DECONTAMINAZIONE DELLO STRUMENTO: UN NUOVO PERCORSO AL POLICLINICO TOR VERGATA

Il 12 giugno è stato presentato il nuovo progetto che ha visto applicare il metodo Sham-Cartorisk a tutti i passaggi dello strumentario chirurgico gestiti al di fuori dei blocchi operatori, riducendo smarrimenti e rischi di contaminazione.

 

L’asetticità/sterilità degli strumenti chirurgici è un imperativo categorico: in sala operatoria o nei diversi contesti assistenziali nei quali vengono impiegati per medicazioni, esami invasivi o esplorazioni diagnostiche di organi cavi. “La differenza – spiega Carmela Cucchi, Coordinatore delle Attività Cliniche Del Policlinico Tor Vergata – sta nel fatto che le sale operatorie sono ambienti nei quali la movimentazione degli strumenti chirurgici è parte essenziale dell’intervento chirurgico stesso, l’attenzione degli operatori è focalizzata nel rendere tracciabile ogni passaggio della strumentazione, passaggi che sono comunque obbligati dai percorsi sporco/pulito e pulito/sporco, mentre nei reparti di degenza e negli ambulatori, la numerosità delle persone assistite, la gestione dello strumentario meno codificata, la distanza e l’inserimento di altro personale per il trasporto, fanno aumentare il rischio che alcuni passaggi di sicurezza vengano saltati”.

Per questo la dottoressa Cucchi ha guidato un gruppo di lavoro dedicato al percorso dello strumentario al di fuori dei blocchi operatori. “Ogni singola azione è stata mappata e codificata: ogni singolo passaggio dello strumento dall’utilizzo alla decontaminazione, dalla decontaminazione alla sterilizzazione fino al ritorno in reparto”.

Il progetto, presentato il 12 giugno presso il Policlinico Tor Vergata, ha visto la diretta applicazione del metodo Sham – Cartorisk. Si tratta di una metodologia che calcola i rischi potenziali. Si traduce nel suddividere un processo in azioni e attribuisce ad ogni passaggio un valore di rischio. Questo rischio si calcola moltiplicando la frequenza/probabilità dell’errore per la gravità delle conseguenze. Per esempio, su una scala da 1 a 16 il rischio di non smontare correttamente gli strumenti per eliminare i tessuti biologici macroscopici è alto: 12. “Calcolare il rischio ci permette, però, di sviluppare o di verificare l’efficacia delle ‘barriere’ concepite per contenerlo ovvero di procedure, cartellonistica, corsi di formazione che indirizzano l’attenzione sul problema specifico. Il confronto tra i rischi di partenza e l’impatto delle barriere ci dà il rischio netto: cioè una mappa molto precisa della situazione e degli interventi da progettare in futuro”.

 

Il team del percorso di sterilizzazione: le dottoresse Brunella Spina, Carmela Cucchi, Anna Guerrieri (RM di Sham) e la Dr.ssa Carnevale

 

Mappatura e interventi di miglioramento sono, infatti, strettamente legati così come lo sono l’individuazione dei singoli passaggi e l’attribuzione delle responsabilità individuali.

I passaggi individuati, infatti, sono ben 35: vanno dalla firma di una ricevuta per ogni pacchetto di strumenti consegnati alle procedure dettagliate di sterilizzazione/decontaminazione. “Non importa se si tratta di un dettaglio o di un passaggio fondamentale: tutte le azioni contribuiscono alla sicurezza del processo. Conoscere i passaggi ci permette di stabilire e codificare i compiti dei tanti operatori che si succedono nel percorso dello strumento. Possiamo delineare con esattezza tutti i controlli e tutti gli accorgimenti che devono essere intrapresi: dallo stoccaggio del materiale sterile, alla custodia delle vaschette, all’adeguato tempo di immersione nei liquidi di decontaminazione per l’abbattimento della carica batterica superficiale”.

“Tutto ciò porta a capire quanto la formazione del personale sia centrale nell’aumentare la sicurezza dei processi ospedalieri e ci permette di pianificare gli interventi futuri: aree di stoccaggio più idonee, istruzioni più chiare e controlli periodici per verificare l’efficacia delle misure”.

“Dopo la fase di analisi il progetto è appena entrato a regime – conclude la dottoressa Cucchi – ma già ora possiamo ritenerci soddisfatti dei primi risultati. Se prima, infatti, gli smarrimenti degli strumenti erano pressoché all’ordine del giorno, da tre mesi non si perde un solo strumento. Questo ci conferma che l’intero percorso è sotto controllo, e che il nostro metodo ha già raggiunto il primo obiettivo: capire per prevenire”.