I RISULTATI DI CARTORISK: DAL PRONTO SOCCORSO ALLA DECONTAMINAZIONE DELLO STRUMENTO

Otto mesi di lavoro; tre percorsi di cura: la mappa del rischio scritta da chi lavora nei reparti per migliorare la sicurezza. Tutti i giorni.

 

Il risultato concreto del metodo Sham raccontato in prima persona dagli operatori sanitari che l’hanno messo in pratica. Sono state presentate mercoledì 12 giugno al Policlinico Tor Vergata di Roma tre mappature del rischio: tre tuffi verticali nella vita operativa dei reparti per capire, passaggio dopo passaggio, dove si annidi il rischio, l’efficacia delle barriere e gli strumenti per ridurlo. L’aspetto centrale di CartoRisk – uno strumento di facile utilizzo per quantificare frequenza e gravità dei rischi clinici – è quello di essere uno strumento di prevenzione che non viene ‘spiegato’ in lezioni frontali, ma utilizzato in equipe da medici, infermieri, tecnici e ausiliari. Le tre mappe del rischio presentate al Policlinico spaziavano dalla decontaminazione degli strumenti chirurgici fuori dal blocco operatorio al percorso del paziente critico e non critico in Pronto Soccorso. Per tutti questi ambiti l’applicazione del metodo ha permesso di quantificare – ovvero dimostrare – e visualizzare graficamente i passaggi dove si concentravano i ritardi e le possibilità di errore. “È grazie a centinaia di piccoli passi di prevenzione come questi” spiegano Barbara Passini e Anna Guerrieri, rispettivamente RM del Policlinico Tor Vergata e della Mutua Sham – che le cure possono divenire ogni giorno più sicure”.

La prima mappatura ha riguardato la decontaminazione dello strumentario al di fuori dei blocchi operatori. Il progetto (già anticipato su Sanità 360°) si è focalizzato sulle aree esterne al blocco operatorio. “Nei reparti di degenza e negli ambulatori – spiega, infatti, Carmela Cucchi, Coordinatore delle Attività Cliniche Del Policlinico Tor Vergata – il numero delle persone assistite, la gestione dello strumentario meno codificata, la distanza e l’inserimento di altro personale per il trasporto, fanno aumentare il rischio che alcuni passaggi di sicurezza vengano saltati”. Per questo la dottoressa Cucchi ha guidato un gruppo di lavoro dedicato al percorso dello strumentario al di fuori dei blocchi operatori. “Ogni singola azione è stata mappata e codificata: ogni singolo passaggio dello strumento dall’utilizzo alla decontaminazione, dalla decontaminazione alla sterilizzazione al ritorno in reparto”. I passaggi individuati sono stati ben 35 con oltre 20 rischi mappati: dalla firma di una ricevuta per ogni kit di strumenti consegnati alle procedure dettagliate di sterilizzazione/decontaminazione; dallo smontaggio non corretto degli strumenti alla tracciabilità nei diversi passaggi tra il personale e le ditte incaricate della sterilizzazione, dallo stoccaggio inadeguato all’immersione troppo breve nei liquidi di decontaminazione per l’abbattimento della carica batterica superficiale. Centrale la consapevolezza che: “Non importa se si tratta di un dettaglio o di un passaggio fondamentale: tutte le azioni contribuiscono alla sicurezza del processo”.

Dall’analisi è nato un piano di miglioramento in fasi successive che ha previsto il rinnovo delle procedure interne per garantire la piena tracciabilità degli strumenti, l’implementazione degli spazi di stoccaggio, la formazione del personale e una cartellonistica dedicata.

“Dopo la fase di analisi il progetto è appena entrato a regime – conclude la dottoressa Cucchi – ma già ora possiamo ritenerci soddisfatti dei primi risultati. Se prima, infatti, gli smarrimenti degli strumenti erano pressoché all’ordine del giorno, da tre mesi non si perde un solo strumento. Questo ci conferma che l’intero percorso è sotto controllo, e che il nostro metodo ha già raggiunto il primo obiettivo: capire per prevenire”.

