PREMIO SHAM 2017: ALLA SCOPERTA DEI PROGETTI

Inizia con il 2018 un viaggio tra i 44 progetti del premio Sham – Federsanità ANCI. Uno spazio di informazione pensato da Sham per divulgare a livello nazionale le buone pratiche locali nella gestione del rischio e contribuire a diffondere sempre più la cultura della prevenzione nella sanità italiana.

 

1)    IL TRIAGE DEL RISCHIO: IMPARARE DAGLI ERRORI

All’Ausl Piacenza, Gestione del Rischio e Gestione del Sinistro procedono su canali paralleli: ogni incidente e richiesta di risarcimento diventano un’analisi di sistema. In tre anni si contano 38 azioni di miglioramento e procedure riviste. E le denunce calano del 42 per cento (da 87 nel 2014 a 50 nel 2016).

Quando nel 2012 la dottoressa Federica Amorevoli è partita dai dati per avere un quadro sulla rischiosità clinica dell’AUSL Piacenza, si è resa conto di un problema di base: molti dati mancavano all’appello. Sebbene la media dei risarcimenti fosse inferiore a quella nazionale (16mila contro 22mila euro), il corretto utilizzo dell’incident reporting era pressoché assente. “In pratica, sapevamo cosa non era andato per il verso giusto, ma non sapevamo perché. Quindi, non avevamo elementi per far sì che l’errore – organizzativo o umano – non si ripetesse più, né per stabilire, con certezza, se di errore si fosse trattato”.

L’incident reporting, infatti, consiste nella segnalazione interna degli eventi avversi: una terapia interrotta, un paziente scambiato per un altro, un campione biologico del quale si è persa traccia.

“Non si tratta necessariamente, all’origine, di danni ai pazienti o di errori, ma di ‘falle’ nella catena delle procedure dalle quali il danno o l’errore possono scaturire”.

In pratica, l’incident reporting è uno dei pilastri della prevenzione: analizzare quello che succede per capire come migliorarlo.

“Per ovviare a questa mancanza di informazioni, siamo partiti dai soli dati certi che possedevamo: quelli dei contenziosi. Le richieste di risarcimento, percorse a ritroso, ci avrebbero permesso di capire dove intervenire”.

Questa formula era, all’epoca, particolarmente innovativa e anticipava lo spirito di alcune pratiche confluite nella legge Gelli. A livello teorico la Gestione del Rischio procedeva parallela alla Gestione dei Sinistri, con procedure aziendali diverse ma complementari: per ogni richiesta di risarcimento, c’era un intero percorso di analisi. A livello pratico, la Medicina Legale, il Risk Manager, l’Ufficio assicurazioni e la Direzione di Presidio Unico si riunivano in sedute settimanali note come ‘Triage’, un termine preso in prestito dalla pratica del Pronto Soccorso, per inquadrare, in questo caso, non il paziente ma la richiesta di risarcimento danni: in fase istruttoria l’analisi della dinamica sarebbe stata propedeutica per stabilire il livello di urgenza e gli interventi da mettere in atto. Gli esercenti la professione sanitaria coinvolti nel singolo caso venivano convocati e l’intera sequenza degli avvenimenti analizzata e sintetizzata secondo una scheda preparata ad hoc dalla dottoressa Amorevoli, nel ruolo di Patient Safety Manager.

“Quello che emergeva era un processo di analisi” spiega Amorevoli “non alla persona, ma alla dinamica. Ed era anche l’unico modo per coinvolgere i professionisti sanitari nel vivo della questione. Non facevamo solo ‘lezioni’ sul rischio clinico, ma facevamo rivivere tutti i passaggi, ricostruendo l’intera esperienza con il massimo coinvolgimento dei professionisti interessati dai casi. Imparare dall’errore era, ed è, veramente possibile”.

Da questo punto si aprivano due percorsi: uno riguardava l’attività del Comitato di Gestione dei Sinistri, formato dalle stesse persone del Triage, per risolvere il contenzioso. L’altro riguardava la prevenzione: la messa in atto dei passaggi migliorativi sulla base dell’esperienza.

