratica clinica

 

Intervista a Massimo Mangia, Amministratore Delegato di Medilogy

«Gli eventi avversi dovuti ad errori in corso di “terapia farmacologia” sono la causa di danno più frequente nei pazienti ospedalizzati[1]». Questi eventi si verificano nell’intero percorso del farmaco, riguardano tutti i professionisti sanitari coinvolti nel processo e non vanno confusi con le «Adverse Drug Reaction – ADR, ovvero le complicanze legate al farmaco stesso[2]».

Ci possono essere errori di prescrizione, di trascrizione, di somministrazione e di assunzione e, nella maggior parte dei casi «è dimostrato che le cause di tali errori sono spesso riconducibili a mancanza di informazioni, scarsa o inadeguata comunicazione, calo di attenzione, stanchezza, carenze organizzative[3]».

Secondo Massimo Mangia, Amministratore Delegato di Medilogy ed uno tra i maggiori esperti di tecnologie sanitarie in Italia, “questo rischio ha ricadute non solo sulla salute dei pazienti, ma anche sulla sostenibilità finanziaria del Sistema Sanitario Nazionale, perché dagli eventi avversi discendono nuovi ricoveri che una maggiore appropriatezza nelle prescrizioni e una consapevolezza più approfondita sulle interazioni tra farmaci eviterebbero”.

“Il tema degli eventi avversi legati ai farmaci è stato a lungo studiato nella letteratura. Già uno studio del 2001 effettuato su 1.116 ospedali statunitensi aveva riscontrato che «gli errori in terapia farmacologica si verificano nel 5% circa dei pazienti ricoverati in un anno[4]». Un dato sostanzialmente confermato da uno studio del 2013[5]. In Italia – prosegue Mangia – esistono dati precisi e ben poco rassicuranti sull’impatto del rischio farmacologico, con particolare attenzione alla fascia della popolazione più anziana. La metà della popolazione anziana assume, infatti, da 5 a 9 farmaci al giorno. L’11% (1.4 milioni) ne assume più di 10[6]. Questi farmaci, però, interagiscono tra di loro – e non di rado in maniera conflittuale – producendo un effetto che dipende sia dalla presenza concomitante di diversi principi attivi sia dalle condizioni del singolo paziente. È una relazione difficile da prevedere ma fondamentale da prevenire perché l’uso concomitante di farmaci, anche di quelli senza obbligo di ricetta, può comportare gravi effetti avversi – dal sanguinamento alla sedazione (con effetto su, per esempio, le cadute intra o extra ospedaliere ) – che spiegano come mai il 20 per cento degli anziani debba essere ricoverato una seconda volta in seguito e per diretto effetto di prescrizioni inappropriate[7]”.

“Data la complessità della relazione tra i farmaci, la prevenzione passa attraverso l’analisi comparata dei dati disponibili nella letteratura. È qui che la tecnologia informatica può fungere da strumento di supporto alle decisioni cliniche prese, ogni giorno, nel reparto. Una prassi già molto diffusa in Nord Europa, che sta affacciandosi anche nello scenario italiano, prevede un sistema digitale che, ricevendo le informazioni dei pazienti e quelle della terapia, individui e segnali le conflittualità e proponga le alternative farmacologiche che mantengono l’obiettivo terapeutico impiegando principi attivi diversi e non conflittuali. MEDIDSS è un sistema di questo tipo”.

Massimo Mangia, Amministratore Delegato di Medilogy

MEDISS è sviluppato in Italia da Medilogy, utilizza un motore inferenziale di regole realizzato da Duodecim Medical Publications, casa editrice della principale società scientifica dei medici finlandesi, ed è basato sulle banche dati di Medbase, una società finlandese che collabora con il Karolinska Institutet di Stoccolma, l’Università di Turku e la Stockholms Läns Landsting.

“MEDIDSS opera preferenzialmente, ma non esclusivamente, integrandosi con la cartella clinica elettronica – spiega Mangia – Dalla cartella il programma riceve i dati sanitari dei pazienti. Il motore di ricerca analizza le informazioni, le passa al database di conoscenze (un procedimento noto come inferenza) e ritorna alla cartella una serie di indicazioni che il medico e l’infermiere dovrebbero considerare, tra le quali: la presenza di interazioni tra farmaci, l’esistenza di controindicazioni, il livello di rischio calcolato a partire da nove categorie di effetti avversi indotti dai farmaci, le avvertenze sui dosaggi, la presenza di cross-sensibilità rispetto alle allergie e aspetti farmacologici relativi al quadro clinico con particolare attenzione alle condizioni di insufficienza renale ed epatica, alla gravidanza, al periodo di allattamento e all’età del paziente. Il professionista sanitario non riceve tutte queste informazioni contemporaneamente, ma può accedere ad un livello di approfondimento crescente che parte da un quadro generale di possibili conflitti (ed alternative consigliate) e arriva al database di oltre 1.000 sintesi di linee guida, filtrate in funzione del quadro clinico del paziente”.

