ALLATTAMENTO AL SENO: LA SERENITÀ DELLA MAMMA È PIÙ IMPORTANTE

Troppa la pressione sulle puerpere: l avanzamento dell ’età al momento del parto può ridurre o ritardare la sintesi del latte materno. E molte donne si sentono madri inadeguate e rischiano la depressione. Nell’Azienda Ospedaliera “Ordine Mauriziano di Torino” le infermiere combattono la battaglia contro un peso psicologico indebito: I bambini crescono benissimo lo stesso”.

 

“Quando nasce un bambino non bisogna mai commettere l’errore di dimenticare la madre”.  Anna Di Pasquale è una infermiera pediatrica dal 1991 all’Ospedale Mauriziano di Torino. In 27 anni di esperienza ha visto moltissime mamme dare alla luce i loro figli. In alcuni casi ha visto donne soffrire di forte ansia e depressione in seguito alla nascita. “La depressione post partum – spiega – è un fenomeno complesso che, per la maggior parte dei casi, si sviluppa dopo il ritorno a casa. È dato da una serie di fattori che si radicano nella sensazione, da parte della madre, di essere inadeguata nei confronti dei bisogni del figlio. Nei reparti di ostetricia e pediatria siamo molto attenti a segnali rilevatori o nei casi in cui esista una storia pregressa di depressione, e indirizziamo le nuove madri agli psicologi ospedalieri perché le seguano dopo le dimissioni”.

 

Ciononostante, la rete di protezione non è limitata nel tempo perché, dopo le dimissioni, dall’ospedale la maggior parte delle mamme si trova, fondamentalmente, da sola. “Per questo è importante disinnescare tutte le possibili cause di sofferenza psicologica prima che escano dal reparto. E il tema dell’allattamento al seno si sta rivelando uno dei principali problemi da affrontare”.

 

 

“C’è stata una forte campagna mediatica, in particolare dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, per promuovere l’allattamento al seno. I vantaggi di questa formula sono indiscutibili, ma non bisogna dimenticare che la generazione precedente è stata investita da una campagna informativa altrettanto entusiasta a favore dell’allattamento artificiale”.

“Questo significa che allattare al seno è meglio, ma non imprescindibile. I bambini crescono bene lo stesso. Anzi, se proprio vogliamo dirla tutta, per il bambino è molto più importante avere una mamma felice che una mamma con il latte”.

 

“Ecco – continua Anna Di Pasquale – quanto ripetiamo senza sosta alle madri in reparto: è normale che il latte ritardi, è normale che possa venirne meno del necessario, soprattutto se, come accede, l’età media delle puerpere si innalza. È sempre successo e continuerà a succedere. Questo non comporta alcun danno al neonato. Se il latte è poco, lo si integra. Se non arriva, lo si sostituisce. Dannosa per il bambino è una madre che si sente in colpa perché ha poco latte o non ne ha per nulla, e comincia a sentirsi non all’altezza della situazione estranea al suo nuovo ruolo”.

 

Perché di ruolo si tratta. E lo si deve imparare. Il fatto che la gravidanza e il parto siano biologicamente “naturali”, infatti, non comporta che il saper fare la mamma sia automatico. Lo spaesamento è la reazione spontanea, non deve essere fonte di ansia.

 

“È come se la cultura contemporanea desse per scontato che un cambiamento assolutamente radicale nella vita delle donne debba essere recepito senza batter ciglio. Le donne devono diventare madri come se lo fossero sempre state e senza che nulla cambi nella loro vita. Ma è la vita stessa a non funzionare in questo modo. Bisogna farle spazio e imparare ad averne cura. Senza paura”.

INDAGINE SULLA MATERNITÀ: NON TUTTE LE MAMME PIANGONO DI GIOIA

Ansia, preoccupazioni economiche, senso di inadeguatezza, pressioni psicologiche: l’area maternità dell’Azienda Ospedaliera “Ordine Mauriziano di Torino ” diventa lo specchio di una società dove la madre fatica a far combaciare la nuova vita e la precedente. Gli operatori sanitari hanno 3 giorni per aiutarle, registrando qualsiasi segnale che possa indicare una fragilità  o il rischio di depressione.

