ASSICURANDOSI CONTRO IL RISCHIO CLINICO SI FINISCE CON IL PREVENIRLO

L’assicurazione non è un lusso né una spesa superflua in sanità, ma un elemento cardine nella riduzione del rischio clinico.

 

Il saperlo riconoscere è uno dei meriti della Legge Gelli – Bianco il cui intento manifesto è quello, tra gli altri, di riportare le assicurazioni nell’ambito della sanità pubblica e privata. È un passaggio importante perché esiste una relazione inossidabile tra un sistema sanitario giusto e un sistema sanitario sostenibile: la capacità di risarcire il danno in maniera veloce, rispettosa e finanziariamente sostenibile è l’anello fondamentale di questa giuntura.

Risarcire un paziente significa riconoscere il suo diritto alla sicurezza delle cure; il farlo velocemente, significa accreditare la sua dignità di persona, nonché quella, in alcuni casi, dei parenti e della famiglia. Un sistema che affronti in maniera obiettiva il rischio di danno nelle cure solleva, nel contempo, i professionisti dalla spada di Damocle della colpa e della gogna giudiziaria, alleviando così le costosissime strategie difensive che prosciugano i bilanci sanitari di tutto il mondo.

 

 

Ma c’è di più perché chi assicura, in realtà, previene. È la natura stessa dell’assicurazione che porta a ricercare la probabilità di un evento e, di conseguenza, a comprenderne l’origine. Ciò è particolarmente vero per chi opera, come Sham, secondo la filosofia mutualistica e non alla ricerca del profitto. Lo studio del rischio clinico è parte integrante della nostra attività perché il nostro scopo è ridurre il rischio di un danno da risarcire.

Noi pensiamo di partecipare – assieme ai pazienti, ai parenti dei malati, ai professionisti e alle strutture sanitarie – a un unico mondo, quello della Sanità, che prospera solo quando le sue diverse parti sono in armonia. Per questo vogliamo contribuire a un dibattito aperto sui temi del rischio clinico e del risarcimento in sanità. È un tema complesso, ma è così importante che vale la pena continuare a parlarne, a informare, a suscitare un dibattito basato su idee argomentate ed esperienze dirette e ben documentate.

 

Christophe Julliard,

Country Manager Sham Italia

RISK MANAGEMENT IN SANITÁ: ARRIVA IL CORSO UNIVERSITARIO POST LAUREA

Approvato dall’Università di Torino il Corso di formazione e aggiornamento sul rischio in sanità: 40 ore in aula per un approccio a tutto tondo che va dall’esordio alla soluzione, dall’analisi alla prevenzione dell’evento dannoso. 

 

Il Dipartimento di Management dell’Università di Torino ha attivato il corso “Risk Management e gestione dell’evento dannoso nelle aziende sanitarie”. A fianco del Professor Enrico Sorano, Direttore del corso, e della Professoressa Gabriella Racca, nel Comitato di coordinamento siederà anche Roberto Ravinale che contribuirà ai contenuti formativi portando l’esperienza pluriennale di Ravinale & Partners, attore affermato nella gestione e liquidazione dei sinistri MedMal sul mercato italiano entrato a far parte del gruppo Sham.

Obiettivo del corso è quello di offrire una visione d’insieme dell’attività di Risk Management nelle aziende sanitarie: dalla prevenzione alla gestione dell’evento dannoso.

Non a caso i 40 posti del Corso sono aperti sia ai laureati (triennali o vecchio ordinamento) sia a coloro che, pur privi di laurea, lavorino da almeno due anni in un’amministrazione pubblica o un’azienda privata operanti in area sanitaria o socio-assistenziale.

Il corso – previsto per metà settembre – spazierà attraverso le diverse prospettive che ricadono nell’ambito, vasto ma fondamentalmente unitario, della gestione del rischio: il Risk Management stesso, la gestione dei sinistri, l’impatto economico e di bilancio nonché la parabola che va dall’esordio e analisi fino alla soluzione di un conflitto.

