COMMENTO A TRIBUNALE FIRENZE, SEZ. II, SENT. 9 NOVEMBRE 2017, N. 3204 (GU MINNITI)1
I contenuti di analisi giuridica di Sanità 360° sono a cura dell’Avv. Ernesto Macrì, che dal 2007 ha focalizzato il suo impegno professionale nel campo del diritto assicurativo, della responsabilità sanitaria e del risarcimento del danno. Consulente legale della Società Italiana di Ortopedia e Traumatologia, del Sindacato degli Ortopedici e Traumatologi Italiani e dell’Ordine dei Medici di Roma, Macrì si è parimenti dedicato all’attività forense, alla formazione permanente e alla divulgazione come autore di libri e di articoli su riviste scientifiche e quotidiani nazionali, divenendo, nel tempo, una voce autorevole nel campo della responsabilità e dell’assicurazione in sanità.
La sentenza in commento merita qualche breve considerazione su due profili di stringente attualità – l’esperibilità dell’azione di regresso della struttura sanitaria nei confronti del medico e l’operatività delle polizze assicurative c.d. “a secondo rischio” in ambito sanitario – misurando il percorso argomentativo offerto dal Tribunale di Firenze alla luce delle novità introdotte dalla l. n. 24/2017.
1. I fatti
Una paziente veniva sottoposta a un intervento chirurgico di protesi totale del ginocchio sinistro.
Successivamente alle dimissioni e alla fisioterapia post-operatoria, la paziente, però, accusava una rigidità dell’articolazione interessata dall’operazione e, pertanto, veniva di nuovo ricoverata presso la medesima struttura, per essere sottoposta ad un secondo intervento, questa volta di sedazione per mobilizzazione del ginocchio sinistro, da parte dello stesso professionista sanitario.
Tuttavia, in seguito ad una visita da parte di un diverso medico specialista, alla paziente veniva refertato un mal posizionamento della protesi totale del ginocchio sinistro, che necessitava di un ulteriore reintervento chirurgico, effettuato, questa volta, presso altra struttura sanitaria.
In conseguenza di ciò, la paziente ha citato in giudizio la casa di cura e il medico per richiedere il risarcimento dei danni patiti.
Il medico, a sua volta, ha ritenuto di chiamare in causa la compagnia assicurativa che lo tutelava per la responsabilità civile professionale, la quale ha eccepito, fra le altre cose, «(…) che la polizza, (…), operava solo in secondo rischio oltre il massimale assicurato dalla struttura sanitaria presso la quale il medico svolge la propria attività e, in mancanza di copertura assicurativa dell’ente, per la sola ipotesi di insolvenza dello stesso».
Nel corso del giudizio, peraltro, il Giudice aveva formulato alle parti, una proposta conciliativa, ai sensi dell’art. 185-bis c.p.c., a cui avevano aderito tanto la paziente danneggiata quanto la casa di cura e il medico.
La proposta, tuttavia, era stata respinta dalla Compagnia di assicurazione, la quale aveva ribadito, da un lato, l’inoperatività della polizza e, dall’altro lato, che la medesima polizza non avrebbe offerto alcuna garanzia assicurativa in relazione alla domanda di regresso avanzata dall’ente ospedaliero nei confronti del professionista sanitario.
2. Le questioni controverse e qualche spunto di riflessione
2.1. La responsabilità della struttura sanitaria privata
La prima questione di nostro interesse, considerata, come dicevamo, anche in uno sguardo prospettico rivolto all’applicazione della nuova legge sulla responsabilità sanitaria (l. 24/2017), scaturisce dalle considerazioni svolte dal giudice in riferimento alla responsabilità della casa di cura.
A tale proposito, il Tribunale ha ritenuto che quest’ultima dovesse rispondere, ai sensi dell’art. 1228 c.c., per i fatti dolosi o colposi commessi dai propri dipendenti, «(…) senza che rilevi se per l’esecuzione delle prestazioni strettamente sanitarie eseguite da figure professionali abilitate si sia avvalsa di proprio personale dipendente o di collaboratori esterni» 2.
Va precisato che, nel caso di specie, almeno secondo quanto risulta dalla sentenza in commento, il medico prestava la propria attività all’interno della casa di cura in regime di libero professionale e senza alcun vincolo di subordinazione.
