COMMENTO A TRIBUNALE FIRENZE, SEZ. II, SENT. 9 NOVEMBRE 2017, N. 3204 (GU MINNITI)1

I contenuti di analisi giuridica di Sanità 360° sono a cura dell’Avv. Ernesto Macrì, che dal 2007 ha focalizzato il suo impegno professionale nel campo del diritto assicurativo, della responsabilità sanitaria e del risarcimento del danno. Consulente legale della Società Italiana di Ortopedia e Traumatologia, del Sindacato degli Ortopedici e Traumatologi Italiani e dell’Ordine dei Medici di Roma, Macrì si è parimenti dedicato all’attività forense, alla formazione permanente e alla divulgazione come autore di libri e di articoli su riviste scientifiche e quotidiani nazionali, divenendo, nel tempo, una voce autorevole nel campo della responsabilità e dell’assicurazione in sanità.

 

La sentenza in commento merita qualche breve considerazione su due profili di stringente attualità – l’esperibilità dell’azione di regresso della struttura sanitaria nei confronti del medico e l’operatività delle polizze assicurative c.d. “a secondo rischio” in ambito sanitario – misurando il percorso argomentativo offerto dal Tribunale di Firenze alla luce delle novità introdotte dalla l. n. 24/2017.

1. I fatti

Una paziente veniva sottoposta a un intervento chirurgico di protesi totale del ginocchio sinistro.

Successivamente alle dimissioni e alla fisioterapia post-operatoria, la paziente, però, accusava una rigidità dell’articolazione interessata dall’operazione e, pertanto, veniva di nuovo ricoverata presso la medesima struttura, per essere sottoposta ad un secondo intervento, questa volta di sedazione per mobilizzazione del ginocchio sinistro, da parte dello stesso professionista sanitario.

Tuttavia, in seguito ad una visita da parte di un diverso medico specialista, alla paziente veniva refertato un mal posizionamento della protesi totale del ginocchio sinistro, che necessitava di un ulteriore reintervento chirurgico, effettuato, questa volta, presso altra struttura sanitaria.

In conseguenza di ciò, la paziente ha citato in giudizio la casa di cura e il medico per richiedere il risarcimento dei danni patiti.

Il medico, a sua volta, ha ritenuto di chiamare in causa la compagnia assicurativa che lo tutelava per la responsabilità civile professionale, la quale ha eccepito, fra le altre cose, «(…) che la polizza, (…), operava solo in secondo rischio oltre il massimale assicurato dalla struttura sanitaria presso la quale il medico svolge la propria attività e, in mancanza di copertura assicurativa dell’ente, per la sola ipotesi di insolvenza dello stesso».

Nel corso del giudizio, peraltro, il Giudice aveva formulato alle parti, una proposta conciliativa, ai sensi dell’art. 185-bis c.p.c., a cui avevano aderito tanto la paziente danneggiata quanto la casa di cura e il medico.

La proposta, tuttavia, era stata respinta dalla Compagnia di assicurazione, la quale aveva ribadito, da un lato, l’inoperatività della polizza e, dall’altro lato, che la medesima polizza non avrebbe offerto alcuna garanzia assicurativa in relazione alla domanda di regresso avanzata dall’ente ospedaliero nei confronti del professionista sanitario.

2. Le questioni controverse e qualche spunto di riflessione

2.1. La responsabilità della struttura sanitaria privata

La prima questione di nostro interesse, considerata, come dicevamo, anche in uno sguardo prospettico rivolto all’applicazione della nuova legge sulla responsabilità sanitaria (l. 24/2017), scaturisce dalle considerazioni svolte dal giudice in riferimento alla responsabilità della casa di cura.

A tale proposito, il Tribunale ha ritenuto che quest’ultima dovesse rispondere, ai sensi dell’art. 1228 c.c., per i fatti dolosi o colposi commessi dai propri dipendenti, «(…) senza che rilevi se per l’esecuzione delle prestazioni strettamente sanitarie eseguite da figure professionali abilitate si sia avvalsa di proprio personale dipendente o di collaboratori esterni» 2.

Va precisato che, nel caso di specie, almeno secondo quanto risulta dalla sentenza in commento, il medico prestava la propria attività all’interno della casa di cura in regime di libero professionale e senza alcun vincolo di subordinazione.

Ebbene, nonostante il Giudice, nella fattispecie concreta, non avesse ravvisato né una responsabilità diretta della casa di cura nella determinazione del danno, «(…) né risulta[sse] essa inadempiente alle obbligazioni a proprio carico a titolo di c.d. contratto di spedalità» 3, ha comunque ritenuto di condannare la struttura e il professionista sanitario in via solidale, una volta accertata la responsabilità del medico.

Tuttavia, il Tribunale ha riconosciuto alla struttura sanitaria la facoltà di promuovere azione di regresso, ex art. 2055 c.c., nei confronti del medico, giacché quest’ultimo doveva considerarsi «(…) quale autore esclusivo dell’illecito con conseguente condanna [dello stesso, ndr] a manlevare per l’intera somma che sarà eventualmente pagata al creditore» 4. Diverse le riflessioni che si posso trarre.

La prima:

La sentenza in commento si colloca nel solco di quella giurisprudenza che declina la responsabilità della casa di cura privata per il fatto del medico non dipendente (come nel caso di specie), ai sensi dell’art. 1228 c.c.