Lo farà procedendo per aree di successivo approfondimento. Per primo verrà lo studio della prevenzione e la gestione del rischio sanitario nell’ottica del miglior utilizzo delle risorse disponibili da dedicare alla tutela del paziente e con particolare attenzione alla capacità di coniugare logiche di analisi economica e di esito. Al secondo punto verrà affrontata l’attività di Risk Management nelle aziende sanitarie, con esempi e casi specifici. Seguirà la gestione integrata del rischio clinico: ovvero l’analisi reattiva dei sinistri impiegata come strumento per la gestione del rischio. Infine verrà trattata la gestione dell’evento dannoso: l’analisi del reclamo, i sistemi di riservazione, le poste risarcitorie, le tecniche negoziali e la gestione alternativa del contenzioso.

Le ore previste di insegnamento frontale saranno 40 con previsione di 5 CFU riconosciuti a chi avrà frequentato almeno l’85% delle lezioni.

LEGGE GELLI: VERSO UNA SANITÀ “NORMALE”

La norma ha due obiettivi fondamentali: tutelare gli operatori sanitari e garantire i risarcimenti in caso di errore. Una gestione del rischio sistematica, linee guida affidabili e tabelle certe sono gli ingredienti di una svolta culturale, prima ancora che giuridica, in ambito sanitario.

 

La legge Gelli (L. 8 Marzo n.24), si propone come una legge quadro in grado di modificare la relazione tra pazienti, operatori e strutture sanitarie. Il principio fondamentale della legge – spiega il relatore e padre della legge, l’On. Federico Gelli – è che “le cure sanitarie possono creare danni, sia per errore, sia per variabilità biologica. Succede ed è previsto anche nelle Sanità migliori al mondo. Riconoscerlo non è un’ammissione di fallimento né una colpa. Al contrario, accettare il rischio clinico è il primo passo per ridurlo”. Una Sanità moderna invece di perdersi in una miriade di processi, recriminazioni e strategie difensive, risponde al problema mettendo in atto tre strategie fondamentali. Primo, affronta il rischio clinico – raccogliendo dati in ogni ospedale e struttura sanitaria su quello che è andato storto, sugli eventi sentinella e il semi-errore e su come far sì che non accada più. Secondo, questi dati vengono trasmessi all’Osservatorio nazionale delle buone pratiche sulla sicurezza nella sanità che verrà istituito presso l’Agenas. L’Osservatorio, anche mediante la predisposizione di linee di indirizzo elaborate con l’ausilio delle società scientifiche e delle associazioni tecnico-scientifiche delle professioni sanitarie individuate con un apposito decreto del Ministero della Salute, individua idonee misure per la prevenzione e la gestione del rischio sanitario e il monitoraggio delle buone pratiche, nonché per la formazione e l’aggiornamento del personale. Terzo, invece che concentrarsi sulla colpa del sanitario, dobbiamo concentrarci sul danno del paziente. Se il paziente ha subito un danno, questo va riconosciuto e risarcito velocemente, a prescindere dalla colpa. Qui entrano in gioco le assicurazioni, alle quali si potrà adire direttamente – ovvero senza processo. Sono le assicurazioni che rendono il sistema sostenibile, liberando professionisti e strutture dall’incertezza e permettendo loro di concentrarsi sui pazienti. Questa, in sintesi, è la legge che scioglie, finalmente, l’intreccio nebuloso di danno, colpa e indennizzo affrontando ogni singolo aspetto in maniera positiva. È una legge di iniziativa parlamentare, alla quale hanno contribuito in molti, restituendo al Parlamento il ruolo per il quale è stato creato”.

Partiamo dall’origine: la situazione corrente

“Non è buona. Prima di questa legge, non esisteva un quadro normativo che regolamentasse la materia in maniera coerente ed esaustiva in tutte le sue parti. Di conseguenza, in assenza di una normativa unica e in presenza di una cultura di sfiducia tra pazienti e sanitari, abbiamo accumulato 300mila cause legali pendenti, i sanitari si sono ritirati verso quella che viene chiamata medicina difensiva – esami e ricoveri prudenziali che pesano per 10 miliardi di Euro sul Sistema Sanitario Nazionale – e le assicurazioni private hanno progressivamente abbandonato il campo, ritenendolo troppo incerto. Questo è stato il prezzo della rottura di un’alleanza terapeutica tra operatori sanitari e malati che si è infranta negli ultimi 15 anni e che dobbiamo assolutamente far rinascere.