Ebbene, nonostante il Giudice, nella fattispecie concreta, non avesse ravvisato né una responsabilità diretta della casa di cura nella determinazione del danno, «(…) né risulta[sse] essa inadempiente alle obbligazioni a proprio carico a titolo di c.d. contratto di spedalità» 3, ha comunque ritenuto di condannare la struttura e il professionista sanitario in via solidale, una volta accertata la responsabilità del medico.
Tuttavia, il Tribunale ha riconosciuto alla struttura sanitaria la facoltà di promuovere azione di regresso, ex art. 2055 c.c., nei confronti del medico, giacché quest’ultimo doveva considerarsi «(…) quale autore esclusivo dell’illecito con conseguente condanna [dello stesso, ndr] a manlevare per l’intera somma che sarà eventualmente pagata al creditore» 4. Diverse le riflessioni che si posso trarre.
La prima:
La sentenza in commento si colloca nel solco di quella giurisprudenza che declina la responsabilità della casa di cura privata per il fatto del medico non dipendente (come nel caso di specie), ai sensi dell’art. 1228 c.c.
La Suprema Corte, in proposito, ritiene che «il rapporto che si instaura tra paziente (…) e casa di cura privata (o ente ospedaliero) ha fonte in un atipico contratto a prestazioni corrispettive con effetti protettivi nei confronti del terzo, da cui, a fronte dell’obbligazione al pagamento del corrispettivo (che ben può essere adempiuta dal paziente, dall’assicuratore, dal servizio sanitario nazionale o da altro ente), insorgono a carico della casa di cura (o dell’ente), accanto a quelli di tipo “lato sensu” alberghieri, obblighi di messa a disposizione del personale medico ausiliario, del personale paramedico e dell’apprestamento di tutte le attrezzature necessarie, anche in vista di eventuali complicazioni od emergenze. Ne consegue che la responsabilità della casa di cura (o dell’ente) nei confronti del paziente ha natura contrattuale, e può conseguire, ai sensi dell’art. 1218 cod. civ., all’inadempimento delle obbligazioni direttamente a suo carico, nonché, ai sensi dell’art. 1228 cod. civ., all’inadempimento della prestazione medico – professionale svolta direttamente dal sanitario, quale suo ausiliario necessario pur in assenza di un rapporto di lavoro subordinato, comunque sussistendo un collegamento tra la prestazione da costui effettuata e la sua organizzazione aziendale, non rilevando in contrario al riguardo la circostanza che il sanitario risulti essere anche “di fiducia” dello stesso paziente, o comunque dal medesimo scelto» 5.
In altri e più chiari termini, l’elaborazione giurisprudenziale pone la responsabilità a carico del debitore-struttura sanitaria a prescindere da qualunque profilo di colpa propria, atteso che ciò che rileva, ai fini della responsabilità del debitore-struttura sanitaria, è l’inadempimento della prestazione medica svolta direttamente dal sanitario, quale suo “ausiliario necessario”, pur in assenza di un rapporto di lavoro subordinato 6.
Tuttavia, quest’ultima affermazione, secondo qualche autore – e condivisibilmente aggiungiamo noi – finirebbe “per provare troppo” 7, soprattutto in quelle situazioni in cui il medico instauri direttamente un contratto di prestazione d’opera professionale con il paziente, che viene indirizzato dallo stesso professionista sanitario per l’operazione chirurgica presso la casa di cura delle cui strutture e personale egli si avvale per l’esecuzione dei propri interventi chirurgici 8.
Che l’indirizzo interpretativo di una responsabilità della struttura sanitaria a prescindere da una colpa propria generi non poche perplessità, era già stato messo in evidenza da autorevole dottrina, la quale aveva rimarcato come in simili ipotesi «(…) nasce il problema del possibile coinvolgimento nel giudizio di responsabilità da parte della struttura privata che semplicemente abbia messo a disposizione locali e arredi, strumenti e laboratori, fruiti dal medico, rimanendo il rapporto circoscritto al medico e non estendendosi anche al paziente» 9.
Da segnalare, peraltro, la presenza di alcune sentenze che non hanno ritenuto di muovere alcun addebito di responsabilità alla casa di cura, ai sensi dell’art. 1228 c.c., per l’operato del medico, nel caso in cui quest’ultimo si fosse già contrattualmente obbligato verso il paziente al momento dell’accettazione presso la struttura sanitaria privata, ritenendo necessaria per la condanna di quest’ultima la configurabilità di una responsabilità autonoma da inadempimento delle proprie obbligazioni 10.