“Lo scopo di questo sistema – che opera anche in assenza di interfaccia con la cartella clinica offrendo le informazioni relative al rapporto tra farmaci e all’interazione con le condizioni patologiche pregresse come descritti nella letteratura – è aumentare l’appropriatezza delle prescrizioni e ridurre il rischio per i pazienti”.

Anche l’efficacia dello strumento va dimostrata con i dati – conclude Mangia – Per questo abbiamo sperimentato MEDIDSS in un Clinical Trial all’ospedale di Vimercate. Un progetto di ricerca realizzato tra la società Medilogy e l’Università di Milano, la Regione Lombardia e il Ministero della Salute che coinvolge 7mila pazienti. Lo studio, che è in fase di pubblicazione, dimostrerà come l’impiego del sistema abbia ridotto diversi fattori di rischio legati alle terapie farmacologiche fornendo ai professionisti sanitari, in tempo reale, tutti i dati rilevanti e le opzioni possibili sulle quali basare le loro decisioni”.

 

[1] Raccomandazione per la prevenzione della morte, coma o grave danno derivati da errori in terapia farmacologica, Ministero della Salute

[2] Ibid.

[3] Ibid.

[4] Medication errors in United States hospitals. Bond CA, Raetil Cl, Franke T. Pharmacotherapy, 2001 Sep, 21 (9):1023-36. (studio citato nella Raccomandazione 7).

[5] James JT. A new, evidence-based estimate of patient harms associated with hospital care. J Patient Saf. 2013 Sep;9(3):122-8

[6] Dati Osservatorio Nazionale sull’impiego dei medicinali (AIFA)

[7] Dati registro Reposi – SIMI, Istituto Mario Negri, Politecnico di Milano

L’INNOVAZIONE NEL PERCORSO DEL FARMACO

C’è una ragione per la quale si continua a parlare dell’impatto delle tecnologie in ogni aspetto della vita lavorativa e personale del contemporaneo e questo motivo è che la trasformazione è tutt’altro che completa

 

Quelli che chiamiamo nuovi strumenti, infatti, non sono più strumenti nel senso tradizionale del termine ma, più propriamente, porte di accesso ad un bacino di conoscenze al quale attingere più volte durante la giornata per integrare il processo di scelta. È un fenomeno che si sta dispiegando, da alcuni anni, letteralmente davanti ai nostri occhi e il corso del quale, verosimilmente, accelererà ulteriormente nel prossimo futuro. Già ora è chiaro, però, che l’automazione dei programmi informatici estende i confini della tecnologia da strumento focalizzato ad una funzione a processo integrante di pressoché ogni funzione.

In sanità ciò significa, per esempio, impiegare la tecnologia per supportare ogni scelta terapeutica confrontandola non solo con il portato della letteratura, ma declinando questo supporto sulle condizioni individuali del singolo paziente.

Questa capacità di previsione degli effetti, delle correlazioni e dei possibili esiti di ogni intervento diventa capacità di prevenzione. Sham ha cominciato a parlarne nel suo Congresso annuale in ottobre condividendo con i partecipanti i progetti, tra gli altri, di IBM, GPI Group e Microsoft in campo sanitario. Oggi offriamo, nell’intervista a Massimo Mangia, un’ulteriore testimonianza e uno spunto di riflessione basati su un’innovazione concreta e già messa in pratica che affronta un nodo primario del rischio clinico: il percorso del farmaco.

 

Christophe Julliard

Country Manager Sham Italia

RICONQUISTARE LA CAPACITÀ DI DECIDERE

L’empowerment della persona assistita messo in pratica al Centro Diurno Rododendri di Rozzano attraverso la risocializzazione e la riconquista delle abilità sociali. Il Centro è parte del DSMD (Dipartimento di Salute Mentale e Dipendenze), ASST Santi Paolo e Carlo di Milano, Presidio San Paolo

 

“Lo scopo del Centro Diurno Rododendri è permettere alle persone assistite di riconquistare spazi di vita che la malattia psichiatrica ha tolto loro. I percorsi e le aree di intervento sono diversi” spiegano Valentina Barbieri e Barbara Bottene, rispettivamente responsabile del Centro Diurno 1 – che comprende il Centro Diurno Rododendri e il Centro Diurno di via Ovada (e della Macroattività Ambulatoriale Complessa di Psichiatria) – e Coordinatrice infermieristica”. Il Centro copre il territorio di 11 Comuni con un bacino di popolazione di 130mila abitanti e segue circa 70 pazienti all’anno tra i 18 e i 65 anni, trenta dei quali in maniera intensiva. Il quadro diagnostico varia dalla schizofrenia, circa il 70 per cento degli assistiti, ai disturbi dell’umore e della personalità fino ad una crescente presenza di casi di ansia grave.