Come vengono affrontati dalla nuova legge questi problemi singolarmente?

La legge prima di tutto stabilisce che la sicurezza delle cure è parte integrante del diritto alla salute. È, di conseguenza, un diritto costituzionale non solo essere curati, ma veder messo in atto ogni sforzo possibile per assicurarsi che le cure siano efficaci. Perciò, tutte le strutture dovranno attivare un’adeguata funzione di monitoraggio, prevenzione e gestione del rischio (risk management), che analizzi le potenziali criticità sanitarie ancor prima che si materializzino, inviando al Centro regionale i dati che, da qui, confluiscono nell’Osservatorio nazionale. L’obiettivo è ridurre progressivamente il rischio clinico, ovvero, i danni al paziente.

Nei casi in cui i danni si verificheranno, come cambierà la responsabilità dei sanitari?

La legge stabilisce che il professionista sanitario non risponda penalmente per imperizia qualora abbia seguito le linee guida e le buone pratiche stabilite dalla letteratura scientifica. Questa formulazione elimina – solo per l’imperizia, sia chiaro – il problema della colpa, sia grave che lieve, liberando i sanitari dalla paura di dover rispondere penalmente anche quando hanno fatto del loro meglio secondo la letteratura e la conoscenza medica.

Ci sono delle eccezioni?

Solo nell’eventualità le informazioni reperibili sul paziente specifico espressamente sconsiglino l’applicazione delle linee guida. Se il paziente è allergico al farmaco X, per esempio, il fatto che il farmaco X sia consigliato dalla letteratura non solleva il medico dalla responsabilità di trovare un farmaco equivalente adatto al paziente in questione. Ma, in generale, questa impostazione, che si adatta con cura al codice penale e alla maggior parte della giurisprudenza finora accumulata, solleva i sanitari dalla spada di Damocle della colpa e, nello stesso tempo, permette di risarcire più velocemente i pazienti.

Come avviene il risarcimento?

La novità introdotta è che tutte le strutture sanitarie, sia pubbliche che private, e gli operatori sanitari in libera professione dovranno assicurarsi. Di conseguenza il paziente si rifarà direttamente alle strutture o alla compagnia assicurativa per un risarcimento. Risarcito il paziente, la struttura potrà rivalersi sul sanitario in caso abbia commesso un errore grave (colpa grave), ma solo civilmente e con un tetto massimo pari al valore maggiore della retribuzione lorda conseguita nell’anno di inizio della condotta causa dell’evento, non superiore al triplo. Il tetto al risarcimento farà sì che il premio assicurativo rimanga contenuto [1]. Dal punto di vista del paziente, invece, il risarcimento sarà più rapido, perché abbiamo introdotto due nuovi canali: la possibilità di agire direttamente sull’assicurazione e l’istituzione della conciliazione obbligatoria. In quest’ultimo caso, l’avvocato del paziente scrive al giudice, il giudice nomina un perito per valutare il danno e, successivamente, convoca le parti, compresa l’assicurazione. In questo modo cerchiamo di dirottare la procedura del risarcimento da un lungo processo ad un veloce iter non dissimile da quello che segue i sinistri automobilistici.

In questo quadro, le assicurazioni private svolgono un ruolo importante nel mantenere in equilibrio il sistema. Cosa garantisce che se ne faranno carico e che i premi rimarranno sostenibili?

Principalmente il fatto che le tabelle di risarcimento saranno nazionali [2]. Avere la certezza dei costi permette alle assicurazioni di pianificare senza dover alzare i premi per coprirsi dai rischi dell’incertezza. Una gestione del rischi affidabile, infine, premia le strutture più efficienti, riducendo ulteriormente i costi a fronte dei rischi in calo e stimola ogni ospedale a investire nella raccolta dei dati e nella riduzione del rischio.