Ebbene, sotto l’angolo di analisi della legge Gelli-Bianco, molte delle questioni sin qui trattate, sono in qualche modo state superate.
Difatti, nel mutato quadro legislativo, il 1° comma dell’art. 7 pone in capo alla struttura sanitaria (pubblica o privata) la responsabilità per fatto, doloso o colposo, dell’esercente la professione sanitaria, anche nel caso in cui il professionista è di fiducia del paziente con il quale ha direttamente instaurato un contratto di opera professionale, e anche se lo stesso professionista non risulta dipendente della struttura nella quale presta la propria attività.
Inoltre, il comma richiamato equipara del tutto le strutture sanitarie pubbliche e private, qualificando in tal modo la responsabilità contrattuale della prima (ex artt. 1218 e 1228 c.c.) anche in difetto di un rapporto di dipendenza con il medico 11.
La seconda:
Il Tribunale, dicevamo, non ravvisando alcun inadempimento proprio della Casa di Cura a fondamento della responsabilità della stessa, condanna, per tale ragione, il medico – e per esso, come vedremo più avanti, la Compagnia di assicurazione – a manlevare la struttura sanitaria per l’intera somma pagata al paziente danneggiato.
Va preliminarmente ricordato che anche in merito a questo profilo della vicenda, la sentenza in commento si pone in linea di continuità con il quadro giurisprudenziale delineatosi in tema di rivalsa della struttura sanitaria nei confronti del medico 12.
A tale stregua, tutte le volte che il paziente cita in giudizio unicamente la struttura sanitaria, quest’ultima è legittimata, già nel corso del medesimo giudizio promosso nei suoi confronti, a chiamare in causa il proprio “ausiliario”, al fine di poter ottenere nei riguardi dello stesso una condanna al regresso di quanto pagato nei confronti del paziente 13.
L’azione di regresso, come nella pronuncia in commento, viene di solito invocata in forza dell’art. 2055 c.c., che rappresenta, per così dire, un principio di carattere generale in tema di solidarietà, estensibile quindi anche alle ipotesi di responsabilità contrattuale.
Tuttavia, anche in questo caso, vi sono da registrare alcune decisioni in cui l’azione di regresso viene inquadrata nell’ambito di operatività dell’art. 1218 c.c, valorizzando in tal modo la presenza del rapporto contrattuale tra struttura sanitaria e medico 14: stando a questo indirizzo interpretativo, «(…) invocare l’operatività dell’art. 2055 c.c. come norma sulla quale si fonderebbe sempre e comunque l’azione dell’ospedale verso il medico, sembra comportare il riconoscimento a carico della struttura di una responsabilità oggettiva, che prescinde dall’accertamento di un suo proprio comportamento colpevole che non sia quello dei suoi ausiliari» 15.
Inoltre, nel caso che ci occupa – cioè, azione di regresso esperita dalla casa di cura verso il medico operante presso la struttura in regime di libera professione, non legato da un rapporto di lavoro dipendente – l’azione di rivalsa dispiegata dalla struttura sanitaria non soffre di alcuna limitazione, né sotto il profilo soggettivo, né sotto quello quantitativo.
A questo punto, occorre chiedersi se e in quali termini, per quanto concerne questi due ultimi profili, cambia la situazione in ragione della recente approvazione della legge Gelli-Bianco.
Ebbene, nel quadro dell’opera di riorganizzazione del complesso sistema della responsabilità sanitaria, si è assistito ad una nuova (e parziale) sistemazione anche delle regole del “regresso”.
In primo luogo, riguardata sotto il profilo soggettivo, la presenza delle categorie del dolo e della colpa grave del personale sanitario per l’esercizio dell’azione di rivalsa, non è solo circoscritta, come avveniva in passato, «(…) alle ipotesi di rapporto di lavoro dipendente presso la struttura pubblica; ovvero in quello di rapporto di lavoro dipendente nella struttura privata (se contenuta in giuste previsioni nel CCNL)», ma estesa anche all’ipotesi «(…) di personale sanitario che presta la propria attività quale libero professionista nell’ambito della struttura sanitaria, contrattualmente obbligata verso il paziente» 16.
