COME È CAMBIATO IL SSN IN 40 ANNI
Tappe e dati sull’evoluzione del Servizio Sanitario Nazionale dal 1978 ad oggi; la sua stabilità finanziaria e le criticità del presente
Il 23 dicembre 1978 nasceva il Servizio Sanitario Nazionale. Una legge monumentale che assorbì i debiti delle diverse mutue e istituì un sistema universale e illimitato di cure. La legge, la 833, fu varata dal Governo Andreotti e fu il successo storico del primo Ministro della Salute donna: Tina Anselmi. «I principi fondanti – scrive Fabio Todaro su La Stampa – erano i seguenti: universalità, uguaglianza, gratuità, globalità dei servizi offerti, solidarietà, democraticità, controllo pubblico e unicità (niente privati)» [1].
Molto è cambiato nel corso degli ultimi 40 anni, ma due elementi in particolare hanno segnato l’evoluzione dell’organizzazione sanitaria in Italia: l’aziendalizzazione delle originarie Unità Sanitarie locali e l’assunzione, da parte delle Regioni, del ruolo centrale nell’erogazione dei servizi.
I dati possono essere una guida per capire come sia cambiato il SSN nel corso di questa evoluzione. Dal Rapporto Sanità 2018, 40 anni del Servizio Sanitario Nazionale pubblicato da Nebo Ricerche PA [2] emerge che, delle originarie 695 USL del 1983 si sia passati alle 101 di oggi (e 102 Aziende Ospedaliere censite nel 2016). I posti letto sono scesi da 500mila a 215mila con un crollo ancora più pronunciato se rapportati alla popolazione: 35 per 10mila abitanti raffrontati ai 93 del 1981 [3]. Due sole le voci di crescita: il settore privato, che passa dal 15 al 20 per cento dei posti letto totali; e le aree della terapia intensiva, riabilitazione e lungodegenza, seppur rappresentate in maniera disomogenea sul territorio nazionale. Alle differenze tra le varie parti d’Italia si collega anche la crescita del 40 per cento dei ricoveri fuori Regione: ovvero gli spostamenti dei pazienti dal territorio di residenza a quello scelto per curarsi. Quest’ultimo dato vede la Calabria raddoppiare l’indice di spostamento dei pazienti rispetto al 1986; la Lombardia, nello stesso periodo, ha visto raddoppiare l’indice di attrazione mantenendo invariato quello di spostamento. Una simile disomogeneità si può riscontrare nel rapporto tra medici infermieri e abitanti: ci sono 13 medici ogni 10mila abitanti nel Lazio e 26 in Sardegna; ci sono 64 infermieri per 10mila abitanti in Friuli e 32 in Campania. Le medie nazionali, rispettivamente 17 e 43, sono leggermente più basse rispetto a 40 anni fa a causa dell’aumento della popolazione, nonostante i medici impiegati dal SSN siano aumentati a 104mila e gli infermieri sfiorino i 262.500. Ad essere diminuito, infine, è il rapporto tra medici di medicina generale e residenti, passato da uno su 924 degli anni ’80 a 1 su 1140 del periodo odierno, con un carico di lavoro che la crescita dell’aspettativa di vita – meno di 75 anni nel 1983; quasi 83 anni nel 2016 – e corrispondente incremento delle cronicità ha contribuito, e contribuirà, ad aumentare [4].
Le tappe legislative fondamentali che, con le successive riforme, seguono questo percorso pluridecennale sono quattro. La prima è la già citata legge 833, con l’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale e la creazione delle Unità Sanitarie Locali. Il secondo è il D.Lgs. n. 502/1992 che avvia la regionalizzazione della Sanità, istituisce le Aziende Sanitarie Locali e Ospedaliere e, per rispondere alla crescente pressione finanziaria, introduce «una concezione di assistenza pubblica in cui la spesa sociale e sanitaria deve essere proporzionata alla effettiva realizzazione delle entrate e non può più rapportarsi unicamente alla entità dei bisogni» [5]. Il terzo passaggio è il Decreto Legislativo n. 229/1999 (anche noto come riforma Ter) che conferma e rafforza l’evoluzione in senso aziendale e regionalizzato e istituisce i fondi integrativi sanitari per le prestazioni che superano i livelli di assistenza garantiti dal SSN. Infine, con la riforma del Titolo V, Legge Costituzionale n. 3/2001, la tutela della salute diviene materia di legislazione concorrente Stato-Regioni: lo Stato determina i Livelli essenziali di assistenza (LEA); Le Regioni hanno competenza esclusiva nella regolamentazione e organizzazione dei servizi sanitari nel finanziamento delle Aziende Sanitarie.