 

Dopo due mesi dalle dimissioni la madre, già in terapia per depressione, chiamò in reparto: “Sono sola il bambino piange, non so cosa fare. Sento che sto per aprire la finestra e buttarmi con lui”.

Dall’Area Maternità del Mauriziano di Torino risposero con un’intuizione: “Signora ha fatto bene a chiamarci. Prenda un taxi. Gli dica se non ha soldi che lo paghiamo qui in ospedale. Al bambino ci pensiamo noi. L’aspettiamo”.

“L’attesa che seguì – racconta la Coordinatrice Anna Petteruti dal suo ufficio in Neonatologia e Terapia intensiva Neonatale – fu straziante. Alla fine la signora arrivò, ci prendemmo cura per il pomeriggio del neonato, affidammo la mamma a uno psichiatra che prescrisse una nuova terapia, sospendemmo l’allattamento al seno – anche a causa della nuova terapia -, arrivò il marito. L’emergenza era rientrata. E quello fu un caso fortunato. Perché non sempre le mamme in difficoltà chiamano”.

Dall’esperienza della dottoressa, circa un quinto delle donne che partoriscono affronta un periodo di difficoltà psicologica, reagisce alla maternità in maniera sofferta o trova nella sua condizione di mamma un senso, almeno parziale, di inadeguatezza. “È una stima, ma la sensazione è che la percentuale sia cresciuta con il tempo se prendiamo in esame nello specifico la popolazione italiana di nascita”.

La depressione post partum, un’affezione complessa che si sviluppa, usualmente, dopo le dimissioni, è una delle espressioni di questo fenomeno, ma non l’unica. “Più in generale, quella che si è rotta è la narrazione delle maternità. Diverse madri incontrano difficoltà a gestire il neonato, in parte perché non riescono a rimettere a posto tutti i pezzi della loro esistenza davanti alle richieste di una nuova vita che dipende interamente da loro. Carriera, apparenza, vita sociale, difficoltà economica, l’innalzamento dell’età, la fatica dell’allattamento al seno o il senso di fallimento sperimentato se il latte materno tarda o è poco: sono tutte correnti di un gorgo che può diventare molto pericoloso e al quale bisogna prestare estrema cura e attenzione”.

A un vertice dello spettro ci sono i casi di donne che hanno una storia pregressa, sono in cura per depressione o manifestano i primi campanelli di allarme. L’intero reparto è sintonizzato per coglierli.

 

 

“Le infermiere ostetriche ascoltano le madri partorire. Frasi come « quando mi è venuto in mente? Chi me l  ha fatto fare, maledizione » possono essere dettate dal dolore del momento oppure afferire a una fragilità più profonda. Azioni come rifiutare il contatto con il neonato perché « è sporco », invece, più chiaramente indicano un problema all’orizzonte.

Al vertice opposto ci sono madri che risolutamente antepongono sé stesse al neonato. “Professioniste, vicine ai 40 che la settimana successiva al parto avevano già una « riunione irrinunciabile » e che al suggerimento di allattare il bambino per farlo smettere di piangere rispondevano con un incredulo: «Chi, Io? ». Quest’ultimo è un tipo di persone non sciocche – spiega Petteruti – bensì arroganti. Come le coppie che fanno congelare gli ovuli per avere figli dopo i 50 anni, non hanno un’idea realistica di cosa sia una vita che è appena nata o come averne cura”.

Tra questi due poli estremi ci sono tantissime sfumature di disagio e sofferenza che si concentrano attorno a tre moltiplicatori fondamentali: i problemi economici – sia in termini di carriera sacrificata che di povertà di mezzi –, l’innalzamento dell’età media, che in parte è una conseguenza dei primi, e la sensazione di inadeguatezza.