La Suprema Corte, in proposito, ritiene che «il rapporto che si instaura tra paziente (…) e casa di cura privata (o ente ospedaliero) ha fonte in un atipico contratto a prestazioni corrispettive con effetti protettivi nei confronti del terzo, da cui, a fronte dell’obbligazione al pagamento del corrispettivo (che ben può essere adempiuta dal paziente, dall’assicuratore, dal servizio sanitario nazionale o da altro ente), insorgono a carico della casa di cura (o dell’ente), accanto a quelli di tipo “lato sensu” alberghieri, obblighi di messa a disposizione del personale medico ausiliario, del personale paramedico e dell’apprestamento di tutte le attrezzature necessarie, anche in vista di eventuali complicazioni od emergenze. Ne consegue che la responsabilità della casa di cura (o dell’ente) nei confronti del paziente ha natura contrattuale, e può conseguire, ai sensi dell’art. 1218 cod. civ., all’inadempimento delle obbligazioni direttamente a suo carico, nonché, ai sensi dell’art. 1228 cod. civ., all’inadempimento della prestazione medico – professionale svolta direttamente dal sanitario, quale suo ausiliario necessario pur in assenza di un rapporto di lavoro subordinato, comunque sussistendo un collegamento tra la prestazione da costui effettuata e la sua organizzazione aziendale, non rilevando in contrario al riguardo la circostanza che il sanitario risulti essere anche “di fiducia” dello stesso paziente, o comunque dal medesimo scelto» 5.

In altri e più chiari termini, l’elaborazione giurisprudenziale pone la responsabilità a carico del debitore-struttura sanitaria a prescindere da qualunque profilo di colpa propria, atteso che ciò che rileva, ai fini della responsabilità del debitore-struttura sanitaria, è l’inadempimento della prestazione medica svolta direttamente dal sanitario, quale suo “ausiliario necessario”, pur in assenza di un rapporto di lavoro subordinato 6.

Tuttavia, quest’ultima affermazione, secondo qualche autore – e condivisibilmente aggiungiamo noi – finirebbe “per provare troppo” 7, soprattutto in quelle situazioni in cui il medico instauri direttamente un contratto di prestazione d’opera professionale con il paziente, che viene indirizzato dallo stesso professionista sanitario per l’operazione chirurgica presso la casa di cura delle cui strutture e personale egli si avvale per l’esecuzione dei propri interventi chirurgici 8.

Che l’indirizzo interpretativo di una responsabilità della struttura sanitaria a prescindere da una colpa propria generi non poche perplessità, era già stato messo in evidenza da autorevole dottrina, la quale aveva rimarcato come in simili ipotesi «(…) nasce il problema del possibile coinvolgimento nel giudizio di responsabilità da parte della struttura privata che semplicemente abbia messo a disposizione locali e arredi, strumenti e laboratori, fruiti dal medico, rimanendo il rapporto circoscritto al medico e non estendendosi anche al paziente» 9.

Da segnalare, peraltro, la presenza di alcune sentenze che non hanno ritenuto di muovere alcun addebito di responsabilità alla casa di cura, ai sensi dell’art. 1228 c.c., per l’operato del medico, nel caso in cui quest’ultimo si fosse già contrattualmente obbligato verso il paziente al momento dell’accettazione presso la struttura sanitaria privata, ritenendo necessaria per la condanna di quest’ultima la configurabilità di una responsabilità autonoma da inadempimento delle proprie obbligazioni 10.

Ebbene, sotto l’angolo di analisi della legge Gelli-Bianco, molte delle questioni sin qui trattate, sono in qualche modo state superate.

Difatti, nel mutato quadro legislativo, il 1° comma dell’art. 7 pone in capo alla struttura sanitaria (pubblica o privata) la responsabilità per fatto, doloso o colposo, dell’esercente la professione sanitaria, anche nel caso in cui il professionista è di fiducia del paziente con il quale ha direttamente instaurato un contratto di opera professionale, e anche se lo stesso professionista non risulta dipendente della struttura nella quale presta la propria attività.

Inoltre, il comma richiamato equipara del tutto le strutture sanitarie pubbliche e private, qualificando in tal modo la responsabilità contrattuale della prima (ex artt. 1218 e 1228 c.c.) anche in difetto di un rapporto di dipendenza con il medico 11.

La seconda:

Il Tribunale, dicevamo, non ravvisando alcun inadempimento proprio della Casa di Cura a fondamento della responsabilità della stessa, condanna, per tale ragione, il medico – e per esso, come vedremo più avanti, la Compagnia di assicurazione – a manlevare la struttura sanitaria per l’intera somma pagata al paziente danneggiato.

Va preliminarmente ricordato che anche in merito a questo profilo della vicenda, la sentenza in commento si pone in linea di continuità con il quadro giurisprudenziale delineatosi in tema di rivalsa della struttura sanitaria nei confronti del medico 12.

A tale stregua, tutte le volte che il paziente cita in giudizio unicamente la struttura sanitaria, quest’ultima è legittimata, già nel corso del medesimo giudizio promosso nei suoi confronti, a chiamare in causa il proprio “ausiliario”, al fine di poter ottenere nei riguardi dello stesso una condanna al regresso di quanto pagato nei confronti del paziente 13.

L’azione di regresso, come nella pronuncia in commento, viene di solito invocata in forza dell’art. 2055 c.c., che rappresenta, per così dire, un principio di carattere generale in tema di solidarietà, estensibile quindi anche alle ipotesi di responsabilità contrattuale.