Rimane un punto focale: le linee guida che, in Italia, non sono mai state particolarmente valorizzate.

Puntare su delle linee guida forti ci riporta al centro delle migliori pratiche sanitarie internazionali. Sono molto più che una semplice discriminante nel valutare la responsabilità penale del sanitario. Si tratta, infatti, di un elaborato scientifico in continuo aggiornamento. In pratica, il portato della migliore esperienza medica sul campo. Abbiamo trovato una soluzione italiana al problema di chi le scriverà: saranno società scientifiche accreditate presso il Ministero della Salute. Di queste società ne esistono circa 500, ma solo quelle che rispondono a determinati criteri potranno accreditarsi: tra questi ricordo la democraticità interna, un’ampia rappresentanza dei professionisti sanitari dediti ad un specifico campo, i collegamenti con società scientifiche internazionali e l’assenza di legami privati che potrebbero orientare le loro scelte a favore di interessi distinti dalla salute pubblica. A queste società si aggiungono gli Ordini Professionali e alcuni enti di ricerca – sia pubblici che privati. Tutti questi soggetti verranno coordinati dall’Istituto superiore di Sanità che pubblicherà le linee guida e le manterrà aggiornate, offrendo un punto di riferimento stabile e rispondendo in maniera scientificamente fondata alla domanda fondamentale: cosa è meglio fare per curare meglio”.

 

[1] È bene sottolineare che l’articolo 10, comma 3, ribadisce l’obbligo di un’assicurazione comprensiva per colpa grave n.d.r. ”Al fine di garantire efficacia alle azioni di cui all’articolo 9 e all’articolo 12, comma 3, ciascun esercente la professione sanitaria operante a qualunque titolo in struttura sanitarie o sociosanitarie pubbliche o private provvede alla stipula, con oneri a proprio carico, di un’adeguata polizza di assicurazione per colpa grave”.

[2] Articolo7, comma 4 della legge 24 tabelle Codice delle Assicurazione Private art. 138 e 139, Dlgs 7 settembre 2005 n.209

GESTIONE DEL RISCHIO CLINICO: NUOVA STAGIONE, OSTACOLI ANTICHI

Nessuna legge aveva dato tanta rilevanza alla Gestione del Rischio Clinico né l’aveva con tanta decisione integrata all’interno del diritto costituzionale alla salute quanto la legge Gelli/Bianco. Ma saranno le risorse umane ed economiche a fare la differenza.

 

I tre commi dell’articolo 1 sanciscono in successione tre concetti fondamentali: primo, “la sicurezza delle cure è parte costitutiva del diritto alla salute”; secondo, la sicurezza delle cure si realizza anche mediante le attività di prevenzione e gestione del rischio; terzo, tutto il personale, in strutture sia pubbliche che private, “è tenuto a concorrere” alla prevenzione del rischio.

A seguire, la legge istituisce diverse provvisioni per veder rispettato il diritto alla sicurezza delle cure. Non ultima, l’istituzione dei Centri per la gestione del rischio sanitario in ogni Regione che riporteranno dati, cause, informazioni relative a rischi ed eventi avversi all’Osservatorio nazionale presso l’Agenzia per i servizi regionali sanitari. Quest’ultimo sarà incaricato, tra le altre, di individuare linee di indirizzo nazionali al fine di prevenire e gestire il rischio clinico.

A fronte di quella che è, indubbiamente un’affermazione di principio capace di segnare l’agenda di una svolta culturale e pratica, la legge stabilisce anche che queste misure avverranno con le risorse strumentali e finanziarie vigenti.

Questo lascia il campo aperto ad una debolezza strutturale della Gestione del rischio clinico in Italia: la scarsità di risorse combinata alla carenza di personale interamente dedicato e di strutture organizzative ben definite.