“In poco tempo i professionisti sanitari hanno capito che il Triage non era una minaccia, ma uno strumento per migliorare il loro lavoro. Le segnalazioni volontarie degli incidenti sono aumentate e sono state più significative nei contenuti. Lo stesso è avvenuto per l’attenzione verso tutti i passaggi: dalla corretta tenuta della documentazione sanitaria compilata correttamente, al consenso informato, alle procedure interne. Tutto ha iniziato a muoversi verso l’ambito progetto di arrivare all’efficacia ed efficienza del sistema. Per esempio, la check list di pre-ricovero è stata digitalizzata; è stato introdotto il braccialetto identificativo del paziente con correlata attività di prescrizione e somministrazione di terapia; ed è stata stilata una procedura precisa, nel caso in cui sia necessario rimuovere il braccialetto in sala operatoria, per essere sicuri che venga sostituito. Inoltre tutti i passaggi dei campioni biologici dalla sala operatoria al laboratorio di anatomia patologica sono stati minuziosamente codificati e digitalizzati, per sapere con certezza chi debba fare cosa e quando sia stato fatto. E così via.

Ognuno di questi interventi mirava a chiudere un varco attraverso il quale l’errore avrebbe potuto infilarsi.

Ad oggi, stiamo sviluppando l’idea di dotare il personale infermieristico addetto alla somministrazione delle terapie di un gilet speciale che segnali: ″Sto facendo il giro terapia, non interrompetemi, non fatemi domande″. Sembra un dettaglio, ma le interruzioni dell’attenzione sono una delle principali fonti di rischio”.

“È difficile” conclude la dottoressa “valutare in maniera esatta l’impatto di ogni singola misura: ci sono troppe variabili. Ma è possibile vedere se si sviluppino trend di fondo. E così è nel nostro caso: le denunce sono diminuite da 87 nel 2014 a 50 nel 2016. Siamo più efficaci; abbiamo dati, sistemi informatizzati, procedure condivise e una ragionevole partecipazione del personale sanitario, obiettivo molto ambito. La famosa e tanto citata “cultura del rischio” l’abbiamo costruita così.

“La prevenzione è una sicurezza sia per il paziente che per il professionista sanitario. Per questo, partecipando al Premio Sham 2017, abbiamo scelto il titolo ‘Prevenire è meglio che curare! Gestire il rischio, prevenire l’errore’. Rispecchia pienamente la nostra esperienza sul campo”.

 

2)   SEI IN BUONE MANI: LA CULTURA DELL’IGIENE UNISCE LE GENERAZIONI

Sensibilizzare il personale sul tema dell’igiene delle mani. La Direzione dell’Azienda Ospedaliera Ordine Mauriziano di Torino ha sviluppato un progetto originale: coinvolgere i figli e i nipoti dei professionisti sanitari.

In occasione del 5 maggio 2016 “Giornata mondiale dell’igiene delle mani” la Direzione dell’Azienda Ospedaliera Ordine Mauriziano di Torino ha indetto un concorso interno riservato ai figli e/o nipoti del personale dipendente in Azienda Ospedaliera (bambini dai 3 ai 12 anni). Ai bambini veniva chiesto di presentare un disegno (con qualsiasi grafica pittorica) sull’importanza dell’igiene delle mani nel prevenire le infezioni.

L’iniziativa – che ha partecipato al Premio Sham 2017 con il titolo “Sei in buone mani: iniziative per la promozione dell’igiene delle mani” – aveva l’obiettivo di sensibilizzare il personale dell’azienda attraverso il coinvolgimento dei più piccoli. Il progetto ha coinvolto circa 50 bambini che hanno raffigurato la loro idea di igiene delle mani con le tecniche più diverse. Una giuria interna ha selezionato i disegni più significativi rispetto a: messaggio trasmesso, creatività, realizzazione.

Il 5 maggio 2017, è stata organizzata una “staffetta” nel corridoio principale dell’ospedale che ha visto partecipare operatori sanitari, pazienti e volontari. Le persone coinvolte si sono igienizzate le mani con la soluzione idroalcolica – secondo la tecnica di frizionamento dell’OMS – per poi passare il flacone all’operatore successivo. L’evento è stato preceduto da un momento di informazione e formazione dedicato all’importanza dell’igiene delle mani nella prevenzione delle infezioni. La catena umana, che iniziava proprio dal Direttore Generale, a riprova del forte coinvolgimento della Direzione Aziendale, è partita dall’Aula Magna per snodarsi lungo il percorso più frequentato dell’ospedale e destando l’interesse di tutte le persone che transitavano, molte delle quali sono state estemporaneamente coinvolte.

Successivamente alla messa in atto del progetto i dati relativi al consumo di gel idroalcolico per l’igiene delle mani –  monitorato da anni presso l’AO Ordine Mauriziano –  hanno mostrato risultati in graduale miglioramento.