Tuttavia, anche in questo caso, vi sono da registrare alcune decisioni in cui l’azione di regresso viene inquadrata nell’ambito di operatività dell’art. 1218 c.c, valorizzando in tal modo la presenza del rapporto contrattuale tra struttura sanitaria e medico 14: stando a questo indirizzo interpretativo, «(…) invocare l’operatività dell’art. 2055 c.c. come norma sulla quale si fonderebbe sempre e comunque l’azione dell’ospedale verso il medico, sembra comportare il riconoscimento a carico della struttura di una responsabilità oggettiva, che prescinde dall’accertamento di un suo proprio comportamento colpevole che non sia quello dei suoi ausiliari» 15.

Inoltre, nel caso che ci occupa – cioè, azione di regresso esperita dalla casa di cura verso il medico operante presso la struttura in regime di libera professione, non legato da un rapporto di lavoro dipendente – l’azione di rivalsa dispiegata dalla struttura sanitaria non soffre di alcuna limitazione, né sotto il profilo soggettivo, né sotto quello quantitativo.

A questo punto, occorre chiedersi se e in quali termini, per quanto concerne questi due ultimi profili, cambia la situazione in ragione della recente approvazione della legge Gelli-Bianco.

Ebbene, nel quadro dell’opera di riorganizzazione del complesso sistema della responsabilità sanitaria, si è assistito ad una nuova (e parziale) sistemazione anche delle regole del “regresso”.

In primo luogo, riguardata sotto il profilo soggettivo, la presenza delle categorie del dolo e della colpa grave del personale sanitario per l’esercizio dell’azione di rivalsa, non è solo circoscritta, come avveniva in passato, «(…) alle ipotesi di rapporto di lavoro dipendente presso la struttura pubblica; ovvero in quello di rapporto di lavoro dipendente nella struttura privata (se contenuta in giuste previsioni nel CCNL)», ma estesa anche all’ipotesi «(…) di personale sanitario che presta la propria attività quale libero professionista nell’ambito della struttura sanitaria, contrattualmente obbligata verso il paziente» 16.

In tale prospettiva, pertanto, non si può escludere che, nei mesi a seguire, si potrà assistere ad una sorta di attività di enucleazione, da parte del giudice ordinario chiamato a pronunciarsi sull’azione di regresso della struttura sanitaria privata, dei profili di censura della colpa grave dell’esercente la professione sanitaria, come è oramai consuetudine da parte della giustizia contabile, chiamata ad applicare i limiti soggettivi alla rivalsa nel settore pubblico 17.

In secondo luogo, l’esercizio della facoltà di rivalsa incontra anche dei limiti sotto l’aspetto del risarcimento, che può essere concesso in sede di rivalsa, mediante la previsione di un tetto parametrato alla entità del trattamento retributivo goduto dal sanitario.

Tali criteri di limitazione della rivalsa presuppongono, tuttavia, un rapporto di lavoro dipendente che lega l’operatore sanitario alle strutture sanitarie pubbliche, ovvero alle strutture sanitarie private.

Al contrario, secondo quanto affermato dai primi commentatori della novella legislativa, il limite delle tre annualità, stabilito dal comma 6, art. 9 l. 24/2017, non opererebbe con riguardo ai professionisti richiamati al comma 2 dell’art. 10 dello stesso provvedimento normativo: cioè, con riguardo ai professionisti sanitari che operano all’interno della struttura in regime libero professionale 18.

In definitiva, la novella legislativa, almeno per quanto concerne il personale sanitario che agisce in regime di libera professione all’interno delle strutture sanitarie private, non ha apportato, sotto il profilo del quantum risarcitorio, alcuna sostanziale novità.

2.2. Operatività delle polizze a “primo rischio” e a “secondo rischio”

La seconda questione di interesse del decisum in commento, concerne le possibili e multiple connessioni tra le diverse forme di polizza operanti, che si traduce in una trama assai complessa e di non facile declinazione.

Il Tribunale di Firenze, chiamato a pronunciarsi sull’eccezione di inoperatività della polizza assicurativa sollevata dalla Compagnia di assicurazione del professionista, sul presupposto che la stessa è destinata ad agire “a secondo rischio”, conclude che «(…) se due contratti di assicurazione garantiscono rischi diversi, non può mai sussistere per definizione (…) una copertura “a secondo rischio”»19.

Il giudice di merito a sostegno del proprio percorso argomentativo richiama una recente pronuncia della Cassazione, la n. 4936/2015 20.

Per comprendere meglio il contesto in cui la sentenza in commento si inserisce, conviene qui riportare, seppur brevemente, i passaggi cruciali dell’arresto di legittimità citato.

Il Supremo Collegio, in primis, opera una categorizzazione a seconda che si tratti di assicurazione per conto proprio (plasmata sulla copertura del rischio di un depauperamento del patrimonio del contraente) oppure di assicurazione per conto altrui (art. 1891 c.c.) (viceversa, strutturata per coprire il rischio di impoverimento di soggetti diversi da colui che ha sottoscritto la polizza, a prescindere dalla circostanza che quest’ultimo debba rispondere del loro operato).

Accanto a questa distinzione, il giudice di legittimità opera un’ulteriore ripartizione, da non confondere con la prima, basata sul titolo della responsabilità dedotta ad oggetto del contratto: cioè, tra assicurazione della responsabilità civile per fatto proprio (la compagnia di assicurazione coprirà il rischio di una perdita patrimoniale derivante da un comportamento tenuto personalmente dal soggetto assicurato) e assicurazione della responsabilità civile per fatto altrui (l’assicuratore garantirà il rischio di impoverimento dell’assicurato a causa di fatti posti in essere da persone del cui operato il medesimo debba rispondere).