“Non è immediato, però, collegare il quadro diagnostico all’intervento riabilitativo – spiegano Barbieri e Bottene – Assieme alle educatrici professionali Franca Bianchi e Paola Longo e alle infermiere Patrizia Lazzaro, Isabella Giannoccaro e Olimpia Jazzetta i percorsi vengono calibrati individualmente, partendo più dai bisogni e dalle risorse che dalla diagnosi. Ciò significa accompagnare le persone ad incrementare le capacità di interazione sociale in spazi pubblici ‘non protetti’, in autonomia, partendo dalle difficoltà e dai punti di forza di ognuno”.

Le aree di intervento spaziano dalle uscite sul territorio in cinema, musei e supermercati, alle attività sportive, ai laboratori manuali ed espressivi che spaziano dal teatro alla danza, dalla musica alla poesia.

Staff del Centro Diurno Rododendri di Rozzano

“Ognuna di queste aree permette di espandere i confini della persona, rafforzando la sua sicurezza e l’autonomia. Ma il primo confine da estendere è quello della capacità di decidere”.

Conseguentemente, all’incirca metà dell’orario settimanale è dedicato a “gruppi di parola” il cui scopo è accompagnare le persone assistite a confrontarsi e decidere sulle attività stesse che andranno a svolgere. Quale mostra andare a vedere, cosa comprare al supermercato, su quali aspetti concentrare i laboratori: “Sono le scelte che i nostri ospiti imparano a prendere di nuovo. È questo il loro empowerment: tornare a scegliere in autonomia sulle azioni della loro vita”.

Nel percorso di riabilitazione e risocializzazione gioca un ruolo importante il rapporto con le associazioni del territorio che ospitano diverse attività e incontri. “Particolarmente efficace è, anche, un’iniziativa autonoma che non parte dal Centro Diurno ma che alcuni nostri operatori affiancano: La Carovana Itinerante”. Si tratta di un gruppo autogestito che riunisce, in parti diverse della città, dalle 30 alle 50 persone con diagnosi psichiatrica per discutere assieme. “Per i nostri assistiti – conclude l’educatrice Franca Bianchi – l’impegno di spostarsi e partecipare è considerevole, ma anche il beneficio. Noi operatori, infatti, li accompagniamo ma ci teniamo in disparte, e sono i pazienti stessi a fissare l’agenda della discussione, condurla e stilare il verbale per la volta successiva. È un grande esercizio di autonomia; un passo in più per riconquistare quella libertà di agire ed esprimersi convivendo con la malattia psichiatrica che rappresenta l’obiettivo finale del nostro impegno”.

 

MEDICINA NUCLEARE E RADIOTERAPIA: UN NUOVO PERCORSO DI MAPPATURA

Il Mauriziano di Torino apre nuove aree alla mappatura del rischio a priori impiegando il metodo CartoRisk di Sham. L’iniziativa è partita direttamente dai reparti e dal Risk Management dell’Azienda sanitaria, e ha coinvolto in prima persona i professionisti sanitari coinvolti ogni giorno nell’erogazione delle cure. A fronte di bassi rischi per i pazienti, sono state individuate le procedure interne che i professionisti sentivano l’esigenza di migliorare

Intervista a Barbara Mitola, Risk Manager Azienda Ospedaliera Mauriziano, Torino

Nel primo semestre del 2018 l’Azienda Sanitaria Ospedaliera Mauriziano di Torino ha effettuato una mappatura del rischio a priori in quelle che sono considerate le cinque principali aree del rischio: Emergenza e Accettazione (DEA); l’identificazione del paziente; il percorso del Farmaco; la Chirurgia e l’Ostetricia.

Lo strumento utilizzato è stato CartoRisk, il metodo sviluppato dalla Mutua Sham che si basa sulla formazione di gruppi di lavoro multidisciplinari per l’analisi dei singoli processi di erogazione delle prestazioni sanitarie al fine di misurare, quantitativamente e qualitativamente, il rischio a priori in ogni passaggio, l’efficacia delle barriere utilizzate e l’entità del rischio residuo da gestire.

“Il passaggio successivo – spiega Barbara Mitola, Risk Manager Azienda Ospedaliera Mauriziano – è stato andare oltre i percorsi tracciati in precedenza, applicando lo strumento ad aree che non erano state mai mappate prima”.

“Lo stimolo – spiega la dottoressa – è partito direttamente dai servizi di Radioterapia e Medicina Nucleare, che hanno chiesto di approfondire l’analisi e la comprensione del rischio all’interno dei loro processi”.

“CartoRisk risponde a questa esigenza perché è uno strumento concreto – aggiunge Anna Guerrieri, Risk Manager Sham che ha affiancato il processo di mappatura – Sono gli stessi medici, infermieri, tecnici e professionisti sanitari che prendono in esame, azione per azione, l’intero processo di cura al quale partecipano ogni giorno e identificano tutti i rischi potenziali insiti nel percorso. L’esito non è solo un quadro del rischio a priori, ma una più profonda consapevolezza di ogni passaggio e delle sue implicazioni nonché la comprensione di un metodo di lavoro che, come dimostra l’esperienza del Mauriziano, può essere replicato in ambiti diversi ove gli operatori stessi sentano l’esigenza di approfondire l’analisi”.