“Quest’ultima, in particolare, è molto insidiosa, perché le donne, non di rado, si sentono inadeguate a riprendere il loro posto nelle occasioni sociali con un bambino piccolo da allattare o, ancora più grave, le donne si sentono inadeguate nei confronti del bambino stesso, perché pensano di non essere all’altezza del compito”.

Così l’Area Maternità del Mauriziano di Torino, e di tutte le maternità d’Italia, si trasforma in un improvviso riflesso della società e delle sue tensioni, materiali ed esistenziali. “Non abbiamo più di tre giorni a disposizione per capire come aiutare le nuove mamme – spiega Petteruti – ma è sorprendente quante ansie e paure emergano in questo frangente: paure economiche per una buona metà e sofferenze psicologiche per l’altra. Quello che abbiamo capito, però, è che uno dei gangli sui quali le tensioni esplodono è l’allattamento al seno. Su questo il nostro messaggio è particolarmente forte: dobbiamo ricostruire una cornice nella quale la maternità trovi spazio, perché di spazi ha bisogno, e la cultura della nostra società spesso dimentica di lasciarglielo. Quello che ripetiamo con determinazione alle donne che hanno partorito è che l’allattamento al seno è faticoso e ti cambia la vita.  Non si può tornare indietro come nulla fosse. Si può creare un nuovo modo di essere mentre si allatta: farlo in pubblico senza vergogna, uscire a cena con la camiciona e sentirsi belle lo stesso. Accettare che è un impegno fisicamente gravoso e che non c’è nulla di strano nel sentirsi stanche, anche a non poterne più, qualche volta, perché è perfettamente normale che sia così. Di pari importanza è quello che si deve dire alle mamme nel caso opposto. Quando il latte tarda ad arrivare o è poco, non è un loro fallimento: è normale che succeda, soprattutto dopo i trent’anni. Ma il bambino cresce bene lo stesso. L’unico problema insorge se la famiglia è in ristrettezze economiche”.

“Tutti questi fattori agiscono nell’animo delle neo mamme e lo fanno in un periodo in cui sono emotivamente molto sensibili e delicate. Nei reparti abbiamo solo una limitata finestra di tempo per capire se ci sono segni di cedimento e farle seguire. Per questo l’ascolto e la parola sono fondamentali. Per il personale sanitario è un turno di guardia che non finisce mai”.

ALLA SCOPERTA DEI PROGETTI DEL PREMIO SHAM 2017 (IV PARTE)

In questa quarta parte presentiamo due progetti: il primo riguarda la Direzione Sanitaria dell’Azienda Ospedaliera Sanitaria Sant’Andrea di Roma, mentre il secondo riguarda l’Unità Operativa Complessa di Farmacologia Clinica – “San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona”, Scuola Medica Salernitana di Salerno.

A – IL RADAR DELLA QUALITÀ: IL PERCORSO DEL FARMACO ONCOLOGICO

Un’analisi trasversale su 9 macro aree e oltre 100 parametri ha mappato, dal 2014, l’ intero percorso del farmaco oncologico, dal trasporto alla somministrazione. Una visione globale che fotografa l ’aderenza alla Raccomandazione Ministeriale n.14 presso l’Azienda Ospedaliero Universitaria Sant’Andrea di Roma.

Intervista alla dottoressa Assunta De Luca , responsabile della Unità Operativa Semplice UOS “Clinical Governance e Gestione dei Percorsi Assistenziali”.

Progetto Premio Sham 2017: “Prevenire gli errori nella gestione della terapia farmacologica in Oncologia ed Ematologia in un ospedale universitario romano”. Azienda Ospedaliero Universitaria Sant’Andrea – Roma.

“L’autovalutazione è uno strumento di qualità e si costruisce attraverso una checklist di parametri quantificabili. Nel caso del farmaco oncologico – spiega la dottoressa Assunta De Luca – i parametri variano dalla temperatura ai sistemi antivibrazioni dei mezzi dedicati al trasporto, dallo stoccaggio dei farmaci fino agli alert informatici inseriti nella cartella clinica digitale”.