Idealmente, infatti, la prevenzione e gestione del rischio rappresenta uno dei settori più importanti dell’organizzazione sanitaria. I professionisti addetti avrebbero voce in capitolo su qualsiasi aspetto della gestione clinica e amministrativa – dalle buone pratiche delle cure all’allocazione delle risorse umane, dall’acquisto dei macchinari all’interfaccia su tutti i livelli istituzionali. In più, dovrebbero poter avere l’autorità di influenzare i passaggi che, in un modo o nell’altro, influiscono sulla sicurezza finale delle cure e sulla riduzione del rischio.

In pratica, però, – e sebbene con alcune variabilità regionali – è difficile trovare una struttura di gestione del rischio autonoma e ben delineata in Italia. Molto più spesso, se non nella quasi totalità dei casi, la gestione del rischio è inserita in una struttura più grande – per es. nella Direzione Sanitaria – rimanendo solo uno tra i diversi compiti del personale addetto. Similmente, anche la formazione professionale e i requisiti rimangono generici: possono occuparsene medici igienisti, medici legali e, in genere, dipendenti dell’azienda che abbiano trattato l’argomento per almeno tre anni.

Il risultato nella carenza di risorse, sia umane che economiche ha ridotto, di fatto, l’impatto della gestione nel rischio in Italia, confinandola a due campi principali: la risposta reattiva ad eventi infausti e i risarcimenti.

L’altro grande campo di azione, la prevenzione, è rimasta indietro. E non è difficile capire perché. Uno degli strumenti di prevenzione più efficaci in questo campo è l’analisi di processo. Si tratta di una procedura che prende in esame l’iter di un percorso sanitario – per esempio l’accettazione in pronto soccorso – e la divide in singoli passaggi. Analizzando ogni singolo passaggio, si analizzano anche tutte le fasi critiche dalle quali può ingenerare un danno al paziente o un esito infausto. Per ogni singola analisi di processo sono necessari giorni se non settimane, la collaborazione dei professionisti sanitari coinvolti e, non da ultimo, uno staff di persone che si dedichino all’analisi stessa, organizzando materiali, pareri, dati e confrontandoli con le linee guida vigenti.

La legge Gelli/Bianco non cambia questa necessità. Per di più, sebbene le provvisioni della legge si incentrino sul lavoro a livello regionale e nazionale, il fulcro nella gestione del rischio ospedaliero rimane sempre il singolo ospedale dove buone o cattive pratiche devono essere introdotte o bandite.

La legge 8 marzo n.24  afferma un principio. Trasformare l’aspirazione in un meccanismo consolidato richiede, però, anche la volontà di allocare risorse e personale dedicato in ogni singola azienda e Regione.

IL METODO SHAM: LA MAPPA DEL RISCHIO PARTE DALLE PERSONE

Sviluppato nel corso degli anni e nei diversi Paesi europei, il metodo Sham permette di valutare il rischio clinico di una struttura sanitaria o socio-sanitaria attraverso una combinazione di precisione quantitativa e attenzione qualitativa. La prima visita Sham, infatti, parte dalle persone per arrivare ai dati, attraverso interviste dirette e l’utilizzo di un référentiel costituito da 110 elementi con l’obiettivo di valutare, capire e migliorare assieme.

 

La complessità del rischio clinico nasce dal grande numero di attori, dipartimenti e procedure coinvolte per ogni singolo processo sanitario. Mappare questo rischio è il primo passo per valutarne il progressivo contenimento, anno dopo anno, e richiede la presenza concomitante di parametri di riferimento e flessibilità per adattarsi a ogni singola struttura sanitaria.

Consci che la qualità la fanno le persone”, i consulenti Sham hanno raggiunto questo equilibrio sviluppando un metodo che pone l’incontro con i professionisti al primo posto del processo. Fedele alla cultura mutualistica che la anima, infatti, l’approccio dell’azienda francese è a tutto tondo: una giornata di incontri e colloqui con i singoli dirigenti coinvolti nella gestione del rischio e concomitante visita diretta alle strutture.

Il metodo è quello di un’intervista (2/3 ore) incentrata sulle modalità di gestione. I professionisti coinvolti spaziano, pertanto, dalla Direzione aziendale al Risk Manager, ai singoli dirigenti, responsabili e coordinatori medici e infermieristici.