In tale prospettiva, pertanto, non si può escludere che, nei mesi a seguire, si potrà assistere ad una sorta di attività di enucleazione, da parte del giudice ordinario chiamato a pronunciarsi sull’azione di regresso della struttura sanitaria privata, dei profili di censura della colpa grave dell’esercente la professione sanitaria, come è oramai consuetudine da parte della giustizia contabile, chiamata ad applicare i limiti soggettivi alla rivalsa nel settore pubblico 17.
In secondo luogo, l’esercizio della facoltà di rivalsa incontra anche dei limiti sotto l’aspetto del risarcimento, che può essere concesso in sede di rivalsa, mediante la previsione di un tetto parametrato alla entità del trattamento retributivo goduto dal sanitario.
Tali criteri di limitazione della rivalsa presuppongono, tuttavia, un rapporto di lavoro dipendente che lega l’operatore sanitario alle strutture sanitarie pubbliche, ovvero alle strutture sanitarie private.
Al contrario, secondo quanto affermato dai primi commentatori della novella legislativa, il limite delle tre annualità, stabilito dal comma 6, art. 9 l. 24/2017, non opererebbe con riguardo ai professionisti richiamati al comma 2 dell’art. 10 dello stesso provvedimento normativo: cioè, con riguardo ai professionisti sanitari che operano all’interno della struttura in regime libero professionale 18.
In definitiva, la novella legislativa, almeno per quanto concerne il personale sanitario che agisce in regime di libera professione all’interno delle strutture sanitarie private, non ha apportato, sotto il profilo del quantum risarcitorio, alcuna sostanziale novità.
2.2. Operatività delle polizze a “primo rischio” e a “secondo rischio”
La seconda questione di interesse del decisum in commento, concerne le possibili e multiple connessioni tra le diverse forme di polizza operanti, che si traduce in una trama assai complessa e di non facile declinazione.
Il Tribunale di Firenze, chiamato a pronunciarsi sull’eccezione di inoperatività della polizza assicurativa sollevata dalla Compagnia di assicurazione del professionista, sul presupposto che la stessa è destinata ad agire “a secondo rischio”, conclude che «(…) se due contratti di assicurazione garantiscono rischi diversi, non può mai sussistere per definizione (…) una copertura “a secondo rischio”»19.
Il giudice di merito a sostegno del proprio percorso argomentativo richiama una recente pronuncia della Cassazione, la n. 4936/2015 20.
Per comprendere meglio il contesto in cui la sentenza in commento si inserisce, conviene qui riportare, seppur brevemente, i passaggi cruciali dell’arresto di legittimità citato.
Il Supremo Collegio, in primis, opera una categorizzazione a seconda che si tratti di assicurazione per conto proprio (plasmata sulla copertura del rischio di un depauperamento del patrimonio del contraente) oppure di assicurazione per conto altrui (art. 1891 c.c.) (viceversa, strutturata per coprire il rischio di impoverimento di soggetti diversi da colui che ha sottoscritto la polizza, a prescindere dalla circostanza che quest’ultimo debba rispondere del loro operato).
Accanto a questa distinzione, il giudice di legittimità opera un’ulteriore ripartizione, da non confondere con la prima, basata sul titolo della responsabilità dedotta ad oggetto del contratto: cioè, tra assicurazione della responsabilità civile per fatto proprio (la compagnia di assicurazione coprirà il rischio di una perdita patrimoniale derivante da un comportamento tenuto personalmente dal soggetto assicurato) e assicurazione della responsabilità civile per fatto altrui (l’assicuratore garantirà il rischio di impoverimento dell’assicurato a causa di fatti posti in essere da persone del cui operato il medesimo debba rispondere).
Senonché, tratteggiate le diverse segmentazioni tra i due tipi di assicurazione della responsabilità civile, la Corte ipotizza le differenti dinamiche di correlazioni tra le diverse forme sopra richiamate.
In particolare, precisano gli Ermellini, «una struttura ospedaliera può dunque teoricamente assicurare: a) la responsabilità propria, tanto se dipendente da deficit organizzativi (assicurazione di r.c. per conto proprio e per fatto proprio); quanto se dipendente da colpa dei sanitari (assicurazione di r.c. per conto proprio e per fatto altrui, espressamente prevista dall’art. 1900, comma 2, c.c.); b) la responsabilità dei medici (assicurazione di r.c. per conto altrui, ex art. 1891 c.c.)».