Senonché, tratteggiate le diverse segmentazioni tra i due tipi di assicurazione della responsabilità civile, la Corte ipotizza le differenti dinamiche di correlazioni tra le diverse forme sopra richiamate.

In particolare, precisano gli Ermellini, «una struttura ospedaliera può dunque teoricamente assicurare: a) la responsabilità propria, tanto se dipendente da deficit organizzativi (assicurazione di r.c. per conto proprio e per fatto proprio); quanto se dipendente da colpa dei sanitari (assicurazione di r.c. per conto proprio e per fatto altrui, espressamente prevista dall’art. 1900, comma 2, c.c.); b) la responsabilità dei medici (assicurazione di r.c. per conto altrui, ex art. 1891 c.c.)».

Dati questi elementi, i giudici di legittimità ritengono che una polizza di assicurazione potrà “operare in eccesso” rispetto ad un’altra assicurazione, tutte le volte che i due contratti garantiscono il medesimo rischio.

Pertanto, ogniqualvolta il medico, operante all’interno di una struttura sanitaria, ha sottoscritto una polizza di assicurazione personale, questa non può che coprire la responsabilità civile del medico stesso.

Logico corollario di tale rilievo giuridico è che l’assicurazione della responsabilità civile del medico operante all’interno di una struttura sanitaria ha ad oggetto un rischio del tutto diverso rispetto a quello coperto dall’assicurazione della responsabilità civile dell’ente ospedaliero in cui il medico si trova a prestare la propria attività.

In effetti, secondo la Cassazione, nell’ipotesi di un contratto di assicurazione “personale” del medico e di una polizza di assicurazione della responsabilità civile della clinica, siamo di fronte a due contratti diversi, che coprono rischi diversi relativi a soggetti assicurati diversi.

«Ne consegue», chiosa il Supremo Collegio, «che una polizza stipulata a copertura della responsabilità civile della clinica (tanto per il fatto proprio, quanto per il fatto altrui) non può mai “operare in eccesso alle assicurazioni personali dei medici”, perché non vi è coincidenza di rischio assicurato tra i due contratti».

Conformandosi alla lezione della Corte di Cassazione, il Tribunale di Firenze, stante l’assenza di qualunque addebito di responsabilità diretta della struttura sanitaria, conclude nel senso di non accogliere la tesi sostenuta dalla Compagnia di assicurazione, secondo la quale la polizza del medico sarebbe stata operativa ed efficace solamente nell’ipotesi in cui non fosse stata operativa la polizza della struttura sanitaria (o laddove la prima fosse stata inesistente o la struttura insolvente), con la conseguenza che ben dovrà la compagnia di assicurazione del professionista garantire copertura al sinistro.

Un’analisi prospettica degli aspetti trattati, nel caleidoscopico gioco incrociato di azioni di regresso, di responsabilità amministrativa e di surroga tra strutture sanitarie (pubbliche e private), professionisti e compagnie di assicurazione, alla luce della nuova disciplina di legge, non può neanche essere abbozzata in questa sede, dal momento che per avere un quadro completo del funzionamento della maggior parte di questi istituti occorrerà attendere l’emanazione dei decreti ministeriali previsti per la regolamentazione specifica ed analitica dell’obbligo assicurativo.

 

Ernesto Macrì

Avvocato del libero foro di Roma 

 avv.emacri@gmail.com  

 

Note:

Il testo integrale della sentenza è reperibile sul sito www.rivistaresponsabilitamedica.it, con nota di commento di S. Pari, Cosa sono le polizze sanitarie “a secondo rischio”? Ce lo dice il Tribunale di Firenze, 25.10.2017.

Vedi sentenza annotata, p. 6.

Vedi sentenza annotata, p. 7.

Vedi sentenza annotata, p. 7.

Cfr. Cass. civ., sez. III, sent. 26/01/2006, n. 1698.

Cfr. M. Rossetti, Il danno alla salute, Milano, 2017, p. 1005; M. Flamini, Strutture ospedaliere ed esercenti la professione sanitaria: il patto di manleva tra causa concreta e giudizio di meritevolezza, in www.rivistaresponsabilitamedica.it, fasc. 4/2017. Sulla responsabilità della casa di cura privata per fatto degli ausiliari da un punto di vista generale, v. G. C. Chiaromonte, Responsabilità per fatto degli ausiliari e incarico contrattuale diretto al medico: il dubbio ruolo della casa di cura privata, in Rivista di diritto civile, fasc. 2/2017, pp. 489 ss..

Di tale avviso P. Sanna, I mille volti della responsabilità medica: la responsabilità della casa di cura privata, in Responsabilità civile e previdenza, 1999, p. 683 ss., il quale – richiamando Bianca, Dell’inadempimento dell’obbligazione sub art. 1228 c.c., in Commentario del codice civile, a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1967, 375 ss. – pone in evidenza come nei casi in cui «(…) sia il paziente-creditore a scegliere il medico-ausiliario all’adempimento non inquadrato nell’organizzazione aziendale della casa di cura, “deve ritenersi che tale soggetto è in realtà un cooperatore del creditore” poiché “con siffatta scelta il creditore fornisce al debitore il mezzo per l’adempimento”; pertanto “il creditore sopporta le conseguenze dannose causate dalle deficienze del personale da lui disposto: donde ricorrendo l’ipotesi detta, e qualora si ritenesse fondata una simile ricostruzione, la casa di cura risponderà solo a titolo extra-contrattuale».

