GESTIONE DEL RISCHIO CLINICO: NUOVA STAGIONE, OSTACOLI ANTICHI
Nessuna legge aveva dato tanta rilevanza alla Gestione del Rischio Clinico né l’aveva con tanta decisione integrata all’interno del diritto costituzionale alla salute quanto la legge Gelli/Bianco. Ma saranno le risorse umane ed economiche a fare la differenza.
I tre commi dell’articolo 1 sanciscono in successione tre concetti fondamentali: primo, “la sicurezza delle cure è parte costitutiva del diritto alla salute”; secondo, la sicurezza delle cure si realizza anche mediante le attività di prevenzione e gestione del rischio; terzo, tutto il personale, in strutture sia pubbliche che private, “è tenuto a concorrere” alla prevenzione del rischio.
A seguire, la legge istituisce diverse provvisioni per veder rispettato il diritto alla sicurezza delle cure. Non ultima, l’istituzione dei Centri per la gestione del rischio sanitario in ogni Regione che riporteranno dati, cause, informazioni relative a rischi ed eventi avversi all’Osservatorio nazionale presso l’Agenzia per i servizi regionali sanitari. Quest’ultimo sarà incaricato, tra le altre, di individuare linee di indirizzo nazionali al fine di prevenire e gestire il rischio clinico.
A fronte di quella che è, indubbiamente un’affermazione di principio capace di segnare l’agenda di una svolta culturale e pratica, la legge stabilisce anche che queste misure avverranno con le risorse strumentali e finanziarie vigenti.
Questo lascia il campo aperto ad una debolezza strutturale della Gestione del rischio clinico in Italia: la scarsità di risorse combinata alla carenza di personale interamente dedicato e di strutture organizzative ben definite.
Idealmente, infatti, la prevenzione e gestione del rischio rappresenta uno dei settori più importanti dell’organizzazione sanitaria. I professionisti addetti avrebbero voce in capitolo su qualsiasi aspetto della gestione clinica e amministrativa – dalle buone pratiche delle cure all’allocazione delle risorse umane, dall’acquisto dei macchinari all’interfaccia su tutti i livelli istituzionali. In più, dovrebbero poter avere l’autorità di influenzare i passaggi che, in un modo o nell’altro, influiscono sulla sicurezza finale delle cure e sulla riduzione del rischio.
In pratica, però, – e sebbene con alcune variabilità regionali – è difficile trovare una struttura di gestione del rischio autonoma e ben delineata in Italia. Molto più spesso, se non nella quasi totalità dei casi, la gestione del rischio è inserita in una struttura più grande – per es. nella Direzione Sanitaria – rimanendo solo uno tra i diversi compiti del personale addetto. Similmente, anche la formazione professionale e i requisiti rimangono generici: possono occuparsene medici igienisti, medici legali e, in genere, dipendenti dell’azienda che abbiano trattato l’argomento per almeno tre anni.
Il risultato nella carenza di risorse, sia umane che economiche ha ridotto, di fatto, l’impatto della gestione nel rischio in Italia, confinandola a due campi principali: la risposta reattiva ad eventi infausti e i risarcimenti.
L’altro grande campo di azione, la prevenzione, è rimasta indietro. E non è difficile capire perché. Uno degli strumenti di prevenzione più efficaci in questo campo è l’analisi di processo. Si tratta di una procedura che prende in esame l’iter di un percorso sanitario – per esempio l’accettazione in pronto soccorso – e la divide in singoli passaggi. Analizzando ogni singolo passaggio, si analizzano anche tutte le fasi critiche dalle quali può ingenerare un danno al paziente o un esito infausto. Per ogni singola analisi di processo sono necessari giorni se non settimane, la collaborazione dei professionisti sanitari coinvolti e, non da ultimo, uno staff di persone che si dedichino all’analisi stessa, organizzando materiali, pareri, dati e confrontandoli con le linee guida vigenti.
La legge Gelli/Bianco non cambia questa necessità. Per di più, sebbene le provvisioni della legge si incentrino sul lavoro a livello regionale e nazionale, il fulcro nella gestione del rischio ospedaliero rimane sempre il singolo ospedale dove buone o cattive pratiche devono essere introdotte o bandite.
La legge 8 marzo n.24 afferma un principio. Trasformare l’aspirazione in un meccanismo consolidato richiede, però, anche la volontà di allocare risorse e personale dedicato in ogni singola azienda e Regione.