“È un quadro complessivo di grande portata che, però, può essere sintetizzato graficamente con un diagramma a radar, uno strumento statistico nel quale ogni vertice rappresenta una macro area e nel quale la percentuale è data dall’aderenza ai parametri stessi previsti dalla Raccomandazione Ministeriale n.14”.

Nota alla figura: l’Area approvvigionamento non rientra nella valutazione perché le modalità previste dalla Raccomandazione n.14 prevedono un centro di acquisto unico regionale. Nel Lazio, questa funzione è delegata alle singole Aziende.

diagramma 1

Il progetto di valutazione è partito nel 2014 e ha coinvolto 9 macro-aree: Organizzazione, Stoccaggio e Conservazione, Prescrizione, Preparazione, Richiesta, Distribuzione, Somministrazione, Smaltimento, Risorse.

Per ogni area esistono un numero di parametri con i quali il singolo responsabile di settore deve confrontarsi, rispondendo alla checklist in senso positivo qualora i parametri vengano rispettati o siano in via di implementazione.

“Si tratta, perciò, di un’analisi trasversale che unisce reparti clinici, servizi informatici, servizi logistici e la Farmacia, ognuno dei quali coordinato dalla direzione Sanitaria”.

Presso l’azienda universitaria romana l’Audit è stato doppio: sia interno che affidato a una società esterna di valutazione. “Una metodologia che permette di confrontare i risultati sottoponendo lo strumento di valutazione stesso non solo internamente, ma anche a valutatori esterni per comprovare quanto svolto dall’auditor interno (ruolo rivestito dalla dott.ssa De Luca).

diagramma 2

Il diagramma a radar 2014. il confronto con i risultati 2017 riportati in alto evidenzia la crescente aderenza agli standard di sicurezza della Raccomandazione Min. n.14

“Il fine della valutazione è triplice: valutare il livello della qualità di ogni singola area; individuare con sicurezza i parametri dove migliorare; confrontare, ad intervalli di tempo, i risultati per certificare il miglioramento intercorso”.

“È importante, perciò, sottolineare due principi di base – conclude la dottoressa De Luca –  che si possono trarre dalla nostra esperienza Il primo è che la valutazione della qualità è, prima di tutto, un metodo di lavoro ed è, perciò, facilmente applicabile in realtà sanitarie diverse dalla nostra. Il secondo è che la valutazione della qualità è un processo di miglioramento e che, proprio per questo, è pensato per continuare nel tempo:il prossimo Audit è previsto per giugno 2018 e, come i precedenti, sarà basato su dati quantificabili e verificabilità: due pilastri sui quali edificare, anno dopo anno cure più sicure”.

 

 

B – METABOLISMO E CONTAMINAZIONE DEL FARMACO ONCOLOGICO: DUE AMBITI DI MONITORAGGIO PER UNA RICERCA INNOVATIVA

L’efficacia dei chemioterapici racchiude il rischio intrinseco di tossicità . Un progetto a cavallo tra Ospedale e Università coniuga farmacocinetica e farmacogenetica aprendo due nuove strade: un brevetto per il metodo di rilevazione della contaminazione laboratoriale e un approccio “dal genotipo al fenotipo” per una terapia antitumorale personalizzata.

Intervista alla dottoressa Viviana Izzo , Responsabile del programma assistenziale di “Farmacocinetica” afferente alla UOC di Farmacologia Clinica – San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona” Scuola Medica Salernitana.

Progetto Premio Sham 2017 : “Monitoraggio Biologico, Ambientale e Terapeutico di Chemioterapici Antiblastici in Ambiente Ospedaliero (MACAO): dalla preparazione alla somministrazione, le tecniche di spettrometria di massa e di screening farmacogenetico al servizio della salvaguardia del paziente e del personale sanitario ”.