In tal senso ancora G. C. Chiaromonte, Responsabilità per fatto degli ausiliari e incarico contrattuale diretto al medico: il dubbio ruolo della casa di cura privata, cit., p. 493, la quale rileva come «Molte maggiori perplessità suscita invece il pensiero che possa invocarsi una responsabilità della casa di cura ex art 1228 c.c. nel caso in cui il paziente abbia preventivamente e direttamente conferito l’incarico professionale al medico, e si rechi successivamente presso la casa di cura solo perché quello è il luogo in cui verrà eseguita la prestazione da parte del sanitario».

V. G. Alpa, La responsabilità medica, in Responsabilità civile e previdenza, 1999, fasc. 2, p. 331. In senso conforme anche G. Visintini, La responsabilità del debitore per fatto degli ausiliari, in Trattato della responsabilità contrattuale, diretto da G. Visintini, III, Padova, 2009, spec. p. 605 ss.
10 V. Cass. Civ., sez. III, sent. 26/06/2012, n. 10630, in Responsabilità civile, 1999, fasc. 8-9, con nota di G. Facci.

11 Su questi specifici aspetti v. N. De Luca-M. Ferrante-A. Napolitano, La responsabilità civile in ambito sanitario, in le nuove leggi civili commentate, 2017, fasc. 4, p. 740 ss..

12 Si veda in proposito A. D’Adda, Solidarietà e rivalse nella responsabilità sanitaria: una nuova disciplina speciale, in Il Corriere giuridico, 2017, fasc. 6, p. 769 ss.

13 Cfr. A. D’Adda, Solidarietà e rivalse nella responsabilità sanitaria: una nuova disciplina speciale, cit., p. 773.

14 Si rammenta, in particolare, Trib. Milano, sent. 23 novembre 2016, reperibile su www.ridare.it, con nota di commento di L. Berti, Il regresso della struttura sanitaria nei confronti del suo ausiliario, 18 aprile 2017.

15 Cfr. Trib. Milano, sent. 23 novembre 2016, p. 17.

16 Cfr. A. D’Adda, Solidarietà e rivalse nella responsabilità sanitaria: una nuova disciplina speciale, cit., p. 774.

17 Cfr. A. D’Adda, Solidarietà e rivalse nella responsabilità sanitaria: una nuova disciplina speciale, cit., p. 774; F. Martini, Legge Gelli: azione di rivalsa o di responsabilità amministrativa, su www.ridare.it, Focus del 27.06.2017.

18 Cfr. A. D’Adda, Solidarietà e rivalse nella responsabilità sanitaria: una nuova disciplina speciale, cit., p. 778. Dello stesso avviso anche I. Partenza, L’azione di rivalsa delle strutture private, in F. Gelli-M. Hazan-D. Zorzit (a cura di), La nuova responsabilità sanitaria e la sua assicurazione, Milano, 2017, p. 521 ss.

19 Il giudice richiama i paragrafi 1 e 3 dell’art. 16 della polizza assicurativa in questione, nei quali era rispettivamente previsto che: “(…) l’assicurazione vale solo per la quota di responsabilità diretta dell’assicurato con esclusione di ogni responsabilità derivantegli in via solidale”; “(…) qualora l’attività del medico assicurato sia svolta in regime libero professionale all’interno di ASL, casa di cura, ente ospedaliero o altra struttura sanitaria, tenuti egualmente in responsabilità, la presente garanzia si intende operante oltre il massimale assicurato dall’ente stesso, ovvero in mancanza di copertura assicurativa dell’ente, per la sola ipotesi di insolvenza del medesimo ente» (v. sentenza annotata, p. 7).

20 Per un commento alla sentenza richiamata sia consentito rinviare a E. Macrì, La polizza copre il medico solo se c’è coincidenza di rischio, su www.sanita24ore.it, 21 aprile 2015.

ALLA SCOPERTA DEI PROGETTI DEL PREMIO SHAM 2017 (II PARTE)

Continua il viaggio di Sanità 360° tra i progetti del Premio Sham 2017 focalizzati sulla prevenzione del rischio in sanità. Uno spazio di informazione pensato da Sham Italia per far conoscere le buone pratiche a livello nazionale e far crescere la consapevolezza attorno alla gestione del rischio e ai suoi strumenti migliori.

 

RIDURRE LE INFEZIONI FARMACO-RESISTENTI: L’ESPERIENZA DELL’ISMETT DI PALERMO

L’Istituto Mediterraneo Trapianti e Terapie Alta Specializzazione ha affrontato un incremento di pazienti portatori di Acinetobacter baumanii MDR nel 2015 con conseguente contaminazione ambientale e aumento del rischio. Le misure messe in atto hanno ridotto l’incidenza dallo 0,8 allo 0,3 per cento in un anno.