Questo primo incontro ha il fine di capire dimensioni, prassi organizzative e gestione delle risorse all’interno della struttura. La visita Sham non finisce mai con un giudizio sulla struttura, ma in un confronto delle sue attività con il benchmark internazionale fornito da un référentiel specifico che Sham applica quotidianamente nei diversi Paesi europei nei quali è attiva: Spagna, Francia, Italia e, prossimamente, Germania. Le informazioni raccolte permettono di valutare il livello di gestione del rischio clinico all’interno della struttura e porre le basi della strategia che lo conterrà.

Nei giorni seguenti, infatti, il consulente presenterà gli esiti di questa prima giornata di confronto e alcune “raccomandazioni” finalizzate a migliorare i processi gestionali. Molte di queste osservazioni hanno già provato la loro efficacia a livello europeo. Altre avvieranno quel percorso ad hoc dedicato alla singola struttura del quale la visita Sham rappresenta il passo iniziale.

L’obiettivo di Sham, prima ancora che la legge Gelli lo rendesse obbligatorio, è sempre stato quello di monitorare il rischio clinico per ridurlo progressivamente. Per questo l’enfasi è sempre sul miglioramento e l’attenzione si focalizza sulle persone, in prima battuta, e sulla qualità che infondono.

 

 

Anna Guerrieri

Risk Manager Sham Italia

COME CAMBIA LA RESPONSABILITÁ SANITARIA

L’impatto della legge Gelli sugli attuali assetti del mercato assicurativo, i punti da chiarire e la possibile evoluzione del settore in risposta al nuovo testo normativo.

 

Sebbene non si possa prescindere dal varo dei futuri decreti attuativi, è innegabile che l’intenzione della Legge Gelli – Bianco sia far convergere le richieste di risarcimento sulle strutture sanitarie. A queste ultime, non a caso, è fatto esplicitamente obbligo di assicurarsi con garanzia assistita da azione diretta e, nel contempo, viene apertamente riservata la responsabilità contrattuale con i pazienti.

La combinazione degli articoli 7 e 10, comunque, se da una parte indirizza verso le strutture e le loro assicurazioni come primi “obiettivi” della richiesta di risarcimento, dall’altra non abolisce le possibilità, da parte del danneggiato, di agire congiuntamente nei confronti sia della struttura che dell’esercente la professione sanitaria, o di agire unicamente nei confronti di quest’ultimo come, viceversa, non preclude alla struttura stessa di chiamare in causa il libero professionista sanitario fin dall’inizio del procedimento.

Dal punto di vista della copertura assicurativa per le strutture sanitarie pubbliche, pertanto, la legge non rappresenta una completa rivoluzione. Le assicurazioni stipulate prevedono, già ora, la copertura della responsabilità personale per il dipendente o il personale operante a qualsiasi titolo per o all’interno della struttura stessa.

Ciò che potrebbe veramente fare la differenza, e che non è perfettamente chiarito nel testo iniziale, è cosa il legislatore intenda quando – nell’art. 7, comma 2 – fa riferimento generico alle prestazioni sanitarie “in regime di convenzione” per le quali le strutture sanitarie, sia pubbliche che private, sono esplicitamente chiamate a rispondere.

Per “regime di convenzione”, infatti, si potrebbero intendere tutti i liberi professionisti sanitari all’interno di una qualsiasi struttura, ovvero i liberi professionisti sanitari che operano all’interno di una struttura privata convenzionata o, addirittura, tutti quei liberi professionisti che operano al di fuori delle strutture pubbliche, ma sono convenzionati con le ASL come – e questo dà un’idea dell’eventuale slittamento nei perimetri di copertura – medici e pediatri di base.