Per “chemioterapico antiblastico” (CA) si intende una vasta gamma di farmaci eterogenei in grado di inibire la proliferazione e la replicazione cellulare, utilizzati per tali proprietà nel trattamento dei pazienti con neoplasia. La natura stessa di questi farmaci, però, determina due distinti rischi: la contaminazione nei laboratori dove sono allestiti, che comporta un pericolo per gli operatori sanitari, e il metabolismo dei pazienti ai quali vengono somministrati, dal quale dipende la possibilità che il livello di farmaco presente nel corpo sia o troppo basso – risultando così inefficace – o troppo alto – divenendo di conseguenza tossico .

Sul primo fronte, il progetto presentato al Premio Sham 2017 ha ottenuto, nei primi mesi del 2018, un risultato determinante. Grazie allo sviluppo di una metodologia a breve sottoposta a brevetto per l’impiego di nuovi materiali e nuove tecniche di prelievo dei campioni, la dottoressa Viviana Izzo e i suoi colleghi, in particolare il Dr. Fabrizio Dal Piaz e il Dr. Francesco De Caro, hanno rilevato la prova della contaminazione di farmaci chemioterapici nei laboratori dove questi ultimi venivano manipolati.

Maniglie di frigoriferi, superfici di appoggio e tavoli presentavano significative tracce dei farmaci adoperati per la preparazione delle sacche di infusione. Grazie al rilevamento di questi composti, dannosi per la salute degli operatori sanitari, di concerto con la Medicina Preventiva, con gli infermieri preposti e i Responsabili della Unità di Manipolazione dei Chemioterapici Antiblastici (U.Ma.C.A.), le procedure operative sono state modificate e i successivi rilevamenti hanno confermato un sostanziale miglioramento del grado di contaminazione ambientale reperibile presso i locali in cui questi farmaci vengono generalmente manipolati.

L’azione di monitoraggio ambientale, unitamente a quella di monitoraggio biologico effettuata periodicamente dalla U.O.C. di Farmacologia Clinica su campioni di sangue ed urina degli operatori sanitari della U.Ma.C.A. – sotto la direzione della Prof.ssa Filippelli – per valutare la dose interna di chemioterapico eventualmente assorbita dal soggetto, rappresentano uno strumento unico e indispensabile per valutare il rischio associato alla manipolazione in ospedale dei farmaci antiblastici e per verificare che tutte le procedure metodologiche e i dispositivi di protezione individuale preposti dall’azienda siano utilizzati correttamente.

In più lo sviluppo della nuova metodologia, creata grazie alla stretta collaborazione tra ospedale e Università, si propone come una soluzione alla carenza sul mercato commerciale di kit pronti e di facile utilizzo per il monitoraggio ambientale dei laboratori.

I risultati di questo studio sono stati presentati al 49° Congresso Nazionale della Società Italiana di Biochimica Clinica e Biologia Molecolare Clinica (SIBIOC), dove i partecipanti al progetto sono stati insigniti di uno dei premi Poster, e sono stati recentemente sottoposti al board di Biochimica Clinica, la rivista ufficiale della SIBIOC.

Sul secondo fronte, il monitoraggio terapeutico dei pazienti oncologici,il primo livello di intervento del progetto è la ricerca delle varianti polimorfiche presenti nei geni codificanti per gli enzimi preposti al metabolismo dei chemioterapici quali irinotecano e 5-fluorouracile. Questi sono solo alcuni degli enzimi coinvolti nel metabolismo dei farmaci chemioterapici dall’azione dei quali dipende una parte significativa dell’efficacia dei farmaci stessi.