La seconda e terza mappatura si sono concentrate, invece, nell’area dell’Emergenza e Accettazione (DEA). Lo scopo era seguire dall’accettazione al Pronto Soccorso fino alle dimissioni l’intero percorso del paziente, per capire e quantificare dove si concentrassero i rischi. A tal scopo, per rafforzare le analisi che l’applicazione del metodo CartoRisk ha fatto emergere, si è avviato un progetto pilota di “osservazione diretta in Dea”. Dato il grande sforzo organizzativo necessario a coordinare i due gruppi – rispettivamente dedicati ai pazienti critici e non critici – ed armonizzare l’osservazione con i turni di lavoro al Pronto Soccorso, la mappatura si è effettuata, al momento, su un numero molto esiguo di pazienti. Lo scopo, infatti, era dimostrare la robustezza del metodo per poi applicarlo su un campione più ampio. I primi risultati sono molto interessanti e fonte di informazioni preziose al fine del miglioramento e della maggiore sicurezza delle cure.

Francesca Letizia, dell’Ufficio Rischio Clinico del Policlinico Tor Vergata, prima dell’attuale incarico ha prestato servizio per 10 anni in Pronto Soccorso.

Francesca Letizia, a sinistra

“I percorsi del paziente critico e non critico differiscono marcatamente – spiega Letizia -. Ovviamente, il paziente critico beneficia di un percorso prioritario ed è relativamente più facile da mappare. Anche qui, però, esistono dei rischi. Siccome l’accoglienza e la consulenza specialistica vengono effettuate immediatamente, è più difficile tracciare e ricostruire il percorso seguito rispetto ai pazienti non critici, per i quali le procedure sono meno urgenti. In particolare, nel caso la persona arrivi in stato di incoscienza, abbiamo rilevato come i codici di identificazione del “paziente ignoto” differissero tra la Radiologia e il Pronto Soccorso, ostacolando e rallentando il processo di raccolta delle informazioni diagnostiche per ricostruire il quadro completo”.

Un problema simile, afferibile alla diversità dei programmi informatici – regionale quello del Pronto Soccorso, ospedaliero quello della radiologia – si è registrato nel percorso del paziente non critico. Spiega Mario Tramentozzi, tecnico radiologo che ha partecipato al gruppo di lavoro con CartoRisk: “Abbiamo visto che, con una certa frequenza, la richiesta di esame radiologico emessa dal Pronto Soccorso perveniva in Radiologia una o due ore dopo. A volte questi ritardi sono inevitabili per il gran numero di codici critici (gialli e rossi) che si rivolgono al Pronto Soccorso sorpassando per priorità le richieste meno urgenti. Ma una parte del ‘ritardo’ tra la firma e la ricezione della richiesta era dovuta al fatto che questa stessa richiesta dovesse essere trasportata dal personale ausiliario a mano, aggiungendo, un’ulteriore incombenza al carico di lavoro. Così che abbiamo individuato la necessità di rendere compatibili i sistemi informatici per recapitare le richieste direttamente e in maniera tracciabile”. “È questa – spiegano le Risk Manager Barbara Passini e Anna Guerrieri – la differenza tra un problema percepito, il ritardo, ed un rischio misurato quale la procedura di richiesta manuale dovuta all’incompatibilità informatica. Misurare e tracciare i rischi attraverso la mappatura è il metodo più efficace per capire dove esattamente nasca il problema e perché. Questa precisione si riflette nella capacità di avanzare richieste precise e circoscritte alla Dirigenza che, successivamente, può intervenire per migliorare, come è accaduto in questo caso”.

 

TEAM MAPPATURA DEL RISCHIO (DECONTAMINAZIONE STRUMENTARIO CHIRURGICO): Carmela Cucchi; Angelica Carnevale; Brunella Spina; Cristina Reali; Manuela Niccolò.

ELENCO PARTECIPANTI (PAZIENTE CRITICO E NON CRITICO DEA): Beniamino Susi; Carla Paganelli; Francesca Castriconi; Antonietta Cantisani; Emiliano Fanicchia; Mario Tramentozzi; Gianluca Ciarcia; Patrizia Rea; Emanuela Pesolo; Alfonso Calvitti; Pietro Cunti; Marco Romani; Cristina Reali; Laura Russolillo; Giorgia Donati; Francesca Letizia.