La differenza è molto significativa, sia per la sanità pubblica che per quella privata per lo stesso motivo: il rischio e il costo assicurativo delle strutture cresce assieme ai confini della loro esposizione. Per le strutture private la copertura dei dipendenti prevista dall’art. 1 non è una novità. La differenza della Legge Gelli si manifesta nel momento in cui la limitazione della copertura da opporre al terzo danneggiato – cioè, in sostanza, la non copertura, da parte della struttura, della responsabilità del libero professionista – non è più ragionevolmente reiterabile. A questo punto è probabile che il mercato, per semplificare, si orienti per il settore privato su una configurazione non dissimile a quella applicata al settore pubblico.

Indipendentemente da ciò, la definizione delle dimensioni della copertura è importante perché delinea anche i “confini” assicurativi tra la responsabilità delle strutture e quelle degli esercenti le professioni sanitarie. Confini che sono essenziali per scongiurare il rischio di sovrapposizione delle coperture assicurative – ovvero di aree assicurate due volte: la prima in capo alla struttura, la seconda all’esercente la professione sanitaria.

Per quanto riguarda l’assicurazione che i dipendenti pubblici sono chiamati a stipulare in proprio, i cambiamenti sono contenuti: l’art. 10, comma 3 – obbligo polizza colpa grave – e il concomitante rischio di rivalsa erariale e amministrativa non comportano squilibri nel mercato perché il bacino degli assicurati e il tetto alla rivalsa stessa concorrono a mantenere i premi contenuti.

Anche per quanto riguarda l’esercente la professione sanitaria in regime di libera professione privato non cambia l’obbligo di assicurarsi senza limite – art. 10, comma 2 – e la differenza la faranno i requisiti minimi fissati per decreto attuativo. Nuovo, invece, è l’obbligo di copertura fissato, per l’esercente la professione sanitaria dipendente privato, dall’art. 10, comma 3 che ripropone, da un altro punto di vista, l’esigenza di chiarire con molta precisione la latitudine degli obblighi di copertura in modo da evitare sostanziali sovrapposizioni nelle diverse polizze di soggetti diversi.

ACCETTARE IL RISCHIO CLINICO È IL PRIMO PASSO PER RIDURLO

Questo sarà il filo conduttore di Sanità 360°: la nuova newsletter promossa da Sham e Ravinale che mira, fin dal primo numero, a creare una comunità di professionisti in continuo aggiornamento attorno ad un tema che rappresenta la chiave di volta per la sostenibilità e l’efficacia delle prestazioni sanitarie nel presente e nel futuro.

 

Vogliamo creare un’informazione obiettiva e imparziale che metta in risalto le implicazioni etiche, finanziare e sociali della prevenzione e gestione del rischio in sanità e ne sostenga – con dati e ragionamenti – il radicamento nella programmazione e nella cultura amministrativa.

Il momento potrebbe difficilmente essere più propizio. Con l’approvazione della legge Gelli – alla cui disamina dedicheremo questo e il prossimo numero – la prevenzione e gestione del rischio vengono finalmente riconosciute come parte integrante del diritto alla salute sancito dalla Costituzione. Il danno, l’errore, l’evento infausto o imprevisto non sono più una colpa da assegnare, ma un problema da risolvere in maniera sistematica e scientifica.

Nessuno che abbia dimestichezza con la complessità dell’ambito sanitario può illudersi che questo sia qualcosa di più che l’inizio di una lunga e certosina fase di assestamento. Ma la complessità, se non si adatta alle semplificazioni, può accogliere la forza di un principio: una cultura sanitaria fondata sulla gestione del rischio e volta a ridurlo è una Sanità più sicura, più efficiente, più serena nelle relazioni. È, anche, una Sanità che riannoda la fiducia tra chi eroga le cure e chi le riceve.

Per Sham questo orizzonte non è solo il fulcro della sua attività professionale, ma parte integrante della sua vocazione mutualistica dove il beneficio di ognuno è legato, indissolubilmente, a quello della comunità nella quale è inserito.

L’inizio al quale stiamo assistendo richiederà molto lavoro, molto studio, molta ricerca. Con Sanità 360° e le testimonianze in prima persona degli attori sul campo, i casi studio e gli approfondimenti che ospiterà, noi vogliamo essere parte di questo inizio e aggiungervi il nostro contributo.