Le Infezioni Correlate all’Assistenza sostenute da germi Gram negativi Multi-farmaco resistenti (MDR) rappresentano un problema di salute in tutto il mondo in termini di Mortalità e Morbilità a causa delle poche opzioni terapeutiche disponibili per la cura di queste gravi infezioni. In Italia, la presenza di Acinetobacter baumanii MDR è endemica [1]. Il sistema di sorveglianza delle ICA ha consentito di rilevare nel primo quadrimestre del 2015 un aumento del tasso d’infezioni sostenute da Acinetobacter baumanii MDR nel reparto di Terapia Intensiva (ICU), associato all’aumento del reservoir di pazienti portatori del germe, poiché in quei mesi si è verificato un incremento di pazienti trasferiti da altre strutture sanitarie per Acute Respiratory Distress Syndrome (ARDS) da virus influenzale. Molti di questi pazienti erano portatori anche di Acinetobacter baumanii MDR. Questo ha determinato un aumento del rischio di contaminazione ambientale quindi di cross transmission agli altri pazienti ricoverati nel reparto, che le norme igieniche e le politiche di isolamento da contatto già implementate in Istituto non sono riuscite a contenere.

Il Comitato Infezioni Ospedaliere di ISMETT si è riunito nel corso del 2015 e 2016 per sviluppare una strategia di risposta. In primo luogo è stata effettuata una revisione delle linee guida [2], condivisa con l’équipe e con incontri obbligatori con tutto il personale sanitario della terapia intensiva per confrontare le strategie di contenimento aziendali e mantenere sempre altissimo il livello di attenzione ad ogni singolo aspetto. Tra le misure intraprese si annoverano: screening di sorveglianza; impiego di ipoclorito di sodio; campionamenti ambientali e implementazione di un programma di Antimicrobial stewardship incentrato sull’uso appropriato delle molecole antimicrobiche.

Va rilevato che il sistema di sorveglianza delle ICA implementato in ISMETT in questi anni è stato cruciale per verificare in tempo reale il verificarsi in Istituto di un incremento epidemiologicamente significativo dei tassi di ICA sostenuti dal germe.

Il progetto così articolato ha richiesto diversi mesi per la fase attuativa e di analisi dei risultati ma, a gennaio 2017, è apparso evidente che il tasso medio annuale di ICA da Acinetobacter baumanii MDR del 2016 era stato del 0.3‰, in netto calo rispetto allo 0.8‰ del 2015.

Dopo questa esperienza l’indicatore è stato stabilmente inserito nel sistema di sorveglianza delle ICA dell’Istituto e continuerà ad essere monitorato nei mesi successivi.

LE PAROLE CHIAVE DELLA CRITICITÀ

All’ASST Ovest Milanese un sistema informatico di archiviazione abbina sinistri, parole chiave e percorsi di miglioramento.

Il progetto presentato dall’ASST Ovest Milanese è basato sullo studio e l’implementazione di parole chiave che indentificano specifiche criticità nel processo di cura che ha generato un sinistro. L’obiettivo è di consentire un’analisi strutturata e ampia che prenda in esame tutti gli elementi dell’episodio. Nel secondo semestre 2017 per poter applicare la metodologia presentata è stato necessario implementare nel database per la gestione dei sinistri “SGRR” 13 parole chiave “evento”, con due livelli di dettaglio, che fossero rappresentative di diverse aree tematiche risultate critiche. Queste aree sono state stabilite selezionando le parole che più frequentemente si presentavano nella valutazione dei sinistri analizzati nel corso del precedente anno.

Parallelamente, sono state individuate 10 parole chiave “attività” con relativo livello di dettaglio, rappresentative delle possibili azioni di miglioramento in modo da tracciare l’azione correttiva in relazione alle parole chiave precedenti.

Dopo il processo di valutazione del sinistro – che si estende all’intera durata della sua gestione – e l’associazione delle parole chiave (massimo 4 per singolo sinistro), viene effettuato il confronto con il Risk Manager, da cui nascono le successive azioni di miglioramento.

Nel database, gestito in completa autonomia, sono stati predisposti due report: per le parole chiave “evento” e “attività”. L’inserimento dei dati corrispondenti ai report di sintesi generale e report di dettaglio ne favorisce l’aggiornamento automatico, al fine di mettere in luce il secondo e terzo livello di dettaglio correlati con le UO/servizi che hanno generato il sinistro.

Il database si interfaccia con il sistema di gestione delle segnalazioni interne (incident reporting) e permette di verificare se un episodio di sinistro è stato oggetto di segnalazione interna come evento indesiderato e/o evento sentinella.

 

 

[1] European Center for Disease Control and Prevention (link).

[2] Guidelines or the management of the infection control measures to reduce transmission of multidrug-resistant Gramnegative bacteria in hospitalized patients (link).

RIPROGRAMMAZIONE CELLULARE: IL 5° PILASTRO NELLA LOTTA AL TUMORE

Prelevare i linfociti dal sangue, modificarli geneticamente e impiegarli come arma “viva” contro i tumori del sangue: questa è la rivoluzionaria tecnica che ha salvato il piccolo paziente all’Ospedale Bambino Gesù. Scopriamo come funziona e cosa cambia nell’orizzonte delle terapie.

È notizia di pochi giorni fa l’infusione, in un bambino affetto da leucemia linfoblastica acuta, di cellule T riprogrammate [1] . L’intervento, avvenuto con successo all’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma sotto la guida del dott. Franco Locatelli (direttore del dipartimento di Onco-Ematologia Pediatrica, Terapia Cellulare e Genica) è stato il primo in Italia ad essere effettuato con questo approccio terapeutico. La leucemia in questione è un tumore che colpisce i linfociti di tipo B scatenando la proliferazione di cellule immature – chiamate blasti – che invadono il midollo osseo e i tessuti degli organi. Se non curata è una malattia mortale. Il piccolo paziente, di quattro anni, aveva già avuto due ricadute della malattia: una successivamente a trattamento chemioterapico, l’altra dopo essere stato sottoposto a trapianto di midollo. A seguito di questi episodi non avrebbe potuto essere curato seguendo le terapie convenzionali. Quale è stata, allora, la strategia che l’ha salvato?