“La mappatura del rischio in Radioterapia e Medicina Nucleare ha richiesto, infatti, due distinti passaggi – riprende Mitola – la comprensione del metodo e la traduzione della sua logica per applicarlo alle nuove aree interessate”. Inoltre, rispetto all’analisi dei processi già tracciati, c’è stato bisogno di descrivere i processi da analizzare, nella logica dello strumento.

L’attività è stata divisa in un primo momento di preparazione, con formazione sullo strumento e descrizione del processo, e successive due giornate dedicate all’analisi di circa 50 rischi per ognuna delle due strutture, all’identificazione delle criticità e allo sviluppo di proposte di miglioramento che hanno coinvolto, oltre a medici, infermieri e tecnici, anche fisici e biologi.

La mappatura si è concentrata sugli ambiti ambulatoriali che sono preminenti nelle attività della Radioterapia e Medicina Nucleare. Nel primo caso si è focalizzata l’attenzione sull’identificazione del paziente e sul suo percorso all’interno della struttura. La Medicina Nucleare ha analizzato i principali percorsi diagnostici che prevedono l’inoculazione di radiofarmaci, la cui captazione, registrata in immagini, permette di misurare l’attività metabolica degli organi e delle funzioni biologiche oggetto di studio.

I risultati delle due mappature – annuncia Mitola – hanno confermato complessivamente un basso rischio per i pazienti, già riscontrato anche nelle mappature effettuate nelle altre aree del Mauriziano. Molto positiva, però, è stata la possibilità per gli operatori di identificare alcune criticità nei processi interni che l’analisi ha permesso di mettere in evidenza e di analizzare”.

“In particolare, per la Radioterapia è emersa l’opportunità di aumentare l’integrazione delle diverse interfacce dei numerosi software digitali impiegati e di mantenere alto, con alcuni accorgimenti aggiuntivi quale l’acquisto di una seconda macchina fotografica, la soglia di attenzione nel percorso di identificazione del paziente. Nella Medicina Nucleare è emersa una criticità interna relativa agli aspetti amministrativi dei processi aziendali e una criticità specifica relativo all’eventualità – pur remota – di una fuoriuscita dal lume venoso (stravaso) dell’infusione. Quest’ultima ha portato alla proposta di acquistare una nuova apparecchiatura che incrementi la capacità di individuazione in sede di esame”.

“Ognuna delle criticità identificate dagli operatori – conclude Mitola – ha portato alla formulazione di una proposta di miglioramento. E sono proprio queste proposte a rappresentare l’ultimo e forse più importante contributo del lavoro di mappatura alle politiche di Gestione del Rischio. Ogni singolo passaggio sanitario, infatti, presenta dei rischi. Mapparli, quantificarli e comprenderli in un percorso continuo di miglioramento è la chiave della prevenzione e della sicurezza delle cure”.

 

Per approfondire

  • La S.C. Medicina Nucleare eroga prestazioni diagnostiche e terapeutiche con utilizzo di radiofarmaci che si concentrano nell’organo oggetto di studio o che si comportano come tracciante di una particolare funzione biologica. Le radiazioni emesse vengono registrate in immagini che, elaborate e lette dai medici nucleari, aiutano le diagnosi “funzionali”, cioè l’espressione di una funzione vitale.

Le indagini delle Medicina Nucleare spaziano diversi campi specialistici:

CARDIOLOGIA, per la diagnosi e lo studio della cardiopatia ischemica e delle disfunzioni ventricolari; CHIRURGIA RADIOGUIDATA, per l’imaging e l’individuazione intraoperatoria del “linfonodo sentinella”, in diverse patologie oncologiche operabili; GASTROENTEROLOGIA, attraverso indagini funzionali per la diagnosi e la valutazione di patologie del sistema digerente; INFEZIONI E INFIAMMAZIONI, con esami scintigrafici per la diagnosi e la valutazione di patologie reumatologiche ed infettive; TIROIDOLOGIA, mediante diagnostica scintigrafica, ecografica ed invasiva per lo studio delle patologie della tiroide, sia di tipo funzionale che di tipo oncologico; METABOLISMO FOSFO-CALCICO, per lo studio della iperfunzione paratiroidea e per l’individuazione preoperatoria degli adenomi paratiroidei; NEFROLOGIA, per lo studio morfo-funzionale del rene e delle vie urinarie, nell’adulto; NEFRO-UROLOGIA PEDIATRICA, per lo studio morfo-funzionale del rene e delle vie urinarie, nel bambino; NEUROLOGIA, per la valutazione della perfezione cerebrale e per la diagnosi precoce e lo studio della malattia di Parkinson; ONCOLOGIA, attraverso l’imaging scintigrafico tradizionale per la diagnosi e lo studio delle patologie oncologiche; PNEUMOLOGIA, per la valutazione della perfusione polmonare nella diagnosi e lo studio della malattia tromboembolica; valutazione della funzionalità polmonare preoperatoria.