“Il cuore della questione è il livello del farmaco nel sangue – spiega la dottoressa Izzo – che deve rientrare entro un certo intervallo di concentrazione, soprattutto nel caso di alcuni chemioterapici che hanno una finestra terapeutica ristretta. In questi casi, infatti, se il metabolismo enzimatico risulta in qualche modo inefficace, il farmaco rischia di divenire tossico perché la sua concentrazione nel sangue, o quella dei suoi metaboliti principali, risulta troppo elevata. Viceversa, se il metabolismo è troppo veloce, l’efficacia del farmaco può risultare ridotta. Il monitoraggio terapeutico di molti pazienti oncologici viene perciò effettuato presso l’U.O.C. di Farmacologia Clinica della nostra A.O.U. con un approccio combinato che prevede sia un’opportuna analisi genetica effettuata dal Laboratorio di Farmacogenetica di cui è Responsabile la Dr.ssa Valeria Conti, sia un effettivo controllo della concentrazione del farmaco nel sangue che avviene successivamente alla somministrazione del chemioterapico a opera del Laboratorio di Farmacocinetica. Abbiamo, ormai, la tecnologia e le competenze per valutare in anticipo la predisposizione genetica al corretto metabolismo dei farmaci antiblastici. L’identificazione di un eventuale deficit enzimatico tramite un’analisi del DNA mirata, infatti, può aiutare a predire se il farmaco potrà essere metabolizzato o se il suo metabolismo sarà più lento, permettendoci di somministrare -in modo personalizzato – il farmaco e la dose giusti per il singolo paziente. L’analisi della concentrazione dopo l’assunzione ci dice come il corpo del paziente sta rispondendo al trattamento e se esistano delle condizioni patologiche che, anche a prescindere dai geni, influenzino la velocità del metabolismo”.

“Il monitoraggio terapeutico dei pazienti – conclude la dottoressa Izzo – abbraccia entrambi gli stadi. Per il momento è stato svolto su un numero limitato di casi. La nostra convinzione e speranza è che questo tipo di monitoraggio si estenda a un numero crescente di pazienti oncologici destinati al trattamento chemioterapico in modo da essere utilizzato nella pratica clinica come step propedeutico per adattare la terapia farmacologica all’unicità di ogni singolo malato”.

LE INFORMAZIONI CURANO (MENTRE LA PRIVACY NO)

La condivisione dei dati all’ interno delle strutture ospedaliere fa la differenza nella prevenzione degli eventi avversi: gli Alert informatici della ASL 2 Savona segnalano malattie rare e allergie in Pronto Soccorso anche se il paziente è incosciente. La Dott.ssa Grazia Guiddo responsabile Triage nella Struttura Complessa di Pronto Soccorso e Medicina d’Urgenza, ci racconta il progetto dell’ASL 2 Savonese che ha ottenuto la Menzione Speciale al Premio Sham 2017.

 

Tutti i punti di primo intervento della ASL 2 Savona sono collegati con un sistema informatico che prevede alert digitali collegati all’anagrafica dei pazienti.

 

Questo significa che quando un paziente con malattie congenite della coagulazione, malattie rare o allergie a farmaci e composti viene ricoverato in Pronto Soccorso, i medici e gli infermieri sono avvisati dal software della sua condizione non appena inseriscono il suo nome nel programma, anche se il paziente non è in grado di comunicare perché incosciente o confuso.

 

“Questo tipo di strumento” spiega la dottoressa Grazia Guiddo, responsabile Triage nella Struttura Complessa di Pronto Soccorso e Medicina Urgenza “fa la differenza tutti i giorni, aiutando chi cura e prevenendo eventi avversi come la somministrazione di una sostanza alla quale il singolo è allergico o il ritardo nella coagulazione, che può avere esiti devastanti come, per esempio, le emorragie cerebrali)”.

 

“Noi – spiega la dottoressa Guiddo -cerchiamo di ottenere la maggior trasversalità possibile all’interno della Regione: il tema è quello della comunicazione tra sistemi informatici e lo scambio delle informazioni. In Italia le singole ASL operano con sistemi informatici spesso non interoperabili e la normativa sulla Privacy è molto restrittiva nella comunicazione dei dati sanitari. La privacy, però, non cura nessuno, lo scambio di informazioni può salvare la vita”.

