ALLA SCOPERTA DEI PROGETTI DEL PREMIO SHAM 2017 (V PARTE)
Sono sempre più numerosi i progetti dedicati alla prevenzione nei singoli reparti e negli ospedali. Ma cosa succede quando a tracciare una nuova rotta è la seconda Azienda Sanitaria in Italia?
Più di un anno di investimenti, quattro progetti presentati al premio Sham Federsanità (di cui uno vincitore) e uno sforzo globale per cambiare la cultura della sicurezza su un unico fronte che comprende 8 ospedali e 5 presidi territoriali. È questa l’esperienza di Vincenzo Defilippis, Direttore U.O. Rischio Clinico e Qualità della ASL Bari, la seconda per bacino di utenti di tutta Italia.
“A breve pubblicheremo gli esiti di tutte le attività, ma un bilancio può già essere fatto ed è estremamente positivo. Prima ancora che i singoli processi di cura, a evolvere in tutta l’ASL Bari è stata la cultura della sicurezza e della responsabilità individuale. Il passaggio dal singolo al lavoro di equipe, dalla scelta discrezionale al protocollo omogeneo sono stati i pilastri del cambiamento”.
“I primi due obiettivi” spiega Defilippis “sono stati il progetto di stesura di un Manuale della sicurezza nelle sale operatorie e la verifica di tutte le check list impiegate. Dopo una fase di monitoraggio è stata avviata una serie di audit e incontri con medici e operatori. Gli obiettivi: ottimizzare le procedure; assicurarsi che la compilazione della check list avvenisse correttamente e nella tempistica giusta; fissare un benchmark al quale tutti i diversi presidi facessero riferimento; rafforzare la segnalazione dei near-miss. Il tentativo è stato ed è quello di portare ad un livello omogeneo le prestazioni di tutti i blocchi operatori. Se tutti seguono le stesse regole e le stesse procedure, non ci sono più discrepanze tra le cure erogate in presidi diversi. Ovvero, il diritto all’equità della sicurezza delle cure garantita a tutti i malati”.

Vincenzo Defilippis, Direttore U.O. Rischio Clinico e Qualità della ASL Bari
Terzo tassello è stato il nuovo Percorso dell’Emergenza/Urgenza. L’obiettivo dichiarato era il fissare, anche qui, un protocollo molto preciso che rendesse le prestazioni omogenee. “La priorità era avere le sale operatorie per l’emergenza libere per accogliere le vere emergenze. Per far ciò – spiega Defilippis – è stato necessario stabilire cosa fosse emergenza e cosa potesse, invece, essere definito ‘ordinario’. Si tratta di un passaggio fondamentale perché richiede l’adesione di tutti ad una procedura dettagliata e prevede un lavoro di equipe che si ancori su di una procedura precisa. Oggi, i reparti di Emergenza e Urgenza riescono a comunicare al 118 la capacità di assorbire nuovi pazienti politraumatizzati o indicano, in anticipo, la necessità di inviarli in altre strutture.”
“È evidente – spiega Defilippis – che l’obiettivo più importante è garantire l’omogeneità: la sicurezza delle cure in tutti i presidi dell’Asl. Ciò che è importante sottolineare, però, è che questo risultato si può ottenere soltanto fissando delle procedure chiare, evidence-based, alle quali ogni operatore può fare riferimento. Dobbiamo avere la forza culturale di superare una visione gerarchica della medicina e abbracciare un modello più collegiale: ognuno ha un ruolo importante che svolge in piena dignità e autonomia; nessuno sceglie per conto suo, neppure i medici. È inevitabile che questo sforzo di inquadramento generi delle resistenze e il fatto che tutti e tre i progetti siano stati emanati come delibere del Direttore Generale ha contribuito significativamente a facilitarne l’applicazione. Ma è un buon segno che i giovani infermieri e i giovani medici siano molto recettivi alla nuova visione della sanità. Anche se l’Università, purtroppo, ancora non li prepara a lavorare in equipe o a ragionare nell’ottica di procedure e passaggi codificati, le nuove generazioni percepiscono chiaramente che, ormai, la medicina ha raggiunto un livello di complessità tale per cui è necessario fissare delle regole ferree da seguire. Nessuno può avere la conoscenza globale, ma tutti possono contribuire con pari dignità a curare. E a farlo con sempre maggiore efficacia. Ogni ospedale diventa, così, una comunità di pratica: il sapere di ognuno si condivide; le scelte si prendono assieme sulla base dell’evidenza scientifica.