 La Medicina Nucleare studia e permette la diagnosi, inoltre, degli edemi primitivi e secondari degli arti inferiori e superiori (con protocollo standardizzato di Bourgeois).

La disciplina, inoltre, eroga la terapia radiometabolica sia in regime di ricovero sia in regime ambulatoriale attraverso, per esempio, il trattamento radiometabolico dell’ipertiroidismo e delle metastasi ossee dolorose o la Sinoviolisi radiometabolica (sinoviortesi) nelle artriti.

Questi trattamenti comportano l’impiego di elevati quantitativi di radioattività che viene veicolata sul tumore o sull’organo bersaglio da un carrier specifico in modo che dosi elevate di radiofarmaco si leghino a strutture espresse da neoplasie maligne oppure ne vengano metabolizzate, ed esercitino, così, un effetto terapeutico erogando alla lesione una considerevole energia radiante (radioterapia metabolica).

La Struttura Complessa di Radioterapia a Direzione Universitaria dell’AO Mauriziano Umberto I di Torino è dotata di 2 acceleratori lineari che producono radiazioni ionizzanti di alta energia (fotoni X ed elettroni). Tale trattamento, utilizzato in circa il 50% dei pazienti affetti da neoplasia, ha come obiettivo la distruzione delle cellule tumorali e, in casi selezionati, può essere utilizzata nella terapia di patologie non neoplastiche.

Tutti i trattamenti radioterapici vengono erogati con tecniche altamente complesse e ad alto gradiente di dose quali la Radioterapia ad Intensità Modulata (Intensity Modulated Radiotherapy – IMRT) e Volumetrica (Volumetric Arc Therapy – VMAT), Guidata dalle Immagini (Image Guided Radiotherapy – IGRT) e Conformazionale (3D Conformal Radiotherapy – 3DCRT). Tali tecniche, in particolare la VMAT, permettono di incrementare l’efficacia terapeutica con contenimento degli effetti collaterali acuti e tardivi sui tessuti sani.

PRESENTAZIONE DEI VINCITORI DEL PREMIO SHAM 2018

L’impiego delle tecnologie nell’assistenza domiciliare all’ASL VCO di Verbano-Cusio-Ossola; la riduzione dei tempi di attesa nella gestione sinistri all’AUSL Bologna e il tracciamento informatico per la cura delle lesioni cutanee all’Azienda USL Toscana Sud Est: questi i progetti premiati nella cornice di Forum Risk Management di Firenze

 

In occasione della 13a edizione di Forum Risk Management in Sanità sono stati premiati i vincitori 2018 del “Premio Sham per la prevenzione dei rischi”. “Si tratta di un’iniziativa unica in Italia – spiega il Manager di Sham Italia Christophe Julliard – che assieme alle due iniziative gemelle in Francia e in Spagna, raccoglie i progetti di prevenzione in corso nelle aziende sanitarie pubbliche con il fine di promuovere a livello nazionale ed europeo le migliori pratiche locali per la sicurezza delle cure e per diffondere la cultura della prevenzione”.

La terza edizione del premio, realizzata come le precedenti grazie alla collaborazione di Federsanità ANCI, ha visto la partecipazione di 31 progetti presentati da 22 Aziende Sanitarie in ben 9 Regioni italiane. I vincitori 2018 sono: ASL VCO Verbano-Cusio-Ossola con il progetto “Utilizzo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC): per deospedalizzare i pazienti con malattia renale cronica”; AUSL Bologna con il progetto “Lean management nella gestione aziendale del sinistro: analisi e riprogettazione del workflow per la minimizzazione del lead time”; Azienda USL Toscana Sud Est, con il progetto “Miglioramento della qualità dell’assistenza dei cittadini portatori di lesioni cutanee attraverso l’impiego di una applicazione elettronica ad uso multi-interdisciplinare in tutti i setting assistenziali”.

“Favorire iniziative che puntino alla qualità dei servizi nelle strutture sanitarie è una missione sostanziale per Federsanità ANCI – spiega la dottoressa Tiziana Frittelli, Direttore Generale della Fondazione Policlinico Tor Vergata e Presidente di Federsanità Anci – per migliorare i processi clinici, i percorsi diagnostici terapeutici, l’erogazione e l’accesso tempestivo alle cure appropriate e una comunicazione con il paziente che sia umana e non solo formale. La risposta di così numerose Aziende sanitarie è un segnale di grande entusiasmo che racconta l’apertura intellettuale e il livello di preparazione professionale degli operatori coinvolti nelle varie strutture in ambito di prevenzione e gestione del rischio”.

“Attraverso il Premio Sham – sottolinea la Risk Manager della Mutua Anna Guerrieri – sono i medici, gli infermieri e i tecnici sanitari a parlare in prima persona, raccontando il continuo percorso di miglioramento che viene svolto da chi, ogni giorno, si impegna per rendere le cure più sicure”.