Dati questi elementi, i giudici di legittimità ritengono che una polizza di assicurazione potrà “operare in eccesso” rispetto ad un’altra assicurazione, tutte le volte che i due contratti garantiscono il medesimo rischio.
Pertanto, ogniqualvolta il medico, operante all’interno di una struttura sanitaria, ha sottoscritto una polizza di assicurazione personale, questa non può che coprire la responsabilità civile del medico stesso.
Logico corollario di tale rilievo giuridico è che l’assicurazione della responsabilità civile del medico operante all’interno di una struttura sanitaria ha ad oggetto un rischio del tutto diverso rispetto a quello coperto dall’assicurazione della responsabilità civile dell’ente ospedaliero in cui il medico si trova a prestare la propria attività.
In effetti, secondo la Cassazione, nell’ipotesi di un contratto di assicurazione “personale” del medico e di una polizza di assicurazione della responsabilità civile della clinica, siamo di fronte a due contratti diversi, che coprono rischi diversi relativi a soggetti assicurati diversi.
«Ne consegue», chiosa il Supremo Collegio, «che una polizza stipulata a copertura della responsabilità civile della clinica (tanto per il fatto proprio, quanto per il fatto altrui) non può mai “operare in eccesso alle assicurazioni personali dei medici”, perché non vi è coincidenza di rischio assicurato tra i due contratti».
Conformandosi alla lezione della Corte di Cassazione, il Tribunale di Firenze, stante l’assenza di qualunque addebito di responsabilità diretta della struttura sanitaria, conclude nel senso di non accogliere la tesi sostenuta dalla Compagnia di assicurazione, secondo la quale la polizza del medico sarebbe stata operativa ed efficace solamente nell’ipotesi in cui non fosse stata operativa la polizza della struttura sanitaria (o laddove la prima fosse stata inesistente o la struttura insolvente), con la conseguenza che ben dovrà la compagnia di assicurazione del professionista garantire copertura al sinistro.
Un’analisi prospettica degli aspetti trattati, nel caleidoscopico gioco incrociato di azioni di regresso, di responsabilità amministrativa e di surroga tra strutture sanitarie (pubbliche e private), professionisti e compagnie di assicurazione, alla luce della nuova disciplina di legge, non può neanche essere abbozzata in questa sede, dal momento che per avere un quadro completo del funzionamento della maggior parte di questi istituti occorrerà attendere l’emanazione dei decreti ministeriali previsti per la regolamentazione specifica ed analitica dell’obbligo assicurativo.
Ernesto Macrì
Avvocato del libero foro di Roma
Note:
1 Il testo integrale della sentenza è reperibile sul sito www.rivistaresponsabilitamedica.it, con nota di commento di S. Pari, Cosa sono le polizze sanitarie “a secondo rischio”? Ce lo dice il Tribunale di Firenze, 25.10.2017.
2 Vedi sentenza annotata, p. 6.
3 Vedi sentenza annotata, p. 7.
4 Vedi sentenza annotata, p. 7.
5 Cfr. Cass. civ., sez. III, sent. 26/01/2006, n. 1698.
6 Cfr. M. Rossetti, Il danno alla salute, Milano, 2017, p. 1005; M. Flamini, Strutture ospedaliere ed esercenti la professione sanitaria: il patto di manleva tra causa concreta e giudizio di meritevolezza, in www.rivistaresponsabilitamedica.it, fasc. 4/2017. Sulla responsabilità della casa di cura privata per fatto degli ausiliari da un punto di vista generale, v. G. C. Chiaromonte, Responsabilità per fatto degli ausiliari e incarico contrattuale diretto al medico: il dubbio ruolo della casa di cura privata, in Rivista di diritto civile, fasc. 2/2017, pp. 489 ss..
7 Di tale avviso P. Sanna, I mille volti della responsabilità medica: la responsabilità della casa di cura privata, in Responsabilità civile e previdenza, 1999, p. 683 ss., il quale – richiamando Bianca, Dell’inadempimento dell’obbligazione sub art. 1228 c.c., in Commentario del codice civile, a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1967, 375 ss. – pone in evidenza come nei casi in cui «(…) sia il paziente-creditore a scegliere il medico-ausiliario all’adempimento non inquadrato nell’organizzazione aziendale della casa di cura, “deve ritenersi che tale soggetto è in realtà un cooperatore del creditore” poiché “con siffatta scelta il creditore fornisce al debitore il mezzo per l’adempimento”; pertanto “il creditore sopporta le conseguenze dannose causate dalle deficienze del personale da lui disposto: donde ricorrendo l’ipotesi detta, e qualora si ritenesse fondata una simile ricostruzione, la casa di cura risponderà solo a titolo extra-contrattuale».