All’ASL 2 i dati sono raccolti con il consenso dei pazienti nei centri trasfusionali mentre il programma informatico ha sostituito i vecchi registri cartacei dove si segnavano gli elenchi delle persone affette da malattie rare. “Quando, per esempio, arriva un paziente emofiliaco registrato, possiamo sapere subito di quale fattore di coagulazione ha bisogno. E il tempo, in caso di emorragie, è un elemento importante. In più, il sistema, aggiornato nel 2016, è flessibile: è possibile aggiungere i dati di nuovi pazienti (Savona è una località di mare e non tutti sono residenti), o segnalare al Centro allergologico regionale le persone che sono incorse in reazioni anafilattiche, affinché vengano vaccinate, oppure in modo che venga registrata e condivisa la sostanza alla quale sono sensibili, in modo da non correre il rischio di somministrarla in un prossimo ricovero anche a distanza di anni”.

“Per questo è importante poter disporre di dati di facile accesso. A volte si tratta proprio di dati-salvavita. Il progetto che abbiamo presentato al Premio Sham 2017, e che si è aggiudicato una delle tre menzioni speciali, è continuato nel tempo ed è stato recentemente esposto a livello regionale e confrontato con altre strategie analoghe messe in campo da altre Regioni”.

“Non sappiamo ancora come ci evolveremo, ma sicuramente c’è fermento in questo campo a testimonianza del fatto che, da più parti, si sente l’esigenza di condividere i dati delle diverse strutture sanitarie per curare meglio e tutti assieme”.

LA PREVENZIONE È UN PENSIERO

Trasmettere ai singoli la consapevolezza di un disegno più grande.

 

L’Istituto Ortopedico IRCCS Rizzoli di Bologna ha adottato una pianificazione di gestione del rischio basata sulla classificazione internazionale ICPS dell’OMS. Questa tassonomia degli eventi avversi e near miss ci permette di ricavare una visione globale che integra le diverse fonti e assegna ad ogni evento una precisa classe di rischio.

Basandoci su questa esperienza ormai decennale, abbiamo provato a fare un passo in più: trasferire la consapevolezza della prevenzione globale nel nostro Istituto ai singoli dipartimenti. Il razionale è lo stesso che guida la classificazione: come ogni fonte di informazione sul rischio – incident-reporting, reclami, richieste di risarcimenti – può essere interpretata in maniera diversa in assenza di una classificazione standardizzata, così il rischio e la prevenzione possono essere visti sotto ottiche diverse a seconda del piano lavorativo del personale sanitario.

Così ci siamo chiesti: “È possibile che le tante anime dell’Istituto possano avere in mente il disegno più grande? Che possano cioè essere coscienti delle implicazioni e dei metodi di prevenzione di tutte le altre realtà cliniche, tecniche e amministrative che lavorano attorno a loro?”.

La risposta non è stata una nuova classificazione, ma una nuova filosofia basata sull’incontro e sulla discussione. Periodicamente, organizziamo una “Giornata della sicurezza” alla quale partecipano rappresentanti dei diversi dipartimenti e settori.

 

 

Ognuno racconta la sua esperienza di prevenzione e gestione dei rischi. Il metterle assieme permette di confrontarle (un elemento centrale imparato nell’esperienza di classificazione con la tassonomia OMS) e il confronto permette di riconoscere le somiglianze e gli elementi comuni che, a prima vista, apparivano slegati. Dopo il confronto un team percorre la strada inversa: si reca nelle singole unità operative per intervistare gli operatori, aggiornarli su quanto emerso in riunione e raccogliere le impressioni che saranno discusse la volta successiva.

Ciò che rimane alle persone coinvolte in questo processo è la consapevolezza di una prevenzione che permea l’intero ospedale: ogni attività è legata alle altre da un impalpabile, ma reale, filo rosso. Non è un elemento quantitativo. È però un pensiero che accompagna il lavoro di ogni giorno e allarga il suo orizzonte.

Luca Bianciardi , Direttore Sanitario dell’Istituto Ortopedico Rizzoli, Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico (IRCCS)