“Il Premio Sham ha inciso in maniera significativa sulle nostre capacità di erogazione delle cure per i pazienti assistiti a domicilio e sottoposti a ventilazione e nutrizione artificiali” racconta il dottor Vincenzo De Filippis, Direttore U.O. Rischio Clinico e Qualità dell’Azienda Sanitaria di Bari che ha vinto l’edizione 2017. “In seguito alla partecipazione – continua il dottor De Filippis – abbiamo potuto reinvestire il premio in denaro nell’acquisizione di un manichino per l’esercitazione del personale infermieristico dedicato ad oltre 200 pazienti affetti da SLA e di altri 100 con gravi problemi respiratori. Lo strumento di formazione, molto apprezzato soprattutto dai giovani infermieri appena assunti, ha permesso loro di impratichirsi nelle difficili operazioni del cambio di cannula, cambio di PEG e procedure di respirazione cardio-respiratoria, aumentando, di conseguenza, la loro competenza al servizio dei pazienti”.

Ai tre progetti vincitori una Menzione Speciale è stata assegnata alla AUSL Bologna in virtù di ben 4 progetti presentati.

I tre progetti vincitori hanno ricevuto un premio in denaro di 6mila euro, da reinvestire nella prosecuzione del progetto presentato. “In questo modo – conclude Christophe Julliard – intendiamo non solo valorizzare un percorso di prevenzione ma avviare anche un circolo virtuoso di riduzione del rischio e di miglioramento nei processi che duri nel tempo”.

LA GESTIONE DIPARTIMENTALE INTEGRATA E FLESSIBILE DEI PROCESSI ASSISTENZIALI

Negli ultimi anni abbiamo assistito a molti cambiamenti nella politica sanitaria, abbiamo cercato di recepire nuovi modelli organizzativi spesso difficili da applicare in un panorama di elevata complessità nel quale si mescolano molteplici esigenze

 

Articolo a firma di Dr. Maurizio Gionco, Direttore SC Neurologia; Dr.ssa Maria Rosa Conte, Direttore Dipartimento Area Medica; Dr.ssa Barbara Mitola, Direzione Sanitaria di Presidio; Dr.ssa Maria Carmen Azzolina, Direzione Sanitaria di Presidio; Dr. Giovanni Messori Ioli, Direttore Sanitario d’Azienda; Dr.ssa Graziella Costamagna, Direttore SC Direzione Professioni Sanitarie; Dr. Maurizio Gaspare Dall’Acqua, Direttore Generale AO Ordine Mauriziano

INTRODUZIONE

La filosofia assistenziale chiamata Clinical Governance tenta di amalgamare tanti ingredienti: qualità, etica, risorse, suggerendo strategie comuni come la gestione per Dipartimenti, la gestione per processi, la gestione integrata multi-professionale estesa ai vari livelli del Servizio Sanitario, dall’Ospedale al Territorio.

Per processo si intende genericamente una sequenza di azioni finalizzate al raggiungimento di un obiettivo. La gestione per processi in sanità è una concatenazione logica di attività che è costruita sulle esigenze dei pazienti e attraversa trasversalmente le strutture. La razionalizzazione e l’integrazione condivisa multiprofessionale e multidisciplinare dei percorsi di cura orienta e sostiene la riorganizzazione per Dipartimenti, agevolando il controllo dell’appropriatezza degli interventi e riducendo i tempi di transito degli utenti. In un’organizzazione integrata per Aree e Dipartimenti le singole Strutture, pur mantenendo un’ampia autonomia gestionale, si aggregano funzionalmente per totalizzare un risultato complessivo migliore di quando si chiamavano Divisioni o Unità Operative, dove il lavoro era suddiviso per specialità, con operazioni separate. Ciò si traduce in una continua fertilizzazione incrociata delle competenze e dell’esperienza di tutti. L’integrazione si basa sul concetto di attività-guida, su prassi operative definite secondo schede-intervento strutturate sequenziali, lungo un binario che segue il problema di salute, dalla fase di acuzie alla riabilitazione, dall’ospedale al territorio. I macro-flussi sono disegnati come percorsi di transito prestabiliti, con attività ordinarie programmate e attività straordinarie previste, interfacce con altri processi, tappe intermedie, modalità operative, procedure, istruzioni.

I Processi assistenziali integrati rappresentano l’evoluzione dei Percorsi di cura specifici derivati a loro volta dalle Linee-guida. Le raccomandazioni di vario grado corrispondenti a vari livelli di evidenza scientifica forniscono gli elementi per scegliere le modalità di assistenza più appropriate, ma devono essere tradotte nei Percorsi diagnostico-terapeutici di riferimento adattati alle caratteristiche operative della realtà locale. Oltre alla diagnosi e alla terapia, il processo deve contemplare la medicina preventiva, la medicina predittiva e i vari aspetti assistenziali, sociali, organizzativi, etici, economici, amministrativi, formativi, informativi, educativi. Alla medicina basata sull’evidenza si deve affiancare la medicina basata sulle relazioni nella gestione delle complesse relazioni tra operatori sanitari, utenti e altri soggetti (famigliari, caregivers, volontari, istituzioni, associazioni) che partecipano in vario modo al processo. Dai Percorsi di Riferimento si possono poi costruire i Percorsi Obiettivi, che ipotizzano gli ulteriori cambiamenti perseguibili, gli obiettivi cui si vuole arrivare nel tempo. I diversi percorsi relativi a varie patologie vengono progressivamente incrociati e aggregati; nella strategia di rete vengono definite le connessioni transmurali orientate a traguardi comuni. In altre parole i percorsi di cura maturano, si accoppiano e danno alla luce i processi integrati, più ambiziosi e pretenziosi, richiedenti una saggia educazione e una costante supervisione.