Alla fine di quest’evoluzione durata quarant’anni i cambiamenti – tanto nel SSN quanto nella società, nella politica e nell’economia che lo circondavano – sono stati radicali al punto da rendere difficile tratteggiare un bilancio sintetico.
Dal punto di vista finanziario la situazione si è stabilizzata. «Se si leggono i dati 2016 del conto economico consolidato a livello nazionale, così come pubblicati, il comparto sembra avere raggiunto un equilibrio – scrive la Corte dei Conti [6] – I dati di contabilità nazionale dei recenti anni e le previsioni per i prossimi […] confermano che il sistema sanitario italiano, a confronto con quelli dei maggiori Paesi europei, resta tra i (relativamente) meno costosi, pur garantendo, nel complesso, l’erogazione di buoni servizi».
Dal punto di vista della qualità delle cure, più fonti confermano la bontà media del sistema italiano, posizionando il SSN tra i migliori al mondo [7], sebbene a ciò non corrisponda un equivalente livello di soddisfazione tra i cittadini – più basso che in altri Paesi – sia per il frequente ricorso alla spesa privata [8] che per i numerosi articoli stampa sui presunti casi di malasanità [9].
Ciò che emerge in molti interventi degli addetti al settore, però, sono i dubbi che circondano la capacità sul lungo periodo da parte di questo sistema di mantenere, se non migliorare, il livello dell’assistenza. L’Italia, infatti, spende meno della maggior parte dei Paesi europei – in relazione al PIL – ma l’invecchiamento della popolazione e le cronicità – che già oggi richiedono l’80 per cento della spesa sanitaria – minacciano di superare la soglia di sostenibilità. Invecchiamento demografico, prevenzione primaria e il ritorno ad una più omogenea capacità di accesso ed erogazione delle cure sono le più citate tra le sfide che si pongono sulla strada di un Sistema sanitario che, 40 anni fa, introdusse in Italia cure universali, illimitate e per tutti.
[1] 40 anni di Servizio Sanitario Nazionale: ma esistono ancora pazienti di serie A e di serie B, La Stampa, 15 maggio 2018
[2] Reperibile su https://www.programmazionesanitaria.it/
[3] Tra i 500mila posti letto vanno anche contati i 68 dedicati all’area psichiatrica e manicomiale. Erano il 13 per cento del totale nel 1981. Oggi, in seguito alla Legge Basaglia sono 5600
[4] Si stima che la popolazione italiana over 65 crescerà da 13,4 milioni nel 2016 a 16 milioni nel 2030. Fonte «Agenzia DIRE»
[5] Modulo di legislazione e organizzazione sanitaria, Dott. EMILIO DUCA Direttore Generale Azienda Ospedaliera di Perugia
[6] Referto al Parlamento sulla gestione finanziaria dei servizi sanitari regionali. Esercizio 2016 – Corte dei Conti – Sezioni delle Autonomie, deliberazione n. 3/SEZAUT/2018/FRG, 12 Marzo 2018
[7] Cure Universali per i prossimi 40 anni – Sanità 360°- Intervista a Enrico Desideri
[8] La Stampa, art. cit. «Le performance, intese come capacità di cura, sono in linea se non migliori di quelle di buona parte dei Paesi europei – ha dichiarato Emmanuele Pavolini, ordinario di sociologia all’Università di Macerata, nel corso di un convegno internazionale organizzato dalla Asl di Taranto per celebrare la cifra tonda raggiunta dal Servizio Sanitario Nazionale – D’altra parte, però, il livello di soddisfazione dei cittadini è più basso di quello registrato in altri Paesi. La spiegazione di questo apparente paradosso sta nel fatto che la capacità di coniugare una buona performance con una spesa pubblica limitata si gioca su una spesa privata in sanità più alta che altrove e, soprattutto, su un livello di diseguaglianze nell’accesso alle cure di varia natura difficilmente riscontrabile in altri Stati occidentali»
[9] Come distruggere la fiducia dei pazienti nella Sanità, – Sanità 360°- Intervista a Tiziana Frittelli