 

 

Il National Cancer Institute statunitense definisce le immunoterapie come il quinto pilastro nella lotta contro il cancro [2] . Un approccio immuno-terapico che sta emergendo con particolare forza è l’Adoptive Cell Transfer e consiste nell’impiegare e rafforzare le cellule immunitarie stesse del paziente per combattere il tumore. È a questa categoria che appartiene l’intervento svolto al Bambino Gesù. I linfociti C del bambino malato sono stati prelevati e modificati geneticamente con l’inserimento – attraverso una piattaforma virale – di una sequenza di DNA che codifica il Recettore Chimerico Antigenico o CAR. Questo recettore, che si esprime sulla superficie cellulare delle cellule T, aiuta i linfociti a riconoscere un antigene (cioè una molecola di superficie) espressa con particolare frequenza dalle cellule B tumorali. Le cellule T riprogrammate (CAR T cell) vengono, poi, moltiplicate in laboratorio e immesse nuovamente nel circolo sanguigno del paziente, dove il recettore aggiuntivo le guida a riconoscere e distruggere le cellule tumorali. Nel caso del Bambino Gesù, il piccolo paziente è stato dimesso ad un mese dall’infusione: nel midollo osseo non erano più presenti cellule leucemiche.

L’intera procedura, messa in pratica per la prima volta negli Stati Uniti nel 2012, presenta una straordinaria complessità: basti pensare che il recettore modificato è una molecola interamente sintetica; non esiste in natura [3] . Ciononostante la ricerca si sta sviluppando con grande velocità ed è diffusa l’aspettativa che si sia raggiunto un punto di svolta.

Per Bruno Dallapiccola, direttore scientifico dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, si è trattato di: “Una pietra miliare nel campo della medicina di precisione in ambito onco-ematologico. Le terapie cellulari con cellule geneticamente modificate ci portano nel merito della medicina personalizzata, capace di rispondere con le sue tecniche alle caratteristiche biologiche specifiche dei singoli pazienti e di correggere i difetti molecolari alla base di alcune malattie”.

Secondo Steven Rosenberg, nel cui laboratorio al Center for Cancer Research ha avuto luogo il primo trattamento riuscito con cellule Car T riprogrammate, “nei prossimi anni assisteremo a un progresso straordinario e vedremo dilatarsi i confini del possibile per questo genere di terapie”.

La speranza, infatti, è estendere l’approccio dell’Adoptive Cell Transfer alla cura di altri tumori, sia del sangue che (con un certo numero di “forse”) solidi. Diversi studi clinici sono già partiti in queste direzioni.

La ricerca, infatti, è ancora all’inizio e le terapie con cellule Car T non sono scevre da limiti. La stessa terapia del Bambino Gesù prevedeva l’inserimento di un gene aggiuntivo che mediasse la morte dei linfociti modificati qualora uno dei più frequenti tra gli effetti collaterali registrati finora – ovvero, uno stato generale di infiammazione – resistesse alla terapia farmacologia. Ma quello che si può dire con assoluta certezza è che una nuova strada è stata aperta: dove le terapie convenzionali per le leucemie linfoblastiche acute si rivelino inefficaci adesso esiste un’alternativa che prima non c’era.

[1] Terapia genica: cellule “riprogrammate” contro il tumore. Primo paziente trattato al Bambino Gesù

[2] CAR T Cells: Engineering Patients’ Immune Cells to Treat Their Cancers [gli altri pilastri sono la chirurgia, la chemioterapia, la radioterapia e le famiglia di farmaci disegnati per colpire specificamente alcune cellule tumorali].

[3] Carl June, M.D., of the University of Pennsylvania Abramson Cancer Center

 

 

 

ELEZIONI SHAM: I SOCI SCELGONO LA MUTUA DEL FUTURO

Nel primo trimestre del 2018 i soci/assicurati di Sham vengono chiamati a proporre la propria candidatura per essere delegati a rappresentare un gruppo omogeneo di assicurati all’Assemblea Generale. È un momento fondamentale nel percorso di Sham e costituisce un pilastro del sistema mutualistico su cui essa si fonda.

 

Oltre a potersi candidare, ogni associato ha diritto di eleggere i delegati che rappresenteranno gli interessi degli assicurati in Assemblea. I delegati – che verranno annunciati il 13 aprile dopo la chiusura delle votazioni del 21 marzo – rimangono in carica tre anni, approvano il bilancio, votano le delibere, nonché le scelte proposte dal Consiglio d’Amministrazione, ed eleggono gli amministratori. È un sistema di governo democratico a tutti gli effetti, in cui un Consiglio di Amministrazione composto da soci/assicurati partecipa alla governance della Mutua e ne definisce gli indirizzi strategici.

Sham, infatti, non è una società di capitali con azionisti da retribuire, ma una società di persone in cui ogni associato ha la certezza di poter contare su scelte strategiche collegate alle esigenze specifiche del settore sanitario; un settore in costante evoluzione strutturale, normativa e tecnologica. Ogni cambiamento può essere portatore di rischi che richiedono risposte e Sham è in grado di anticiparlo proprio perché al centro della sua organizzazione ci sono soci/assicurati che vivono quotidianamente la sanità. È questa la formula che ci permette di essere sempre aggiornati, di affrontare il rischio di oggi e di prevenire quello di domani. È un circolo virtuoso, integrato, dove tutti insieme perseguiamo un unico obiettivo: la sicurezza delle cure per la sostenibilità del rischio sanitario.