Dr. Maurizio Gionco, Direttore SC Neurologia

MODELLO DI GOVERNO INTEGRATO DIPARTIMENTALE

In un Dipartimento si ritrovano raggruppate diverse Strutture sollecitate ad affiancare e condividere professionalità, risorse, obiettivi e regole di comportamento. Nel Dipartimento di Area Medica, nato dalla fusione di diversi precedenti Dipartimenti, sono confluite realtà disomogenee, per cui è stato necessario chiarire gli obiettivi comuni e i criteri di combinazione economica, coinvolgendo fin dall’inizio tutti i professionisti nei processi decisionali per raggiungere un’effettiva integrazione delle operazioni di assistenza. Stabiliti i presupposti generali di organizzazione dipartimentale, è stato assegnato a tutte le Strutture afferenti al Dipartimento l’obiettivo “Revisione dei percorsi assistenziali integrati con il DEA e il Dipartimento dei Servizi e condivisione dei criteri di gestione dei flussi di pazienti nelle aree di degenza di Area Medica”. Il progetto è stato sostenuto da vari promotori, Direzione e Consiglio di Dipartimento di Area Medica, Direttori e Responsabili delle Strutture afferenti al Dipartimento, Coordinatori Sanitari, Direzione Generale, Direzione Sanitaria, Direzione delle Professioni Sanitarie, Direzione del Dipartimento di Emergenza ed Accettazione, Direzione del Dipartimento dei Servizi. L’obiettivo è subito diventato inter-dipartimentale e ha coinvolto il Dipartimento di Emergenza ed Accettazione e il Dipartimento dei Servizi; molti percorsi interdisciplinari prevedono inoltre la progressiva integrazione e condivisione con Strutture dell’Area Chirurgica.

Il progetto si è sviluppato sul seguente binario: costituzione di un gruppo di lavoro multidisciplinare e multi-professionale ampiamente rappresentativo; analisi globale del processo assistenziale trasversale e rilevazione delle criticità; disegno del modello di percorso ideale adeguato alla realtà locale; raccolta dei percorsi di cura esistenti per le principali patologie e definizione dei criteri di ricovero; condivisione delle procedure correlate; stesura e formalizzazione di un documento generale unico di riferimento. Analizzando il flusso di utenti dall’ingresso all’uscita dell’ospedale sono emersi numerosi problemi ma anche molte possibili soluzioni. Sui piani generali disegnanti le tappe fondamentali abbiamo esploso un cluster di attività, sub-attività e singole azioni ordinate in sequenza logica, evidenziando gli snodi decisionali sulla mappa degli episodi che rappresentano i momenti più significativi correlabili a specifici traguardi intermedi. I piani di attività sono stati ridefiniti secondo le “Linee di indirizzo per la gestione del percorso del paziente in Pronto Soccorso” della Direzione Sanità Regione Piemonte. A partire dalle esigenze del Pronto Soccorso, sono stati definiti i criteri per la gestione dei posti letto (appropriatezza clinica, utilizzo flessibile dei letti, trasferimento interno dei pazienti), sono stati raccolti i percorsi di cura relativi alle principali patologie di varia competenza e sono state condivise nuove procedure trasversali.

Dall’analisi dei Percorsi Effettivi consolidati abbiamo ricavato nuovi Percorsi di Riferimento, aggiornati, estesi e condivisi. Il potenziamento dei collegamenti interni e l’attivazione del bed-management dipartimentale hanno facilitato il transito dei pazienti nel regime più appropriato (degenze ordinarie, Week Hospital, Day Hospital, ambulatori, Day Service).

Essendo emersa la necessità di concordare le modalità di gestione dei flussi assistenziali alternativi al ricovero, in maniera strettamente integrata con i percorsi specialistici ambulatoriali e di Day Service, sono state successivamente coinvolte anche le Strutture che non dispongono di letti di degenza. Nel contempo, sono state evidenziate le peculiari attività svolte da Ambulatori dedicati a patologie di particolare rilevanza o complessità e/o all’esecuzione di particolari procedure o esami richiedenti un elevato grado di esperienza e un’apposita organizzazione. Il processo di revisione dei Percorsi Specialistici Ambulatoriali va collegato al progetto di Governo dei Tempi di Attesa per l’accesso alle prestazioni ambulatoriali.