8 In tal senso ancora G. C. Chiaromonte, Responsabilità per fatto degli ausiliari e incarico contrattuale diretto al medico: il dubbio ruolo della casa di cura privata, cit., p. 493, la quale rileva come «Molte maggiori perplessità suscita invece il pensiero che possa invocarsi una responsabilità della casa di cura ex art 1228 c.c. nel caso in cui il paziente abbia preventivamente e direttamente conferito l’incarico professionale al medico, e si rechi successivamente presso la casa di cura solo perché quello è il luogo in cui verrà eseguita la prestazione da parte del sanitario».
9 V. G. Alpa, La responsabilità medica, in Responsabilità civile e previdenza, 1999, fasc. 2, p. 331. In senso conforme anche G. Visintini, La responsabilità del debitore per fatto degli ausiliari, in Trattato della responsabilità contrattuale, diretto da G. Visintini, III, Padova, 2009, spec. p. 605 ss. 10 V. Cass. Civ., sez. III, sent. 26/06/2012, n. 10630, in Responsabilità civile, 1999, fasc. 8-9, con nota di G. Facci.
11 Su questi specifici aspetti v. N. De Luca-M. Ferrante-A. Napolitano, La responsabilità civile in ambito sanitario, in le nuove leggi civili commentate, 2017, fasc. 4, p. 740 ss..
12 Si veda in proposito A. D’Adda, Solidarietà e rivalse nella responsabilità sanitaria: una nuova disciplina speciale, in Il Corriere giuridico, 2017, fasc. 6, p. 769 ss.
13 Cfr. A. D’Adda, Solidarietà e rivalse nella responsabilità sanitaria: una nuova disciplina speciale, cit., p. 773.
14 Si rammenta, in particolare, Trib. Milano, sent. 23 novembre 2016, reperibile su www.ridare.it, con nota di commento di L. Berti, Il regresso della struttura sanitaria nei confronti del suo ausiliario, 18 aprile 2017.
15 Cfr. Trib. Milano, sent. 23 novembre 2016, p. 17.
16 Cfr. A. D’Adda, Solidarietà e rivalse nella responsabilità sanitaria: una nuova disciplina speciale, cit., p. 774.
17 Cfr. A. D’Adda, Solidarietà e rivalse nella responsabilità sanitaria: una nuova disciplina speciale, cit., p. 774; F. Martini, Legge Gelli: azione di rivalsa o di responsabilità amministrativa, su www.ridare.it, Focus del 27.06.2017.
18 Cfr. A. D’Adda, Solidarietà e rivalse nella responsabilità sanitaria: una nuova disciplina speciale, cit., p. 778. Dello stesso avviso anche I. Partenza, L’azione di rivalsa delle strutture private, in F. Gelli-M. Hazan-D. Zorzit (a cura di), La nuova responsabilità sanitaria e la sua assicurazione, Milano, 2017, p. 521 ss.
19 Il giudice richiama i paragrafi 1 e 3 dell’art. 16 della polizza assicurativa in questione, nei quali era rispettivamente previsto che: “(…) l’assicurazione vale solo per la quota di responsabilità diretta dell’assicurato con esclusione di ogni responsabilità derivantegli in via solidale”; “(…) qualora l’attività del medico assicurato sia svolta in regime libero professionale all’interno di ASL, casa di cura, ente ospedaliero o altra struttura sanitaria, tenuti egualmente in responsabilità, la presente garanzia si intende operante oltre il massimale assicurato dall’ente stesso, ovvero in mancanza di copertura assicurativa dell’ente, per la sola ipotesi di insolvenza del medesimo ente» (v. sentenza annotata, p. 7).
20 Per un commento alla sentenza richiamata sia consentito rinviare a E. Macrì, La polizza copre il medico solo se c’è coincidenza di rischio, su www.sanita24ore.it, 21 aprile 2015.