Da questo approccio paritario deriva il secondo pilastro della mutualità: una visione del rischio che non è solo finanziaria, ma globale. In questo senso il nostro obiettivo è la prevenzione: condividere le buone pratiche e gli strumenti gestionali che hanno dimostrato di ridurre i rischi, di ridurre il costo globale della responsabilità civile sanitaria e mantenere l’intero sistema sostenibile, continuamente monitorato e in costante miglioramento. Un sistema nel quale ogni socio cresce in sicurezza insieme agli altri.

Come in altre iniziative proposte dalla nostra società per la diffusione delle buone pratiche, l’interesse dei soci/assicurati a partecipare alla governance della compagnia si traduce non solo nel garantire conoscenze e competenze specifiche in ambito sanitario ma anche nel non allontanarsi dall’obiettivo comune di Sham con i propri assicurati: la sicurezza delle cure e degli operatori sanitari.

 

 

Christophe Julliard

Country Manager Sham Italia

L’EVENTO CHE NON C’È È IL MIGLIOR RISULTATO

Proseguono gli incontri di Sham con le realtà sanitarie italiane. Nell’ultimo anno l’Ospedale Fate Bene Fratelli Sacro Cuore di Gesù di Benevento non ha mai registrato un errore nell’individuazione del sito operatorio o una caduta tra le migliaia di pazienti e visitatori, tale da essere segnalata come Evento Sentinella. Questo è il risultato ‘invisibile’ di una Gestione del Rischio iniziata più di un decennio fa.

234 posti letto, la maggior parte in chirurgia, per un totale di 15mila pazienti all’anno e centinaia di visitatori e appuntamenti poliambulatoriali al giorno. Sono questi i numeri dell’Ospedale Fate Bene Fratelli Sacro Cuore di Gesù di Benevento. Adriana Sorrentino è Direttore Sanitario della struttura da quasi vent’anni e racconta un’esperienza di gestione del rischio che nasce da lontano: “La prevenzione è difficile da vedere sul breve periodo, perché i suoi effetti riguardano in buona parte ciò che non si verifica: ovvero, gli eventi sfavorevoli o gli errori che si sono evitati nel corso del tempo”.

Perciò l’elemento quantificabile e più importante sono i processi: stabilire check list, chiarire chi fa cosa, analizzare ogni singolo passaggio in modo tale da ridurre il rischio intrinseco di ogni operazione e di ogni azione coordinata.

Fino ad oggi l’ospedale non ha mai ‘sofferto’ un errore nell’individuazione del paziente, del sito chirurgico e della procedura e il numero di cadute tra le migliaia di persone ricoverate o di passaggio è estremamente basso e senza gravi danni per il paziente.

“Sul blocco operatorio” spiegano il Direttore Sanitario e il Responsabile della Qualità e Rischio Clinico, Giovanni Guglielmucci: “Abbiamo sviluppato un sistema di revisione completo, sotto la spinta benefica di successive indicazioni ministeriali: ogni azione è stata tracciata in modo da identificare la corretta procedura e, soprattutto, la figura professionale incaricata di verificarla. I risultati sono stati condivisi con l’equipe operatoria che ha avuto nella check list uno strumento pratico e efficace per mantenere un alto livello di attenzione ai dettagli”.

 

 

Anche sul fronte delle cadute ospedaliere i risultati ‘invisibili’ della gestione del rischio sono il frutto di un processo iniziato anni fa. “Al momento, la procedura di presa in carico del paziente prevede una scheda apposita che valuta il rischio intrinseco: età, patologia, terapia e grado di probabile caduta che da queste si può dedurre. Il modulo indica, inoltre, la matrice di responsabilità: ovvero le procedure che i professionisti sanitari seguono per evitare che una caduta si verifichi. Nel 2018 andremo ancora oltre: affianco al materiale informativo già presente in struttura, stamperemo delle locandine illustrate da appendere in ogni camera di degenza, nelle quali saranno raffigurate le più frequenti situazioni di rischio per i pazienti e le corrette azioni per scongiurarlo: come alzarsi dal letto, quando chiamare l’infermiere, dove è necessario farsi accompagnare e così via”.

Tra gli altri obiettivi 2018 c’è quello di rafforzare ulteriormente il fondamentale monitoraggio del Comitato Infezioni Ospedaliere (anche questo in accordo alle direttive ministeriali) e di tracciare il percorso del farmaco tra territorio e ospedale.

“Quest’ultimo passaggio, in particolare, risponde all’esigenza di avere una visione del percorso farmacologico che vada in continuità. Al momento, ovviamente, la terapia farmacologica pregressa viene registrata in fase di accettazione, aggiornata in cartella clinica durante la degenza e riportata nella lettera di dimissione. Il progresso nel 2018 consisterà nel formulare una visione globale: un format che raccolga tutte queste informazioni – la storia del paziente e il percorso di cura da seguire di ritorno sul territorio – in un unico modulo facilmente consultabile”.

“Questo processo – conclude Adriana Sorrentino – è l’orizzonte della Gestione del Rischio. Un processo continuo ed esteso negli anni che si sostanzia nell’analisi costante delle azioni e delle procedure (e in questo l’incontro di ricognizione con Sham è stato un confronto stimolante) al fine di quantificare, comprendere, verificare i risultati e pianificare il passo successivo”.