Nelle riunioni di lavoro, che proseguono da anni a cadenza mensile con la fattiva partecipazione della Direzione Sanitaria, si sono via via affrontati svariati temi di comune interesse, più o meno correlati ai Percorsi di cura, come la gestione delle dimissioni difficili, la continuità prescrittiva terapeutica ospedale-territorio, la gestione del dolore, lo sviluppo dell’attività di Day Service, per cui si sono di volta in volta aggiunte numerose altre figure professionali in base agli argomenti trattati. Le riunioni scandiscono la graduale evoluzione del progetto, valutando criticamente il cammino compiuto, condividendo le scelte e i nuovi traguardi. L’estesa partecipazione favorisce lo sviluppo di un più ampio progetto di miglioramento continuo a livello aziendale, con maggiore qualità e soddisfazione di tutti. Parallelamente all’avanzamento dei lavori di rielaborazione dei processi di cura e di contestuale riorganizzazione dipartimentale, i vari documenti man mano elaborati e formalizzati sono stati capillarmente diffusi e resi accessibili a tutti gli operatori per una pronta consultazione.

Nel tempo il progetto è diventato una vera e propria modalità strutturata di lavoro di gruppo, interdipartimentale, multidisciplinare e multiprofessionale, in grado di contribuire attivamente al miglioramento continuo, e globale, dell’organizzazione aziendale e dell’offerta assistenziale, in linea con i principi del Total quality management, con un processo costante di integrazione, monitoraggio, revisione e perfezionamento dei risultati man mano raggiunti.

Accanto alle soddisfazioni, non mancano le difficoltà: alcune resistenze ai cambiamenti sono giustificate dal naturale timore di perdere identità e autonomia, dalla reticenza individuale alla responsabilizzazione personale, dalla disomogeneità dei contesti operativi, dalla settorializzazione del sapere medico e dei modelli tradizionali organizzativi per specialità. Nella costruzione del processo di cura è difficile esplicitare in sequenza logica le azioni di tutti gli operatori, precisare le risorse impiegate, separare le tappe del percorso da procedure e istruzioni operative, separare le attività comuni dalle attività specifiche, prevedere ramificazioni ed evitare duplicazioni, scrivere e correggere, ordinare e catalogare. Ancora più arduo è forzare il passaggio rapido dal percorso effettivo al percorso di riferimento e individuare indicatori semplici per un adeguato sistema di controllo. Il nostro viaggio di gruppo organizzato prosegue dunque caparbiamente lungo percorsi impervi, con lo sguardo rivolto a un orizzonte indefinito tra luci e nebbie, sempre consapevoli che la vita è nel cammino.

IL CONFRONTO TRA I PROFESSIONISTI È LA PRIMA BUONA PRATICA

In ambito sanitario i contesti locali possono variare ma il problema di affrontare il rischio e armonizzare i processi gestionali nell’ottica della prevenzione e dell’efficienza rimane lo stesso

 

Questa consapevolezza è divenuta, nei novant’anni di storia di Sham, uno dei pilastri fondamentali della Mutua e si riassume in questo assunto: «Più professionisti si confrontano su un problema, più sarà facile raggiungere la soluzione».

Favorire lo scambio di buone pratiche è divenuto, così, una prassi che Sham declina sui tanti livelli della sua attività. Lo fa mettendo a disposizione dei suoi associati gli strumenti di mappatura del rischio sviluppati in decenni di attività in Europa. Lo fa attraverso l’iniziativa del Premio Sham, che promuove le migliori pratiche locali perché vengano conosciute e replicate a livello nazionale. Lo fa attraverso il blog www.sanita360.it lasciando la parola ai professionisti che ogni giorno si impegnano per rendere le cure più sicure.

In questa prima newsletter di dicembre siamo felici di poter raccontare tutti e tre questi livelli di impegno. Nella sezione “Intervista” il dottor Maurizio Gionco, Direttore SC di Neurologia e molti autorevoli co-firmatari del Mauriziano di Torino raccontano il percorso di Clinical Governance che ha prodotto strategie comuni per la gestione dei Dipartimenti e dei processi attraverso una strutturazione del lavoro inter-dipartimentale, multidisciplinare e multi-professionale. Vengono esposti, inoltre, i progetti vincitori del Premio Sham 2018 annunciati nell’edizione appena conclusa di Forum Risk Management Firenze.

Nei successivi articoli è l’esperienza quotidiana degli operatori a venire raccontata e, in particolare, l’impiego di uno strumento – Carto Risk – mutuato dalla consulenza di Sham ma applicato dal personale di reparto e dalla responsabile del rischio in un’iniziativa autonoma e in campi finora inediti della mappatura del rischio. Un esempio, tra i tantissimi registrati da Sham, del circolo virtuoso che può innescarsi quando le buone idee diventano patrimonio comune dei professionisti sanitari. Le buone idee, infatti, sono contagiose, e la prima buona pratica è condividerle.

 

Christophe Julliard

Country Manager Sham Italia